BALBINO, Decimo Celio Calvino

Enciclopedia Italiana (1930)

BALBINO, Decimo Celio Calvino (D. Caelius Calvinus Balbinus)

Gaetano Mario Columba

Imperatore romano del sec. III d. C. Nacque verso il 178, da famiglia doviziosa e certamente patrizia, ma non di antica stirpe; per trovare un antenato doveva ricorrere a Cornelio Balbo, il gaditano. Verso i vent'anni B. iniziò la sua carriera politica: fu console sostituto, e poi nel 213 console ordinario insieme con l'imperatore Antonino Caracalla. Ebbe il governo di parecchie provincie (se ne contano fino ad otto, e fra queste le più importanti dell'Impero) e lasciò di sé buona riputazione. Nel 238 era uno dei personaggi più autorevoli del Senato, e fu compreso nella commissione dei venti senatori incaricati dell'amministrazione dell'Impero. Questo avvenne, com'è ben da presumere, dopo che Gordiano si era proclamato imperatore a Cartagine, contro Massimino, associandosi nell'Impero il figlio. Il Senato assecondava con fervore questa rivolta. Ma in capo ad una ventina di giorni i due Gordiani perirono. Il Senato, per nulla sgomento, creò due nuovi imperatori: Pupieno Massimo e Balbino. I due imperatori stavano in pari grado, e perché fosse eliminata ogni distinzione, anche la carica di pontefice massimo fu comune a entrambi. Dopo la serie d'imperatori imposti dall'esercito, questi due uscivano dalla libera elezione del Senato, che avvicinava in modo più deciso, che non fosse occorso per l'innanzi, l'autorità imperiale alla collegialità consolare. Ma dopo questa elezione la solidarietà tra il Senato e il popolo, ugualmente avversi a Massimino, minacciò di rompersi, essendo Pupieno inviso alla moltitudine per la durezza mostrata come prefetto della città. La concordia fu tuttavia ristabilita mediante la proclamazione di un nipote di Gordiano a Cesare. Ma la città fu funestata da una lotta sanguinosa tra il popolo e i pretoriani.

Incombeva intanto la minaccia dell'imperatore Massimino che alla notizia della rivolta dei Gordiani e del Senato si era messo in marcia dai confini del Danubio alla volta d'Italia. A tenergli fronte fu deputato Pupieno, ben conosciuto come uomo d'armi, mentre Balbino, uomo di toga, rimaneva a Roma al governo degli affari civili. Ma Massimino cadde improvvisamente sotto Aquileia per mano dei suoi stessi soldati, e Pupieno tornò a Roma quasi in veste di trionfatore. Sorsero da quel momento tra i due imperatori gelosie e sospetti.

Il Senato si studiava di tenerli alla pari, divideva in egual modo gli onori, celebrava sulle monete la concordia, la lealtà, l'affetto reciproco dei due Augusti, come a smentire le voci che necessariamente dovevano correre in proposito; ma in realtà B. doveva sentirsi in una condizione d'inferiorità rispetto al collega, che aveva il comando delle forze militari, ed era l'uomo su cui si faceva senza dubbio maggiore assegnamento, data la torbida situazione militare dell'impero, a causa dell'indisciplina della soldatesca all'interno e della minaccia di guerre ai confini, specie all'oriente. Non è improbabile che il Senato, per mantenere il principio della parità, abbia attribuito a B. un comando militare contro popolazioni germaniche del Danubio. È certo in ogni modo che B. ottenne che fosse posto ai suoi ordini il corpo dei Germani, devoto a Pupieno, e da costuì acquartierato a Roma, per tenere in rispetto i pretoriani. Queste diffidenze ebbero esito fatale per entrambi. Un giorno che il popolo era intento a spettacoli di gare che si celebravano in Campidoglio, i pretoriani assalirono di sorpresa la parte della casa imperiale in cui si trovava Pupieno. Questi chiese d'urgenza l'aiuto del Suoi fedeli Germani, ma B., sia che temesse un tranello da parte del collega, sia che lo seducesse l'idea di restar solo al potere, negò il chiesto soccorso. Ma cadde anche lui in mano ai pretoriani, e insieme con Pupieno fu coperto d'insulti e ferocemente ucciso (agosto). Quando giunsero i Germani era troppo tardi. L'impero di Balbino e di Pupieno era durato 99 giorni.

Nei ritratti, B. appare come uomo pingue e gozzuto, di aspetto pacifico. Nella sua carriera aveva saputo accrescere il patrimonio della famiglia, senza tuttavia mancare alla riputazione di onestà che si era meritata. Era colto, di natura mite, e certo assai meno temprato del suo collega Pupieno, alle asprezze di quella età fortunosa.

Fonti: Erodiano, Ab exc. d. M., nei libri VII e VIII; Historia Aueusta, Maximus et Balbinus, Zosimo, 1, 14-16; Fonti epigr.: E. Ferrero, in De Ruggiero, Diz. epigraf., I, 961 segg.; cfr. Klebs, Pros. imp. Rom., I, 259. Per il bellum aquileiense, v. Notizie scavi, 1928, p. 343 segg. Cfr. S. Dobiáš, Listy filologické, LVI (1929).

Bibl.: H. Schiller, Gesch. d. römisch. Kaiserzeit, ii, p. 790 segg.; O. Seeck, in Preuss. Jahrb., LVI (1885), p. 267 seg., e Rh. Mus., XLI (1886), pp. 161 seg. (ricerche cronologiche); Groag, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 1258 seg.

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