SCAGLIA, Desiderio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCAGLIA, Desiderio

Vincenzo Lavenia

– Stando ad alcune biografie antiche, fu battezzato a Brescia nella chiesa di S. Clemente il 26 settembre 1568 con il nome di Giovanni Battista ed era figlio di un cremonese, il barbiere Giovanni Paolo, e di Maria, una levatrice: con molta probabilità la coppia si trovava lontano dalla città d’origine per una causa legale (P. Guerrini, Le cronache bresciane..., 1931). L’origine nobiliare è una tarda invenzione dei biografi (L. Cardella, Memorie storiche..., 1792-1797, VI, p. 213).

Le fonti dell’Ordine dei frati predicatori indicano che il 14 agosto 1584 entrò nel convento di Cremona, guidato da Domenico Bazzardi, già inquisitore di Brescia, per intraprendervi il noviziato (P.M. Domaneschi, De rebus coenobii..., 1767, p. 221). Qui forse conobbe Girolamo Bernieri, poi membro del S. Uffizio (L. Cardella, Memorie storiche..., cit., V). Più tardi si trasferì nello Studium domenicano di Bologna per completarvi la formazione teologica (vi divenne lector il 2 maggio 1596: R. Creytens, Il registro dei maestri..., 1976, p. 78) e cominciò a emergere per l’abilità di predicatore nella provincia lombarda dell’Ordine, di cui resse alcuni conventi come priore. Con il titolo di magister divenne teologo di Ranuccio Farnese, duca di Parma, pubblicando componimenti letterari come membro dell’Accademia degli Invaghiti di Mantova.

Quattro poesie e una lettera di encomio per Domenico Bollani, suo patrono (da Brescia, 12 marzo 1592), accompagnarono la stampa dell’Historia Orceana di Domenico Codagli (Brescia, Borella, 1592; Rangoni Gàl, 2008, pp. 288-295); sette sonetti aprirono il poema di Lucillo Martinenghi Della vita di Nostra SS. Signora (Brescia, Turlini, 1595). Francesco Arisi (1741) e Pietro Maria Domaneschi, De rebus coenobii..., cit., accennano anche a un’opera (Symbolica Hyppoliti Mythologia) pubblicata a Cremona da Zanni nel 1594 e forse perduta. Si conservano invece il Sermone sopra le sante reliquie della chiesa di S. Dominico di Cremona (Cremona, Zanni, 1595) e la traduzione della Vita del Beato Padre Ignatio Loyola di Pedro de Ribadeneyra pubblicata in coda a Del Flos Sanctorum, o libro delle vite de’ Santi parte seconda (Milano 1621, ma il nome di Desiderio scompare nelle edizioni successive). Scaglia compose inoltre un idillio spirituale di gusto marinista, l’Affetto estatico alle Stigmati di san Francesco, confluito nella raccolta di Sette canzoni di sette famosi autori in lode del Serafico Padre S. Francesco allestita da Silvestro da Poppi (Firenze 1606, cc. 4r-11v, ora in G. Forni, Florilegi fiorentini..., a cura di M.L. Doglio - C. Delcorno, 2007). I rapporti con Giovan Battista Marino sono attestati anche dopo la prima censura dell’Adone e la promozione di Scaglia a membro del S. Uffizio (Carminati, 2008). Il suo segretario Giovanni Battista Baiacca fu il primo biografo del poeta e dedicò lo scritto al cardinale (Carminati, 2011), che ebbe pure rapporti con Alessandro Tassoni, Fulvio Testi e con altri noti letterati del tempo.

Grazie a Paolo Emilio Sfondrati, cardinale poi vescovo di Cremona, Scaglia cominciò la carriera di giudice della fede come socius del commissario del S. Uffizio Agostino Galamini (il giuramento lo definisce «de Brixia», 14 luglio 1604, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, ACDF, Sant’Officio, Juramenta 1575-1655, c. 128r; in quella veste continuò a occuparsi della censura del Qua tandem ratione di Paolo Beni, che trattava degli ausili della grazia divina: ibid., Stanza storica, O.1-n, f. 2, con documenti autografi). Il 4 febbraio 1605 divenne inquisitore di Pavia, sede che lasciò nel 1609 per quella di Cremona, dove per volere del vescovo predicò nella cattedrale (per l’attività di giudice, Mayer, 2013, pp. 119 s.). Con il favore di Federico Borromeo – cui inviò manoscritti di procedura e documenti inquisitoriali, e con cui corrispose dal 1607 al 1622 (v. le lettere della Biblioteca Ambrosiana pubblicate in Rangoni Gàl, 2008, pp. 257-268) –, divenne poi inquisitore di Milano (27 dicembre 1614), senza che i passati incidenti gli precludessero incarichi di crescente prestigio. Nel 1606 la congregazione dei cardinali inquisitori aveva ordinato al giudice di Milano di compiere discretamente indagini circa le accuse mosse per lettera contro Scaglia da un Emilio Petra (ACDF, Sant’Officio, Decreta 1606-1607, c. 163v, 23 settembre). L’anno seguente frate Agostino da Pavia lo aveva accusato di avere pubblicato madrigali sotto falso nome e il 29 agosto (ibid., Decreta 1607, c. 196v) il S. Uffizio aveva inviato una lettera agli inquisitori di Faenza e Bologna per cercare negli archivi dei loro tribunali, per inviarne copia, il «processo altre volte formato contro Fra Desiderio da Brescia [...] e la sentenza data contro di lui» (1° settembre 1607, Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B-1863, c. 81r; Tedeschi, 1997, p. 132). Il 3 ottobre la congregazione aveva registrato che il cardinale Domenico Pinelli riceveva un «liber Madrigalium [...] evulgatus sub nomine Francisci Scagliae» (ACDF, Sant’Officio, Decreta 1607, c. 219v). Le informazioni ricevute da Bologna e Faenza vennero discusse il 5 dicembre, ma si decise «ut pro nunc nihil fiat» (c. 264v). Desiderio era impegnato in una causa contro il bargello della diocesi di Pavia, e forse si era trattato di accuse inventate per porlo in cattiva luce. I Madrigali (Casale 1600) cui alludeva la lettera, dedicati al patrizio veneziano Zorzi Zen Zorzi e al nobile veronese Alberto Pompei, non erano certo opera sua. Ma la frequentazione di circoli letterari forse aveva finito per nuocergli, se è vero che il 16 ottobre 1608 la congregazione aveva stabilito di rimuovere l’accusatore dal convento di Pavia, ordinando però al commissario del S. Uffizio di ammonire Scaglia «ne accedat ad convivia secularium» (ACDF, Sant’Officio, Decreta 1608, c. 445v). Il 7 dicembre 1610 una lettera da Pavia mosse altre accuse contro Desiderio e la congregazione chiese lumi a Sfondrati (29 dicembre, ibid., Decreta 1610-1611, c. 232r). Le informazioni si aggiunsero ad alcune lettere del canonista Francisco Peña (18 gennaio 1611) che spinse la congregazione a rivolgersi al vescovo della passata sede d’ufficio di Scaglia per chiarire i fatti (9 febbraio, c. 255v). Fu coinvolto anche Borromeo per indagare «secrete et extraiudicialiter» (28 giugno, c. 341v). Ricevute le lettere dell’arcivescovo e quelle dello stesso Scaglia, fu deciso di attendere l’arrivo a Roma di Sfondrati prima di deliberare «circa modum illum observandi quoad mores, et vitam honestam quam tenet Cremonae» (9 agosto, c. 370r).

Da inquisitore di Milano, seguendo un cursus honorum consolidato, il 5 ottobre 1616 fu promosso commissario generale del S. Uffizio (ibid., Juramenta 1575-1655, c. 231r), una carica che comportava la gestione della corrispondenza con le sedi locali e l’istruzione dei processi. Grazie all’impegno profuso come giudice della fede, e nonostante le umili origini (compensate da una forte ambizione messa in rilievo da molte fonti), Scaglia guadagnò infine da Paolo V il cardinalato (11 gennaio 1621), forse grazie all’appoggio del cardinale Giovanni Garzia Millini, lasciando la carica di commissario a Ippolito Lanci e prendendo i titoli prima di S. Clemente, poi dei Ss. Apostoli (1626) e infine dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso, la chiesa dei lombardi (1627). A Cremona, la città che gli aveva conferito la cittadinanza l’8 febbraio 1617, la porpora fu celebrata con una festa. Del resto Scaglia fu designato come il cardinale di Cremona, la patria d’elezione che gli permise di prendere le distanze dalla Repubblica di Venezia, in cui era nato, e proporsi come cardinale suddito della Spagna (gli ambasciatori della Serenissima gli dedicarono negli anni seguenti ritratti acidissimi: Le relazioni..., a cura di N. Barozzi - G. Berchet, 1877). Ed è stato insinuato (Fè d’Ostiani, 1927, p. 297) che, per difendere l’appellativo di cremonese, Scaglia abbia fatto espungere un’epistola a lui diretta come bresciano dalle Lettere di Ottavio Rossi (Brescia 1621, dove non compare). Il 17 marzo 1621 fu fatto vescovo di Melfi e Rapolla e l’anno dopo – anche per sorvegliare la Valtellina – gli fu affidata la diocesi di Como, che visitò nell’estate del 1623 cedendone subito la cura a un vicario, Sisto Carcano, fino alla rinuncia al titolo in favore di Lazzaro Caffarino (1625), già succedutogli a Melfi prima di lasciare quella diocesi al nipote Deodato Scaglia.

Membro della congregazione dell’Indice e di quella dei Vescovi e dei regolari (1621), cardinale camerlengo (1632-33), incluso nella commissione super facultatibus missionariorum istituita da Propaganda Fide (1633-37), ebbe diversi altri incarichi in Curia (Weber, 1991). Ritenuto papabile nel conclave in cui fu eletto Urbano VIII (1623), e agitatosi per guadagnare appoggi, fu legato a Gaspar de Borja (Visceglia, 2003) e fedele a Madrid, e per invalidare l’elezione di Maffeo Barberini si disse che era giunto a ingoiare la scheda elettorale per fare ripetere lo scrutinio (cosa che comunque avvenne; Biblioteca apostolica Vaticana, Ferr. 374, c. 343r). Il non amore per Urbano VIII – cui pure dedicò un paio di poesiole (Rangoni Gàl, 2008, p. 54) – fu tale che nel 1630 il suo nome comparve insieme a quello di altri cardinali che si sarebbero rivolti a un prete astrologo, Giovanni Battista Pari della Torre, rettore della chiesa di S. Carlo – di cui Scaglia era protettore –, per sapere quando il papa sarebbe morto e chi ne sarebbe stato il successore (Mayer, 2013, p. 33). L’uomo fu mandato a morte il 12 giugno e il 7 ottobre, in circostanze oscure, perse la vita in carcere Orazio Morandi, abate di S. Prassede, reo di avere stilato un oroscopo che prediceva il trapasso di papa Barberini. Tra i suoi complici figurava Francesco Lamponi, cortigiano legato a Deodato, nipote di Desiderio, il cui nome, ancora una volta, fu incluso tra quelli dei probabili successori di Urbano VIII. Fino a che punto il cardinale fosse implicato nella vicenda non è chiaro (Dooley, 2002, con errori fattuali; Rangoni Gàl, 2008, p. 36), ma è un fatto che nel 1631 fu emanata una bolla contro l’astrologia giudiziaria e il suo uso contro i papi (la Inscrutabilis), atto che precedette la condanna a morte di Giacinto Centini, nipote del cardinale Felice, che con altri complici fu accusato di ordire un piano per assassinare il papa con alcuni sortilegi che prevedevano persino un sacrificio umano (1635).

Scaglia fu tra i prelati che seguirono le indagini sul complotto, come in passato aveva fatto per un grave caso di superstizione del 1619 (Fontana, 1666, p. 39); e del resto fino alla morte, quale commissario e poi cardinale del S. Uffizio (dal 17 febbraio 1621: ACDF, Sant’Officio, Juramenta 1575-1655, c. 286r), prese parte alle più importanti procedure per eresia e censura dell’Inquisizione del tempo. Basti ricordare che nel 1619 con Roberto Bellarmino analizzò gli scritti di Cesare Cremonini (Mayer, 2013, p. 121) e più tardi l’Atheismus triumphatus di Tommaso Campanella (L’Ateismo trionfato, a cura di G. Ernst, 2004, pp. 237 s.); che – stando ad Abraham Bzowski – avrebbe confortato Marcantonio De Dominis nel trapasso invogliandolo a pentirsi dopo un lungo interrogatorio e prima di concluderne post mortem la causa come relapso (8-9 settembre, 21 dicembre 1624: Belligni, 2003, p. 39); che si occupò delle dispute circa l’Immacolata Concezione, dei pretesi miracoli di liberazione degli ossessi nella cappella di S. Antonino a Sorrento (ACDF, Sant’Officio, Stanza storica, N.4-l, 1629, cc. 570r-589v), del culto dei defunti in fama di santità (ebbe un ruolo decisivo nella stesura del decreto del 2 ottobre 1625; Gotor, 2002, pp. 295-308) e dell’affare delle Lamine di Granada (vedi la sua scettica relazione in Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 4558, 10 febbraio 1638). Inoltre seguì le indagini contro Mary Ward, Girolamo Vecchietti e il patriarca di Costantinopoli Kyrillos Loukaris; senza contare il ruolo avuto nel processo a Galileo Galilei (Scaglia figura tra i firmatari della sentenza, 22 giugno 1633), anche se in alcune missive lo scienziato e chi stava dalla sua parte lo indicarono, con Guido Bentivoglio, come uno dei prelati meno ostili (Galilei, 1904; I documenti..., 2009, pp. CLXXXVII, 159).

Cooperò anche alla censura preventiva del De praxi et stilo S. Officii di Andrea Molfetti (1628), che spinse il papa a ordinare, nel 1630, che nulla fosse pubblicato sulle procedure dell’Inquisizione senza il placet dei cardinali (Mayer, 2013, p. 70). Questo, e la destinazione al personale del tribunale, spiega perché restò manoscritta la Prattica per procedere nelle cause del S. Offizio o Relatione copiosa di tutte le materie spettanti al tribunale del S. Officio, forse risalente al 1624 e poi integrata (Turchini, 2000, p. 189). Circolata tra le sedi del tribunale anche senza il nome di Scaglia, essa sopravvive in molte copie, non prive di discrepanze, alcune possedute dalla congregazione (ACDF, Sant’Officio, Stanza storica, C.6-a, Q.2-g, Q.2-h).

Stilato in volgare, e in passato confuso con un manoscritto di Deodato (la Prattica di procedere con forma giudiciale nelle cause appartenenti alla Santa Fede), quel manuale dettava istruzioni sul trattamento dell’eresia, degli ebrei e di alcuni fenomeni di ‘devianza’ che impegnavano il S. Uffizio: l’adescamento da parte dei confessori, la poligamia, l’affettata santità, le presunte possessioni diaboliche e i fenomeni misticheggianti che interessavano le donne e le religiose. Di particolare interesse è l’atteggiamento moderato sulla stregoneria, che ricalcava la prassi adottata dal S. Uffizio dalla fine del Cinquecento, con la richiesta di essere cauti e di accertare il corpus delicti con il consulto dei medici. La Prattica, frutto dell’esperienza di Scaglia, fu pubblicata in latino già da un plagiatore, Giovanni Battista Neri, nell’opuscolo De iudice S. Inquisitionis (Firenze 1685), e da uno dei testimoni manoscritti ha conosciuto un’edizione più recente che ha ignorato la paternità dell’opera (Mirto, 1986). Sembra invece meno certa un’ipotesi ben formulata da John Tedeschi (1997), che sulla base di un passo del De potestate angelica di Giovanni Tommaso Castaldi ha attribuito a Scaglia l’Instructio pro formandis processibus in causis strigum, celebre documento del precoce scetticismo dei cardinali circa le accuse di maleficio e di sabba. Il testo, almeno in una prima stesura, viene ora attribuito al fiscale del S. Uffizio Giulio Monterenzi, che l’avrebbe stilato ben prima che Desiderio diventasse membro del S. Uffizio, fra il 1593 e il 1604 (Decker, 2003).

Secondo i registri della parrocchia dei Ss. Vincenzo e Anastasio in Trevi (in Rangoni Gàl, 2008, p. 327), Scaglia morì a Roma il 21 agosto 1639 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Ambrogio e Carlo, con un epitaffio fatto apporre da Deodato (riportato in Fontana, 1666, p. 40), che fece redigere l’inventario dei suoi beni e libri.

Tra i 3600 volumi, oltre agli strumenti dell’inquisitore, spiccavano numerosi testi di letteratura e antiquaria (le fonti in Rangoni Gàl, 2008, pp. 91-111, 323-342). La quadreria, oggi dispersa, attesta un gusto in prevalenza lombardo ed emiliano e vi figuravano artisti come Luini, Moretto, Savoldo, Parmigianino, Morazzone, Ludovico Carracci, Bronzino, Guercino, Lanfranco (pp. 187-254). Uno dei due ritratti che raffigurano Scaglia è conservato nella sacrestia della chiesa in cui è sepolto; l’altro (forse del Chiaveghino) è custodito al Museo civico di Cremona (p. 11).

Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B-1863, c. 81r; Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ACDF), Sant’Officio, Decreta 1606-1607, c. 163v; Decreta 1607, cc. 196v, 219v, 264v; Decreta 1608, c. 445v; Decreta 1610-1611, cc. 232r, 255v, 341v, 370r; Juramenta 1575-1655, cc. 128r, 231r, 286r; Stanza storica, B.4-b, f. 5; N.4-l, 1629, cc. 570r-589v; O.1-n, f. 2; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 4558; Ferr. 374: Th. Amayden, Elogia Summorum Pontificum et S.R.E. Cardinalium, c. 343r-344r; P.M. Domaneschi, De rebus coenobii Cremonensis Ordinis Praedicatorum, Cremonae 1767, pp. 221-230; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali, I-IX, Roma 1792-97, V, p. 252, VI, pp. 213-216; Le relazioni della corte di Roma lette al Senato dagli ambasciatori veneti, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, I, Venezia 1877, pp. 170, 242, 275; G. Galilei, Opere, XV, Carteggio, Firenze 1904, pp. 44-51, 58, 74; P. Guerrini, Le cronache bresciane inedite dei secoli XV-XIX, V, Brescia 1931, p. 39; H. Fenning, The Dominicans and Propaganda Fide. 1622-1668, in Archivum Fratrum Praedicatorum, XLI (1971), pp. 241-323 (in partic. pp. 272 s.); R. Creytens, Il registro dei maestri degli studenti dello Studio domenicano di Bologna (1576-1604), ibid., XLVI (1976), pp. 25-114 (in partic. pp. 56, 78); T. Campanella, L’Ateismo trionfato, a cura di G. Ernst, Pisa 2004, pp. XLIII, 237 s.; G. Forni, Florilegi fiorentini del primo Seicento in lode di San Francesco, in Rime sacre tra Cinquecento e Seicento, a cura di M.L. Doglio - C. Delcorno, Bologna 2007, pp. 175-184.

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