Grossman, Dāvid

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Scrittore israeliano (n. Gerusalemme 1954). Rappresentante tra i più significativi della letteratura israeliana e noto per l'apertura delle sue posizioni liberali, la sua produzione è segnata in modo significativo dall'impegno politico, e si struttura su due piani: quello irreale e simbolico e quello strettamente legato all'attualità israeliana. Secondo una concezione dell'infanzia quale museo della memoria, ha privilegiato i bambini come protagonisti dei suoi romanzi coniugando, con finezza di mezzi espressivi e di invenzione, il registro realistico a quello fantastico-simbolico. Alla sua opera più nota, Ayyen 'erekh: Ahavah ("Vedi alla voce: amore", 1988), ha fatto seguito una produzione copiosa e diversificata, tra cui vanno segnalati i romanzi She-tihyi li ha-sakin ("Che tu sia per me il coltello", 1998) e Baguf ani mevina ("Col corpo capisco", 2002), e il saggio Dvarim šeroím mikan ("Con gli occhi del nemico. Raccontare la pace in un paese in guerra", 2007).

Vita e opere

La letteratura ebraica e la moderna letteratura mondiale hanno contribuito a maturare in G., precocissimo e instancabile lettore, notevoli aperture e curiosità intellettuali, costantemente mantenute in rapporto con il mondo ebraico e verificate da un contatto diretto con molti testimoni scampati all'Olocausto, che per lui, giovanissimo, assurgevano a vere e proprie incarnazioni dei personaggi presenti nei romanzi del suo autore preferito, Shalom ῾Alechém. Iniziata, non ancora ventenne, la collaborazione giornalistica con l'ente radiofonico israeliano, G. si dimostra, oltre che giornalista assai intraprendente, autore prolifico e consumato di sceneggiature e radiodrammi originali, e collabora inoltre alla creazione di numerosi programmi.  Il suo esordio narrativo è Rāṣ ("Il corridore", 1983), raccolta di storie e novelle con cui vince un concorso letterario; dopo il secondo romanzo Ḥiyūkh ha-gĕdī ("Il sorriso dell'agnello", 1983) è stato consacrato in  campo internazionale dal già citato Ayyen 'erekh: Ahavah, in cui ripropone il tema dell'olocausto del popolo ebraico attraverso la visione del protagonista bambino. Nel saggio Ha-Zeman ha-Tsahov ("Il vento giallo", 1988) e in Nokḥĕhīm nifqādīm ("Presenti e assenti", 1992), G. precisa il suo pensiero politico. Infatti, come in Ḥiyūkh ha-gĕdī, viene analizzata la situazione dei territori occupati da Israele e quella degli Arabi cittadini dello stato di Israele. Ricordiamo, inoltre, la commedia Gan Riki ("Il giardino di infanzia di Riki", 1990), una satira della società, e il romanzo Sēfer ha-diqdūq ha-pnīmī ("Il libro della grammatica interiore", 1991). Tra le ultime opere vanno segnalati ancora i romanzi Dvash Arayot ("Il miele del leone", 2005); e soprattutto Ishà borachat mi - bessorà  ("A un cerbiatto somiglia il mio amore", 2008), ambientato durante la Guerra dei sei giorni, in cui racconta la storia di una madre che con un gesto disperato e vitalissimo fugge dai militari venuti ad annunciarle la morte del figlio. in questo testo G. sembra ripercorrere con toni rarefatti e intimisti la vicenda autobiografica che nel 2006 ha visto la morte di suo figlio Uri, ucciso da un missile anticarro durante un'operazione delle Forze di difesa israeliane nel sud del Libano. I temi della morte e della perdita echeggiano anche in Nofel mihutz lazman ("Caduto fuori dal tempo", 2011), racconto a più voci che è anche l'elaborazione di un lutto indicibile, e nel romanzo Suss echad nichnass lebar  (2014; trad. it. Applausi a scena vuota, 2014), che indaga sul rapporto tra artista e pubblico, riflettendo su questioni profonde quali il dolore e l'assenza, mentre all'infanzia è dedicato Buba tuti (2016; trad. it. Mia, tua, nostra, 2016). Tra i suoi lavori più recenti occorre ancora citare il romanzo Iti hachaiim mesachek harbe (2019; trad. it. La vita gioca con me, 2019), intensa narrazione sulla verità e sulle difficoltà di ogni scelta, e La pace è l'unica strada (2024), raccolta di alcuni interventi sulla traiettoria politica di Israele fino agli eventi del 7 ottobre 2023.

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