Dedalo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Dedalo

Giorgio Padoan

Personaggio della mitologia classica. Figlio di Metione e discendente di Eretteo; mitico architetto e inventore ateniese (gli si attribuivano la costruzione di statue con occhi e arti mobili e le invenzioni del trapano, dell'ascia e dell'alberatura navale; per la serietà con la quale i medievali trattarono di tali leggende, ritenute storicamente vere, cfr., ad esempio, Petrus Comestor Historia Scholastica, Liber Iudicum VIII).

Per gelosia dì artefice uccise il nipote Talo, inventore della sega e del tornio, spingendolo giù da una rupe; fuggito perciò da Atene, riparò presso il re cretese Minosse, e a Cnosso costruì vari edifici, tra cui il famoso labirinto. Sua sarebbe stata l'idea dell'espediente della vacca di legno, mediante il quale Pasifae si unì col toro di cui ella si era innamorata, generando quindi il Minotauro. Per questa ragione Minosse avrebbe impedito a Dedalo e al figlio Icaro la partenza da Creta, rinchiudendoli nel labirinto; secondo un'altra versione, Minosse avrebbe invece inteso punire così l'aiuto prestato da Dedalo ad Arianna e a Teseo donando loro il filo che permise all'eroe greco di penetrare nel labirinto e di uscirne. Ma Dedalo evase da Creta fabbricando per sé e per Icaro delle ali mediante piume di uccelli tenute insieme da cera. Nonostante gli avvertimenti del padre che lo aveva ammonito a non volare troppo vicino alla superficie del mare né troppo in alto, Icaro, preso dall'ebbrezza del volo e invaghitosi della bellezza del cielo, prese a salire; i raggi del sole liquefecero la cera, e il giovane cadde nel mare Egeo, presso l'isola detta perciò Icaria. Dedalo, dopo aver dato sepoltura al figlio, al quale era affezionatissimo, pervenne a Cuma, dove dedicò un tempio ad Apollo, e quindi andò in Sicilia; qui fu accolto ospitalmente dal re Cocalo, che lo difese con le armi da Minosse, il quale lo aveva inseguito fin lì; ma poi, per timore della potenza di Minosse, Cocalo l'avrebbe fatto assassinare (poi Minosse sarebbe stato a sua volta ucciso dalle figlie di quel re). Secondo un'altra versione Dedalo sarebbe infine tornato in Atene. Il mito illustra la versatilità e la genialità dell'arte umana, che sa gareggiare con la natura stessa, e nel contempo, nell'episodio di Icaro, mette in guardia contro chi, presumendo troppo, perde il senso del limite.

D. fonda la sua conoscenza di questo mito sulla descrizione virgiliana del tempio eretto a Cuma da Dedalo e delle sue preziose sculture (Aen. VI 14-33) ove sono descritti l'infame passione di Pasifae, la costruzione del labirinto, l'aiuto prestato da Dedalo ad Arianna; il dolore che ancora struggeva l'architetto al ricordo della misera sorte del figlio gl'impedì di ritrarre altresì l'impresa del volo. Assai più diffuso è il passo che Ovidio dedica a Dedalo (Met. VIII 159-262): di cui ricorda appena l'omicidio del nipote, per sottolineare piuttosto l'eccezionale ingegnosità artistica, la nostalgia per la patria lontana durante la prigionia cretese, la trepidazione paterna per Icaro. Di questi il poeta latino parla con tenerezza, per la giovane età del fanciullo inebriatosi nel volare: e pertanto la sciagura perde qui ogni senso di moralistica condanna per cedere il posto alla commiserazione. È questo sostanzialmente lo stesso motivo colto da D.: il quale ricorda fuggevolmente ma non senza simpatia l'ingegno dell'uomo che seppe levarsi a volo (If XXIX 116) per soffermarsi piuttosto sulla fine di Icaro (Pd VIII 125-126); e in If XVII 109-111 il poeta rievoca la paura del giovinetto quando sentì che la cera delle ali si stava sciogliendo, per paragonarla alla maggior paura che egli stesso provò quando Gerione iniziò la discesa. Se l'estremo grido di ammonimento del padre (Mala via tieni!) non si ritrova nelle Metamorfosi (dove Dedalo si accorge della sciagura solo quando si è compiuta), pur nella magnifica variazione è conservato il tono della narrazione ovidiana, e predomina la pietà per il misero Icaro (Met. VIII 236): ancorché l'accostamento a Fetonte riveli come il poeta cristiano non abbia del tutto perduto di vista il sottinteso morale dell'episodio.

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