DIAZ, Armando, duca della Vittoria

Enciclopedia Italiana (1931)

DIAZ, Armando, duca della Vittoria

Alberto Baldini

Maresciallo d'Italia, nato a Napoli il 5 dicembre 1861, da famiglia d'origine spagnola venuta in Italia con Carlo di Borbone; morto a Roma il 29 febbraio 1928. Iniziò la carriera militare nell'artiglieria, passando poi - dopo il corso alla scuola di guerra - nello Stato maggiore. Nel 1910 fu promosso colonnello di fanteria e dal maggio del 1912 prese parte, alla testa del 93° reggimento, alla campagna libica. Alla battaglia di Zanzur (29 settembre 1912) rimase ferito a una spalla. Poco dopo, rimpatriato, fu chiamato al comando del corpo di Stato maggiore quale segretario del capo di Stato maggiore dell'esercito, generale Pollio, continuando in quella carica anche quando - morto improvvisamente il Pollio nel luglio 1914 - gli successe il Cadorna (v.). Promosso al grado di maggior generale, collaborò col Cadorna nella preparazione dell'esercito durante la neutralità italiana. Quando l'Italia entrò in guerra, fece parte del Comando supremo con le funzioni di capo del reparto operazioni, rimanendovi oltre un anno, e cioè fino a quando, promosso tenente generale, chiese ed ottenne il comando d'una divisione sul Carso (49ª). Si distinse nel 1916 nelle operazioni intorno a Gorizia, sul Veliki Hribach, a San Grado di Merna e sul Volkovniak. Nel maggio 1917, quando s'iniziò una nuova offensiva italiana, era alla testa del XXIII corpo d'armata, sempre sul Carso, agli ordini del Duca d'Aosta, comandante la III armata. In quelle operazioni (maggio-giugno) il suo corpo d'armata fu dapprima in riserva, poi venne inviato in linea nel settore di Castagnavizza a parare una furiosa controffensiva austriaca, contro la quale il D. riuscì a mantenere le posizioni fra Versic e Jamiano. Tre mesi dopo, ripresasi ancora l'offensiva sul Carso, il D. spintosi fino al vallone di Brestoivizza, si mantenne di fronte a vigorosi contrattacchi, a segnare il punto più avanzato toccato dalla nostra occupazione carsica. Fu ferito a un braccio e decorato di medaglia d'argento al valor militare. La sua azione complessiva di comandante del XXIII corpo gli valse la commenda dell'Ordine militare di Savoia. Aveva appena compiuto, ai primi di novembre del 1917, la ritirata con la III armata dal Carso al Piave, conseguente alla battaglia perduta dalla II armata sul medio Isonzo, quando fu chiamato al supremo comando dell'esercito. Nell'ora grave, immediatamente si adoperò per ridare saldezza all'esercito, riparare le gravi perdite subite dal 24 ottobre all'8 novembre, e risollevare gli animi conturbati. Con le sole forze italiane (le divisioni alleate giunte in Italia essendo entrate in linea solo un mese dopo) superò la prima e più critica fase della stabilizzazione sulla linea Altipiani-Grappa-Piave, che il suo predecessore Cadorna aveva opportunamente prescelto per una resistenza ad oltranza, e che il D. riaffermò fin dal primo momento di voler tenere ad ogni costo. Mentre rapidamente rinvigoriva l'esercito, il D. si mantenne sulla linea dei monti e del Piave durante tutto l'inverno 1917-18, finché nella seconda metà del successivo giugno fu in grado di respingere la grande offensiva (battaglia del Piave) con la quale l'intero esercito austro-ungarico sperò di poter dilagare nel Veneto occidentale e nella Lombardia. Dopo la vittoriosa azione del giugno, il D. preparò l'esercito al supremo attacco, riserbandosi di fronte agli alleati la scelta del tempo e della linea direttrice, in modo che la battaglia riuscisse decisiva e, attraverso il crollo austriaco sulla fronte veneta, assicurasse la pronta risoluzione della guerra.

Cominciata il 24 ottobre 1918 e terminata il 3 novembre, la battaglia di Vittorio Veneto segnò la rotta completa e la resa a discrezione dell'esercito austro-ungarico. Per dimostrare anche in questa circostanza, come sempre, la propria solidarietà con gli alleati, il D. fece comprendere nell'armistizio una clausola che concedeva facoltà all'esercito italiano e agli alleati di passare attraverso il territorio austro-ungarico per attaccare la Germania, nel caso che questa potenza avesse voluto continuare da sola la guerra; e poco dopo diede inizio ai movimenti per essere in grado di passare dalla minaccia all'attuazione. Frattanto il 4 novembre, con uno storico bollettino, aveva annunciato al mondo la vittoria italiana; e lo stesso giorno Vittorio Emanuele III gli aveva conferito il collare dell'Ordine supremo della SS. Annunziata.

Dopo la guerra il D. rimase in secondo piano finché in Italia prevalsero sentimenti di scarsa valutazione della vittoria e di scarsa riconoscenza per i combattenti; ma, nell'ottobre del 1922, all'avvento del Fascismo al potere, accettò l'offerta del portafoglio della Guerra nel nuovo regime, del quale fu convinto assertore, rimanendo a quel posto fino al 1924, allorché, per ragioni di salute, decise di ritirarsi definitivamente a vita privata. Poco dopo (novembre 1924) fu nominato maresciallo d'Italia, grado ripristinato per onorare i supremi condottieri dell'esercito nella guerra mondiale. Nel febbraio 1918 era stato nominato senatore del regno. Nel dicembre 1921 gli era stato conferito il titolo di duca della Vittoria. Il D. non ha pubblicato memorie. Ma nel giugno del 1925 commemorò a Milano con un alato discorso il 7° annuale della battaglia del Piave. Le caratteristiche tecniche della sua azione di comando furono essenzialmente la cura degli schieramenti in profondità e la rigorosa osservanza del principio dell'intangibilità organica delle divisioni.

Bibl.: A. Baldini, Diaz, Firenze 1929.

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