DELLA TORRE, Napoleone, detto Napo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA TORRE, Napoleone, detto Napo

Anna Caso

Figlio di Pagano (che fu capo della Credenza di S. Ambrogio a Milano fino alla sua morte nel 1241) non se ne conosce con esattezza la data di nascita, né si hanno notizie precise su di lui prima del 1260, anno in cui divenne podestà di Piacenza. Soltanto il Litta avanza l'ipotesi che nel 1235 fosse podestà di Bergamo; ma non esistono indicazioni sicure al riguardo. Non è chiaro quale fosse ufficialmente la sua posizione nel periodo in cui Milano era retta successivamente dai suoi cugini, Mastino e Filippo Della Torre. A certo tuttavia che egli partecipò alla riconosciuta signoria torriana, dal momento che il suo nome compare nel trattato di alleanza con Carlo d'AngiO sottoscritto ad Aix nel gennaio 1265: nell'atto risulta che il D. e suo fratello Francesco, tramite il loro vicario Accursio Cutica, parteciparono alle trattative con Carlo d'Angiò. Ciò è quindi indizio di una indubbia posizione di prestigio raggiunta in città e comunemente riconosciuta. Si trattava, comunque, di una posizione di fatto che non si esprimeva sul piano del diritto: entrambi i fratelli sono indicati coi titolo generico di nobilis.

Alla morte del cugino Filippo, nel dicembre 1265, il D. conquistò un effettivo potere, succedendo a quello sia nella carica di anziano del Popolo di Milano, sia nell'ufficio di podestà di Como, Novara, Bergamo e Lodi.

La successione del D. a Filippo, il quale aveva un erede naturale nel figlio Salvino, è stata variamente interpretata. Il Giulini afferma che Salvino era troppo giovane per accedere a cariche pubbliche, mentre il Ghiron ritiene che il D. e i suoi fratelli avessero fatto in modo di privare Salvino del potere. Questa ipotesi è basata sul fatto che Salvino non compare mai in alcun negozio di pubblico interesse che coinvolga gli altri membri della famiglia e sul fatto che il D., non appena conquistato il potere, lo divise coi fratelli, quasi a ringraziarli dell'aiuto prestatogli nella successione a Filippo.

Il D., comunque, continuò la politica del predecessore, diretta a sostenere il partito guelfò ed in particolare a favorire l'impresa nel Regno di Carlo d'Angiò, al quale i Della Torre erano legati dal trattato del. gennaio 1265. Mentre l'esercito francese marciava verso il Sud per affrontare i nemici svevi, i ghibellini lombardi, capeggiati dal marchese Oberto Pelavicino e da Buoso da Dovara, e incoraggiati dal re di Sicilia Manfredi, tentarono di contrastarne il cammino. H D. guidò i Francesi nel Bresciano e riuscì ad aprire un varco, consentendo loro di passare nel Mantovano e nel Ferrarese e proseguire quindi verso il Regno.

La vittoria angioina a Benevento (26 febbr. 1266) segnò il trionfo del partito guelfo nell'Italia centro-settentrionale. Il 23 marzo a Milano i rappresentanti delle città aderenti alla Lega guelfa rinnovarono l'impegno alla reciproca protezione e alla lotta contro le residue forze ghibelline. L'autorità dei Della Torre nell'area padana riceveva ulteriore consolidamento. Il D. dominava a Milano mentre il fratello Raimondo, vescovo di Como, aveva ricevuto dalla Lega guelfa il diritto di designare i podestà di Mantova e di Ferrara tra i propri familiari ed era la personalità preminente nel mondo guelfò dell'Italia settentrionale: Francesco, aveva la signoria del Seprio. Pagano detto Paganino, anch'egli fratello del D., nel 1265 controllava Vercelli e aveva ricevuto la carica di podestà per il 1266. Il 29 genn. 1266, però, Paganino era stato ucciso da un gruppo di esuli milanesi e la vendetta dei guelfi era stata atroce: gli assassini erano stati catturati, trasportati a Milano e qui.trucidati insieme con numerosi loro parenti e aderenti al partito ghibellino. La vendetta - a cui, sembra, il D. e suo fratello Raimondo si erano opposti - fu duramente condannata dal pontefice Clemente IV che, spinto soprattutto dall'arcivescovo Ottone Visconti, lancìò l'interdetto contro Milano. Il D. e Raimondo cercarono di evitare una rottura con la S. Sede presentandosi ad essa come il perno su cui si fondava l'alleanza delle città e dei signori guelfi nell'Italia padana. Perciò, convocarono a Milano i rappresentanti delle potenze guelfe: il 23 marzo, questi ribadirono la loro volontà di conservare l'alleanza e il loro impegno, a combattete le residue forze ghibelline. Il D. ottenne che l'ambasceria da inviare in Curia per risolvere il problema milanese fosse espressione di tutta la Lega guelfa. Ma Clemente IV non volle accogliere a Roma ì messi milanesi, così che le ragioni del D. e della sua fazione vennero difese in Curia dall'ambasciatore angioino. Il papa accettò di concedere il perdono alla città, ma pose come condizione che la stessa si sottomettesse alla volontà della Chiesa. Inviò allora a Milano un legato che impose al governo cittadino di accogliere come arcivescovo Ottone Visconti, di risarcire la Chiesa milanese dei danni subiti e di rispettare i privilegi del clero. Il D. accettò queste condizioni, ma cercò di dilazionare l'insediamento dell'arcivescovo Ottone.

Dal canto suo il pontefice non poteva spingersi troppo in là nel contrasto con il D. e la sua famiglia. il cui prestigio era in continua crescita nel mondo guelfa (nell'aprile 1266 Brescia era spontaneamente passata al partito torriano) e la cui potenza militare appariva di grande importanza per contrastare la ripresa del partito ghibellino. Il progetto del giovane Corradino di scendere in Italia per recuperare il Regno alla casa sveva aveva, infatti, riacceso le speranze di rivincita dei ghibellini padani: i Comuni di Verona, Cremona, Pavia e il marchese Pelavicino si erano subito schierati dalla parte imperiale. I guelfi allora riorganizzarono la loro alleanza: il 4 apr. 1267 i rappresentanti delle città e dei signori guelfi si incontrarono a Milano, ove rinnovarono la lega e ne affidarono la guida al D., al fratello Raimondo e al marchese di Monferrato. In particolare il D. ebbe il comando dell'esercito guelfò, ma non intervenne con efficacia contro Corradino che da Pavia, ove risiedette per due mesi dalla fine del gennaio 1268, attaccava il territorio milanese. Ed il suo comportamento fu spesso ambiguo, tanto da far dubitare della sua correttezza. A probabile che l'atteggiamento del D. fosse originato dal contrasto con la Curia romana: è un fatto che il papa lasciò cadere per il momento la questione della titolarità dell'arcivescovato milanese. Comunque, una volta partito Corradino, il D. mosse contro i Pavesi e recuperò il castello di Vigevano da loro tenuto (19 giugno 1268).

Dopo la vittoria di Tagliacozzo (23 ag. 1268), il D. rinnovò le sue manifestazioni di solidarietà nei confronti di Carlo d'Angiò, verso il quale peraltro la sua politica non fu sempre del tutto coerente. Secondo il Giulini, nel 1264, al termine della signoria esercitata da Oberto Pelavicino su Milano, i Della Torre avrebbero concesso la medesima autorità a Carlo d'Angiò e, trascorsi i cinque anni stabiliti, gli avrebbero rinnovato la carica per alcuni anni ancora. Dopo Tagliacozzo, Carlo I volse più in là le sue mire, puntando al dominio sull'Italia settentrionale. A tale scopo, nel 1269, richiese alle città guelfe di convocare un'assemblea a Cremona, nel corso della quale sarebbe stata riconosciuta la sua signoria. In realtà l'assemblea si tenne, ma le città partecipanti dichiararono di non essere disposte a riconoscere la potestà dell'Angioino. Il Rosmini avanza altresi l'ipotesi che, essendo stato il D. il maggiore oppositore al tentativo di predominio di Carlo, questi, negli anni successivi, fomentasse le ribellioni che si verificarono in varie città ai danni del governo torriano. Infatti, all'inizio del 1269, la potenza del D. in Lombardia venne messa in crisi proprio dalla defezione di alcune città. Prima Brescia, poi Lodi abbandonarono la Lega guelfa e passarono al ghibellini. Nel giugno il D., con il sostegno dei Comuni alleati, mosse contro Lodi, il cui governo era in mano alla famiglia degli Overzaghi, e riconquistò la città.

Gli storici non concordano sul modo in cui il D. si impadronì di Lodi: secondo il Calco egli la prese con le armi, mentre a detta del Corio (seguito dal Giulini) se ne impossessò pacificamente, grazie ad accordi precedentemente raggiunti dal vescovo Raimondo con i Lodigiani. Il D. entrò in città il 4 luglio e per consolidare il controllo del Comune fece costruire due fortezze, impadronendosi con le armi delle case degli Overzaghi. Dopo Lodi, si ribellò al dominio torriano anche Como, spinta alla rivolta soprattutto dai fuorusciti milanesi nemici dei Torriani, quali i Castiglioni e i de Birago. Imprigionato Accursio Cutica, vicario del D., i Comaschi in cambio della sua liberazione chiesero la libertà per Simone da Locarno e il D. fu costretto a cedere.

Il governo del D. peraltro trovava opposizioni anche a Milano, soprattutto a motivo dei tributi da lui richiesti e che andavano aumentando, anche se poi il denaro veniva in gran parte speso per condurre a termine alcune opere di pubblica utilità, come la pulizia e la lastricatura delle strade cittadine, nonché il completamento del Naviglio da. Abbiategrasso a Milano, terminato appunto nel 1271. Nello stesso anno il D. fu costretto ad intervenire in alcune città del dominio torriano per sedarvi rivolte. Crema e Cremona furono tra le prime a insorgere, seguite a breve distanza da Novara. Messo a dura prova dai continui disordini con cui i ghibellini cercavano di minare il suo potere, il D. cercò di farvi fronte eliminando tutti i possibili punti d'appoggio dei nemici nel contado: ordinò quindi la distruzione delle ffirtificazioni e perfino delle colombaie, che in quanto torri isolate potevano servire di rifugio per gli avversari. Un'altra opposizione veniva da Ottone Visconti che voleva prendere possesso della propria sede arcivescovile e sosteneva i nemici dei Torriani per indebolire il governo del D. in città. Dal canto suo il D., benché si fosse impegnato con il pontefice a restituire tutti i beni della mensa arcivescovile e a riconoscere Ottone quale arcivescovo, alla morte di Clemente IV avvenuta nel 1268 (29 nov.), si ritenne sciolto da ogni vincolo e la successiva elezione al soglio pontificio di Tebaldo Visconti da Piacenza (1 sett. 1271), con il nome di B. Gregorio X, favorevole al dominio torriano a Milano e in Lombardia, lo confermò nella decisione.

L'elezione di B. Gregorio X rafforzava il governo del D.: nel 1272 podestà di Milano fu il fratello del nuovo pontefice, Visconte Visconti, il quale prestò per primo il giuramento sul testo del sacramentum potestatis predisposto dal D. e approvato dal Consiglio degli ottocento nel gennaio di quell'anno, sacramentum con il quale il podestà si impegnava a prestare obbedienza alla Credenza e al D. quale anziano perpetuo del Popolo. Ne risultava che la signoria del D. era formalmente riconosciuta. Sempre nel 1272 il D. riuscì a recuperare il controllo di Novara e a concludere la pace con Brescia.

Parallelamente all'esercizio del potere in città, il D. provvide a consolidare il dominio della sua famiglia nel contado. Non è purtroppo possibile procedere ad un'analisi sistematica del patrimonio fondiario del D., dato che le notizie esistenti al riguardo sono piuttosto frammentarie e non permettono quindi di cogliere appieno, eccezion fatta per la zona di Turbigo, la sua progressiva espansione nel contado. Sappiamo che, nel 1258, unitamente a Martino e a Filippo, egli acquistò una casa coi suoi annessi a Vimogno, e pochi mesi dopo un appezzamento a Bindo, località poste a settentrione di Lecco. A parte i possedimenti feudali dei Della Torre in Valsassina, si ha notizia di loro acquisti fondiari, effettuati nel 1261, nei territori di Legnano, Canegrate e Villa Cortese, a ovest di Milano. Cinque anni dopo acquistarono beni a Zibido e a Mediglia (a sud di Milano), a Bruzzano, a Coltura (nel territorio di Bergamo) e a Robbiate (presso Como). Si ha infine notizia di loro vasti possedimenti a Triginto (a sud di Milano), fuori porta Ticinese, e a Salvanesco (presso Brescia).

Si tratta quindi di indicazioni frammentarie, che non consentono di cogliere un processo omogeneo, ma che tuttavia testimoniano la massiccia presenza dei Della Torre nel contado e permettono di constatare come tale presenza aumentasse di pari passo con il rinvigorirsi del loro potere in città. I Della Torre erano signori anche d'Averara, in precedenza unita alla Valsassina per la giurisdizione ecclesiastica e civile, e di Grantola Valtravaglia, dove il D. acquistò tutti i fondi dai signori de Mandello il 24 luglio 1263. A partire poi dal 1272 è possibile ricostruire la progressiva espansione del D. nel territorio di Turbigo, posto a circa km 35 a ovest di Milano. La scelta di tale località non fu certo casuale, ma determinata da precise esigenze di controllo su Milano, reso possibile dal fatto che per Turbigo passava il Naviglio, di fondamentale importanza strategica ed economica. A partire quindi dal 1272 il D., in modo sistematico, acquistò una grande quantità di appezzamenti di terreno dalle maggiori famiglie nobili della zona. Tali acquisti, effettuati privatamente, furono tuttavia resi possibili, nell'ambito di un processo di espansione già in atto della città nel contado, sia dal fatto che egli deteneva il potere in Milano, sia dal sostegno finanziario di mercanti e banchieri milanesi, sul cui aiuto sapeva di poter contare. Comunque, sebbene non trascurasse il benché minimo acquisto che potesse conferire omogeneità ai suoi possedimenti, egli non riusci ad impossessarsi dell'intera signoria su Turbigo.

Nel frattempo la situazione politica della Lombardia conobbe una sensibile evoluzione. Nel 1273 venne eletto re dei Romani Rodolfo d'Asburgo e il D. si avvicinò a lui nella prospettiva di rendersi più autonomo dalla tutela che Carlo d'Angiò esercitava sul partito guelfò. Nel 1274 Rodolfò concesse al D. il vicariato imperiale per Milano. Di fronte a questa nuova alleanza, i nemici del D. si schierarono a fianco del re di Castiglia Alfonso che aveva conteso a Rodolfò la corona e che aveva nel marchese di Monferrato il suo principale sostenitore in Italia. Nel mese di giugno il D: sconfisse i suoi nemici che si erano impadroniti del governo di Novara e riportò il Comune sotto la sua autorità. Poco dopo respinse un attacco mosso a Milano dalle truppe del marchese di Monferrato e del Comune di Pavia, e da quelle inviate in Italia dal re di Castiglia e nel 1275 riuscì a recuperare le terre che gli esuli milanesi avevano conquistato oltre il Ticino.

Il conflitto con gli esuli e i loro sostenitori si intrecciava, peraltro, con il dissidio tra il D. e Ottone Visconti. Nel settembre del 1274,il vescovo aveva lanciato l'interdetto contro Milano; ma il D. non aveva modificato la propria posizione, né aveva accettato l'invito del pontefice il quale, giunto in visita a Milano nel mese di ottobre, lo aveva sollecitato a risolvere l'annosa questione. Nel 1276 Ottone Visconti si mise alla testa dei fuorusciti milanesi dopo che Goffredo di Langosco, capo dello schieramento ghibellino milanese era rimasto ucciso in uno scontro con le forze milanesi presso il castello di Angera. Il vescovo Ottone riuscì ad ottenere il passaggio di Como nello schieramento antitorriano, in seguito all'elezione di Giovanni degli Avogadri a vescovo di quella città come successore di Raimondo Della Torre, divenuto patriarca di Aquileia. Riuscì anche a ricevere aiuti militari da Asti, Torino, Aosta e Vercelli oltre che dal marchese di Monferrato. Nel gennaio del 1277 le truppe del Visconti- occuparono Lecco e Civate e nella notte del 20-21attaccarono Desio tenuta dal Della Torre. Colti di sorpresa, i Torriani furono sconfitti.

Il D. venne catturato insieme con altri membri della sua famiglia, fu rinchiuso nel carcere del castello di Baradello, dove morì il 16 ag. 1278. Vestito con l'abito dei frati minori, fu inizialmente sepolto nella loro chiesa, fuori Como; in seguito, il vescovo di Como lo fece trasportare nella piccola chiesa di S. Nicolao presso Baradello. L'immagine della sconfitta torriana e della sottomissione all'arcivescovo Ottone Visconti è conservata negli affreschi del castello di Angera, nei quali è raffigurato, tra gli altri, l'ultimo episodio della battaglia di Desio.

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