Deposito telematico degli atti processuali

Libro dell'anno del Diritto 2016

Deposito telematico degli atti processuali

Enrico Consolandi

Nel 2015 il deposito telematico è diventato regola effettiva del processo civile, dopo la proroga implicita del 2014. La generale facoltà di deposito telematico è riconosciuta dal d.l. n. 83/2015. Si prospettano nuove categorie di vizi del deposito, per una funzione nuova degli atti processuali e cioè la costruzione di una base dati complessa e funzionale al processo. Occorre fare i conti con un fattore tecnologico che dà forma al processo a prescindere dalle previsioni normative: in questo senso l’informatica regola il processo anche più delle norme. Problemi derivano proprio dalla complessità tecnologica del processo telematico e da una normativa che non riesce a darsi una organicità, a superare la frammentarietà e a volte inconcludenza dei decreti legge da cui è prevalentemente composta.

La ricognizione

Nel 2015 è infine entrata in vigore la disposizione dell’art. 16 bis del d.l. 18.10.2012, n. 179 circa l’obbligatorietà del deposito per via telematica degli atti ad opera delle parti costituite.

Si attua così un’inversione fra il deposito di atti telematici e quelli cartacei: mentre in precedenza i primi erano una facoltà in via di eccezione, ora diventano regola obbligatoria in un numero preponderante di casi.

Per vero il deposito di atti telematici era lecito già prima, in via facoltativa, ma, nonostante dichiarazioni di principio ampiamente ammissive, la pratica telematica era diffusa con limiti imposti dalla subordinazione ad un provvedimento autorizzativo, quello dell’art. 35 delle regole tecniche di cui al d.m. 22.2.2011, n. 44. Questi provvedimenti amministrativi erano emessi con riferimento a solo alcuni uffici e solo alcune fasi processuali e sono conoscibili solo mediante consultazione del portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia1.

Opportunamente il d.l. 27.6.2015, n. 83 ha modificato quindi l’art. 16 bis citato, inserendovi il co. 1-bis, che prevede una facoltà di deposito di qualsiasi atto per via telematica, di fatto togliendo rilievo alle precedenti autorizzazioni. Restano aperti i casi verificatisi prima della sua entrata in vigore: la norma sul deposito telematico precedente2 stabiliva un obbligo generale a decorrere dal 30 giugno 20143 di deposito telematico, ma per i soli atti di parti costituite e non è facile stabilire in una serie di casi, ad esempio il reclamo cautelare ovvero il cautelare in corso di causa e in generale per tutti i procedimenti incidentali, se si tratti di atto di parte già costituita o di inizio di nuova lite4.

1.1 I depositi telematici prima del d.l. n. 83/2015

Anche prima dell’apertura del deposito telematico a tutti gli atti processuali vi erano buone ragioni per ritenere comunque possibile il deposito telematico.

Il d.P.R. 13.2.2001, n. 123, regolamento governativo in materia di processo telematico, stabiliva infatti in via generale all’art. 2 che: «È ammessa la formazione, la comunicazione e la notificazione di atti del processo civile mediante documenti informatici nei modi previsti dal presente regolamento».

Altre norme, di legge, precedenti e successive, stabilivano la possibilità generalizzata di utilizzo del documento informatico nella pubblica amministrazione ed in generale nei rapporti giuridici5.

Le regole tecniche del processo civile telematico (Pct) hanno tuttavia previsto6 la necessità per la trasmissione dei documenti informatici, di un decreto dirigenziale che accerti «l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio».

Pare illegittimo questo provvedimento regolamentare che pone il limite di tale provvedimento autorizzatorio ad un diritto all’utilizzo del documento informatico, affermato incondizionatamente in norme di rango superiore.

Anche sotto il profilo dell’eccesso di potere solleva perplessità un decreto dirigenziale che debba accertare la funzionalità dei servizi in un regime di obbligatorietà, che presuppone per logica che quei servizi funzionino.7

In altre parole questi provvedimenti dirigenziali apparivano obsoleti e spesso venivano disapplicati, con prassi locali difformi da ufficio ad ufficio e a volte anche all’interno del medesimo ufficio.

Il senso di questi decreti dirigenziali si avvertiva nella fase sperimentale del Pct, ma sicuramente un siffatto limite mal si giustifica in un sistema che oggi ha invertito la precedente normalità della trattazione cartacea in favore di un obbligo di redazione degli atti su documento informatico.

La norma sulla facoltatività ha dunque preso atto della generalizzazione dei documenti informatici rendendo possibile prescindere da un limite burocratico di incerta legittimità e ormai difficilmente comprensibile.

1.2 La questione tecnologica

Negli ultimi anni il legislatore ha disposto un generalizzato – per quanto riguarda i decreti ingiuntivi anche esclusivo – deposito telematico degli atti, ma non si è tenuto conto che esiste un sostrato tecnologico necessario a realizzare questi depositi: il processo civile “elettrico” non solo non funziona se non vi sono adeguati mezzi tecnologici – alimentazione elettrica, computer, rete, applicativi ecc. – ma funziona solo nel modo in cui questi mezzi ed in primis i programmi applicativi sono predisposti.

Nel momento in cui si è inserita l’informatica nel processo si è creato un fattore “informatico formante” del processo stesso, destinato a prevalere sulla norma stessa e i giuristi si trovano di fronte nuovi problemi, sulle conseguenze di un errore di procedura informatica, prima impensabili.

Lo sviluppo tecnologico ed organizzativo non ha tenuto il passo dell’accelerazione sul telematico voluta dal legislatore8 e si è arrivati a situazioni non gestibili con la procedura normativamente stabilita. Per esempio, la procedura di assegnazione dei fascicoli prevede una distribuzione a seconda della materia trattata dall’atto, il che significa che il presidente dell’ufficio deve poter leggere l’atto presentato dalla parte, anche perché in alcuni casi, in appello, deve anche fissare un’udienza di trattazione: gli attuali applicativi consentono la lettura dell’atto telematico del difensore solo al giudice relatore o istruttore e quindi il presidente dell’ufficio deve provvedere “al buio”, senza conoscere il contenuto degli atti delle parti.

A sua volta il legislatore ha mancato di cambiare procedure e norme irrealizzabili con il documento informatico: tutte le volte che la legge prevede che un provvedimento sia steso “in calce” ad un atto del difensore, come ex art. 135 c.p.c. dovrebbe essere per tutti i decreti, o come avviene per la assegnazione della causa al singolo giudice, ciò non potrà essere adempiuto perché l’atto del difensore è immodificabile, poiché firmato digitalmente.

Il processo dunque cambia per via della forma che gli dà la tecnologia, ma al contempo il cambiamento delle regole apre una questione tecnologica: l’inadeguatezza delle soluzioni ad oggi approntate per il Pct in relazione agli ampliati obiettivi fa sì che l’intento legislativo del deposito esclusivamente telematico non sia ancora pienamente perseguibile.

La focalizzazione

Con la generalizzazione dell’utilizzo del processo telematico diviene più chiaro che nel Pct si sovrappone alla funzione tradizionale del processo di gestione della lite, una funzione di progressiva trasformazione in dato informatico degli atti processuali e del diritto, finalizzata all’utilizzo successivo in ulteriori funzioni, quali la classificazione delle decisioni e dei tipi di azione, la ricerca giurisprudenziale, l’interscambio telematico con altre amministrazioni, la elaborazione statistica, la gestione degli uffici, la creazione di documenti processuali. Un’attività di creazione di dati in buona parte affidata alle parti attraverso il deposito degli atti, che divengono l’atto iniziale del data entry del sistema informatico della giustizia civile.

Proprio questa doppia funzione richiede attività non semplici, comporta regole e problematiche nuove, a fronte delle quali occorre elaborare nuove soluzioni e non bastano più le categorie tradizionali: si è abituati a ragionare in termini di nullità degli atti, eventualmente di inammissibilità o di inesistenza, ma queste sanzioni processuali appaiono difficilmente collegabili a violazioni di prescrizioni delle regole tecniche o addirittura delle specifiche tecniche9 di cui all’atto dirigenziale previsto dall’art. 34 d.m. n. 44/2011, proprio per la natura regolamentare od anche sottoregolamentare delle prescrizioni.

Anche quando si tratta di norme di legge, principalmente del d.l. n. 179/2012 che ormai, spesso modificato, è divenuto il testo base del processo telematico, diventa difficile ricollegare alla violazione una sanzione tradizionale, poiché nessuna delle prescrizioni è specificamente prevista a pena di nullità e difficilmente è carente un requisito indispensabile al raggiungimento dello scopo10.

2.1 Le conseguenze degli errori nel deposito

Come detto, il d.l. n. 179/2012 all’art. 16 bis, co. 1, stabilisce l’utilizzo del solo tramite “elettrico” per il deposito di atti di parti costituite; ciò apre il problema delle conseguenze della violazione di questo precetto e cioè della sorte della memoria che, dovendo essere telematica, sia invece un documento tradizionalmente cartaceo, inserito nel fascicolo cartaceo.

Appare preferibile la tesi dell’inapplicabilità di una sanzione processuale: come in ossequio al raggiungimento dello scopo e per la carenza di esplicita sanzione di nullità si doveva ammettere il deposito telematico fuori dai casi consentiti, così oggi analoghi ragionamenti dovrebbero portare ad ammettere il deposito cartaceo erroneo.

La tutela giurisdizionale dei diritti deve riconoscersi prevalente sulle norme che impongono un deposito cartaceo piuttosto che elettrico, o viceversa, le quali norme, difatti, non sanzionano esplicitamente l’errore sul tramite della comunicazione.

Ciò significa distinguere il differente piano su cui si muovono i diversi comportamenti: mentre portare gli argomenti difensivi al giudice è la funzione tipica del processo, il modo in cui questi vengono posti ha funzioni organizzative, può ripercuotersi in casi limite sulla parità delle parti, ma attiene comunque al piano organizzativo del processo e non al suo fine ultimo, che è quello di affermare o negare i diritti dei privati in garanzia di contraddittorio.

Deve tuttavia osservarsi come un precetto, quale quello dell’obbligo del deposito telematico, senza sanzioni, sia una norma sostanzialmente inutile, imprescrittiva, nel momento in cui non viene prevista alcuna reazione alla sua violazione.

Siamo in questo caso di fronte a un vuoto normativo, avvertito da quei provvedimenti che tentano di riempirlo con sanzioni quali l’inesistenza o l’inammissibilità, in realtà di creazione solo giurisprudenziale11.

Se si considera che la parte “telematica” del processo, con le prescrizioni sui formati dei file e sulla strutturazione delle informazioni è finalizzata alla raccolta di dati, appare condivisibile quella giurisprudenza che ordina la rinnovazione degli atti in caso di errore sul tramite, nell’ambito del potere di direzione del processo da riconoscersi al giudice ed esplicitato dall’art. 127 c.p.c. Anche così tuttavia sorge il problema: quale sanzione in caso di mancata ottemperanza anche a un ordine di rinnovazione dell’atto?

Allo stato attuale della normativa non resta che trovare una sanzione nel regime delle spese o di responsabilità aggravata. Anche questa soluzione tuttavia non soddisfa: per prima cosa la sanzione arriva con la decisione finale, dopo troppo tempo, per seconda cosa essa viene esclusa da transazioni e infine, più importante, va a colpire la parte per un errore che invece è del difensore, come del resto farebbe la pronunzia di nullità, inammissibilità o inesistenza.

Fortunatamente questo buco normativo appare destinato a produrre conseguenze pressoché irrilevanti, essendo assai difficile che l’ordine di regolarizzazione dell’atto dato dal giudice non venga ottemperato. Poiché oggi l’atto “elettrico” è sempre ammesso l’ordine potrà essere al massimo di depositare un atto telematicamente regolare in luogo di uno errato, mai di depositare un atto cartaceo in luogo di uno telematico: ciò significa che l’ordine di regolarizzazione del formato o del tramite avrà quasi sempre una funzione di tutela della base dati informatica piuttosto che della funzione processuale di difesa.

Per altro un ordine di regolarizzazione comporta l’inserimento di due differenti atti di contenuto assai simile nel fascicolo informatico, con il che sorge il problema di creare chiarezza. Si dovrebbe eliminare l’atto invalido, evidenziare che il secondo è una regolarizzazione o ripetizione del primo, insomma creare quella facile reperibiltà degli atti telematici che non solo è prevista dall’art. 9, co. 5, delle regole tecniche del processo telematico, ma è logica condizione di utilità dello strumento.

Questo attiene alla questione tecnologica esposta in precedenza: questi ordini di regolarizzazione conosciuti dalla prassi giudiziaria a tutela della base dati possono comprometterla se gli applicativi non verranno predisposti per sistemarli adeguatamente nel fascicolo informatico. A sua volta la predisposizione degli applicativi attende una scelta normativa, sulle conseguenze degli errori telematici, che non appare rinviabile.

2.2 Le scansioni

L’art. 12 delle specifiche tecniche12, nel prevedere le caratteristiche degli atti telematici, ha cura di precisare che deve trattarsi di documenti informatici ottenuti «da trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia parti: non è pertanto ammessa la scansione di immagini».

Si tratta di una norma posta a tutela della qualità della base dati che l’atto di parte contribuisce a creare: la scansione non è ammessa per il suo peso in byte assai superiore al testo, che va, sui grandi numeri, ad appesantire il fascicolo informatico, la rete e tutto il sistema al servizio del Pct; inoltre la ricercabilità, garantita dal testo e non dalla scansione, è una qualità importante per sfruttare le possibilità diordinamento tipiche dei computers. È possibile così apprezzare il doppio piano su cui si muovono le norme sul Pct: mentre sarà possibile comunque leggere il contenuto dell’atto difensivo scansionato, la regola è quella di evitare questo tipo di file perché ostacola il Pct ed il lavoro sul fascicolo informatico. Appare tuttavia di dubbia legittimità un provvedimento che sanzioni sotto il profilo della validità processuale un atto che comunque consente di conoscere le difese della parte13, ma nemmeno convince una soluzione ermeneutica che lasci la violazione di questo precetto priva di qualsiasi sanzione.

È rinvenibile nel deposito di scansione una violazione del dovere di lealtà di cui all’art. 88 c.p.c. poiché indubbiamente si tratta di un file meno utile alla controparte, non “navigabile” né ricercabile e ben più pesante da scaricare e leggere, più scomodo anche per il giudice e contrario a regolamenti tesi a garantire un utilizzo uguale fra tutte le parti del processo; in tal senso vi è anche un’alterazione della parità delle parti, principio di rilievo costituzionale. Tutto ciò legittima il giudice a disporre, anche senza istanza di parte, una regolarizzazione, e a tener eventuale conto della violazione ai sensi dell’art. 92 c.p.c.

Analoga sistemazione sanzionatoria avrà il caso del deposito cartaceo in luogo del telematico, laddove va sottolineato che mentre il file è visibile e scaricabile dalle controparti al proprio domicilio, il deposito di documentazione fisica obbliga a visitare il Tribunale e richiedere le copie, per cui intralcia la attività della controparte assai più della scansione.

È tuttavia evidente l’inadeguatezza di queste soluzioni e l’opportunità di un intervento normativo, senza il quale la giurisprudenza continuerà a muoversi in ordine sparso su questa e altre opinabili questioni attinenti il deposito telematico degli atti.

2.3 Gli errori sulle informazioni xml

I file pdf inviati a mezzo del processo telematico devono essere muniti di una struttura XML per il trasporto delle informazioni strutturate: è il file datiatto.xml che si ritrova in tutte le buste di deposito del Pct, degli avvocati e dei giudici, previsto dall’art. 12 delle specifiche tecniche del processo telematico.

È attraverso questo file che vengono trasferiti dati al sistema giustizia, poiché questo file, composto dai redattori degli avvocati, scrive nel database degli uffici giudiziari – Sicid o Siecic che sia – una serie di informazioni, quali il nome delle parti, il tipo di atto che viene inviato, l’entità della richiesta, il nome del difensore. Si tratta in pratica di un’attività di data entry effettuata dal difensore.

Taluni errori nei dati immessi sono tuttavia tali da impedire il deposito: se per esempio viene errato il numero del fascicolo, il sistema cercherà di inserire l’atto nel fascicolo errato ove il difensore depositante non figura e pertanto l’atto verrà rifiutato dal sistema, perché proveniente da soggetto non abilitato a depositare in quel fascicolo. È quel che si intendeva parlando di “informatica formante”: non esiste alcuna norma che sanzioni di inammissibilità

o nullità l’atto difensivo cui sia associato un file datiatto.xml errato, ma tale sanzione nei fatti deriverà dal programma applicativo che non è in grado di portare a compimento l’operazione. In certo senso la procedura informatica prevale sulla norma di procedura civile, impedendo il deposito telematico.

Il problema giuridico è qualificare questa inammissibilità di fatto: taluni hanno ritenuto l’atto inidoneo al raggiungimento dello scopo ed hanno ritenuto inammissibile il deposito, negando anche la rimessione in termini: in realtà l’inidoneità non c’è, perché è possibile “forzare” il programma e costringerlo ad accettare l’atto, per il che occorre comunque un intervento umano che andrà sollecitato da chi, parti o giudice o cancelliere, si accorga dell’accaduto. Tenendo presente che il fine ultimo del processo non è il data entry del Pct e che comunque questo incombe agli uffici più che ai privati, non appare legittimo subordinare i diritti delle parti alla corretta compilazione del file datiatto.xml.

Anche qui la carenza assoluta di sanzioni non è soddisfacente, perché incoraggia una scarsa cura di dati di notevole rilievo nel funzionamento dell’attuale sistema giudiziario. La necessità di un intervento manuale, che a volte tarda di giorni, per poter vedere gli atti telematici con xml errato fa sì, inoltre, che a volte sia necessario ridefinire le scadenze temporali del processo e che quindi si perda tempo.14

Altri errori possibili sul file datiatto.xml non impediscono il deposito, ma sono comunque fonte di problemi, per esempio quando si utilizzi per un atto l’xml di un differente atto – è diffuso l’utilizzo dell’atto generico invece di quello specifico – che comporta una imprecisione del fascicolo informatico: pur essendo questi errori meno gravi, si sente la carenza di un istituto che in qualche modo li scoraggi.

2.4 Copie cartacee e sintesi

Di una copia cartacea vi è bisogno ancora per superare difetti degli attuali applicativi, ma soprattutto perché la lettura di atti pesanti, tradizionalmente pensati per la carta, è più agevole con una stampa che solo a video15.

In molti uffici sono state concordate prassi locali che prevedono il deposito, non obbligatorio e quindi non sanzionabile, di stampe di cortesia da tenersi distinte dal deposito di copie cartacee previsto dall’art. 16 bis, co. 9, d.l. n. 179/201216 su ordine specifico del giudice; questa ultima ipotesi, del co. 9, va a sua volta distinta dall’ipotesi del co. 8 della medesima disposizione, la quale consente la produzione cartacea di atti per cui sarebbe prevista l’esclusivo deposito telematico, in caso di malfunzionamento del sistema informatico, su disposizione, generale questa volta, del capo dell’ufficio.

Il d.l. n. 83/2015 ha aggiunto al co. 9 dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 la previsione di un decreto non regolamentare che disciplini la copia cartacea, diretto agli uffici giudiziari, senza tuttavia chiarire a carico di chi porre questa stampa, il che costituisce il vero nodo. Per altro la prevista natura non regolamentare pare escludere che il futuro provvedimento possa avere contenuto differente dalla disposizione interna agli uffici.

Esiste indubbia relazione fra ampiezza della trattazione e necessità della stampa ed in effetti il d.l. n. 83/2015 ha introdotto un co. 9-octies dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012 secondo il quale «Gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica».

In realtà la norma è poco cogente, anche perché fa riferimento ad un concetto di sinteticità molto soggettivo, sostanzialmente una clausola generale.

L’esigenza di questa raccomandazione, stranamente rivolta ai soli atti telematici, può essere individuata nel fatto che l’atto inserito in un fascicolo informatico ha la possibilità di richiamare con semplici link gli atti del fascicolo diventando così un ipertesto. L’esigenza di completezza assume un significato molto differente se invece di riassumere le richieste delle parti o il processo si possono richiamare con semplici link atti già presenti nel fascicolo informatico.

Evolvendo dunque verso l’ipertesto, la sintesi assume un significato molto pregnante: la sentenza può diventare davvero soltanto una questione di enunciazione di principi giuridici applicati, richiami “linkati” e qualificazione di fatti e prove, evitando qualsiasi riassunto.

In realtà gli applicativi attualmente utilizzati nella gestione del fascicolo processuale non consentono l’ipertesto, per cui l’intento legislativo era più modestamente quello di mediare fra le richieste degli avvocati di non portare copie cartacee agli uffici e dei giudici che non intendono doversi occupare della gestione cartacea degli atti più voluminosi. Tuttavia la norma offre spunto alla riflessione su quanto la tecnologia utilizzata per la gestione del fascicolo informatico possa influenzare anche la sintesi.

I profili problematici

La norma che ammette oggi il deposito facoltativo contiene un richiamo alla normativa regolamentare17: ciò potrebbe ridare rilievo a quei provvedimenti ex art. 35 delle regole tecniche di cui si è parlato. In realtà una siffatta interpretazione urterebbe con la dizione normativa che utilizzando l’avverbio «sempre» esclude la subordinazione a ulteriori provvedimenti dell’utilizzo del documento informatico: è preferibile intendere quel richiamo alla sola disciplina dei modi del deposito telematico e non ai casi consentiti, ma resta un’ambiguità espressiva.

Diviene sempre più pregnante la problematica tecnologica, la gestione dei numerosi errori connessi a un “informatico formante” che non si è riusciti a semplificare, ma anche sotto il profilo normativo vi sarebbe molto da regolare e chiarire, in una legislazione che risulta da successivi provvedimenti tanto d’urgenza da apparire frettolosi; un auspicabile riordino della materia, che non può comunque prescindere da quell’“informatico formante” di natura tecnologica, è oggi relegato ad un’ultima lettera di un disegno di legge delega di cui paion perse le tracce18.

Ai problemi tecnologici, già rilevanti, si aggiungono quindi problemi di chiarezza normativa irrisolti.

1 In //pst.giustizia.it/PST/it/pst_2_4.wp, ove non è facile ricostruire la situazione di ciascun ufficio: sono stati emessi spesso numerosi decreti di contenuto differente. Il Tribunale di Firenze ha, per esempio, 13 successivi decreti autorizzativi.

2 Il co. 1 dell’art. 16 bis d.l. n. 179/2012, ancora vigente.

3 Il d.l. 24.6.2014, n. 90, art. 44, ha poi di fatto prorogato questo termine, restringendo l’obbligo di deposito telematico alle liti iniziate dopo il 30 giugno 2014, al contempo consentendo il deposito telematico anche nei fascicoli precedenti, ma sempre per i soli atti di parti già costituite.

4 Sul reclamo pronunce contrastanti sono venute dal Trib. Torino, ord. 6.3.2015 e ord. 26.1.15, entrambe in www.processociviletelematico.it/giurisprudenza.html.

5 Art. 20 d.lgs. 7.3.2005, n. 82 (Codice amministrazione digitale): «Il documento informatico da chiunque formato, la memorizzazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici conformi alle regole tecniche di cui all’articolo 71 sono validi e rilevanti agli effetti di legge, ai sensi delle disposizioni del presente codice». Questa norma per altro riprende la dizione dell’art. 15, co. 2, l. 15.3.1997, n. 59 (cd. legge Bassanini): «Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge».

6 Art. 62 d.m. 17.7.2008 pubblicato su G.U. 2.8.2008 e poi art. 35 d.m. n. 44/2011

7 Trib. Roma, ord. 24.1.2015, in www.processociviletelematico.it/giurisprudenza.html, ha ammesso il deposito telematico di parte non costituita ritenendo «che la DGSIA è priva, per legge o regolamento, del potere di individuare il novero degli atti depositabili telematicamente oppure la tipologia di procedimento rispetto alla quale esercitare la facoltà di deposito digitale». Ha invece negato la legittimità del ricorso per dichiarazione di fallimento depositato con modalità telematiche Trib. Roma, decr. 16.7.2015, ibidem, per altro disponendo il deposito, sanante, del ricorso in forma cartacea.

8 Per esempio l’intervento telematico del p.m. è a tutt’oggi impedito dal fatto che non vi sia un applicativo che lo consenta.

9 Provvedimento 16.4.2014 pubblicato su G.U. 30.4.2014 serie gen. n. 99.

10 Trib. Genova, ord. 1.12.2014, in www.ilcaso.it, ha ammesso la validità di atti comunque inseriti nel fascicolo informatico, rilevando la inapplicabilità di qualsiasi sanzione per aver l’atto raggiunto lo scopo e in ossequio al principio dell’art. 121 c.p.c. di libertà delle forme.

11 Per esempio Trib. Foggia, decr. 10.4.2014, in www.processociviletelematico.it/giurisprudenza.html, per il caso di deposito telematico non ricompreso nel novero dei provvedimenti dell’art. 35 delle regole tecniche e per il caso inverso, di ricorso monitorio depositato invece con tramite cartaceo Trib. Reggio Emilia, decr. 30.6.2014, ibidem. Entrambe le pronunce sono sostanzialmente apodittiche e si limitano a rilevare la violazione e riconnettervi una sanzione di inammissibilità senza specificare il ragionamento o la norma che dalla violazione conduca a tale sanzione, non direttamente prevista dalla legge.

12 V. supra, nt. 9.

13 In tal senso appaiono criticabili Trib. Roma, decr. 9.6.2014, e Trib. Roma, decr. 13.7.2914, in www.processociviletelematico.it/giurisprudenza.html, che dichiarano inammissibile l’atto scansionato, in quanto confondono lo scopo delle regole tecniche, di tutela della base dati, con la funzione tipica del processo. Per analoghi motivi non convince la soluzione della nullità fatta propria da Trib. Livorno, decr. 25.7.2014, ibidem. Più ragionata la pronuncia collegiale, nel senso della validità, di Trib. Vercelli, 4.8.2014, ibidem.

14 Non convince dunque Trib. Torino, ord. 11.6.2015, www.processociviletelematico.it/giurisprudenza.html, che parla di nullità legittimando il provvedimento di rifiuto del cancelliere e negando la remissione in termini.

15 La stampa è comunque prevista in molti sistemi processuali informatici; per esempio il Code of Civil Procedure americano alla sezione 1010.6 prevede assieme al filing processuale la consegna di «hard copy of the ex parte documents at the clerk’s window».

16 «Il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche».

17 Art. 16 bis, co. 1-bis, d.l. n. 179/2012: «è sempre ammesso il deposito telematico dell’atto introduttivo o del primo atto difensivo nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici».

18 Cfr. disegno di legge n. 2953 presentato l’11 marzo 2015, ora in Commissione alla Camera, che alla lett. H) prevede una delega per «adeguamento delle norme processuali all’introduzione del processo civile telematico».

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