DELL'ABBACO, Giovanni, detto anche Giovanni di Bartolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DELL'ABBACO (Dell'Abaco, De Abbaco), Giovanni, detto anche Giovanni di Bartolo

Maria Muccillo

Nacque tra il 1354 e il 1371 da Bartolo, probabilmente a Firenze.

Scarsissime sono le notizie intorno al D., quasi tutte desumibili dal Trattato di praticha darismetricha (Siena, Biblioteca comunale, cod. L. IV. 21, c. 431v). Il padre era un muratore inizialmente di povera condizione ed in seguito arricchitosi ("fu il padre Muratore, e più tosto di povero stato che di chomune guadagniò al suo tempo grandissima quantità di tesoro"); il D. fu autore di molte belle opere "in molte facultà et massime nella praticha", "di statura Mezana e quasi in viso pieno", secondo la descrizione dell'anonimo estensore della biografia contenuta nel manoscritto senese citato. L'anno della sua nascita, che non ci è direttamente indicato da nessuna fonte, non può con sicurezza essere stabilito sulla base delle notizie, purtroppo non concordi, trasmesseci dall'anonimo biografo e da un documento del Catasto fiorentino del 1427 che contiene, di mano del D., il resoconto dei suoi beni e dove troviamo notizie relative alla sua età in quell'anno. Secondo l'anonimo compilatore del manoscritto senese, infatti, il D. avrebbe iniziato il suo insegnamento nel 1390, all'età di diciannove anni, alla morte del suo maestro Antonio dei Mazzinghi da Peretola, famoso astrologo e matematico, discepolo ed erede dei libri astrologici di Paolo Dagomari. In base a questa notizia, la sua nascita andrebbe dunque posta nel 1371. Tuttavia, se è vero quanto il D. stesso afferma nel resoconto dei suoi beni che consegnò nel 1427 agli ufficiali del Catasto di Firenze (Arch. di Stato di Firenze, Portate al Catasto 1427, S. Spirito Drago, filza 24, c.1182), in quell'anno egli aveva 63 anni ("Io sono vecchio detà danni 63"): doveva dunque essere nato nel 1364, e quindi non poteva essere diciannovenne, ma ventiseienne nell'anno in cui iniziò il suo insegnamento.

Certo è che dopo la morte di Antonio dei Mazzinghi il D. aprì a Firenze una scuola, o, meglio, riaprì la scuola di Antonio "persuaso et aiutato da certi amici di Maestro Antonio et anchora da suoi".

Il manoscritto senese contiene la curiosa storia dell'inizio di questo insegnamento, ostacolato dai più anziani colleghi che non volevano accettare nel loro stesso rango una persona così giovane e poco conosciuta e, come dice l'anonimo biografo "benché dottissimo et chopioso di libri fusse, che gli erano rimasti quelli del detto Maestro Antonio", l'invidia li spinse a far di tutto per "toglierlo di quella voluntà". Essi radunarono infatti nella loro scuola alcuni "buoni ragionierj", esperti nelle varie discipline, per inviarli alla scuola del D. e dimostrargli "cho uostri argomenti che sapeteche vadi affare altro". Il D., avvedutosi della trappola e riconosciuta la competenza degli allievi nelle varie materie, "chiamatogli ad uno ad uno a chiascuno mostrò la materia che uolevano", lasciando i suoi sedicenti discepoli così stupefatti che "si richordorono di maestro Antonio... e fecero villania" ai loro primi maestri, rimanendo fedeli al D., che, come ancora ci informa il manoscritto, "di gran lunga avanzarono". L'allusione è qui probabilmente rivolta a personaggi come Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Giannozzo Manetti eBenedetto di Pieraccione Strozza che ricevettero da lui l'insegnamento della geometria. Sembra inoltre che, oltre che con la sua preparazione nell'arco delle arti liberali, il D. convincesse i suoi allievi con le sue profezie poi avveratesi ("Et profetizò, inperò che chosi fu").

Ma, oltre all'episodio narrato dall'anonimo biografo, della notevole reputazione che il D. doveva avere raggiunto nella sua città, ci offre una significativa prova l'incarico che gli venne affidato dalla Repubblica di prestare il suo giudizio e la sua opera nella costruzione della cupola di S. Maria del Fiore, come si desume da una delibera dell'11 marzo 1425 (1426 stile comune) segnalata dal Cavallucci.Altre notizie sulla vita del D. si ricavano dai documenti relativi allo Studio di Firenze, pubblicati dal Gherardi. Da questi apprendiamo che, dopo avere insegnato forse privatamente, pagato dai suoi scolari e dal Comune solo per le lezioni straordinarie ("benché sempre avesse il salare dal chomune perle letioni straordinarie"), il D. fu chiamato allo Studio fiorentino. Infatti gli Statuti registrano il suo nome al 30 nov. 1401 e al 26 sett. 1402 come professore chiamato a leggere astrologia "et ad faciendum Taccuinum", con un salario di 15 fiorini.

Anche nel 1422 il suo nome figura fra i professori dell'ateneo fiorentino con un salario di 20 fiorini; al giugno del 1424 risale poi un interessante documento che mostra quanto richiesto, per cosi dire, dal basso, fosse il suo insegnamento visto che furono gli scolari stessi dello Studio a spingere i priori delle arti e il vessillifero di Giustizia del popolo di Firenze a chiamare il D. a leggere astrologia, "propter probitatem et virtutem dicti magistri", per tre anni di seguito, con un salario mensile di 6 fiorini d'oro. Che il triennio di insegnamento venne compiuto è attestato, oltre che dagli Statuti, che registrano il nome del D. anche nel 1425 e 1426, dal documento, già citato, consegnato al Catasto nel 1427, ove esplicitamente si accenna ai denari che il D. avrebbe dovuto ricevere dal Comune fiorentino per detto incarico triennale, incarico che però viene qui riferito all'aritmetica e non all'astrologia, come invece si rileva dagli Statuti. Ancora nel 1431 il D. insegnava allo Studio ove leggeva ancora "Strologia in diebus festivis" con un salario di 20 fiorini.

Dal documento del Catasto si desume qualche altro particolare sulla sua biografia. Sembra che abitasse nel quartiere di S. Spirito, in una "chasa con orto posta in sultereno della Badia decamaldoli", non di sua proprietà ("della quale pago lanno davillare soldi sette, denari sei dipiccioli"), che possedesse "unpezzo di vignia et alcuno pianoro", da lui stesso coltivati per mancanza di contadini disposti a lavorarla "perche guasta e trista".Dato il carattere del documento è possibile pensare che il D. dipingesse un quadro non del tutto obiettivo della sua situazione patrimoniale, anche se le sue condizioni economiche, specialmente negli ultimi nove anni, non dovevano essere più molto floride, visto che, come egli stesso lamenta "sono stato infermo ogimai 9. anni cheio cadi e disoovolai loso della coscia, e ma nono potuto guarire, e in questo tempo ho logorato ogni mia sostanza... e isviata la schuola perche nollo potuta esercitare". Anche il suo patrimonio librario, che comprendeva i libri di Antonio dei Mazzinghi, circa 800 volumi, ereditati da Paolo Dagomari, doveva essersi notevolmente ridotto se è vero quanto egli afferma che ammontava ad un valore di 10 fiorini ("E do tanti libretti dastrologia che vagliono nel torno di 10. fiorini". Purtroppo nulla resta della sua operosità scientifica. Nel Libro di praticha darismetricha, conservato manoscritto nel cod. Ottoboniano 3307 della Biblioteca Apost. Vaticana, che è costituito da una raccolta di tutto il materiale reperibile nel campo dell'aritmetica, tratto da vari maestri d'abbaco, si dice, a f. 335r, e cioè alla fine dell'opera, che egli scrisse "infiniti volumi" e che il "libro che chompilato lettere è supremo a tutti ... e lo tiene Ser Filippo", con ogni probabilità Filippo di ser Ugolino Pieruzzi, notaro delle Riformagioni di Firenze dal 1429 (st. com.), poi "cassato" in seguito a rivolgimenti politici, nel maggio del 1444. Queste Lettere - sicuramente un libro di matematica - sono andate disgraziatamente perdute e dovevano, secondo la congettura del l'Uzielli, trattare le questioni più elevate di matematica, tratte dalle opere principali della biblioteca di Paolo Dagomari.

Altro non sappiamo sulla vita del D.: la sua morte va collocata intorno al 1440 (come si desume da un trattato di aritmetica anonimo descritto dal Narducci, composto verso la fine del sec. XV, nel quale egli è menzionato nell'incipit dell'ultimo libro, dove si dice appunto che "m.° Giouanni... circha al.1440.morj.") e con ogni probabilità a Firenze, dalla quale non sembra si fosse mai allontanato.

Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Ottoboniano lat. 3307, c. 349r; Firenze, Bibl. Palatina, cod. E.5.5.14, c. 480, num. 478v; B. Boncompagni, Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano..., Roma 1854, pp. 144-61; C. Guasti, Alessandra Macinghi negli Strozzi, Lettere..., Firenze 1877, p. 141; A. Gherardi, Statuti dell'Università e Studio fiorentino, Firenze 1881, pp. 376 s., 402, 405 s., 414; C. I. Cavallucci, S. Maria del Fiore, Firenze 1881, p. 74; E. Narducci, Catalogo di manoscritti ora posseduti da B. Boncompagni, Roma 1892, pp. 26-29; G. Prezziner, Storia d. pubblico Studio e d. società scientifiche e letterarie di Firenze, I, Firenze 1810, p. 79; G. Uzielli, La vita e i tempi di P. Dal Pozzo Toscanelli..., Roma 1894, pp. 16, 20, 22, 56 s., 64; G. Zippel, Due professori d. Studio fiorentino al tempo del Toscanelli, Firenze 1898, pp. 5-16; A. Della Torre, Storia d. Accademia platonica di Firenze, Firenze 1902, p. 286; M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists, II, Boston 1962, p. 1621; G. Arrighi, La matematica a Firenze nel Rinascimento. Il codice Ottoboniano Latino 3307 d. Bibl. Apost. Vaticana, in Physis, X (1968), p. 81.

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