DELLA VOLTA, Paolo castellano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DELLA VOLTA (de la Volta), Paolo castellano

Raffaella Comaschi

Figlio di Giovanni detto Zone e di Misina di Giacomo Bianchetti, nacque a Bologna nel dicembre del 1417, come rilevasi dalla copia di una lettera patente del 14 nov. 1457, indirizzata dagli Anziani della città emiliana ai Priori fiorentini.

qLa sua famiglia, di antica nobiltà, aveva partecipato attivamente alle vicende della vita politica bolognese. Il padre, che le fonti indicano quale eminente cittadino e banchiere, aveva rivestito la carica di gonfaloniere del Popolo, e aveva fatto parte, nel 1431, della magistratura dei Dodici di pace. Anche altri fratelli del D. si distinsero per le alte cariche occupate presso il governo bolognese; uno di loro, Antonio, che abbracciò invece la vita ecclesiastica, nel 1457 divenne vescovo di Imola.

Il 25 giugno 1446 il D. si addottorò in diritto civile presso l'ateneo bolognese; aggregato ad entrambi i Collegi, ottenne nel 1447 una cattedra di diritto civile, che tenne sino al 1446, se si eccettuano gli anni 1463 e 1464. Abbinò all'impegno di docente un'intensa attività politica, che lo condusse a detenere un ruolo non secondario all'interno del governo bolognese, che gli affidò alcune delicate e importanti trattative diplomatiche negli anni 1450-1470.

Nel 1446 il D. fu dei Sedici riformatori dello stato di libertà; nello stesso anno rivestì la carica di anziano per i mesi di maggio e giugno. Nel febbraio del 1448, in occasione della visita a Bologna del marchese di Mantova Luigi III Gonzaga, venne da questo creato cavaliere aurato. Riconfermato tra i Sedici riformatori nel 1453, il 14 gennaio dell'anno successivo partecipò alla drammatica seduta del Senato nel corso della quale, alla presenza del legato pontificio, furono discussi i provvedimenti da prendere contro quanti, dei capi e degli aderenti di una nuova congiura promossa dai Canetoli per rovesciare il regime di Sante Bentivoglio, erano caduti nelle mani del governo.

I reati di alto tradimento, così come quelli di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, erano puniti allora con la pena capitale. I membri dell'alto consesso, tuttavia, esitarono in quella occasione a ricorrere a misure così drastiche, perché tra i capi della congiura vi era un sacerdote bolognese molto stimato in città, certo Battista Manzoli, dottore di leggi e canonico di S. Pietro, il quale, per la sua condizione di prelato, non poteva venir né giudicato né, tantomeno, condannato a morte da un collegio di magistrati laici. La discussione si protrasse a lungo, ma senza raggiungere alcun risultato anche a causa dell'atteggiamento assunto dal legato pontificio. Secondo quanto afferma il cronista bolognese Ghirardacci, fu proprio il D. a porre fine alle incertezze ed ai timori dell'assemblea mettendo quest'ultima, con un atto di forza, di fronte al fatto compiuto. Abbandonata la seduta, il D. si recò nel luogo ove era detenuto il Manzoli e lì, da alcuni suoi servi, fece mettere a morte il sacerdote. Benché l'accaduto provocasse le proteste e l'esecrazione del legato pontificio e dello stesso podestà di Bologna, il giorno successivo all'esecuzione del Manzoli il Senato comminò la pena capitale anche per gli altri congiurati.

L'episodio non solo valse al D. la fama di uomo politico capace e deciso, ma lo pose anche in evidenza come intransigente sostenitore della fazione allora al potere. Nella primavera di quello stesso anno 1454 fu scelto infatti da Sante Bentivoglio per far parte della delegazione di eminenti cittadini che doveva scortare a Bologna la sposa del Bentivoglio, Ginevra Sforza, figlia naturale del signore di Pesaro, Alessandro. Ginevra giunse nella città emiliana il 19 maggio. Alla solenne cerimonia nuziale che seguì, oltre al D., parteciparono anche due fratelli di questo ultimo, con funzione di scalchi: segno evidente della posizione di rilievo raggiunta dalla loro famiglia. Nel 1455 il D. fu inviato a Roma come rappresentante del Comune di Bologna in occasione dell'ascesa al soglio pontificio del papa Callisto III.

Podestà di Firenze per il secondo semestre dell'anno 1457, fu nuovamente a Roma nell'agosto del 1458, allorché Enea Silvio Piccolomini fu eletto alla cattedra di Pietro col nome di Pio IL Nel 1460, insieme con altri illustri cittadini. fu convocato da Pio II, vivamente preoccupato per la violenza dei contrasti tra le fazioni che dilaniavano allora Bologna. Nello stesso anno fu a Siena, dove ricoprì la carica di podestà. Nel corso di tale mandato, con il consenso dell'autorità papale condannò alla pena capitale sette frati minori colpevoli di omicidio. Nel 1464 fu ambasciatore, su incarico del Senato, presso il duca di Milano, e, successivamente, accompagnò il legato pontificio ad Ancona, in visita al pontefice allora gravemente infermo. Durante una sua successiva permanenza ebbe modo di conoscere quanto il pontefice si proponeva in merito ad una riforma delle istituzioni politiche di Bologna, e ne dette notizia, quando nel febbraio del 1465 fu ritornato in patria, al Senato e a Giovanni Bentivoglio, succeduto a Sante nel governo della città e creato gonfaloniere di Giustizia il 10 nov. 1463.

Si trattava di un problema di particolare interesse per Bologna, la cui autonomia era garantita dalla convenzione stipulata il 24 ag. 1447 e rielaborata nel 1454, che era il frutto dell'abilità diplomatica di Sante Bentivoglio. In forza di essa, infatti, Bologna, pur riconoscendosi direttamente soggetta alla Chiesa e pur accettando di essere governata da un legato pontificio posto accanto alle tradizionali magistrature municipali, manteneva la libera disponibilità delle proprie entrate e delle proprie forze armate. D'altro canto, non appena era salito al potere, Giovanni Bentivoglio aveva avviato, nel quadro della riforma delle istituzioni cittadine da lui intrapresa, trattative con la Sede apostolica per una revisione dei precedenti accordi, dato che questi ultimi precisavano la natura, le competenze, gli ambiti giurisdizionali e le procedure di elezione per tutte le magistrature comunali.

Nell'autunno del 1464 il D., con altre personalità scelte dal governo bolognese e con il legato pontificio, card. Angelo Capranica, fu inviato a Roma per una missione che avrebbe dovuto "confirmare e sigillare i capitoli" del nuovo accordo (17 novembre). Nel giugno dell'anno successivo, rientrando in patria, poté presentare al Consiglio, già ratificata da Paolo II, una nuova convenzione assai più vantaggiosa della precedente, dato che limitava i poteri del legato, sottoponendone le iniziative politiche all'approvazione del Senato. Tuttavia essa rappresentava anche, di fronte agli antichi privilegi popolari, l'affermazione al potere di una ristretta oligarchia, le grandi famiglie cittadine che costituivano la fazione bentivogliesca.

Dal secondo semestre del 1466 fece parte della magistratura dei Riformatori di giustizia, divenuta, in forza del breve del 21 gennaio di Paolo II, vitalizia. Nell'agosto del 1467 fu con Virgilio Malvezzi ambasciatore presso Borso d'Este; nel dicembre dello stesso anno fu inviato alla corte del duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, al cui appoggio il Bentivoglio ed il Senato bolognese intendevano ricorrere nel tentativo di evitare un rafforzamento dell'autorità pontificia sulla città. Nel gennaio del 1468 svolse nuovamente un'importante missione diplomatica come rappresentante della propria città al Parlamento di Pavia, convocato con l'intento di indurre Venezia alla pace. Nel 1468 fu gonfaloniere di Giustizia per il sesto bimestre dell'anno. Morì il 23 ott. 1469, in Bologna. Il suo corpo fu sepolto in S. Francesco. L'anonimo autore della cronaca bolognese quattrocentesca denominata Varignana riferisce la notizia che il D. sarebbe stato avvelenato (in Corpuschronicorum Bononiensium, in Rer. Ital. Script., 2edizione, XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, t. 4).

Poco sappiamo della vita privata del D.: le fonti a noi note ci tramandano soltanto il nome di sua moglie, Polissena, figlia di Battista Floriano, dottore in Castel San Pietro.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Carteggi - Lettere del Comune 1299-1462, dic. 8, b. 2; Bologna, Bibl. universitaria, ms. 149E G. Poggi, Cronaca di Bologna (1442-1495) copia del sec. XVI-XVII, cc. 12rv, 66r; Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononiae ed. fr. Hyeronimo de Bursellis..., in Rer. Italic. Script., 2 ed., XXIII, 2, a cura di A. Sorbelli, pp. 89, 91 s., 94-99, 266; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, parte terza, ibid., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, ad Indicem; U. Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, Bologna 1888, I, pp. 23 ss.; p. Vizani, Dieci libri delle historie della sua patria, Bologna 1596, pp. 389, 392, 401, 403, 406; P.S. Dolfi, Cronol. di famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 714; S. Mazzetti, Mem. stor. sulla università di Bologna, Bologna 1840, pp. 344, 360; Id., Repert. di tutti i professori antichi e moderni..., Bologna 1848, p. 325; G. Guidicini, IRiformatori dello stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, Bologna 1876, 1, p. 77; A. Sorbelli, Storia della università di Bologna, I, Bologna 1944, p. 249.

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