DELLA RATTA, Diego

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA RATTA (da la Rapta, de la Rat, da la Racta, de Larach), Diego

Francesco Tommasi

Non sono note né la data di nascita né l'esatta provenienza di questo nobile spagnolo trasferitosi in Italia, a quanto sembra, nel corso della guerra del Vespro. Era probabilmente di origine aragonese o catalana. Risulta infatti proprietario di beni a Egea de los Caballeros nell'attuale provincia di Saragozza e figura ancora nel 1300, quando ormai è attestata la sua presenza in Italia, come scudiero di Giacomo II d'Aragona. Spagnola del resto dovette essere anche la prima moglie Domicella, dama di Sancia di Maiorca, seconda moglie di Roberto d'Angiò e dal 1309 regina di Napoli. L'ipotesi dell'origine aragonese o catalana del D. viene ulteriormente avvalorata da una testimonianza di Dino Compagni, secondo il quale il mercenario catalano che nell'ottobre del 1308 uccise Corso Donati e che dal Davidsohn è stato identificato con il capitano Berengario Carroccio, era cognato del D. (Cronica, p. 213).

È opinione tradizionalmente accolta che il D. fosse giunto a Napoli al seguito dell'infanta Violante d'Aragona, unitasi in matrimonio con Roberto d'Angiò, allora duca di Calabria, nel marzo del 1297. Le nozze, che suggellavano l'alleanza propiziata due anni prima in Anagni da Bonifacio VIII tra Giacomo Il d'Aragona e Carlo II d'Angiò preludevano però fatalmente a una ripresa della guerra del Vespro. Alla campagna contro Federico Il d'Aragona e contro la Sicilia, iniziata nell'estate 1298 dalle forze congiunte angioino-aragonesi, partecipò anche il D., come risulta da un ordine del 15 luglio 1300, diretto al giustiziere di Terra di Lavoro, in forza del quale i vassalli del D. - detto ciambellano del duca di Calabria - erano tenuti a sovvenzionare il loro signore, che si trovava con l'erede al trono di Napoli oltre lo stretto di Messina.

Questo lascia pensare che all'epoca il D., più che da Giacomo II, dipendesse ormai dal sovrano angioino e che i suoi servigi erano già così apprezzati alla corte napoletana da meritargli i primi tangibili riconoscimenti nella forma di feudi e dignità. A quindi anche poco probabile che egli facesse parte degli oltre 1.600 Spagnoli che con il consenso di re Giacomo passarono alle dipendenze di Carlo Il soltanto dopo il disimpegno militare del sovrano aragonese, avviato all'indomani della sua vittoria navale sul fratello Federico a Capo d'Orlando (4 luglio 1299). Parte di queste truppe - unitamente al D. e a un certo numero di altri "valenti e rinomati uomini di guerra" (G. Villani, Cronica, p.210) - formarono il corpo di spedizione che Roberto di Calabria, in qualità di nuovo capitano di guerra dei Fiorentini, nell'aprile 1305 recò con sé in Toscana, ponendolo al soldo della Repubblica gigliata e, quindi, della lega dei Comuni guelfi della regione.

Quanto decisivo fosse l'apporto di questi specialisti della guerra - in futuro impiegati dalla Lega in modo sempre più massiccio ed esclusivo a scapito delle tradizionali milizie cittadine reclutate in area locale - apparve subito nell'assedio di Pistoia (22 maggio 1305-10 apr. 1306), il cui governo guelfo bianco era inviso a quello fiorentino, di segno guelfo nero. Attivo in zona di operazioni fin dall'inizio delle ostilità, il D. lo fu con accresciute responsabilità a partire dal 28 ottobre, data in cui Roberto d'Angiò, per assecondare i legati pontifici, si allontanò dal campo di Pistoia, lasciandovi il D. al comando dei mercenari con la qualifica di maresciallo.

Capitolata Pistoia, nell'imminenza di un'azione offensiva del cardinale legato Napoleone Orsini contro Bologna - guadagnata di recente all'unica forma di guelfismo gradita a Firenze -, la Lega toscana nel novembre 1306 inviò il D. e i suoi mercenari in appoggio al Comune emiliano. Da Bologna il D. compì il 30 marzo un'incursione contro Imola, che ospitava il cardinale filoghibellino. Riparato ad Arezzo l'alto prelato, il D. e i suoi ottocento catalani confermarono le loro doti belliche, battendosi valorosamente nel corso di una scorreria condotta nel maggio-giugno 1307 nel territorio di quel Comune.

La recente acquisizione di Bologna alla solidarietà guelfa apriva inedite prospettive al Della Ratta. Infatti, nella misura in cui tale solidarietà - istituzionalizzata nella Lega di Toscana - dilatava i propri confini geopolitici, aumentavano per lui e per le sue "masnade" le possibilità di intervento ovunque la situazione lo richiedesse: era sufficiente che un Comune o un signore di parte guelfa lo sollecitasse. Così, quando nel settembre 1307 le guelfe Cremona e Ferrara invocarono l'assistenza degli alleati tosco-emiliani per arginare l'aggressività di Mantova e di Verona, il D. replicò, colpendo punti e installazioni d'interesse strategico militare nei contadi delle due città ghibelline. Nel giugno dell'anno successivo, a causa del riacutizzarsi della tensione tra Bologna e Imola, la presenza del D. si rese di nuovo necessaria oltre l'Appennino ed egli, lasciato il quartier generale di Firenze, dette manforte ai Bolognesi impegnati contro la città rivale.

Di un coinvolgimento del "Maliscalco nella politica interna fiorentina testimoniano gli eventi dell'ottobre 1308, allorché si dovette anche ai mercenari del D. se la fazione di Corso Donati non rovesciò il governo della Repubblica. La protezione del palazzo dei Priori in caso di disordini competeva infatti ai cavalieri che ubbidivano al D., stando almeno ai termini del contratto di assoldamento dell'ottobre 1310 (Archivio di Stato di Firenze, Riformagioni, Atti pubblici,1310, ottobre, 2a metà).

Nel novembre 1308, in sede di Parlamento della Lega guelfa, i rappresentanti del governo fiorentino caldeggiarono - sembra con successo - la candidatura del D. a capitano generale delle truppe mercenarie al servizio dei Comuni collegati, una carica periodicamente rinnovabile alla quale, peraltro, il D. aveva già avuto accesso almeno l'anno precedente. Tra la primavera e l'autunno 1309 si registrano due irruzioni del D. nel territorio d'Arezzoi seguite nel febbraio 1310 da un fatto d'armi presso Cortona, che vide gli Spagnoli comandati dal D. prevalere sugli Aretini di Uguccione Della Faggiuola. Al volgere dell'estate poi, il D. e i suoi mercenari contribuirono alla vittoria dei Perugini sulla coalizione ghibellina capeggiata da Todi, conseguita il 5 settembre sotto le mura della città.

Frattanto, oltre ai successi militari che suscitavano l'entusiasmo dei Fiorentini, il D. andava collezionando onorificenze, donativi e benefici feudali. Sono da assegnare a un anno non posteriore al 1310 la concessione al D. del titolo di gran camerlengo del Regno e l'investitura della contea di Caserta, confermatagli da re Roberto nel novembre 1317 insieme con la contea di Montorio. Di quest'ultima il D. venne investito solo nel 1312-13. Si trattava di una cospicua fortuna, sulla cui entità ragguaglia, sia pure parzialmente, l'inventario dei beni ereditati dal primogenito Francesco, redatto il 23 marzo 1327.

La discesa di Enrico VII di Lussemburgo in Lombardia rappresentò il segnale della mobilitazione generale per i ghibellini italiani non meno che per i loro avversari di Parte guelfa. Al fine di impedire al re di marciare su Bologna, i Comuni aderenti alla Lega toscana ammassarono truppe nella città emiliana. Firenze, da parte sua, il 26 giugno 1311 vi fece affluire il D. - da appena venti giorni nuovamente eletto capitano generale "tallie societatis Tuscie et partis Guelfe", per i successivi sei mesi (Consigli..., I, 2, p. 549) - con una comitiva di quattrocento cavalieri catalani. Nel luglio successivo Giliberto de Centelles, vicario angioino in Romagna, con l'aiuto del D. fece prigionieri numerosi notabili del partito ghibellino della regione. Tuttavia, a nulla valse che il D. presidiasse i centri della Lunigiana e le strade di collegamento tra Genova e Pisa per impedire il passaggio di Enrico VII in Toscana. Ai primi del marzo 1312, il re, che aveva passato l'inverno a Genova, raggiunse ugualmente Pisa via mare, da dove proseguì alla volta di Roma. Qui egli il 29 giugno cinse la corona imperiale, nonostante l'opposizione armata dei guelfi, tra i quali si erano segnalati per combattività il D. e suo cognato Berengario Carroccio.

Richiamato in Toscana, il D., nel vano tentativo di frenare l'avanzata dell'imperatore verso Firenze, il 18 sett. 1312 fu messo in rotta dalle truppe imperiali nei dintorni di Incisa. Crollava così il mito dell'invincibilità dei combattenti catalani e lo stesso prestigio del D. ne usciva piuttosto scosso.

A giudicare dal carteggio della Repubblica, che mai abdicò all'usuale tono deferente nei riguardi del D., nulla sembrava mutato nelle reciproche relazioni; ma dietro il velo della diplomazia le cose andavano diversamente. Lo dimostra in primo luogo il contegno tenuto dalle autorità fiorentine nei giorni immediatamente successivi, quando l'imperatore stava accampato vicino alla città e il D. con gli altri difensori di Incisa era ormai rientrato a Firenze. A arduo non interpretare come una prova di sfiducia della Repubblica verso il maresciallo il gesto di affidare al comandante dei rinforzi senesi Berengario Carroccio la difesa di Firenze mediante la simbolica consegna delle chiavi della città e di "uno stendardo co' l'ansegna di parte guelfa e della legha [che] avevano con Lucha e con Siena" (Cronache senesi, p. 95). Analogamente, alla scadenza di un ulteriore periodo di comando del D. al vertice dei reparti mercenari della lega, nel dicembre 1312 i Comuni collegati non solo non gli conferirono più l'incarico, ma dettero facoltà agli ambasciatori diretti a Napoli di trattare con re Roberto del reclutamento di nuovi mercenari, nonché "de certo experto duce et capitaneo tallie dictorum milituni" da destinare alla Toscana e all'Emilia (Consigli, I, 1, pp. 586, 607; Ferretus, Historia, V, p. 192). Malgrado tutto il D. restava il capo dei mercenari al servizio di Firenze e, come tale, si rese ancora protagonista di imprese, con fortuna alterna, fino a quando nell'estate 1313 non fu destituito dalla carica di maresciallo e destinato ad altro incarico.

La successiva presenza del D. a Ferrara è connessa con la cessione del governo della città che Clemente V agli inizi del 1313 aveva fatto a Roberto d'Angiò, già da quasi un triennio rettore della Romagna per conto del pontefice. Nel febbraio 1314 il D. fu mandato in questa città a sostituire il vicario regio Adenolfo d'Aquino. Quattro mesi dopo il D. fece ritorno a Firenze, non senza aver prima atteso a consolidare con ogni mezzo - inclusi l'esilio e la presa di ostaggi - il dominio guelfo-angioino in Ferrara.

La promozione a vicario angioino in Romagna (con il titolo di comes Romandiolae)non impedì al D. di prender parte, il 29 ag. 1315, alla battaglia di Montecatini dove le forze della lega guelfa subirono una sconfitta senza precedenti ad opera delle armate ghibelline di Uguccione Della Faggiuola, signore di Pisa. La pessima prova fornita dal D. in questa occasione accentuò la disistima dei Fiorentini per l'ex maresciallo, al segno che nel gennaio 1316un suo intervento nei negoziati, tesi ad assicurare a Giacomo II il sostegno dei Comuni toscani per la conquista della Sardegna, fu reputato dannoso dagli stessi ambasciatori del re aragonese a Firenze.

La momentanea assenza del D., e l'immediato propagarsi della notizia della disfatta di Montecatini, il 2 sett. 1315, offrirono il destro ai ghibellini romagnoli per occupare militarmente Forlì. Per recuperare la città il D. assunse una serie di iniziative militari, in intesa operativa con i Cesenati, tra il novembre 1315e il luglio 1316.Verificata sul campo l'impraticabilità di una soluzione di forza del problema, al D. non restò che sottoscrivere il 12 sett. 1316la pace con i Forlivesi e trasferirsi a Ferrara da Cesena, dove aveva risieduto con la famiglia fin dal maggio precedente.

Già il 20 febbr. 1317 è attestata la presenza di un luogotenente del D. in Romagna. Si tratta di Alfonso de Vadio (o de Vayllo), destinato a succedergli nella carica di vicario generale (cfr. B. Azzurini, Liber rubeus,in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXVIII, 3,a cura di A. Messeri, p. 202).Insieme con lui il D. prese una serie di misure punitive contro i Riminesi a motivo di una vera o presunta cospirazione, le quali furono revocate da Giovanni XXII nel settembre del 1318,allorquando il titolare del vicariato generale in Romagna non risulta più essere il D. ma Alfonso. Quanto alla cronologia degli avvenimenti riminesi, è improponibile una datazione posteriore al luglio 1317,visto che il 4 agosto, quando esplose la rivolta anticatalana a Ferrara, il D. aveva già lasciato la città ed era ritornato a Napoli, dove si trattenne forse ininterrottamente fino a novembre inoltrato.

Poco dopo Roberto d'Angiò lo chiamò a ricoprire gli uffici di vicario regio in Firenze e di capitano generale ad guerram in Toscana; nell'ultima decade di dicembre 1317 infatti il D. appare già insediato in città e nel pieno esercizio delle sue funzioni. Documenti d'archivio del febbraio 1318gli attribuiscono anche le qualifiche di vicario di Prato e di Pistoia.

Nel marzo 1318 una convocazione a Napoli per non meglio precisati "gravi interessi del papa e del re" (Caggese, II, pp. 29s.) interruppe il lungo, anche se discontinuo e mutevole, sodalizio politico-militare tra Firenze e il D., il quale, congedatosi definitivamente dalla Repubblica, si ritirò a vivere nel Regno di Napoli, dove prese ad occuparsi preferibilmente degli affari di famiglia. Una delle rare informazioni che non lo mostrino in veste di amministratore delle proprie sostanze, in lite con privati o con la sede vescovile casertana, è del novembre 1324, allorché il D. si apprestò a partire per una spedizione allestita dagli Angioini contro la Sicilia. Il 15 maggio 1325fece testamento. La morte lo colse lo stesso anno o nei primi Mesi dell'anno seguente.

Dal primo matrimonio con Domicella erano nate due figlie, Caterina e Agnese. Dopo la morte di Domicella, nel febbraio 1315 il D. si risposò con Odolina Chiaromonte che gli dette quattro figli: Francesco (morto nel 1359), Simone, Violante e Isabella.

Il D. è ricordato in una novella del Boccaccio (VI, 3) come "gentil uom. catalano dal corpo bellissimo e via più ... grande vagheggiatore"..

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