Hilbert, David

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Matematico tedesco (Königsberg 1862 - Gottinga 1943). È la figura più notevole della matematica della prima metà del Novecento e forse dell'intero secolo. A Königsberg frequentò l'università con A. Hurwitz, già professore, e con H. Minkowski, suo condiscepolo. Dal 1895 al 1929 fu prof. all'univ. di Gottinga. Fin dal 1903 socio straniero dei Lincei. Si può dividere approssimativamente la sua attività di ricerca in varî periodi; fino al 1893: studio delle forme algebriche (teorema della base di H.); 1894-99: teoria algebrica dei numeri; 1899-1903: fondamenti della geometria; 1904-09: tematiche di analisi (principio di Dirichlet, calcolo delle variazioni, equazioni integrali, problema di Waring); 1912-16: fisica teorica e fondamenti della fisica relativistica; dopo il 1918: fondamenti della matematica. Una conferma della universalità di interessi di H. è data dal celebre elenco di 23 problemi fondamentali, su tutto l'arco della materia, da lui presentati al Congresso di matematica di Parigi del 1900, il cui studio e ricerca delle soluzioni hanno scandito tanta parte della matematica del Novecento. Come stile di indagine H. introdusse metodi diretti, in generale non costruttivi, spesso superando proprio in questo modo ostacoli fino ad allora insormontabili per altri. Infatti, secondo H., il valore delle dimostrazioni puramente esistenziali consiste nel fatto che rendono superflue le costruzioni dei singoli enti e che costruzioni estremamente differenti possono essere sintetizzate in un'unica idea fondamentale. Un discorso a parte merita l'attività di H. nel campo dei fondamenti della matematica (postulati di H.). L'interesse iniziò con i Grundlagen der Geometrie (1899), una riorganizzazione della geometria euclidea che assumeva i concetti primitivi euclidei di punto, retta e piano, e le relazioni primitive "essere fra", la congruenza e il parallelismo come punto di partenza, senza però attribuire loro alcun significato intuitivo ma solo quello che emerge dai collegamenti reciproci espressi negli assiomi. Privi di contenuto intuitivo gli assiomi non sono più "veri": devono solo essere non contraddittorî e allora si applicheranno a infiniti sistemi di enti. L'interesse per i fondamenti si accentuò dopo l'antinomia di Russell e già in un contributo del 1904 H. sostenne la necessità di una dimostrazione diretta della coerenza dell'aritmetica attraverso lo studio delle dimostrazioni viste come enti a sé. È questo il nucleo della metamatematica e del programma hilbertiano: la necessità di uno studio "dall'esterno" delle teorie matematiche per assicurare la coerenza della matematica con mezzi sicuri. H. propose perciò di trasformare le teorie in sistemi puramente formali di segni (i simboli linguistici in cui si esprimono le teorie stesse una volta fissata in modo rigido la morfologia del linguaggio) e di assumere come "sicure" solo le manipolazioni di tali segni svolte secondo regole "finitarie" fissate. Dimostrare che una teoria è coerente vorrà dire dimostrare l'impossibilità di derivare al suo interno una sequenza di segni e la sua "negazione" formale. Si potrà, interlocutoriamente, riportare la coerenza di una teoria a quella di un'altra, ma in questo processo di rinvio sarà necessaria almeno una dimostrazione di coerenza "assoluta" per una teoria specifica: l'aritmetica appunto a cui, per gradi successivi, ci si può ridurre. Dopo una notevole mole di lavoro tecnico in questa direzione, i risultati di K. Gödel dimostrarono sostanzialmente l'impossibilità del sogno hilbertiano. Forse H. non ne fu mai convinto ma una delle sue ultime opere, i monumentali Grundlagen der Mathematik, contiene la prima e ancor oggi unica esposizione con tutti i dettagli della dimostrazione gödeliana che aveva distrutto il suo progetto. Tra le opere: Ueber die vollen Invariantensysteme (1892), Grundzüge der theoretischen Logik (con W. Ackermann, 1928), Grundlagen der Mathematik (con P. Bernays, 2 voll., 1934-39). Le sue opere fino al 1935 sono state raccolte in 3 volumi: Gesammelte Abhandlungen (1932-35).

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