De Partibus animalium

Enciclopedia Dantesca (1970)

De Partibus animalium

Enrico Berti

. - Opera di Aristotele, in quattro libri, collocata dagli editori al secondo posto della serie degli scritti zoologici, tra la Historia animalium e il De Motu animalium, mentre per Aristotele doveva essere il primo trattato della serie, pur presupponendo la Historia, che non è un vero e proprio trattato scientifico, ma soltanto una raccolta di dati.

Essa fu conosciuta nel Medioevo latino, come altre opere di Aristotele, sia attraverso una versione dall'arabo sia attraverso versioni dal greco. Mentre però nella tradizione araba il De P. è compreso nel corpus dei libri De Animalibus - una raccolta comprendente la Historia animalium (10 libri), il De P. (4 libri) e il De Generatione animalium (5 libri) - nelle versioni dal greco è mantenuto distinto e conserva il proprio titolo. Il De Animalibus fu tradotto dall'arabo in latino a Toledo, prima del 1220, da Michele Scoto, il quale ne tradusse anche l'Abbreviatio di Avicenna e il compendio di Averroè. Quest'ultimo fu tradotto parzialmente anche dal francescano Pietro Gallego, vescovo di Cartagena (1250-1267). La traduzione di Michele Scoto ebbe molta diffusione e fu incorporata da Alberto Magno nel suo De Animalibus. Dal greco esistono due versioni del De P., una anonima, conservata in un solo codice della Biblioteca Antoniana di Padova, e una eseguita da Guglielmo di Moerbeke a Tebe nel 1260, che sembra essere la revisione della precedente. L'opera, oltre che compendiata da Avicenna e Averroè, fu parafrasata da Alberto Magno e commentata da Pietro Ispano. La sua lettura, con quella di tutti i libri De Animalibus, fu resa obbligatoria nella facoltà delle Arti di Parigi a partire dal 1255.

D. non cita mai esplicitamente il De P., tuttavia cita due volte il De Animalibus, alludendo, almeno in un caso sicuramente, al De Partibus. La prima citazione è in Cv II III 2 avvegna che quelle cose, per rispetto de la veritade, assai poco sapere si possano, quel cotanto che l'umana ragione ne vede ha più dilettazione che 'l molto e 'l certo de le cose de le quali si giudica [secondo lo senso], secondo la sentenza del Filosofo in quello de li Animali, e corrisponde, senza possibilità di dubbio, al noto passo di Part. an. I 5, 644b 31-33. La seconda è in Cv II VIII 10 Aristotile l'afferma quando dice nel duodecimo de li Animali che l'uomo è perfettissimo di tutti li animali, e sembra corrispondere, secondo quanto ha dimostrato il Nardi, a Part. an. II (che è il dodicesimo dei libri De Animalibus, dopo i dieci della Historia animalium) 10, 656a 7-8 (" hominum genus... quippe quod aut unum ex omnibus animalibus nobis cognitis divinitatis particeps, aut omnium maxime ", traduzione umanistica di Teodoro di Gaza, che usò quella di Michele Scoto), citato non alla lettera, ma a senso. Probabilmente a questo proposito D. aveva presente anche Alberto Magno De Animalibus XXI 1 (l'uomo è " perfectissimum animalium "). Il fatto che entrambe le citazioni si riferiscano al De Animalibus testimonia che D. doveva avere presente, direttamente o attraverso Alberto Magno, la traduzione arabo-latina di Michele Scoto.

Altri echi del De P. si possono ravvisare in Cv III IX 9 Di questa pupilla lo spirito visivo, che si continua da essa, a la parte del cerebro dinanzi, dov'è la sensibile virtude sì come in principio fontale, che richiama Part. an. II 10, 656b 16-31 (ma v. Alberto Magno De Sensu et sensato I 5); Mn III XV 5 cum omne medium sapiat naturam extremorum, che richiama Part. an. III 1, 661b 10-11; Mn I XIV 1 quod potest fieri per unum, melius est per unum quam per plura (cfr. anche Quaestio 28), che riecheggia Part. an. III 4, 665b 14-15; Ep XIII 74 Si homo est, est risibile, che riprende Part. an. III 10, 673a 8; e infine Mn I XIV 2 omne superfluum Deo et naturae displiceat, che richiama Part. an. IV 12, 694a 15. Si tratta però di luoghi comuni, che non testimoniano una lettura diretta dell'opera aristotelica.

Bibl. - G. Furlani, Le antiche versioni araba, latina ed ebraica del De partibus animalium di Aristotele, in " Rivista di studi orientali " IX (1922) 237-257; G. Lacombe, Aristoteles Latinus, Codices, I, Roma 1939, 80-85; II, Cambridge 1955, 785; J.M. Da Cruz Pontes, As traduções dos tratados zoologicos aristotélicos e as inéditas Quaestiones super libros De animalibus de Pedro Hispano Portucalense, in " Revista Portuguesa de Filosofia " XIX (1963) 243-261; B. Nardi, Due citazioni dantesche da Aristotele, in Miscellanea in onore di Carlo Minnocci, Milano 1957, 33-37.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata