FERRARI, Defendente

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FERRARI (de Ferrari, de Ferraris), Defendente

Giovanni Romano

Figlio di Francesco, originario di Chivasso (Torino); non si conoscono gli estremi anagrafici del F., la cui data di nascita dovrebbe risalire attorno al 1480-1485.

La sua identità ("Deffendente de Ferrariis de Clavaxio pinctore") è accertata da un contratto del 21 apr. 1530 riguardante l'esecuzione della grande paia d'altare commessa dalla Comunità di Moncalieri per la chiesa della precettoria di S. Antonio di Ranverso in Buttigliera Alta, presso Torino; l'opera, di misure imponenti, doveva seguire da vicino il modello della pala degli studenti in S. Domenico a Torino, purtroppo perduta e di cui ignoriamo l'autore (Schede Vesme, IV, 1982, p. 1270). La data orientativa di nascita è fissata secondo logica deduzione dalla ricostruzione stilistica della prima produzione del maestro (non anteriore al 1500). Baudi di Vesme (1922) ha persuasivamente legato al nome del pittore una serie di documenti notarili e d'archivio riguardanti un cittadino chivassese di nome Defendente Ferrari di Francesco, abitante nel quartiere di S. Maria. È dubbia invece l'identificazione del F. con un altro Defendente Ferrari, chivassese, sposo di Virtù Verolfi, perché questi abitava nel quartiere di S. Michele e non in quello di S. Maria (cfr. Baudi di Vesme, 1922). Sempre secondo il Vesme, Francesco, padre del F., va identificato con l'orafo Francesco "de Feraris" che firma, insieme a Damiano "de Curte", un crocefisso d'argento conservato presso la cattedrale di Biella, datato 1509.

Il documento del 21 apr. 1530, scoperto da L. Bruzza nell'Archivio comunale di Moncalieri (ora irreperibile), fu pubblicato per la prima volta da F. Gamba (1875), che provò a collegare all'opera sicura di S. Antonio di Rariverso un consistente corpus di dipinti, radunati per omogeneità stilistica (collaborò alla ricerca il restauratore G. Arpesani). Da allora le opere attribuite al F. sono andate aumentando in modo consistente e superano ormai il centinaio; dopo il Gamba gli elenchi più affidabili e completi sono forniti da Barbavara (1898), Weber (1911 e 1915, con bibl.), Brizio (1924 e 1942, con bibl.), Berenson (1932 e 1968), Baudi di Vesme (1982). Sono autori e date che scandiscono significativamente la fortuna critica del pittore, cui vanno aggiunti almeno i contributi, più circoscritti, ma non meno importanti, di Morelli (1893), Rovere (1912), Venturi (1915 e 1930), Marangoni (1916), Baudi di Vesme (1918, 1922), Viale (1939, 1954, 1959), Mallé (1952-1953, 1962, 1971, 1973), Carità (1955), Romano (1970, 1974, 1990).

Serie significative di opere del F. e del suo ambito sono conservate presso la Galleria Sabauda e il Museo civico d'arte antica di Torino; altre importanti testimonianze della sua attività si sono accumulate, per la soppressione di Ordini ed enti religiosi, presso la chiesa di S. Giovanni ad Avigliana; altre ancora si conservano presso il Museo Borgogna di Vercelli. È impossibile qui proporre un elenco completo delle numerose opere disperse in chiese, musei e collezioni private.

La lenta evoluzione stilistica del F. si ricostruisce attraverso un buon numero di opere datate, per fortuna sia di formato minore sia in dimensioni da pala d'altare; si rileva infatti un certo divario tra l'accurata e minuta tecnica esecutiva delle opere per i singoli devoti e il fare spesso un poco più corsivo delle opere a grandi figure. Non meno evidente lo scarto tra le parti a colori e le parti in monocromo delle ante laterali dei polittici, dipinte su due facce; i monocromi sono eseguiti più frettolosamente, ma in alcuni rari casi rivelano un'autentica e moderna sprezzatura stilistica che ha fatto pensare a contatti con la scuola danubiana. Anche la stesura cromatica, in specie nei quindici anni centrali dell'attività più nota, ha una pienezza e uno smalto che ricordano i dipinti fiamminghi e tedeschi del tardo Quattrocento, non meno della geometrica spezzatura dei panneggi, che evoca M. Schongauer. Questa attenzione alle abitudini del mondo nordico, comprensibile in un pittore attivo quasi esclusivamente per il Ducato sabaudo, è confermata dall'uso di siglare le proprie opere con un monogramma composto dalle lettere F e P intrecciate e legate a una crocetta (qualche esempio in Schede Vesme, 1982, p. 1288).

Le opere datate del F. si succedono nell'ordine seguente: S. Gerolamo in orazione (1509, Milano, Brera, n. 274); Adorazione notturna del Bambino (1510, Torino, Museo civico d'arte antica, n. 512D); l'Adorazione del Bambino con i ss. Sebastiano, Rocco, Francesco, santo laico non identificato e Cristo morto coi simboli della Passione (1511; Avigliana, S. Giovanni, proviene dalla chiesa degli Umiliati e si trova attualmente sull'altare di antico patronato dei Provana di Leyni). Non sembra stilisticamente accettabile il sospetto che si tratti di una ricomposizione con elementi disparati, anche se manca la cornice antica e se la predella è un rifacimento ottocentesco. Porta la stessa data del 1511 l'Adorazione del Bambino con canonico donatore di Berlino (Gemäldegalerie, Bode Museum, n. 1146; ne è stata proposta la provenienza originaria dall'altare dell'Immacolata Concezione nel duomo di Torino, di cui era titolare il canonico Andrea Provana: cfr. Romano, Suglialtari, 1990, p. 270).

Sono del 1513 una Circoncisione, una piccola predella con Deposizione nel sepolcro (forse parti dello stesso complesso) e quattro tavole di predella con Storie di s. Antonio da Padova (una scritta sulla Predica del santo ricorda la donatrice, Caterina Garona), tutte a Cuneo, Museo civico: provengono da uno dei due conventi cuneesi dell'Osservanza. L'Assunzione tra i ss. Martino e Giovanni Battista, commessa dai mercanti di lana di Ciriè è del 1516. La bella cornice originale ospita nella parte alta due tondi con l'Annunciazione e nella predella i Ss. Ciriaco e Nicola da Tolentino e due storie, Morte e sepoltura della Vergine (Ciriè, Confraternita del S. Sudario). L'Adorazione del Bambino, già Chieri, collezione Bosio, poi Torino, collezione W. Abegg, è del 1518 (cfr. Viale, 1959, p. 231). Coevi sono i Ss. Gerolamo, Ivo, Lazzaro (siglato e datato), Agostino e la Disputa di Cristo al tempio (Embrun, Museo della Parrocchiale), verosimili parti di un polittico con al centro la Disputa; quest'ultima, molto danneggiata, dipende da un modello noto attraverso più redazioni, una delle quali, di G. Giovenone, è datata 1513, l'archetipo è verosimilmente da riconoscere nella tavola del Museo civico d'arte antica di Torino, discussa tra il F. e M. Spanzotti (Romano, 1970, p. 22). La Madonna della Misericordia (o "Madonna del Popolo"), tra i ss. Agostino e Nicola da Tolentino (1519; Ciriè, S. Giovanni) proviene dalla chiesa agostiniana di S. Maria delle Grazie, di patronato dei Provana di Leynì, ed è stata ridotta in forma ovale (Di Macco, 1992, pp. 11-14). Il tema iconografico ritorna quasi invariato nella Madonna del Popolo già nella collezione Cambò, a Barcellona, dove i santi agostiniani sono sostituiti dai carmelitani Angelo ed Alberto (venduta a Londra, presso Sotheby's, nel giugno 1995). È ugualmente del 1519 l'Adorazione del Bambino con s. Chiara che presenta una monaca offerente e altre monache francescane; in basso a sinistra uno stemma nobiliare forse della famiglia Ajassa: Ivrea, cattedrale, sacrestia (Schede Vesme, 1982, p. 1278).

Del 1520 è il S. Gerolamo penitente davanti al Crocefisso (Torino, Museo civico d'arte antica). Del 1521 è l'Adorazione del Bambino con il b. Warmondo, che presenta un canonico donatore, identificato dal vescovo O. Asinari, in visita apostolica nel 1651, con L. Ponzone d'Azeglio; l'identificazione è confermata dallo stemma dei Ponzone in basso a destra, che però appare aggiunto più tardi, forse al momento della eliminazione della cornice: Ivrea, cattedrale, sacrestia (Schede Vesme, 1982, p. 1278). Stessa datazione possiede la Flagellazione e, sul retro, la Coronazione di spine a monocromo (già Torino, collezione dei marchesi Provana-Romagnano, oggi in collezione privata torinese; Natale, 1989). Del 1522 è il trittico di Feletto Canavese (Ss. Pietro e Paolo; Schede Vesme, 1982, p. 1278) con al centro l'Adorazione del Bambino e la scritta "quem genuit adoravit", ai lati S. Lucia e S. Agata;nella predella Cristo sul sepolcro e gli Apostoli a mezza figura. Le ante di chiusura ospitano i Ss. Giovanni Battista, Stefano, Rocco e Lorenzo; sul retro a monocromo S. Anna con la Vergine intente a leggere e il Cristo dei dolori.

Sono del 1523 alcune opere di particolare, qualità: il piccolo trittico con al centro l'Adorazione dei magi e ai lati l'Adorazione del Bambino, con la scritta "quem genuit adoravit", e il Compianto su Cristo, con la scritta "atendite et videte" (Torino, Galleria Sabauda), unico esempio conservato di altarolo ad ante chiudibili, una tipologia che deve essere stata molto frequentata dal F. a giudicare dai frammenti dispersi a tutt'oggi noti (Romano, 1975); la Madonna in trono tra s. Giovanni Battista che presenta un donatore con la croce di Malta e s. Nazario (Torino, Palazzo reale; Brizio, 1924); venti dossali di coro dipinti con paesaggi e oggetti liturgici (Biella, S. Gerolamo; cfr. Viale, 1939, pp. 214-221): la fondazione del convento biellese risale a Giovanni Gramo di Temengo, vicario generale della diocesi di Torino e canonico della cattedrale vercellese, morto nel 1520, ma la realizzazione del coro spetta verosimilmente al fratello Ludovico, protonotario apostolico e abate di Muleggio. Del 1524 è il Compianto sul Cristo morto con s. Francesco, s. Chiara, s. Bernardino da Siena e s. Antonio da Padova (Firenze, villa Palmieri), commesso da L. Berta di Celle, morto nel 1525, per S. Francesco al Bosco di Avigliana (cfr. Bacco, 1883).

Al 1526 risalgono la Disputa di Cristo al tempio (Stoccarda, Staatsgalerie, inv. 760) e la Madonna col Bambino, dalla Madonna d'Orléans di Raffaello (Amsterdam, Rijksmuseum, n. 922/B1), e al 1528 una S. Anna con la Vergine e il Bambino in un interno di chiesa (ibid.). Va ricordato a questo punto il grande polittico con l'Adorazione del Bambino al centro, ai lati i Ss. Antonio abate, Sebastiano, Rocco e Bernardino da Siena;nella predella sette Storie di s. Antonio abate e nella cimasa il Cristo nel sepolcro con ai lati gli stemmi della Comunità di Moncalieri. Il polittico è contenuto in una cassa, rifatta modernamente, con ai lati ante di chiusura dipinte: all'interno, a colori, i Ss. Gerolamo, Defendente, Cristoforo e l'Incontro di s. Antonio e di s. Paolo eremita; all'esterno, a monocromo, Visitazione, Annunciazione (divisa in due tavole) e Adorazione dei magi (Buttigliera Alta, chiesa della precettoria di S. Antonio di Ranverso). Si tratta del polittico commesso con il citato contratto del 21 apr. 1530 e che risulta già installato e di piena soddisfazione il 17 genn. 1532 (Schede Vesme, 1982, pp. 1270 s.).

Del 1535 è il trittico con Madonna col Bambino al centro e ai lati i s. Crispino e s. Crispiniano, nei fastigi laterali i s. Agostino e s. Monica, nella predella tre Storie dei ss. Crispino e Crispiniano, protettori dei calzolai (Avigliana, S. Giovanni, proveniente dalla cappella dei calzolai in S. Maria di Borgo Vecchio: cfr. Bacco, 1883, pp. 12 s.). Solo la Madonna può essere riferita all'ultimo F. mentre le parti rimanenti del trittico appartengono a una diversa personalità, di più aggiornata e raffinata cultura figurativa, che è stata accostata al gruppo di opere anonime raccolte sotto il nome di comodo di Pseudo-Giovenone (Romano, 1970, p. 24).

Anche il solo repertorio delle opere datate di sicura attribuzione documenta la ricchezza e la varietà della produzione dei F. e non meno la costanza di certe tipologie legate all'utilizzo di cartoni conservati in bottega; sono notevoli anche la diversificazione dei committenti (agostiniani, carmelitani, prestigiose famiglie della nobiltà sabauda - ad esempio i Provana e i Gromo - compagnie di mestiere, Comunità urbane) e la fedeltà ad iconografle di larga popolarità (in particolare l'Adorazione del Bambino secondo la versione francescana dell'Immacolata Concezione, che comporta la scritta "quem genuit adoravit"), ma anche scelte iconografiche meno correnti (per alcuni casi particolari v. Romano, 1987, pp. 158 s.). Ne consegue la necessità di una consistente équipe di collaboratori accanto al maestro, talvolta identificabili come distinte personalità, ma per lo più celati dietro una generica koinè stilistica defendentesca. L'ipotesi di una bottega articolata su più presenze, anche qualificate, può essere utilizzata per ricostruire tentativamente la giovinezza non documentata del pittore, spostando l'attenzione sulla bottega, non meno ricca di aiuti, del pittore Martino Spanzotti.

Esiste un gruppo di opere su tavola di forte accento spanzottiano e di particolare chiarità cromatica che non possono essere considerate autografe di Martino Spanzotti e che prefigurano, nel più insistito linearismo dell'esecuzione, come nella staticità psicologica dei personaggi, alcuni caratteri correnti nella produzione sicura del F.: sono una Adorazione dei magi della Galleria Sabauda di Torino (n. 52), il polittico della Vergine con s. Bernardo, il Battista, s. Bartolomeo e s. Cristoforo in S. Sebastiano a Biella (manomesso da vecchi restauri) e due laterali di polittico, di collezione privata milanese, con i Ss. Giacomo e Giovanni evangelista nel laterale sinistro e S. Ambrogio e il beato Matteo Carreri di Mantova, in quello destro. Queste due ultime tavole, di qualità superiore alle altre, si trovavano all'inizio di questo secolo presso il convento domenicano di S. Croce in Boscomarengo, ma provengono da Vigevano (Viale, 1947, pp. 54-56; Spantigati, 1985, pp. 240-242). Si può riconoscere in questa breve serie, che non si allontana troppo dal polittico di Spanzotti per S. Francesco a Casale Monferrato, la prima apparizione del F. come collaboratore nella bottega dello Spanzotti stesso. I rapporti di quest'ultimo con Chivasso (di dove proveniva la moglie e dove lavorava nel 1502) rendono plausibile l'ipotesi e orientano le opere sopra elencate verso i primissimi anni del secolo. È ovviamente scontato che la data 1501 trascritta tardivamente sul retro della paia del F. nel Municipio di Caselle non merita fiducia (Di Macco, 1992, pp. 9-11).

Il trasferimento di Spanzotti a Chivasso, forse già in occasione della peste del 1502, è attestato dalle sue lettere del 25 ott. 1507 al duca Carlo II (Schede Vesme, IV, 1982, p. 1606) e del 2 sett. 1509 a Feliciano Cavassa, preposito della collegiata di Carmagnola (Rodolfò, 1952-1953, pp. 134 s.). Cade prima di queste date la pala della università dei calzolai, nel duomo di Torino, che sembra possibile anticipare anche rispetto al 20 genn. 1504 (Romano, Sugli altari, 1990). Soprattutto nella tavola centrale, la meglio conservata, prosegue, a un più alto grado qualitativo, il dialogo a due apertosi con le tavole sopra elencate, ma con varianti sensibili della gamma cromatica, fattasi più densa e preziosa, verosimilmente per un coraggioso confronto con la situazione pittorica torinese, dominata da Antoine de Lonhy e dai suoi eredi; nelle parti meno impegnative (le Storiette dei ss. Crispino e Crispiniano sul retro) le affinità con il polittico in S. Sebastiano a Biella sono vistose. Credo gravitino intorno alla pala dei calzolai anche le tavole del Museo civico di Torino con lo Sbarco della Maddalena e il Matrimonio della Vergine; mi sembrano invece di qualche anno più tarde, in limitato anticipo rispetto alle opere certe del 1509 e del 1511, la Disputa al tempio dello stesso museo, l'Adorazione dei magi già Contini Bonacossi, dal 1974 presso il Paul Getty Museurn di Malibu, California (Mancusi Ungaro-Pinaquy, 1977) e la bellissima Adorazione del Bambino notturna del Fogg Art Museum della Harvard University (Cambridge, Mass.). Non tutto è ancora chiaro comunque in questi anni di avvio del F. perché due opere d'eccezione si lasciano inserire con qualche difficoltà nella serie qui ricostruita. Si tratta del trittico ora sull'altare maggiore della Sacra di S. Michele, presso Sant'Ambrogio di Torino, la cui tavola centrale (diversamente dai laterali, decisamente defendenteschi) mostra una raffinatezza e una cristallina preziosità di esecuzione che trovano pochi riscontri in quegli anni nel Piemonte occidentale; siamo ancora prima del 1507 (Romano, Opere d'arte, 1990). L'altra opera problematica è l'Adorazione del Bambino con vari santi che dalla cappella maggiore di S. Domenico a Biella, di patronato dei Gromo di Temengo, e approdata, dopo le soppressioni napoleoniche, all'Accademia Albertina di Torino (inv. 218; Romano, 1993, p. 36). L'opera appare molto vicina ai laterali del trittico della Sacra e come quel trittico concepita secondo un nuovo, moderno concetto di pala a impostazione architettonica, in cui conta vistosamente il rapporto prospettico tra cornice e tavola dipinta. Sono questi probabilmente i primi capolavori del F. liberatosi dalla tutela dello Spanzotti ed è altresi possibile che abbiano fatto subito proseliti; nella stessa chiesa di S. Domenico, all'altare dei fratelli Meschiati, sarà collocato un trittico attribuibile a G. Giovenone, da datare 1508, di cui restano due tavole, con figure di santi e i due fratelli committenti (Milano, Musei del Castello di Milano; inv. 399, 400; Romano, Sugli altari, 1990, p. 284). In questo momento iniziale della sua carriera Giovenone appare già un creato del F. e non dello Spanzotti. Il problema è reso più complesso dalla ben nota vicenda del Battesimo di Cristo per la consorzia di San Giovanni, ora nella sacrestia del duomo di Torino: commesso allo Spanzotti l'8 maggio 1508, non era ancora finito il 13 genn. 1510, e, per come lo conosciamo oggi, è innegabilmente un'opera dove convergono ancora una volta l'ariosa ispirazione spaziale dello Spanzotti e l'esecuzione minuta del F., se non anche del Giovenone agli inizi. Possiamo sentirci autorizzati a pensare che il rapporto allievo-maestro si fosse trasfonnato temporaneamente in un rapporto di associazione con bottega comune.

Il termine post quem per la morte si lega all'ultima sicura testimonianza documentaria del 12 nov. 1540 di un "Deferidens filius quondam Francisci de Ferrariis, alias de Matrignano" (dei Matrignano con casa nel quartiere di Santa Maria a Chivasso) che A. Baudi di Vesme ha identificato, con buone ragioni, con il pittore Defendente Ferrari citato nel documento moncalierese del 21 apr. 1530 (Baudi di Vesme, 1922).

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