DINAMICA

Enciclopedia Italiana (1931)

DINAMICA (dal gr. δύναμις "forza"; fr. dynamique; sp. dinámica; ted. Dynamik; ingl. dynamics)

Antonio SIGNORINI

La dinamica si prefigge, come suo problema principale, la determinazione del moto di un qualsiasi corpo naturale sotto una qualsiasi sollecitazione, sostituendo cosi l'indagine causale dei fenomeni di moto a quello studio puramente descrittivo dei fenomeni stessi, che è il solo compito della cinematica (v.). È una legge dinamica la legge newtoniana di gravitazione universale, mentre ha carattere esclusivamente cinematico la descrizione del moto dei pianeti attorno al Sole racchiusa nelle celebri leggi di Keplero.

Come la cinematica è caratterizzata, in confronto della geometria, dall'aggiunta della nozione di tempo ai concetti fondamentali geometrici (v. cinematica, n. 1 segg.), così la dinamica si fonda e si sviluppa, oltre che sui concetti cinematici, sulle idee primitive di massa e di forza. La dinamica include come caso particolare l'indagine causale dei fenomeni di quiete (v. statica). Viceversa il d'Alembert (quasi a giustificare lo sconcertante diniego di Parmenide d'Elea) ha indicato come l'impostazione di un qualsiasi problema dinamico possa ridursi a una questione di statica.

Dinamica del punto.

1. Generalità. - Nella meccanica razionale, anzi in tutta la fisica matematica, si chiama sistema ognuno degli schemi puramente ideali con cui viene rappresentata una generica parte dell'Universo per rendere possibile l'applicazione dell'analisi matematica a descrivere i più svariati fenomeni, conformemente a un criterio d'indole semplificativa comune a ogni ricerca scientifica: isolamento e successiva sovrapposizione delle circostanze fenomeniche.

Lo stesso corpo, a seconda del fenomeno da studiare, può essere ritratto da sistemi profondamente diversi. Così la Terra in alcuni capitoli della sismologia viene presentata come un solido elastico; la si assimila invece a un sistema indeformabile nella teoria della precessione degli equinozî; e semplicemente la si riduce a un punto materiale - cioè a un punto dotato di una certa massa - in tutte quelle questioni di meccanica celeste nelle quali, di fronte alle enormi dimensioni del sistema solare, perdono ogni importanza tanto le dimensioni della Terra quanto il suo moto di rotazione propria. Analogamente un proiettile viene trattato come un punto materiale in quasi tutta la balistica esterna, mentre occorre rappresentarlo come un sistema di dimensioni finite se si vuol rendersi conto dell'effetto della rapida rotazione impressagli dalla rigatura dell'arma; e neppure può essere assimilato a un sistema indeformabile quando si voglia dettarne le norme costruttive.

Il sistema "punto materiale" è a un tempo il più semplice e il più importante dell'intera meccanica. Direttamente, questo schema s'impone tutte le volte che le dimensioni di un corpo siano piccolissime in confronto a quelle di cui si vogliono considerare i rapporti, e non abbiano alcuna importanza nel fenomeno preso in esame né l'orientamento del corpo (quando lo si pensi rigidamente girevole attorno a uno qualunque dei suoi punti), né l'eventuale reciproca mobilità delle sue parti. Indirettamente, si è ricondotti allo stesso schema da ogni teoria molecolare; anzi, anche da ogni teoria atomica che non ripudii il modello del Rutherford. E se pure, per motivi di convenienza analitica, si rappresenta un corpo con un sistema continuo, sempre alla nozione di punto materiale si viene ricondotti quando, escludendo un'indefinita differenziazione della materia e applicando l'analisi classica, si tratta il sistema come un aggregato d'innumerevoli elementi singolarmente omogenei. Né infine è da dimenticare che ricerche analitiche originate da problemi di dinamica del punto hanno avuto la più vasta esplicazione entro e fuori della meccanica; lo stesso contributo portato dal Newton alla formazione del calcolo infinitesimale deriva dalla volontà di svelare il significato meccanico delle leggi sperimentali di Keplero.

Non può sorprendere che la dinamica del punto - e con essa l'intera dinamica - sia una creazione di tempi relativamente recenti. Le esperienze più elementari impongono un rapporto causale tra forza e movimento, ma questo non poteva esser messo a nudo altro che da un'analisi estremamente penetrante e dopo l'abbandono della concezione geocentrica dell'Universo. Nell'impiego delle armi più rudimentali, le forze muscolari, quelle che risultano dalla tensione di un arco, ecc., hanno brevissima durata e si traducono in un impulso direttamente misurato dalla velocità di lancio. Quando si trascina un carico sopra un suolo orizzontale, le resistenze passive rapidamente conducono a una velocità di regime dipendente dalla trazione. Onde appare ben naturale che un empirismo grossolano suggerisse ad Aristotele il principio di proporzionalità tra forza e velocità (invece che tra forza e accelerazione). Aristotele sarebbe forse assurto al principio che in assenza di forze il moto di un punto materiale è indefinitamente rettilineo uniforme (cioè, al principio d'inerzia) se non avesse preferito risolvere un certo dilemma con la negazione del vuoto. Così la grande autorità di cui egli godeva nel Medioevo rappresentò per parecchi secoli un gravissimo ostacolo alla comprensione dei fenomeni meccanici.

Con Galileo, senza possibilità di contestazione, nasce la dinamica e insieme il metodo sperimentale. La dinamica di Galileo concerne specialmente il moto dei gravi. Essa si trova esposta nell'opera Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica ed i movimenti locali, la cui prima edizione comparve a Leida nel 1638; ed è superfluo ricordare che gli scritti del grande fiorentino occupano uno dei primi posti anche tra i classici della letteratura italiana.

Lo sviluppo della dinamica del punto continua con Huygens, che in Horologium oscillatorium sive de motu pendulorum ad horologia aptato demonstrationes geometricae (Parigi 1673) determina la forza centrifuga concomitante a ogni moto di rotazione, precisando così, in un caso particolare, l'influenza del sistema di riferimento sull'aspetto del moto. L'opera del Huygens e i contributi di Galileo e di Keplero al trionfo del sistema copernicano, aprono la via al Newton per assurgere a una sistemazione della meccanica che è ancora uno dei più potenti fattori di progresso scientifico. Nei Philosophiae naturalis principia mathematica (Londra 1687) l'interdipendenza tra forza e movimento viene universalmente precisata da un principio che in linguaggio moderno si presta all'enunciato seguente. Sulla Terra e fuori della Terra, per ogni punto materiale P

dove la massa è assunta come una caratteristica intrinseca del corpo rappresentato da P, invariante di fronte al moto del corpo anche se varia la direzione della forza rispetto a quella della velocità; e per forza può intendersi la risultante di tutte le forze esplicate sul corpo dal resto dell'Universo, senza però che i corpi molto lontani portino uri contributo sensibile.

Attenendoci alle attuali notazioni vettoriali, di regola scriveremo la (N) nella semplice forma

Perché quest'equazione abbia un senso, occorre specificare un sistema di riferimento pel moto di P: se no l'accelerazione, come la velocità, resta del tutto indeterminata anche quando sia stato raggiunto un accordo circa la misura delle lunghezze e dei tempi.

Nella sistemazione newtoniana viene ammessa la rigorosa validità della (1) per il moto rispetto alle stelle fisse; cioè, convenzionalmente si attribuisce un'immobilità assoluta al numerosissimo insieme di quelle stelle tra cui non si riscontra da secoli alcun sensibile cambiamento di posizione relativa, neppure quando si cerchi di ricavare dall'effetto Doppler una misura delle loro variazioni di distanza rispetto alla Terra.

È quasi superfluo il rilievo che nella (1) è implicito il principio d'inerzia nella sua forma più completa, in quanto essa stabilisce che se, a partire da un certo istante, si annulla identicamente la risultante F, a partire dallo stesso istante pure identicamente si annulla l'accelerazione di P (il che è caratteristico dei moti rettilinei uniformi; v. cinematica, n. 12) qualunque possa essere stato il moto di P fino all'istante in questione; e viceversa.

Per quanto riguarda le reciproche azioni di due punti materiali, la sistemazione newtoniana ammette che esse si propaghino istantaneamente, e quindi estende alla dinamica il principio statico della reazione opposta all'azione, postulando che non solo in condizioni di quiete, ma anche in condizioni di moto, tutte le volte che il punto materiale P è soggetto, per la presenza di un altro punto materiale Q, all'azione di una certa forza F, a questa fa riscontro una forza direttamente opposta − F esercitata da P su Q; il che implica la coincidenza della retta di applicazione di F con la retta PQ.

Secondo la legge di gravitazione universale, due masse puntiformi m′ e m″, alla distauza ρ, in quiete o in moto, reciprocamente si attraggono con una forza di grandezza fmm″/ρ2, ove f indica una costante dipendente solo dalla scelta delle unità di misura (costante del Gauss), fin dal 1797 determinata dal Cavendish con dirette esperienze di laboratorio: poi ne furono compiute parecchie altre determinazioni con mezzi sempre più precisi, tutte d'accordo nell'assegnare a f in unità "C. G. S." il valore 6,7 × 10-8.

La legge di gravitazione universale si uniforma al principio, sostanzialmente galileiano, che per ogni insieme di punti materiali in assenza di azioni estranee la rapidità di variazione dello stato dinamico istante per istante dipende solo dallo stato statico: nel senso che le accelerazioni dei singoli punti istante per istante sono perfettamente individuate dalla posizione relativa dei punti medesimi. Lo stesso può ripetersi per ogni forza centrale, cioè per tutte le attrazioni o ripulsioni tra punti materiali, d'intensità variabile solo con la mutua distanza (forze di coesione, ecc.). Questo non toglie che nel suo imponente sviluppo la dinamica newtoniana, pur fuori dell'ambito dei cosiddetti fenomeni ereditarî e indipendentemente da ogni mira di applicazioni elettrodinamiche, abbia dovuto permettere che accanto alle forze puramente posizionali prendessero posto anche forze dipendenti dalla velocità, specialmente per proporzionare allo schema "punto materiale" gli elementi rappresentativi delle resistenze di mezzo, degli attriti, ecc. Per analogo motivo spesso si ricorre a forze direttamente dipendenti dal tempo; e perfino è stato permesso a qualche questione astronomica d'introdurre nel dominio della dinamica newtoniana masse variabili da istante a istante.

La convalida di ognuna di queste ammissioni d'indole pratica resta sempre subordinata all'obbligo che la loro collaborazione con la (1) permetta d'individuare l'accelerazione a ogni istante in cui siano note posizione e velocità. Caratterizzare una tale dipendenza equivale a ricondurre il problema dinamico nell'ambito del calcolo infinitesimale: in quanto corrisponde a stabilire un sistema di equazioni differenziali del 2° ordine, atto a individuare il moto non appena siano assegnate posizione e velocità iniziali.

Tutto ciò che si riconnette alla critica dei precedenti principî, dal Newton all'Einstein, è diffusamente esposto sotto la voce meccanica: mentre i più importanti problemi di dinamica del punto hanno una trattazione autonoma (v. gravitazione; balistica; pendolo, ecc.). La presente trattazione non è quindi altro che un'introduzione alle teorie generali della dinamica newtoniana; redatta in modo da anticipare esempî espressivi dei criterî da seguire per mettere in equazione un generico problema dinamico e avviare la sua trattazione analitica, senza che venga invaso il campo della teoria degli urti (v. impulsivo, moto) e tanto meno quello delle teorie statistiche, che per la loro sempre crescente importanza trovano adeguato sviluppo altrove (v. meccanica statistica).

2. Meccanica universale e meccanica terrestre. - È ben risaputo che la concezione newtoniana, pur additando le stelle fisse come sistema di riferimento fondamentale, lascia al riferimento terrestre un assoluto diritto di precedenza in tutte le questioni tecniche. La diretta applicazione della (1) ai problemi di meccanica terrestre porta a un'approssimazione che, per fortuna del progresso scientifico, non poteva essere avvertita dai mezzi sperimentali di Galileo; e anche oggi, nella maggior parte dei casi, resta superiore a quella fisicamente raggiungibile nelle misure. È questo il substrato della sistemazione newtoniana, desunta con formidabile potenza di induzione da principî sperimentali di meccanica terrestre: se il giorno fosse stato molto più breve, la meccanica avrebbe forse avuto con Galileo e dopo Galileo uno sviluppo del tutto diverso.

Quando si riferisce il moto di un punto P a un triedro mobile, bisogna ben distinguere l'accelerazione che si osserva, cioè l'accelerazione relativa αr, dall'accelerazione assoluta αa, a meno che il moto assoluto degli assi mobili proprio non si riduca a un moto traslatorio uniforme. In generale (teorema di Coriolis; v. cinematica, n. 29) istante per istante αa risulta dalla somma geometrica di αr con due altre accelerazioni: 1. l'accelerazione di trascinamento ατ, cioè l'accelerazione assoluta del punto rigidamente connesso agli assi mobili pel quale P transita all'istante considerato; 2. il doppio dell'accelerazione complementare αc, la quale dipende dalla velocità relativa vr di P, nonché dalla velocità angolare assoluta ω del triedro mobile; e precisamente, ove si pensino sia vr sia ω applicati in P, è misurata dall'area vrω sen vrω del parallelogramma costruito sui due vettori, è diretta normalmente al piano del parallelogramma e ha verso concorde a quello che assumerebbe vr per effetto di una rotazione di 90° attorno a ω nel senso della rotazione del triedro mobile.

L'applicazione del teorema di Coriolis trasforma la (1) in

presentando così il prodotto della massa per l'accelerazione relativa come risultante di F e delle due forze apparenti −mατ, −2mαc, che rispettivamente si sogliono chiamare forza di trascinamento e forza centrifuga composta; donde la regola generale che i problemi di moto relativo si trattano come problemi di moto assoluto, pur di aggiungere alle forse effettive le due forze apparenti (la seconda delle quali spontaneamente si classifica nella categoria delle forze dipendenti dalla velocità). Le due forze apparenti identicamente si annullano allora e allora soltanto che la terna mobile sia una terna inerziale o galileiana (cioè sia animata rispetto alle stelle fisse da un qualsiasi moto traslatorio uniforme).

Nel caso speciale che gli assi mobili si pensino solidali alla Terra, basta riferire le forze apparenti al moto di rotazione diurna, identificandolo con un moto rotatorio uniforme di velocità angolare ωT diretta secondo l'asse polare e misurata in secondi di tempo solare medio da 2π/86164. Invero il moto traslatorio di rivoluzione attorno al Sole, per intervalli di tempo abbastanza piccoli rispetto al suo periodo di un anno, può ritenersi uniforme: e neppure il moto di trascinamento dell'intero sistema solare verso la costellazione di Ercole porta un contributo sensibile alle forze apparenti perché (almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze) può ritenersi anch'esso traslatorio uniforme. D'altra parte in un moto rotatorio uniforme di velocità angolare ω l'accelerazione sempre e ovunque è orientata normalmente verso l'asse e ha come misura il prodotto di ω2 per la distanza normale dall'asse. Quindi, in ultima analisi, nel moto relativo alla Terra la forza di trascinamento resta confusa con la forza centrifuga x = mωTQP (fig. 1). Al tempo stesso la forza centrifuga composta φ rimane individuata, nel modo suindicato, da ωt e vr; ciò che può scriversi:

Sempre nel caso del moto relativo alla Terra si raggiunge un'ulteriore semplificazione della (2) distinguendo in F l'attrazione terrestre A dalla risultante y di tutte le altre forze applicate a P. Secondo la legge di gravitazione universale l'attrazione complessiva A1 esplicata da tutti gli elementi materiali della Terra sull'unità di massa concentrata in P, al pari della corrispondente forza centrifuga ωT2QP e della somma geometrica

dipende esclusivamente dalla posizione di P rispetto alla Terra: mentre, risultando A = mA1, alla (2) può darsi la forma definitiva

Una conseguenza di questa relazione generale è che per l'equilibrio relativo di P rispetto alla Terra (αr = 0, vr = 0, φ = 0) occorre che sia y = − mg: e questo corrisponde a dire che rappresentando con p il "peso" di P, cioè la forza che occorre vincere per raggiungere tale equilibrio relativo, si ha

Il vettore g viene così a definire l'orientamento della verticale discendente; mentre la sua grandezza - pur variando un poco, in conformità della (4), con la latitudine del luogo e altre cause di minor rilievo - resta, in Italia, sempre prossima a 980 cm./sec2.

Va pure osservato che nella maggior parte delle applicazioni tecniche la forza centrifuga composta - in quanto la sua grandezza non può mai superare 2mωTvr - risulta trascurabile in confronto al peso grazie alla esiguità di ωT: i suoi effetti non si avvertono nettamente altro che per le massime velocità della balistica, ovvero quando si realizzino circostanze molto favorevoli alla loro manifestazione per lo scopo di provare sperimentalmente la rotazione terrestre (cfr. n. 4 e n. 11, in fine).

In conclusione la (5) fornisce la regola: la (1) può direttamente applicarsi al moto relativo alla Terra, purché si sostituisca all'attrazione terrestre il peso e, ove occorra, si tenga conto anche esplicitamente della rotazione terrestre con l'aggiunta della forza centrifuga composta. Anzi, quando tale aggiunta risulti superflua, le leggi del moto relativo alla Terra senza alcuna modifica possono estendersi a ogni osservatore in moto traslatorio uniforme rispetto alla Terra (principio galileiano di relatività). Nel seguito (più precisamente, fino al n. 8) ci riferiremo sistematicamente alla (1) con l'intesa di una tacita applicazione della regola ora stabilita a tutti i problemi di meccanica terrestre: ove si trascurino le forze centrifughe composte, brevemente diremo che si trascura la rotazione terrestre.

Da (4) e (6) segue p = m(A1 + ωT2QP). A rigore quest'espressione di p resta subordinata alla possibilità (finora ammessa implicitamente) di trascurare la differenza d tra i contributi dell'attrazione degli astri (Terra esclusa) in F e in mατ; ma, salvo che nella teoria delle maree, ciò è più che giustificato, perché δ non raggiunge un seimilionesimo di mg neppure quando le influenze del Sole e della Luna si sommano. A ogni modo attraverso la legge di gravitazione universale si ritroverebbe la proporzionalità del peso (che ha una definizione di carattere statico) alla massa (che ha una definizione puramente dinamica): cioè, come talvolta si dice, l'identità della massa pesante con la massa inerte.

3. Moto dei gravi. - Applichiamo la (1) ai moti di caduta dei corpi pesanti o gravi abbandonati a sé stessi con una certa velocità iniziale: si tratta proprio del problema che, reso fecondo dal genio di Galileo, dette vita alla dinamica.

In una prima approssimazione rinunziamo - come il Galilei stesso esplicitamente fece - a ritrarre l'effetto della resistenza dell'aria e trascuriamo pure la rotazione terrestre e la lieve variabilità di g. In tale approssimazione, per effetto della proporzionalità tra peso e massa, la (1) semplicemente fornisce

cioè il moto - qualunque sia la natura del corpo schematizzato in P - si presenta come un moto sotto accelerazione costante g (v. cinematica, n. 14). È questo, in linguaggio moderno, il riassunto delle leggi di Galileo: ed è pur questo il motivo sostanziale del privilegio conferito alla gravitazione dalle teorie relativistiche.

In conseguenza di (7) g s'identifica con la variazione nell'unità di tempo del vettore velocità v: cioè, rappresentando con v0 il valore di v all'istante iniziale t = 0, all'istante generico t risulta

Questa formula mette in evidenza che, quando manca la velocità iniziale (v0 = 0), il grave cade lungo la verticale y con velocità sempre proporzionale a t (moto uniformemente accelerato). Da ciò lo stesso Galilei (con un ragionamento che resta a rappresentare il primo esempio di calcolo di un integrale definito) dedusse che il cammino percorso dal grave nell'intervallo di tempo (0, t) è lo stesso che si avrebbe se in (0, t) il moto fosse uniforme con velocità eguale alla media tra la velocità iniziale v0 = 0 e la velocità finale v = gt, cioè è espresso da gt2/2. Quando invece mancasse il peso, ci troveremmo nel dominio del principio d'inerzia, riducendosi il moto a un moto rettilineo uniforme di velocità v0 lungo la linea di proiezione. Nel caso generale, corrispondente al tiro di un'arma da fuoco comunque orientata, in conseguenza di (8) il moto risulta composto dei due ora considerati: nel senso che per raggiungere la posizione P del punto all'istante t, basta comporre il vettore P0C di lunghezza gt2/2 orientato verticalmente in basso, col vettore P0I di lunghezza v0t orientato come v0 (fig. 2). La traiettoria appartiene quindi interamente al piano di tiro P0IC: e riferendo questo piano agli assi cartesiani ortogonali P0xy segnati in figura, come espressione delle coordinate di P si trova

non appena s'indichi con ϕ l'angolo di proiezione, cioè l'angolo (contato positivamente verso l'alto) formato dall'asse dell'arma, e quindi da v0, con l'orizzontale x.

Le (9) - equazioni del moto - dànno luogo a una risoluzione quasi immediata di un qualsiasi problema relativo al tiro. Così, ricavando t dalla 1ª e sostituendo nella 2ª, si ottiene come equazione della traiettoria (parabola ad asse verticale volgente la concavità verso il basso)

Da questa, ad es., risulta (ponendo y = 0) che quando, come nel caso in figura, sia ϕ > 0, la gittata G, cioè la lunghezza della corda OB, è data da

Fissata v0, G assume il suo massimo valore

per sen 2 ϕ = 1, cioè per ϕ =45°.

Queste conclusioni, come tutte le altre che possono trarsi dalle (8) e (9), non hanno ormai per la balistica che un valore molto relativo. Con le velocità impresse dalle moderne bocche da fuoco, basta la resistenza dell'aria per modificare radicalmente il moto del proietto: ad es., per una palla da fucile con la velocità iniziale di 625 m./sec., la (10) darebbe Gmax ≅ 40 km., mentre si è constatato sperimentalmente che la gittata massima supera di poco i 3 km. (e corrisponde a un angolo di proiezione di circa 32°, invece che di 45°). Solo per armi rudimentali, quali le bombarde, con proiettili molto pesanti animati da piccole velocità iniziali, può darsi un valore concreto alla teoria dei moti sotto accelerazione costante: ad es. nella guerra mondiale le tavole di tiro (sperimentali) delle bombarde corte da 240 mm., per le bombe da 87 kg. e la carica di lancio corrispondente a v0 = 100 m./sec., davano Gmax ≅ 1 km. per ϕ ≅ 45°, cioè un valore in ottimo accordo con la (10).

Più spesso riesce conveniente l'uso indiretto delle formule relative al moto dei gravi nel vuoto, per stabilire delle condizioni sufficienti alle finalità del tiro. Così, ad es., dall'osservazione che a parità di gittata e di angolo di proiezione tra l'origine e il punto di caduta B la traiettoria nell'aria sempre sovrasta alla traiettoria nel vuoto, si ricava una regola molto semplice e utile per il tiro sopra ostacoli di armi da trincea (lanciabombe Stokes, ecc.).

4. Influenza della rotazione terrestre. - Abbandonando un grave senza velocità iniziale, alla bocca di un pozzo di miniera abbastanza profondo (per permettergli di percorrere un cammino abbastanza lungo in aria molto tranquilla) si osserva che il grave devia un poco dalla verticale verso Est. È questo un effetto della rotazione terrestre, come il Newton stesso precisò con un'acutissima analisi che può essere evitata riprendendo il problema trattato al numero precedente (nel caso v0 = 0) senza trascurare la forza centrifuga composta: cioè - cfr. (3) - sostituendo (7) con

Quest'equazione vettoriale, dove simultaneamente sono incognite α e v, è dell'identico tipo di quella che (per valori di v piccoli in confronto alla velocità della luce) regola il moto di un elettrone in un campo elettromagnetico costante e può completamente integrarsi senza difficoltà. Ma volendoci limitare al caso v0 = 0, conviene tener conto anche dell'esiguità di ωT, valutando la forza centrifuga composta come se in essa la dipendenza di v da t fosse quella medesima v = gt, che esattamente risulta per ωT = 0; il che corrisponde a semplificare (11) in

Il procedimento ora seguito rientra concettualmente in un metodo classico della meccanica celeste: il metodo delle perturbazioni, che sempre può riuscire utile pel calcolo approssimato d'azioni di carattere secondario.

Siano (fig. 3): λ la latitudine del posto P0 dell'esperienza; r la parallela per P0 all'asse terrestre; π il piano verticale per r, cioè il piano del meridiano. Dalla definizione stessa dell'accelerazione complementare segue che ωT ⋀ gt ha la grandezza ωTgt cos λ, è normale a π e orientato verso Ovest: onde il vettore −2ωT ⋀ gt non è altro che il vettore di grandezza 2ωT gt cos λ, orientato secondo la tangente al parallelo verso E.

Assumiamo la terna cartesiana ortogonale (x, y, z) nel modo indicato in figura, ricordando che le componenti di v e di α rispettivamente coincidono con le derivate prime e con le derivate seconde rispetto a t delle coordinate di P: e adottiamo la convenzione - che sempre manterremo nel seguito - di distinguere con uno, due, ... punti sovrapposti la prima, seconda, ... derivata rispetto al tempo. Con questo la (12) si tradurrà nelle tre equazioni scalari

Integrando e tenendo conto delle condizioni iniziali (x = y = z = 0, ú = ÿ = ä = 0 per t = 0) si conclude

cioè, che nell'approssimazione adottata: 1. il moto si svolge nel piano xy; 2. il moto della proiezione di P sulla verticale per P0 non è perturbato dalla rotazione terrestre; 3. al generico istante di caduta si ha una deviazione verso Est di grandezza ωTgt3 cos λ/3. Se l'integrazione approssimata della (11) si spinge più oltre riferendo il suo secondo membro proprio al valore di v che risulta dalle (14), si è condotti a prevedere per il grave cadente, oltre la deviazione orientale, un'altra, assai più lieve, verso Sud o verso Nord secondo che P0 appartenga all'emisfero boreale o all'australe: precisamente l'ultima delle (14) resta sostituita da

5. Influenza della resistenza dell'aria. - Per un solido di rotazione che, lontano dalla Terra, si muovesse in un fluido omogeneo e indefinitamente esteso con moto traslatorio uniforme diretto come il suo asse, almeno in assenza di moti intrinseci del fluido, la resistenza di mezzo dovrebbe, causa la simmetria, riassumersi in una forza sovrapposta all'asse stesso del solido; e la grandezza di questa forza non potrebbe variare altro che con la supposta velocità di regime. In accordo a questa illazione, per un solido che comunque si muova in un qualsiasi fluido, allo schema punto materiale si connette sempre la rappresentazione della resistenza di mezzo mediante una forza R, di orientamento opposto alla velocità istantanea v del punto e di grandezza dipendente da v, oltre che dal mezzo e dalla costituzione geometrica del solido. In altri termini, all'atto della schematizzazione del solido in un punto materiale: 1. si scinde il solido dal fluido ambiente, rinunziando a un'analisi minuta delle forze molecolari; 2. con un'approssimazione, che quasi potrebbe chiamarsi aristotelica, si attribuiscono a un moto qualsiasi le proprietà di un ipotetico moto di regime, con la riserva di valutare opportunamente gli effetti di eventuali moti intrinseci del fluido e, se occorre, tener conto dell'azione indiretta della gravità con la semplice detrazione della spinta archimedea dal peso; 3. si ricorre all'esperienza per costruire una conveniente espressione di R.

L'espressione di R ormai universalmente adottata è

dove: μ rappresenta la densità locale del fluido; A l'area investita, cioè l'area della proiezione del solido sopra un piano normale a v; α un fattore di forma, più precisamente un numero positivo che dipende dalla forma (non dalle dimensioni) del solido e dall'orientamento di questo rispetto a v; f (v) una funzione sperimentale del solo argomento v, caratteristica del mezzo in esame e naturalmente nulla per v = 0. Qualunque sia il fluido, non soltanto f (v), ma anche f (v)/v risulta sempre crescente al crescere di v. Anzi tanto per l'aria quanto per l'acqua il modo di variare di f (v) con v è tale che in massima si può ritenere: 1. f (v) proporzionale a v - resistenza viscosa - per v 〈 2 m./sec.; 2. f (v) proporzionale a v2 - resistenza idraulica - per v compreso tra 2 e 200 m./sec. (cioè fino a valori di v alquanto superiori a quelli finora raggiunti dai più veloci aeroplani).

Per velocità più rilevanti, quali sono quelle che più interessano la balistica, la f (v) non si mantiene affatto proporzionale al quadrato della velocità, seguendo una legge non esprimibile in termini finiti esatti, ma già ripetutamente ritratta in diagrammi e tabelle numeriche. Nella balistica, di solito, al tempo stesso che si adotta come sistema di misura il sistema pratico (m., kg.-peso, sec.), si riferisce la f (v) all'unità di massa del proietto, col nome di ritardazione: e trattandosi sempre di proietti rotondi stabili sulla traiettoria (cioè, che sensibilmente mantengono il loro asse nella direzione di v lungo tutta la traiettoria) si scrive

restando α sostituito dal puro coefficiente di forma i, mentre C indica il coefficiente balistico = p/1000 a2 (p peso, a semicalibro del proietto) e F (v) la funzione resistente del Siacci = gπf (v)/1000.

Il problema principale della balistica esterna viene così a tradursi nello studio del moto di un punto materiale P sotto l'azione simultanea della forza costante p e della forza

variabile in grandezza e direzione con l'incognita velocità istantanea del punto: anzi, realizzandosi ormai anche tiri dell'altezza di qualche chilometro, non si può sistematicamente prescindere dalla variazione della densità dell'atmosfera con la quota del proietto; e pur quando ciò risulti lecito (tiro teso) ma non si accettino leggi di resistenza particolari e mal rispondenti alla realtà, all'intervento della funzione sperimentale F (v) si accompagnano difficoltà analitiche notevoli, le quali, causa l'entità della resistenza di mezzo, neppure possono essere eluse dal metodo delle perturbazioni.

Lo stesso intervento della F (v) - data l'incertezza inerente alla deduzione di F′ (v) da un diagramma o da una tabella numerica per F (v) - rende necessarî speciali riguardi nell'uso del metodo delle perturbazioni per la soluzione dei problemi secondarî della balistica esterna (effetto del vento, della variazione di g col posto di P, della rotazione terrestre, della rotazione del proietto attorno al suo asse, ecc.). All'opposto, le particolari condizioni di disagio normalmente concomitanti al tiro di guerra, impongono la traduzione dei risultati analitici in regole estremamente semplici e tabelle numeriche (o grafici) del più facile uso.

Sono questi i principali motivi per cui, fin dal secolo scorso, la balistica esterna ha preso uno sviluppo autonomo che, naturalmente, tanto in Italia quanto all'estero ha ricevuto notevolissimo impulso dalla guerra mondiale (v. balistica: Balistica esterna).

Un problema che molto semplicemente si tratta in applicazione della (15) è quello della libera discesa di un grave nell'atmosfera, quando si prescinda dall'effetto della rotazione terrestre e si ritenga valida la legge di resistenza idraulica (il che trova la sua giustificazione nel fatto che nel vuoto il grave acquista la velocità di 2 m./sec. in circa 0,2 sec., mentre impiega più di 20 sec. a superare la velocità di 200 m./sec.).

Assumendo dunque f (v) = Kv2, con K = cost. e ponendo V2 = mg/KαA, la (1) resta ridotta alla semplice forma

L'integrazione di questa equazione differenziale non presenta alcuna difficoltà, ma non è neppure necessaria per rendersi conto dell'andamento del moto. In primo luogo si può osservare che si ottiene una soluzione particolare della (16) semplicemente assumendo v = cost. = V. Invece per v V il 2° membro è ≷ 0 a seconda che v V; cioè il moto risulta accelerato (ù > 0) ad ogni istante in cui sia v V e ritardato non appena v superi V. Supposto allora v0 V (ad es. v0 = 0) si riconosce subito che, a partire dall'istante t = 0, v va continuamente crescendo, senza mai oltrepassare V, ma avvicinandosi indefinitamente a tale velocità critica (crescente col peso). Per avere un'idea dell'ordine di grandezza di V (riferendoci anche qui al sistema di misura pratico) assumiamo per il prodotto Kα il valore che corrisponde agli ordinarî paracadute, cioè Kα = o,08. Risulta allora V approssimativamente eguale al triplo di √mg/A; ad es. per il peso di un quintale collegato a un paracadute di 5 0 6 m. di raggio (il che rende l'area investita di circa 100 mq.) si può presumere un valore di V intorno ai 3 m./sec., valore in massima non pericoloso.

Riprendendo il problema senza prescindere dalla rotazione terrestre, si trova che la resistenza dell'aria può ostacolare in modo sensibile la deviazione orientale dei gravi e percentualmente ancora di più la deviazione nel senso del meridiano.

6. Forze elastiche. - Trattiamo un altro problema di meccanica terrestre assumendo nella (1)

con e = cost. > 0; supponiamo cioè che la F sia una forza centrale, nulla ove P coincida col punto fisso O e altrimenti orientata da P verso O con grandezza proporzionale a r = ∣ OP ∣.

È questo il comportamento tipico delle forze elastiche concomitanti alle piccole deformazioni dei solidi, come fin dal 1676 venne messo in evidenza da R. Hooke col celebre enunciato ut tensio, sic vis: e va notato che l'ipotesi (17) è assai meno schematica di quanto possa sembrare a prima vista.

Invero, poniamoci nel caso (apparentemente molto più generale) che P sia soggetto a un numero qualunque di forze del tipo

con ei = cost. > 0, oltre che a una forza costante p (coincidente o no col peso). Introduciamo il baricentro G degli n punti fissi Oi caricati di masse proporzionali ai rispettivi coefficienti ei con la posizione cosueta (v. gravità)

dove è sottinteso

Basta allora far coincidere O con l'estremo libero del vettore p/e applicato in G (in modo da avere e•OG + p = 0) perché, qualunque sia la posizione di P,

s'identifichi con e•PO: al tempo stesso rimane acquisito per G il significato di posizione d'equilibrio naturale del punto materiale P sollecitato dalle n forze elastiche Fi e per O quello di posizione d'equilibrio spostato, corrispondente alla sollecitazione addizionale (costante) p.

Mantenendo, come sempre faremo, l'indice 0 a contrassegnare il riferimento all'istante iniziale t = 0, trattiamo, per semplicità, il solo caso v0 = 0. Un'0vvia veduta di simmetria rende convinti che in questo caso la traiettoria di P deve interamente appartenere alla retta OP0. Assumiamo questa retta, orientata nel verso O P0, come asse x, facendo coincidere l'origine delle ascisse con O. Le (1) e (17) restano allora riassunte dall'unica equazione scalare = − ex, la quale, posto ω = √e/m, si riduce alla equazione dei moti armonici (v. armonico: Moto armonico)

Quest'equazione è soddisfatta da

comunque si scelgano le due costanti r e ϑ0: viceversa, basta la presenza di tali due costanti arbitrarie per garantire che l'equazione differenziale del 2° ordine (18) non può avere altre soluzioni oltre le (18′).

Naturalmente i valori delle due costanti arbitrarie vanno commisurati alle circostanze iniziali del moto. In conseguenza di (18′) le due condizioni x0 = ∣ OP0 ∣, v0 = o rispettivamente si traducono in ∣ OP0 ∣ = r cos ϑ0 e 0 = −ωr sen ϑ0, ad es. in ϑ0 = 0, r = ∣ OP0 ∣. Resta così perfettamente precisata la legge del moto

Immediata conseguenza della (19) è che ad ogni istante ∣ OP ∣ ≤ ∣ x ∣ ≤ ∣ OP0, v = ∣ ú ∣ ≤ ω ∣ OP0 ∣. Basta dunque che l'iniziale perturbazione dello stato d'equilibrio in O (misurata da ∣ OP0 ∣) sia convenientemente piccola, perché in tutto il corso del moto l'elongazione e la velocità di P si conservino arbitrariamente piccole: cioè, la posizione d'equilibrio spostato O è stabile (e lo stesso può ripetersi per la posizione d'equilibrio naturale G in assenza della forza addizionale p).

Oltre alle proprietà comuni a tutti i moti armonici, la (19) mette in evidenza che la massima elongazione δ di P da P0 si verifica agl'istanti in cui t transita per un multiplo dispari di π/ω ed è doppia di ∣ OP0 ∣. In particolare, se P0 coincide con la posizione d'equilibrio naturale G, si ha δ = 2 ∣ OG ∣ = 2p/e: insomma, nel moto oscillatorio provocato dalla brusca applicazione della forza addizionale p allo stato naturale di P, l'elongazione di P rispetto a G raggiunge il doppio del valore corrispondente al semplice passaggio dalla configurazione d'equilibrio naturale alla configurazione d'equilibrio spostato. È questo embrionalmente il motivo per cui il disarmo di una costruzione deve essere sempre graduale. Con un semplice calcolo si potrebbe riconoscere che, in accordo con una proprietà generale dei sistemi elastici (teorema di Clapeyron) nel passaggio di P da G ad O solo la metà del lavoro di p risulta adoperata a vincere le forze elastiche; l'altra metà si trasforma in energia cinetica (destinata a dissiparsi in conseguenza delle inevitabili resistenze passive).

7. Forze centrali. - Passiamo a un tipo di problemi che accomuna la meccanica celeste con la fisica atomica e molecolare, prendendo in esame il moto relativo di due punti materiali P, O, di rispettive masse m, M, i quali agiscano l'uno sull'altro con una qualsiasi forza centrale (gravitazione universale, forza elastica, attrazione o ripulsione elettrostatica, ecc.). Detto u il vettore unitario orientato come OP, la forza esplicata da O su P (eguale e direttamente opposta, per il principio di reazione, alla forza esplicata da P su O) sarà del tipo −ϕ (ρ) u, ove s'indichi con ϕ (ρ) una generica funzione della sola distanza ρ dei due punti, positiva o negativa a seconda che si tratti di forza attrattiva o ripulsiva; e basterà assumere ϕ (ρ) = fmM/ρ2 per ridursi al caso della gravitazione universale (problema dei due corpi), ϕ (ρ) = eρ (con e >0) per ridursi a quello delle forze elastiche, ecc. Volendo, anche le forze costanti possono farsi rientrare nella categoria delle forze centrali (centro all'infinito, ecc.).

Siano αP e α0 le accelerazioni assolute di P e di O. Una doppia applicazione della (1) fornisce

e successivamente

Poniamo ε = 1 − M/(m + M) > 0, m* = m (1 − ε), e quindi 1/m + 1/M = 1/m*. Nel moto relativo di P rispetto a una terna di assi mobili (x, y, z) d'origine costantemente sovrapposta a O ma orientamento invariabile, l'accelerazione relativa αr di P s'identifica con αP − α0 (perché, risultando traslatorio il moto di (x,y,z), l'accelerazione di trascinamento coincide con α0 e l'accelerazione complementare identicamente si annulla). La (21) può dunque scriversi

esprimendo così che, salvo la sostituzione esplicita di m con m* m, il moto relativo di P rispetto a O viene a essere regolato dalle stesse leggi che regolerebbero il moto assoluto di P, ove O rimanesse fisso: e quindi rientra nella categoria dei moti centrali (v. cinematica, n. 17). Anzi, se M è molto più grande di m (come nel caso della coppia Sole-Terra) m* è pochissimo diverso da m e svanisce nella (22) l'unica traccia della mobilità di O. Riferendo al moto relativo di P rispetto a (x, y, z) tutte le denominazioni e notazioni abitudinarie pel moto assoluto, la traiettoria, per semplice motivo di simmetria, risulta interamente contenuta nel piano OP0v0 (in particolare appartiene alla retta OP0 se v0 ha la direzione di tale retta) e senza diminuire la generalità si può supporre che il moto si svolga proprio nel piano (x, y).

Se la forza è attrattiva e v0 normale a OP0, può darsi che la traiettoria risulti una circonferenza di centro O; per questo occorre e basta che sia m*v020 = ϕ (ρ0). Per una forza di tipo newtoniano - quando cioè sia ϕ (ρ) = k/ρ2 con k cost. - la precedente equazione subito si traduce in v02 = k/m*ρ0. È questa l'unica formula domandata dal Bohr alla dinamica classica nella primitiva costruzione della teoria dell'atomo d'idrogeno: e va ricordato che l'avere in un primo tempo confuso m* con m si risolse in una delle più brillanti conferme della teoria, né più né meno di quanto si era verificato circa due secoli prima per la legge di gravitazione universale in rapporto all'inesattezza sperimentale della 3ª legge di Keplero.

Nel caso generale il problema si tratta sostituendo la (22) con le due equazioni scalari che da essa risultano per proiezione sul raggio vettore OP e sulla nornnale al raggio vettore. Introdotte le coordinate polari ρ, ϑ con le posizioni abituali x = ρ cos ϑ, y = ρ sen ϑ, applicando le formule dei moti centrali (v. cinematica, n. 17), si trova

La prima equazione (integrale delle aree) esprime che le aree descritte dal raggio vettore OP sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle; onde estende a tutti i moti in esame la 2ª legge di Keplero e riconduce la completa determinazione del moto a quella della traiettoria. Per questa ricerca serve la 2ª equazione, che direttamente si presta a individuare l'equazione della traiettoria in coordinate polari. Ad es. nel caso delle forze newtoniane basta effettuare il cambiamento d'incognita u = m* α2/ρ − k perché tale equazione assuma la forma d2u/dϑ2 + u = 0, cioè rientri come caso particolare nell'equazione dei moti armonici; sviluppando i calcoli si trova, conformemente alla 1ª legge di Keplero, che (esclusi i casi di moto rettilineo, caratterizzati dal parallelismo di v0 a OP0) la traiettoria risulta una conica con un fuoco in O, anzi un'ellisse, una parabola o un'iperbole a seconda che v0 ⋚ 2 k/m*ρ0. Nel caso delle forze elastiche ancor più semplicemente si trova che (se v0 non è parallelo a OP0) la traiettoria è sempre un'ellisse di centro O. Sono questi i due soli casi, come dimostrò J. Bertrand, in cui (ove non si faccia distinzione tra punti all'infinito e punti al finito) la traiettoria risulta chiusa, comunque siano fissate le condizioni iniziali del moto; onde la periodicità del moto delle cosiddette stelle doppie rimane ancora una delle migliori prove della validità della legge di gravitazione newtoniana anche fuori del sistema solare. Negli altri casi non è neppure escluso che la traiettoria riempia praticamente tutta un'area piana (nel senso che, fissato ad arbitrio il punto Q entro l'area, P passi infinite volte tanto vicino a Q quanto si voglia): tale ad es. è il tipo di traiettoria che si presenta nella spiegazione relativistica dello spostamento del perielio di Mercurio, ecc.

8. Vincoli e reazioni vincolari: attrito dinamico, forza centrifuga. - La meccanica celeste può essere edificata quasi per intero senza l'intervento di altre forze che quella di gravitazione universale. Ben diverso è il caso della meccanica terrestre, specie pel fatto che in questa sempre si ha a che fare con corpi più o meno ostacolati nella loro mobilità da reciproci contatti, appoggi, connessioni.

Per quanto direttamente riguarda la dinamica del punto, in tutte le questioni di moto di un solido entro un fluido lo schema che s'impone è quello già indicato pel problema principale della balistica esterna: il contatto tra solido e fluido viene rappresentato mediante una forza, variabile con la velocità del punto, ecc. Quando entrano in giuoco contatti tra solido e solido, conviene, se pur non occorre, far risaltare nelle equazioni del moto la sensibile indeformabilità dei solidi, sostituendola con la rigidità perfetta.

Il caso più banale è quello dì un corpo pesante C che strisci sul suolo. Al contatto con C il suolo subisce cedimenti, più o meno lievi a seconda della sua natura. Tutte le volte che tali cedimenti non presentino alcuno speciale interesse e C possa assimilarsi a un punto materiale P, il moto di strisciamento di C si studia imponendo alle coordinate di P di soddisfare in ogni istante proprio all'equazione che definirebbe la superficie del suolo nel suo stato naturale (ad es., a una conveniente equazione lineare, se la superficie del suolo si presenta piana). Così il moto di strisciamento di P viene seguito sopra uno schema - punto materiale appoggiato a una superficie fissa - nettamente distinto da quello adoperato nella trattazione di tutti i precedenti problemi - punto materiale libero -: nonostante che, almeno in linea teorica, nulla impedirebbe di considerare C come un punto materiale libero soggetto alle azioni delle singole particelle del suolo.

L'analisi di casi meno banali porta in definitiva allo schema punto materiale vincolato, intendendosi per vincolo (v. cinematica, nn. 32, 37, 38) ogni condizione imposta a priori alle coordinate e alle componenti della velocità di P, come semplificazione ideale di un fatto provato a posteriori (sensibile indeformabilità di appoggi, tubi, guide; sensibile inestendibilità di fili, ecc.). Per ogni punto materiale vincolato l'equazione fondamentale (1) assume la forma

ove si conservi il simbolo F per indicare la forza attiva o direttamente applicata, cioè la risultante di tutte le forze (effettive e apparenti) che non dipendono dalle circostanze realizzatrici del vincolo; e si rappresenti con R la reazione vincolare.

L'adozione del vincolo elimina la difficile analisi delle forze molecolari sintetizzate da R, ma, in cambio, in quanto lascia R perfettamente indeterminata, aumenta di 3 il numero delle incognite. Questo aumento d'incognite è in parte bilanciato dalla traduzione analitica del vincolo; come nel caso statico, per la parte residua occorre fare appello all'esperienza, domandando a essa convenienti indicazioni circa la R, per ogni tipo di vincolo e per ogni modo di realizzazione di un determinato vincolo. Ad es., nel caso di un punto materiale pesante (F = mg) che strisci sopra una superficie piana molto levigata (fig. 4), di regola l'esperienza avverte che la R con buona approssimazione può assumersi normale a π (e orientata dalla banda di P). Allora, non appena si faccia coincidere Oxy con π, il vincolo resta tradotto da z = 0, mentre vengono aggiunte, come dato sperimentale, le due equazioni

In conseguenza, proiettando la (1)* sopra z si trova semplicemente R = mg cos i; e proiettando la stessa equazione fondamentale sopra x e sopra y si è ricondotti alle leggi del moto dei gravi nel vuoto, salvo la sostituzione del piano di tiro con π, della verticale con la direzione comune alle rette di massima pendenza di π, di g con g sen i.

La natura fisica delle due superficie messe in contatto può profondamente modificare l'andamento del moto, costringendo a sostituire le due equazioni (23) con le due equazioni che traducono le esperienze di Coulomb-Morin o esperienze più recenti: esperienze che - indipendentemente dalla forma della superficie di appoggio σ (e dall'essere σ in quiete o in moto) - si accordano tutte nel presentare R quale risultante di un vettore N - reazione normale - normale a σ e orientato dalla banda di P e di un vettore A - attrito dinamico - tangenziale a σ (fig. 5), anzi di orientamento opposto alla velocità di P (come se si trattasse di una resistenza di mezzo). Le esperienze di Coulomb-Morin portano inoltre a stabilire che il coefficiente d'attrito dinamico

è una frazione propria dipendente solo dalla natura delle superficie messe in contatto e sempre alquanto inferiore al corrispondente coefficiente d'attrito statico f. (v. attrito); esperienze più recenti suggeriscono una certa dipendenza di fd da N e dalla velocità relativa di P, nonché dalla presenza o meno di un lubrificante: e anzi esperienze di laboratorio, di carattere delicato, hanno permesso di constatare il fatto imprevisto che un'estrema levigatezza delle superficie in contatto altera profondamente le leggi dell'attrito.

Riprendiamo lo studio del moto di strisciamento del punto materiale pesante P sul piano inclinato π, adottando le leggi di Coulomb-Morin e indicando con ϕ (come nella statica) l'angolo di attrito, cioè l'angolo acuto (anzi 〈 45°) definito da tang ϕ = fd.

Facciamo coincidere y con la retta di massima pendenza per P0, orientata verso il basso, e per semplicità limitiamoci ai casi in cui v0 ha la direzione di tale retta. Allora, per evidenti ragioni di simmetria, tutto il moto di P si svolgerà sulla retta y, iniziandosi con una fase ascendente o discendente a seconda del verso di v0, precisamente, a seconda che sia ÿ0 ≷ 0. Proiettando la (1)* sopra z troveremo ancora N = mg cos i. Invece, proiettando su y otterremo mÿ = mg sen i − A = mg (sen i ± cos i tang ϕ) col segno opposto a quello di ÿ: cioè ÿ = g*, con g* = g sen (i + ϕ)/cos ϕ nel moto ascendente e ÿ = g sen (i − ϕ)/cos ϕ nel moto discendente. Si conclude che il moto ascendente sarà sempre uniformemente ritardato (ÿÿ 〈 0); mentre il moto discendente sarà uniformemente accelerato o uniformemente ritardato a seconda che predomini l'inclinazione di π o l'attrito (i ϕ), riducendosi a un moto uniforme per i = ϕ (il che dà ragione di un certo procedimento sperimentale per la misura di ϕ ed fd = tang ϕ). Resta sottinteso che a partire da un istante in cui v si annulli, P rimarrà in quiete oppur no a seconda che i sia minore o maggiore dell'angolo di attrito statico. In ogni caso il moto risulta indipendente dalla massa di P: e anche qui ben diversamente andrebbero le cose ove entrasse in giuoco una sensibile resistenza di mezzo.

Per ogni sistema vincolato ha importanza capitale il calcolo delle reazioni dei vincoli: sono queste che, cambiate di senso, rappresentano il cimento sopportato dai dispositivi vincolari e quindi dànno la misura delle precauzioni da prendersi per la sicura realizzazione del moto. Pel punto pesante mobile sopra un piano inclinato la grandezza di R (almeno per quanto riguarda la sua componente normale) non dipende da v, cioè è la stessa che si avrebbe pel punto in riposo. È questa una circostanza particolare, dovuta al fatto che sopra un piano ogni linea è un'asintotica. La (1)* può scriversi R = mα − F, onde in genere è da attendersi un contributo cinetico all'azione − R risentita dai vincoli.

Quando P sia vincolato a muoversi sulla curva c, indicando con n la normale principale (orientata verso il centro di curvatura) e con r il raggio di curvatura di c in P, dalla precedente equazione segue (v. cinematica, n. 12):

indipendentemente da ogni speciale ipotesi sul comportamento dell'attrito dinamico. La Rn ha il nome di reazione centripeta del vincolo. La stessa Rn misura la componente dell'azione esplicata da P sul vincolo, secondo la normale principale orientata dal centro di curvatura verso P; componente alla quale universalmente si dà il nome di forza centrifuga, nonostante che questa denominazione nella teoria dei moti relativi venga adoperata in un senso affatto diverso, per indicare la forza di trascinamento (forza apparente su P) relativa a una rotazione uniforme del sistema di riferimento.

La forza centrifuga ora definita - essenzialmente il contributo cinetico mv2/r si manifesta nell'impiego della fionda con una trazione della mano verso la pietra, tanto più intensa quanto più forte è la velocità e minore è la lunghezza della funicella: è essa che quando una pallina scorre rapidamente in una scanalatura incurvata (ad es. circolare) tende a corroderne l'orlo esterno; ecc.

Non sempre è la forza centrifuga la componente di −R più pericolosa per l'integrità del vincolo: ad es., se i dispositivi vincolari (guide, tubi, ecc.) sono appoggiati a una superficie σ molto resistente, tanto minore sarà il rischio di demolizione del vincolo quanto più esigua sia la componente di −R secondo la direzione normale a c contenuta nel piano tangente a σ. Tale è il caso che si deve prendere in esame quando si voglia calcolare il sopraelevamento della rotaia esterna di un binario in curva, ecc.

9. Principio dei lavori virtuali e teorema delle forze vive. - Per un punto vincolato a muoversi sulla superficie σ gli spostamenti virtuali δP sono tutti e soli gli spostamenti infinitesimi tangenziali a σ (v. cinematica, n. 39), purché s'intenda che se il vincolo dipende dal tempo, nella definizione degli spostamenti virtuali relativi all'istante t si consideri la superficie vincolare nello stato che le compete allo stesso istante (stato attuale). In assenza di attrito (f = 0) la necessaria ortogonalità di R a σ risulta dunque equivalente all'annullarsi identico del lavoro virtuale della reazione vincolare:

Rimane così stabilito in un caso molto particolare il principio dei lavori virtuali (v. statica): "per ogni sistema a vincoli privi di attrito, anche in condizioni di moto il lavoro complessivo delle reazioni vincolari è nullo per ogni spostamento virtuale reversibile, positivo o nullo per ogni spostamento virtuale irreversibile". Lasciando da parte i vincoli unilaterali, per quanto riguarda la dinamica del punto il principio dei lavori virtuali si riassume nell'equazione

da intendersi soddisfatta all'istante t da tutti i δP relativi allo stesso istante; se il vincolo è indipendente dal tempo non c'è neppur bisogno di una tale specificazione, anzi gli spostamenti virtuali non differiscono da altrettanti spostamenti possibili. Ad es., nel caso che P sia ritenuto da una curva, invariabile o variabile col tempo secondo una legge comunque prestabilita, la (24) semplicemente esprime che R è normale in P alla configurazione attuale della curva: condizione la quale può tradursi in un'unica equazione scalare che, aggiunta alle due equazioni del vincolo, basta a bilanciare l'aumento d'incognite inerente all'intervento di R.

Il principio dei lavori virtuali, per qualsiasi sistema a vincoli privi di attrito, attribuisce all'azione meccanica dei vincoli stessi proprietà indipendenti dal modo in cui essi sono realizzati. Bastano le esperienze di Coulomb-Morin a convincere che una tale deduzione può essere accolta solo come una legge limite, inerente al caso ideale dell'assenza perfetta di ogni resistenza passiva. Ciò non toglie che essa riesca utile, almeno come norma direttiva, anche quando non si possa completamente prescindere dall'attrito, purché si abbia cura di controllarla caso per caso con l'indagine diretta delle condizioni fisiche del problema e, se occorre, di modificarla in qualche particolare.

Riprendiamo ora la (1)* per trarne una conseguenza di carattere generale. Riferendoci all'istante generico t e moltiplicando scalarmente i due membri per vdt = dP = spostamento effettivo di P nell'intervallo di tempo infinitesimo (t, t + dt), si trova

non appena si osservi che mα × vdt coincide col differenziale della forza viva T = mv2/2 = mv × v/2 e rispettivamente si rappresenti con dL(a) = F × dP e con dL(v) = R × dP il lavoro compiuto in (t, t + dt) dalla forza attiva e dalla reazione vincolare.

È questo, pel punto materiale, il ben noto teorema delle forze vive: "qualunque siano le forze attive e i vincoli, la variazione della forza viva in ogni tempuscolo coincide col lavoro complessivo effettuato nel tempuscolo medesimo da tutte le forze, attive e vincolari".

Riferendoci al generico intervallo di tempo (0, t) e rappresentandoci L0,t = Lo,t(a) + Lo,t(v) (a seconda che sia ≷ 0) come energia somministrata o sottratta dalle circostanze esterne al corpo schematizzato nel punto materiale, −L0,t misurerà (algebricamente) l'energia ceduta dallo stesso corpo all'esterno. Dato che la (25) può sostituirsi con

potremo anche dire che c'è compenso tra l'energia T che il mobile possiede a ogni istante sotto forma cinetica e l'energia −L0,t che, dall'istante generico t = 0 in avanti, esso va cedendo all'esterno sotto forma di lavoro. Il fondamentale principio fisico della conservazione dell'energia (v.) viene così presentato, almeno per il punto materiale, in una forma puramente meccanica, senza escludere che l'energia - −L0,t possa estrinsecarsi in variazioni di temperatura, di stato elettrico, ecc.

Se i vincoli sono indipendenti dal tempo e privi di attrito, diviene lecito dedurre dalla (24) - cioè, dal principio dei lavori virtuali - l'annullarsi identico di dL(v). Allora il teorema delle forze vive si libera dalle reazioni vincolari, riducendosi a esprimere che qualunque vincolo privo d'attrito e indipendente dal tempo dà luogo a un'esatta, reciproca trasformazione del lavoro delle forze attive in energia cinetica:

10. Integrale delle forze vive. - Nel caso del punto materiale pesante, ove si pensi l'asse y orientato come la verticale discendente, la (26) si traduce in dT = mg × dP = mgdy: e questa, fatta coincidere l'origine degli assi con P0, equivale a

ovvero a v2v02 = 2gy. Tale risultato non va soggetto ad alcuna correzione quand'anche si voglia tener conto della rotazione terrestre, perché la forza centrifuga composta è sempre normale a v, cioè a dP.

La (27) estende a un qualsiasi valore di T0 e a un qualsiasi vincolo indipendente dal tempo e privo d'attrito un celebre principio galileiano: "nel vuoto, un punto materiale pesante che parta da una determinata quota e dal riposo, tanto se cade liberamente, quanto se scorre sopra un piano inclinato privo d'attrito, attraversa uno stesso piano orizzontale con la stessa velocità".

La (27) rientra invece come caso molto particolare in un'importantissima relazione tra posizione e velocità del mobile, verificantesi per qualsiasi punto materiale libero o soggetto a vincoli privi d'attrito e indipendenti dal tempo, tutte le volte che la risultante F della sollecitazione attiva sia una forza conservativa (ovvero differisca da una forza conservativa solo per una forza sempre normale a v). Invero, se la F è conservativa (v. forza) esiste una funzione uniforme U (x, y, z) - potenziale di F - tale che il lavoro compiuto da F in (0, t) coincide con UPUP0 comunque si svolga il moto in (0, t); il che equivale all'identità, in ogni posizione di P, tra la derivata di U secondo la generica direzione orientata e l'omologa componente di F. In conseguenza, escluso ogni lavoro di reazioni vincolari, la (25′) si traduce nell'integrale delle forze vive:

con E = cost. = T0U0.

Per F = mg si può assumere U = mgy e si ricade sulla (27): nel caso più generale di una qualsiasi forza centrale −ϕ (ρ) u (cfr. n. 7) emanante dal punto fisso O,

perché le derivate parziali di

rispetto a x, y, z coincidono con i corrispondenti coseni di direzione di OP; e se P è libero, la (28), combinata con l'integrale delle aree, dà un sistema perfettamente equivalente alle (22′). Per la forza di gravitazione universale risulta U = fm M/ρ + cost., per le forze elastiche U = −eρ2/2 + cost., ecc.

In ogni caso l'energia ceduta dal punto all'esterno, a meno di un'inessenziale costante additiva, risulta rappresentata da Π = − U = energia di posizione o energia potenziale di P. Onde la (28) viene a esprimere il principio di conservazione dell'energia sotto una forma più ristretta, che assimila il corpo schematizzato nel punto materiale a un sistema isolato da tutto il resto dell'Universo e dotato di due forme fondamentali di energia (cinetica e posizionale) capaci di trasformarsi l'una nell'altra, senza che si alteri la loro somma.

11. Piccole oscillazioni nell'intorno di una posizione di equilibrio stabile: pendolo sferico, pendolo semplice, pendolo del Foucault. - Il punto pesante P sia vincolato a muoversi sopra una superficie σ, fissa e priva di attrito; la quale (sempre supposto y orientato come la verticale discendente) abbia per equazione y = f (x, z). Evidentemente saranno posizioni di equilibrio per P tutte e sole quelle in cui il piano tangente a σ risulta orizzontale, quelle cioè che annullano tanto ∂f/∂x quanto ∂f/∂z. Sopra σ (a meno della solita inessenziale costante additiva) l'energia potenziale di gravità si riduce a Πσ = −mgy = −mgf (x, z); onde le posizioni di equilibrio restano pure caratterizzate dalla proprietà di render soddisfatte le condizioni principali di minimo o massimo per la Πσ.

Siano: O una posizione d'equilibrio che corrisponda a un minimo effiettivo della Πσ e che d'ora innanzi assumiamo come origine di (x, y, z); π0 il piano tangente in O a σ; πh il piano orizzontale sovrastante a π0 alla distanza h. Almeno per valori convenientemente piccoli di h, πh staccherà da σ un intorno superficiale σh di O, del quale O sarà sempre il punto più basso, nonché il limite per h → 0.

Supponiamo allora che P0 appartenga a σh/2 e insieme sia T0 mgh/2. Dall'integrale delle forze vive, pel solo fatto che T non può essere negativa, seguirà Π 〈 T0 + Π0 mgh: onde tutto il moto di P si svolgerà dentro σh e nemmeno potrà Π assumere valori negativi; il che - attraverso una seconda immediata applicazione del teorema delle forze vive - permette di asserire che in tutto il corso del moto sarà pure T mgh. La condizione che O corrisponda a un minimo effettivo della Π (x, z) è sufficiente affinché, perturbando abbastanza poco l'equilibrio, si dia luogo a un moto, in cui P eternamente si mantenga prossimo quanto si vuole a O, con forza viva piccola quanto si vuole; cioè essa è sufficiente perché la posizione di equilibrio O sia stabile (cfr. n. 6). Questo risultato rientra come caso molto particolare in un teorema del Dirichlet (cfr. n. seg.).

Nelle piccole oscillazioni di P attorno a O, R = − mg + mα può essere confuso col componente −p* di −mg secondo la normale a σ, perché, per ipotesi, R è puramente normale, mentre l'esiguità di v permette di trascurare in confronto a p* l'omologo componente di mα (che non può mai superare il prodotto di mv2 per la curvatura della traiettoria). Al tempo stesso l'esiguità degli spostamenti di P da O, combinata col fatto che in O la f (x, z) si annulla insieme alle sue derivate prime, permette: 1. d'identificare lo sviluppo di f (x, z) in serie di Mac-Laurin con la forma quadratica

2. di trascurare y in confronto a x e z, cioè di confondere P con la sua proiezione Q su π0: 3. di assumere come componenti di p* semplicemente −mgf2/x, mg, −mgf2/∂z. Ripensando alla (1)* si conclude che il moto di P può intendersi definito dal sistema differenziale

dove anzi la forma quadratica f2, in conseguenza della condizione di minimo effettivo in O per la Π (x, z) = − mgf (x, z), non può esser altro che definita negativa; ove ciò non si verificasse, insieme col minimo effettivo verrebbe a mancare anche la stabilità dell'equilibrio in O, secondo il teorema del Ljapunov (Liapounoff).

In genere, finché l'orientamento di Oxz rimane arbitrario in π0, è da supporre (∂2f/∂xz)0 ≠ 0; ma si può anche pensar ridotta la f2 a forma canonica particolarizzando Oxz nella coppia ortogonale Ox1x2 costituita dalle tangenti in O alle linee di curvatura di σ. Nell'espressione ridotta

la costante positiva ri (i = 1, 2) viene a coincidere col raggio di curvatura in O della sezione di σ mediante il piano Oxiy. Per effetto di una tale riduzione, posto ωi2 = g/ri (i = 1, 2), le (29) assumono la forma

restando in definitiva stabilito che le piccole oscillazioni di P attorno a O, comunque si particolarizzino la posizione e la velocitä imziale, possono sempre considerarsi come risultanti da due moti armonici di centro O e di periodi

diretti secondo le tangenti in O alle linee di curvatura di σ; ovvero, se r1 = r2, secondo due qualsiasi rette ortogonali tangenti in O a σ. Il caso di eccezione si presenta ad es. pel pendolo sferico - punto pesante ritenuto da una sfera fissa priva di attrito - pel quale r1 ed r2 s'identificano col raggio l della sfera, facendo coincidere le due (31) in

In questo caso le piccole oscillazioni si riducono a moti periodici ellittici (quali si hanno per un punto materiale libero soggetto a forza elastica) degenerando in un moto rettilineo tutte le volte (e allora soltanto) che la velocità iniziale sia complanare alla verticale per O; allora il pendolo sferico sostanzialmente non differisce più da un pendolo semplice - punto pesante ritenuto da una circonferenza appartenente a un piano verticale e priva di attrito - onde la (32) può anche interpretarsi come l'espressione quantitativa della legge galileiana d'isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo.

La periodicità delle piccole oscillazioni sussiste (insieme all'algebricità della traiettoria) tutte le volte che il rapporto τ12 = √r1/r2 è razionale; quando invece i due periodi non sono tra loro commensurabili, il moto è generalmente aperiodico, anzi la traiettoria riempie praticamente tutto un intorno superficiale di O (cfr. n. 7, in fine). Quando si voglia tener conto della rotazione terrestre, il teorema del Dirichlet conserva intatto il suo valore, perché l'integrale delle forze vive è indifferente all'aggiunta della forza centrifuga composta. Ricorrendo (come al n. 4) al metodo delle perturbazioni e completate le (30) con le omologhe componenti della forza centrifuga composta, si trova subito che, alla latitudine λ, quando il pendolo sferico viene abbandonato a sé stesso senza velocità iniziale da una posizione prossima a quella di equilibrio stabile, per effetto della rotazione terrestre il piano d'oscillazione ruota uniformemente, attorno alla verticale del luogo, nel verso da est a ovest attraverso il sud, compiendo un intero giro in ore 24/sin λ. Queste previsioni della teoria da quasi un secolo hanno avuto la loro completa conferma in una celebre esperienza di J.-B. Foucault (v.); la deviazione però, del piano di oscillazione del pendolo era già stata osservata dagli accademici del Cimento.

12. Vibrazioni libere in generale. - Sempre supponendo P ritenuto dalla superficie fissa σ priva d'attrito, generalizziamo la F in una qualsiasi forza conservativa, continuando a indicare con O un punto di σ nel quale presenti un minimo effettivo la funzione Πσ cui si riduce sopra σ l'energia potenziale Π. Riprendendo le considerazioni del num. precedente si trova ancora che: O è una posizione d'equilibrio stabile (teorema del Dirichlet), assunto Πσ = 0, nell'intorno di O si può confondere Πσ con π2 = (b1 x12 + b2 x22)/2, dove b1, b2 denotano due cost. > 0, dipendenti dal tipo di sollecitazione e dall'andamento della superficie vincolare in O, mentre x1, x2 si riferiscono a due assi ortogonali tangenti in O a σ, i quali, se b1b2, rispettivamente segnano su σ le direzioni di minimo e di massimo incremento di Πσ a parità di ∣ OP ∣; posto

le piccole oscillazioni di P attorno a O sono definite dalle (30), ecc.

Generalizziamo ancor più la F, aggiungendo alla generica sollecitazione conservativa una resistenza di mezzo, la quale per piccole velocità non potrà essere che una resistenza viscosa: R = − bv, con b costante positiva (v. n. 5). Il teorema del Dirichlet conserverà ancora intatto il suo valore, perché ogni resistenza passiva non può che favorire la stabilità dell'equilibrio; invece le (30) verranno sostituite da

con i significati delle xi ed ωi or ora convenuti e 2h = b/m > o. A una conclusione perfettamente analoga si giunge quando, senza cambiare il tipo di sollecitazione attiva, si supponga P libero o vincolato a muoversi sopra una curva fissa priva di attrito (il che nell'ambito della dinamica del punto esaurisce la totalità dei vincoli olonomi indipendenti dal tempo). In ogni caso sussiste il teorema del Dirichlet e le piccole oscillazioni di P nell'intorno di una posizione di equilibrio stabile - vibrazioni libere - riescono definite da un certo numero di equazioni differenziali lineari omogenee a coefficienti costanti dell'unico tipo

tante quanti sono i gradi di libertà del mobile.

Esattamente la (34) corrisponde ai moti rettilinei di un punto soggetto ad una forza elastica e a una resistenza viscosa. Se la forza di richiamo prepondera sulla resistenza passiva - precisamente, se k > h2 - posto

l'integrale generale di (34) è dato da

cioè non differisce dall'integrale generale (18′) dell'equazione dei moti armonici altro che per il fattore e-ht. È questo il caso dei moti vibratorî smorzati (v. cinematica, n. 16) che ad es. si presenta quando si voglia valutare l'effetto della resistenza dell'aria sulle piccole oscillazioni del pendolo semplice; esse risultano ancora isocrone, nel senso che la loro comune durata

rimane indipendente dalle condizioni iniziali del moto, ma la loro ampiezza va continuamente decrescendo con legge esponenziale. Non diversamente vanno le cose nelle vibrazioni libere di un diapason, vale a dire nelle vibrazioni di un diapason che, una volta eccitato, venga abbandonato a sé stesso in aria tranquilla; e gli esempî potrebbero moltiplicarsi anche fuori della dinamica in senso stretto (scarica oscillatoria di un condensatore, ecc.). Al contrario, se prepondera la resistenza passiva si ha netta aperiodicità: la x tende a zero rapidamente e monotonamente (al più dopo un iniziale, breve stadio di crescenza). Così, per eliminare le oscillazioni degli aghi indicatori negli strumenti di misura, sistematicamente si ricorre a opportune resistenze viscose (provocate da alette mobili nell'aria o magari in glicerina, ecc.); il ricorso all'attrito andrebbe invece a tutto danno della sensibilità dello strumento, perché l'attrito non si annulla con la velocità.

Per brevità non potremo nella dinamica generale accennare ai successivi sviluppi della teoria delle piccole oscillazioni, nonostante che la realizzazione concreta delle posizioni d'equilibrio previste dalla statica analitica resti essenzialmente subordinata alla loro stabilità, ecc.

13. Vibrazioni forzate e risonanza. - Le vibrazioni libere possono essere perturbate, anche profondamente, da cause estranee sulle quali esse non esercitino alcuna controinfluenza apprezzabile, senza neppure bisogno che l'entità di tali cause sia rilevante: esempio tipico quello di un diapason quando il fluido ambiente sia sede di una propagazione di onde sonore. Si ha allora il fenomeno delle vibrazioni forzate, che in una dimensione è regolato, non più dalla (34), ma invece, ove si rappresenti con P(t) una funzione della sola t che definisce l'azione perturbatrice, da ï + 2hú + kx = P(t), sempre con h > 0, k > 0. Se P(t) si riduce a una costante, si ricade sulla (34) non appena si porti l'origine delle ascisse dalla posizione d'equilibrio naturale x = 0 alla posizione d'equilibrio forzato x = P/k. Ma il caso più importante è quello che la P(t) sia funzione periodica di t, caso che, attraverso uno sviluppo in serie di Fourier, sostanzialmente può ricondursi al caso più particolare P(t) = P sen νt, con P e ν costanti positive. Senza alcuna difficoltà (e in modo particolarmente semplice se si ricorre a vettori rotanti) si trova che l'equazione

posto

e γ = arctang (2hν/k − ν2) con l'intesa 0 ≤ γ 〈 π, ammette l'integrale particolare i(t) = j sen (νt − γ). Per h2 k l'integrale generale di (36) è dunque dato [cfr. (35)] da x = e-ht cos (ωt + ϑ0) + i(t) e qualunque siano le condizioni iniziali del fenomeno (caratterizzate dai valori delle due costanti d'integrazione r e ϑ0) al crescere di t tende esponenzialmente a confondersi con i(t); cioè, l'andamento di regime delle vibrazioni forzate rimane definito dal moto armonico x = j sen (νt − γ), che per questo viene chiamato moto residuo. Dalla (37) si ricava che la j, ove la si tratti come funzione della sola ν2, almeno per valori piccoli di ε2 = 4h2/k ha sempre l'andamento del diagramma della figura 6; precisamente presenta un massimo spiccatissimo, di grandezza P/2hω tendente all'infinito con lo svanire di h, per ν2 = k − 2h2 = ω2h2. In altre parole, quando la resistenza viscosa è piccola in confronto all'azione di richiamo, l'ampiezza del moto residuo estremamente si acutizza se l'azione perturbatrice, senza cambiare la sua intensità efficace (caratterizzata dalla cost. P) assume una frequenza poco inferiore alla frequenza delle vibrazioni libere; crescendo anzi indefinitamente via via che, caeteris paribus, si attenui la resistenza viscosa. È questo un caso particolare dei fenomeni di risonanza, il cui studio s'impone oltre che in meccanica anche nei rami più svariati della fisica; perché essi sono suscettibili di applicazioni utilissime in quanto si prestano a rendere percettibili oscillazioni troppo deboli (risuonatori acustici, tachimetro di Frahm per la misura della velocità di rotazione di una macchina o della frequenza d'una corrente alternativa, apparecchi d'emissione e recezione della telegrafia senza fili, ecc.), mentre, all'opposto, possono dar luogo a oscillazioni così ampie da risultare estremamente pericolose (vibrazioni di ponti metallici dovute al passaggio d'una truppa, oscillazione delle vetture ferroviarie al passaggio da una rotaia alla successiva, ecc.).

Nel problema delle vibrazioni forzate la sollecitazione attiva dipende dalla posizione del mobile, dalla sua velocità e dal tempo; cioè

È questo il più generale tipo di legge di forza finora ammesso nei confini della meccanica razionale (cfr. n. 1), per quanto a priori si possa pensare anche a una dipendenza dall'accelerazione, ecc.

14. Punto su traiettoria prestabilita: grandi oscillazioni del pendolo semplice. - Supponiamo che la traiettoria c di P sia nota e, come di consueto, indichiamo con s l'ascissa curvilinea di P contata positivamente in un determinato verso. Proiettando la (1)*, in ciascun punto di c, sulla rispettiva tangente t (orientata nel verso delle s crescenti) si ottiene = Ft + Rt, equazione che in ogni caso concreto [cfr. (38) e numeri 8, 9] si riesce a ricondurre al tipo

con f funzione nota dei tre argomenti indicati.

Il problema meccanico resta così tradotto nell'integrazione di un'unica equazione differenziale del 2° ordine, atta a individuare s (t) non appena assegnati s0 e ô0 (posizione e velocità iniziale).

La (39) di regola non può integrarsi in termini finiti e solo in casi particolari si riesce a integrarla con quadrature. Tra questi ha speciale importanza il caso che la f si riduca a una funzione della sola s; riduzione per la quale è sufficiente che il punto sia ritenuto da una curva fissa priva d'attrito e la F sia puramente conservativa. Ad es. per il pendolo semplice si trova che la durata τ di un'oscillazione completa (dell'ampiezza di 2ϑ0 radianti) si esprime mediante un certo integrale ellittico, che può svilupparsi in serie di potenze dell'argomento sen (ϑ0/2) e precisamente fornisce

riportando alla (32) se ϑ02/16 è trascurabile di fronte a 1.

15. Equazioni del Lagrange, integrali primi; moti spontanei e geodetiche. - Proiettando la (1), sulla terna cartesiana (ortogonale) di riferimento Ox1x2x3 e accennando con Fi le tre componenti della sollecitazione attiva, il problema del moto di un punto materiale libero soggetto a un'assegnata sollecitazione attiva sempre si traduce nell'integrazione d'un sistema differenziale del 2° ordine

atto a individuare le tre funzioni incognite xi(t) non appena assegnati i valori iniziali delle singole x e ú (posizione e velocità iniziali). È superfluo avvertire che anche qui il problema d'integrazione non si può di regola risolvere in termini finiti, ma soltanto mediante sviluppi in serie. In ogni caso l'integrazione rimane agevolata dalla conoscenza di qualche integrale primo del sistema differenziale, designandosi con tale nome ogni equazione della forma ϕ (x, út) = cost., la quale sia conseguenza necessaria delle (40), cioè non contenga le derivate seconde delle funzioni incognite e risulti identicamente verificata (per un opportuno valore della costante a secondo membro) da ogni singola soluzione del sistema. La conoscenza d'integrali primi permette di sostituire tutte le (40) o una loro parte (secondo che si conoscano tre integrali primi indipendenti rispetto alle ú o meno di tre) con equazioni del 1° ordine: quando si possano assegnare più di tre integrali indipendenti intervengono ulteriori semplificazioni.

Lo studio sistematico della questione rientra nella meccanica analitica; ma esistono tipi abbastanza generali della F, per i quali facilmente possono assegnarsi integrali primi. Se la F è conservativa sussiste l'interale delle forze vive:

Se la F (come nel moto dei gravi) ha direzione costante, sopra ogni asse normale a F si ha = cost. = c (integrale della quantità di moto), nonché mx = ct + cost. (moto uniforme della proiezione di P sull'asse x). Se la F è costantemente incidente all'asse x3, F1 ed F2 risultano proporzionali a x1 e x2, onde da (40)1 e (40)2 segue l'equazione m (x1 ï2x2 ï1) = 0 che fornisce senz'altro l'integrale primo x1 ú2x2 ú1 = cost. = α3. Questo integrale primo prende il nome di integrale delle aree o anche del momento delle quantità di moto, in quanto esprime che la velocità areale, rispetto a O, della proiezione di P sul piano x3 = 0 (v. cinematica, n. 10) è costante e = α3/2, oppure, il che formalmente è lo stesso, che è costante il momento della quantità di moto di P rispetto all'asse x3. Nel caso attuale si suole anche dire che vale la legee delle aree sul piano x3 = 0, rispetto al punto O: e si chiama costante delle aree la α3.

Quando F si riduce a una forza centrale emanante da O, insieme con l'integrale delle forze vive, vale la legge delle aree su ciascuno dei piani coordinati. Facendo passare Ox1x2 per P0 e v0, due degl'integrali delle aree si riassumono in x3 = 0, mentre il 3° si riduce alla (22′)1, ecc.

Riprendiamo ora le precedenti considerazioni supponendo P ritenuto da una qualsiasi superficie σ priva di attrito, fissa o variabile col tempo in un modo comunque prestabilito, di equazione

L'assenza d'attrito si traduce nella proporzionalità delle tre componenti R1 della R alle tre ∂f/∂xi calcolate in P; quindi, detta λ un'opportuna funzione incognita di t (moltiplicatore del Lagrange), si può assumere Ri = λ∂f/∂xi (i = 1, 2, 3). Allora, proiettando la (1)* sugli assi coordinati, si ottengono le tre equazioni

che insieme con la (41) costituiscono un sistema atto a individuare in funzione di t le quattro incognite x1, x2, x3 (fondamentali) e λ (ausiliaria) non appena assegnate le condizioni iniziali del moto (compatibilmente col vincolo).

Il sistema (41)-(42) corrisponde, per il punto ritenuto da una superficie, alla 1ª forma delle equazioni dinamiche del Lagrange, estensibile a un qualsiasi sistema olonomo a vincoli privi d'attrito. Si ritorna al punto materiale libero semplicemente supponendo f ⊄ 0; mentre per adattare le (42) al punto ritenuto da una curva basterebbe pensare P come ritenuto da una qualsiasi superficie per la curva. Non insistiamo su questo perché la 1ª forma delle equazioni del Lagrange, mentre offre il vantaggio della simultanea determinazione del moto e del cimento dei vincoli, presenta il grave inconveniente di far corrispondere a ogni equazione vincolare l'aggiunta di un'incognita ausiliaria, invece che l'eliminazione di una delle incognite fondamentali. La riduzione delle incognite al numero minimo è uno dei pregi fondamentali della 2ª forma delle equazioni del Lagrange, cui accenneremo nella dinamica generale (n. 22). Ne costituisce un esempio particolarmente semplice la (39).

Si rilevi che nel caso dei moti spontanei (σ fissa, F ≡ 0) la (1)* direttamente stabilisce che la traiettoria deve essere una geodetica di σ, descritta da P con velocità costante: invero dall'essere α sempre parallela a R (cioè, normale a σ) segue tanto l'annullarsi identico dell'accelerazione tangenziale (moto uniforme) quanto l'identità della normale principale alla traiettoria con la normale a σ.

Dinamica generale.

16. Teoremi della quantità di moto e del momento delle quantità di moto. - Il primo suggerimento di ogni teoria molecolare o atomica è quello di rappresentare un generico corpo naturale (o l'insieme di più corpi) con un numero immenso di punti materiali liberi soggetti ad azioni reciproche (forze interne) nonché ad azioni provenienti dal resto dell'Universo (forze esterne). Naturalmente un tale schema - che per brevità chiameremo schema microscopico - almeno in riguardo al calcolo dei fenomeni che non svelano l'agitazione molecolare, può avere solo carattere provvisorio; ma prima che venga assoggettato a una qualsiasi diminuzione dei suoi gradi di libertà, ovvero ridotto a un sistema continuo, esso si presta alla più semplice deduzione di alcuni teoremi veramente fondamentali.

Detto S un generico sistema di N punti materiali liberi Pr (r = -1, 2, . . ., N), distinguiamo la totalità delle forze agenti su S in esterne e interne, fissando l'attenzione sul fatto che, in conseguenza del principio di reazione, istante per istante, le forze interne devono essere due a due eguali e opposte, cioè costituire un sistema equivalente a zero.

Denotando con e(r) la risultante delle forze esterne agenti su Pr e con i(r) la relativa risultante delle forze interne, dall'equazione fondamentale della dinamica del punto si trae

ovvero, riferendo il moto alla terna cartesiana ortogonale Ox1x2x3,

Analogamente a quanto si fa nella teoria dei moti relativi, d'ora innanzi interpreteremo il vettore −mr αr, applicato in Pr, come una forza fittizia, la forza d'inerzia concernente il punto Pr. Con questo, la surricordata conseguenza del principio di reazione, associata al complesso delle (43) dà luogo al seguente teorema: nel moto di S, istante per istante, il sistema delle forze esterne equivale (vettorialmente) al sistema delle forze d'inerzia cambiate di senso.

Rappresentando con R(e) la risultante di tutte le forze esterne e con M(e) il loro momento risultante rispetto al generico polo C, il teorema si traduce nelle due equazioni:

Supponendo nulle tutte le αr, si ritrovano le equazioni cardinali dell'equilibrio (v. statica). Ma in via d'approssimazione si può ricavare dalle (44), R(e) = 0,M(e) = 0, tutte le volte che le velocità dei singoli Pr variino molto lentamente in grandezza e direzione, ovvero le masse mr siano trascurabili; e di questo spesso si approfitta nella meccanica applicata alle macchine. Tornando al caso generale, ricordiamo (v. quantità di moto) che ove si rappresentino con Q e K la quantità di moto e il momento delle quantità di moto di S,

detta v* la velocità di C, si ha

anzi il termine v* ≿ Q sparisce non solo quando C è fisso (v* = 0), ma anche quando C, istante per istante, vien fatto coincidere con il baricentro G di S (v* = vG), perché, detta m la massa totale del sistema, in ogni caso

Dal semplice confronto delle (46) con le (44) discendono il teorema della quantità di moto o dell'impulso e il teorema del momento delle quantità di moto o della coppia d'impulso: 1. la derivata della quantità di moto di un qualsiasi sistema materiale è, istante per istante, eguale alla risultante delle forze esterne; 2. la derivata del momento delle quantità di moto rispetto a un punto fisso o costantemente sovrapposto al baricentro è, istante per istante, eguale al momento risultante delle forze esterne rispetto al medesimo polo.

Questi due teoremi vettoriali, proiettati sopra una qualsiasi retta di direzione invariabile e passante pel polo, dànno luogo a due teoremi scalari che portano gli stessi loro nomi; i momenti polari rimangono sostituiti da momenti assiali, ecc.

Le due equazioni vettoriali

(o le equivalenti 6 equazioni scalari) si chiamano equazioni cardinali o universali del moto. Esse sono applicabili a ogni sistema materiale, purché il moto (al pari delle derivate vettoriali) venga riferito a una terna inerziale; altrimenti vanno aggiunte alle forze esterne le forze apparenti del moto relativo. Talvolta (e specialmente nella dinamica dei solidi) riescono utili equazioni di tipo misto, ottenute riferendo il moto assoluto a opportuni assi mobili. È pure notevole che, assunto come polo G, l'equazione ridotta

può senz'altro applicarsi anche al moto relativo al baricentro (moto relativo a una terna di assi d'origine G e direzioni invariabili), perché nei due casi identico è il valore di K.

Le equazioni cardinali, in quanto riescono sufficienti a caratterizzare il moto di un generico sistema rigido, direttamente assumono un'importanza fondamentale nella dinamica dei solidi: ma la loro sistematica esclusione delle forze interne porta a qualche risultato estremamente semplice in casi molto più generali. La 1ª delle (48) può esser resa molto più espressiva, trasformandola mediante la (47) in

cioè, nel teorema del moto del baricentro: il baricentro di ogni sistema esattamente si muove come un punto materiale, di massa eguale alla massa totale, sollecitato dalla risultante di tutte e sole le forze esterne. Questo teorema non esclude che le forze interne possano influire sul moto del baricentro pel tramite delle forze esterne; così, se il moto del baricentro di un aeroplano tanto può discostarsi dalle leggi della balistica, è perché, col motore e coi dispositivi di manovra, si riesce a provocare opportune azioni da parte dell'atmosfera. Quando manca o non si manifesta una tale influenza di forze interne, il teorema del moto del baricentro diviene il maggiore incentivo alla sostituzione del sistema con un semplice punto materiale, eventualmente completato da opportuni parametri (elettrone di Stoney, elettrone rotante di Uhlenbeck e Goudsmit, ecc.).

Se R(e) è costantemente nulla, dalla (49) segue αG = 0, cioè il baricentro si muove di moto rettilineo uniforme. Questa notevolissima generalizzazione del principio d'inerzia ha il nome di teorema della conservazione del moto del baricentro. Più in generale ancora, supponendo solo che R(e) sia costantemente ortogonale alla retta fissa r, si trova che è uniforme il moto della proiezione di G su r (integrale della quantità di moto: n. 15).

Analogamente dalla (48′) segue che l'annullarsi identico di M(e) è condizione necessaria e sufficiente affinché durante tutto il moto il vettore K si conservi costante (in grandezza e direzione). In tal caso è costante anche la giacitura del piano perpendicolare a K pel centro di riduzione (implicitamente supposto fisso o coincitlente con G). Un tale piano si chiama piano invariabile del sistema, mentre l'equazione K = cost. ha il nome di integrale del momento (vettoriale) delle quantità di moto. Più in generale, supponendo solo che identicamente si annulli il momento risultante delle forze esterne rispetto a una retta a, fissa o passante pel baricentro e di direzione invariabile, segue dalla (48′) che si mantiene costante il momento risultante Ka delle quantità di moto rispetto alla a. A un tale integrale si dà anche il nome di integrale delle aree nel piano normale ad a, ecc. (cfr. n. 15); quando M(e) ⊄ 0 è pel piano invariabile che la costante delle aree assume la massima grandezza.

Assumendo come polo G, la condizione M(e) ⊄ 0 si trova verificata tutte le volte che e(r)/mr non dipende dall'indice r (peso, ecc.). Più in particolare, per un sistema isolato (R(e) ⊄ 0, M(e) ⊄ 0) simultaneamente sussistono i due integrali vG = cost., K = cost.: tale, ad es., almeno sensibilmente, è il caso del sistema solare, pel quale il piano invariabile si designa anche col nome di piano del Laplace. Rinviamo alla dinamica dei solidi per ulteriori ripetute applicazioni dei precedenti teoremi.

17. Teorema e integrale delle forze vive. - Riferendoci all'istante generico t, moltiplicando scalarmente i due membri di (43) per vr dt = dPr = spostamento effettivo di Pr nell'intervallo di tempo infinitesimo (t, t + dt), e sommando rispetto a r, si trova

non appena si osservi che Σr mr αr × vr dt coincide col differenziale della forza viva

e rispettivamente si rappresenti con dL(e) = Σr e(r) × dPr e con dL(i) = Σr i(r) × dPr il lavoro compiuto in (t, t + dt) dalle forze esterne e dalle forze interne. È questo il teorema delle forze vive nella sua forma più generale (n. 9): "per ogni sistema materiale in un qualsiasi tempuscolo l'incremento della forza viva eguaglia il lavoro di tutte le forze agenti sul sistema".

Il sistema S si dice intrinsecamente conservativo quando la sollecitazione interna è conservativa e il suo potenziale Ui (soddisfacente per qualsivoglia spostamento elementare del sistema all'eguaglianza dL(i) = dUi) non dipende altro che dalle mutue distanze tra i Pr. Senza bisogno di quest'ultima condizione, posto Πi = − Ui = energia interna, il teorema delle forze vive assume la forma

Basta che le forze interne si riducano alle mutue attrazioni newtoniane tra i Pr, perché la precedente condizione si trovi verificata con

dove il simbolo Srs sta a indicare una sommatoria da estendersi a tutte le combinazioni semplici degl'indici r, s tra 1 ed N. A una conclusione perfettamente analoga si perviene sostituendo l'attrazione newtoniana con una generica forza centrale; in modo che sullo schema microscopico non è facile fornire l'esempio d'un sistema che non sia intrinsecamente conservativo (cfr. n. 1, verso la fine).

Riguardo alla sollecitazione esterna convien rilevare che certamente essa è conservativa se ciascuna e(r) non differisce altro che pel fattore mr da un vettore costante g: avendosi allora dL(e) = g × Σr mr dPr = g × mrdG, cioè, orientando z come g, dL(e) = dUe con Ue = mgzG. Per rappresentare influenze estranee sulle quali il moto di S non eserciti una controinfluenza apprezzabile, può anche convenire l'introduzione di sollecitazioni esterne (non conservative) derivanti da un potenziale che dipenda esplicitamente anche dal tempo t (oltre che dalla configurazione di S).

Quando sia conservativa tanto la sollecitazione interna, quanto l'esterna, ove si ponga Π = − UiUe energia potenziale (totale), il teorema delle forze vive dà luogo a una notevolissima relazione tra l'atto di moto e la configurazione del sistema, l'integrale delle forze vive:

Fin qui si è sottinteso il riferimento del moto a una terna inerziale. Passando a una terna qualsiasi, non si altera il lavoro effettivo della sollecitazione interna, perché basta l'equivalenza a zero della sollecitazione per annullare il lavoro di trascinamento; quindi se un sistema è intrinsecamente conservativo rispetto ad assi fissi, lo è pure rispetto ad assi mobili e viceversa, coi medesimi valori dell'energia interna. Nulla di analogo può dirsi in generale per la sollecitazione esterna, ma, essendo sempre nullo il lavoro delle forze centrifughe-composte per effetto della loro ortogonalità alle velocità relative, le (50) e (51) possono sempre estendersi al moto relativo con la sola aggiunta delle forze di trascinamento alle forze esterne. Quando il moto assoluto della terna di riferimento (x, y, z) sia una rotazione uniforme di velocità angolare ω attorno a z, la sollecitazione di trascinamento deriva dal potenziale delle forze centrifughe

il che dà luogo a una notevole estensione dell'integrale delle forze vive, l'integrale di Jacobi.

18. Vincoli e riduzione al continuo. - Il problema foudamentale della meccanica celeste è quello del moto di N corpi reciprocamente molto lontani e soggetti alla legge di Newton. L'impostazione analitica di questo problema (e degli analoghi nella fisica atomica) direttamente è fornita dalle (43) o (43′) quando si assimili ciascun corpo a un punto materiale, s'identifichi la sollecitazione interna con quella di gravitazione universale e si sopprima la sollecitazione esterna. Con questo le (43′) vengono a esprimere ciascuna delle ï in funzione nota delle x, costituendo così un sistema differenziale normale del 2° ordine, atto a individuare il moto non appena ne siano assegnate le circostanze iniziali

Per N > 2 l'integrazione del problema presenta enormi difficoltà, nonostante che si rimanga nel caso in cui tutti i precedenti teoremi dànno il massimo rendimento, fornendo, oltre all'integrale delle forze vive, tre distinti integrali delle quantità di moto e tre integrali delle aree. Ma pur prescindendo dalle difficoltà analitiche, non è da pensare che le (43) possano direttamente servire per tradurre in equazione il più generale problema dinamico, perché l'indagine microscopica delle forze interne si presenta come estremamente spinosa e in un certo senso nemmeno può essere gradita dalla meccanica newtoniana, che s'indirizza solo ai fenomeni macroscopici. Anche qui, come nella dinamica del punto (n. 8), conviene, se pur non occorre, trarre partito dalla nozione di vincolo che, per la sua stessa genesi ottica, spiccatamente si presta allo sfruttamento macroscopico dell'esperienza. Con questo vogliamo alludere alla necessità d'integrare - e magari mitigare - la convenzione cinematica inerente all'imposizione d'un vincolo, mediante opportune convenzioni dinamiche circa le forze attive e le reazioni vincolari. Si ammette sempre che le forze attive, a ogni istante, possano dipendere (e soltanto possano dipendere) dalla configurazione e dall'atto di moto del sistema vincolato (cfr. n. 13, in fine). Nella meccanica newtoniana la dipendenza esplicita della sollecitazione attiva e dei vincoli dal tempo viene adoperata in problemi di moto assoluto solo per evitare ogni superflua estensione dello schema definitivo; forze attive e vincoli restano sempre a rappresentare solo le cause del moto susseguenti all'arbitrario istante iniziale t0, mentre le cause antecendenti s'intendono perfettamente riassunte dall'andamento macroscopico del moto in un intervallo di tempo infinitamente breve susseguente a t0 configurazione e atto di moto per t = t0).

Imponendo a S il vincolo della rigidità (invariabilità delle mutue distanze tra i Pr) i gradi di libertà da 3N si riducono a sei soltanto, cioè allo stesso numero delle equazioni cardinali (scalari). La successiva imposizione di altri vincoli non impedisce che le stesse equazioni rimangano sufficienti a individuare il moto, perché in ogni caso si riesce a bilanciare l'aumento d'incognite dovuto alle nuove reazioni vincolari, aggiungendo alle equazioni dei vincoli le proprietà empiriche delle reazioni (eventualmente ridotte al principio dei lavori virtuali). È così che le equazioni cardinali vengono a costituire la base della stereodinamica, cioè della dinamica dei solidi, pensati come sistemi rigidi. Ogni sistema rigido risulta intrinsecamente conservativo con energia interna invariabile, sì che per ciascun sistema rigido sussiste la (51) nella forma semplificata

Per ricondurre il più generale problema dinamico nell'ambito dell'analisi classica, occorre la riduzione dello schema microscopico al continuo; o con un diretto adattamento dei principî della dinamica del punto ad elementi di volume "fisicamente infinitesimi" (v. massa: Geometria delle masse) o con procedimenti di media negli elementi stessi. Una tale riduzione (al pari del vincolo di rigidità) cancella la disordinata agitazione molecolare e le equazioni lineari (alle derivate parziali) che vengono a sostituire le equazioni cardinali, non ne palesano alcun ricordo. Invece il teorema delle forze vive, pel suo carattere quadratico, deve subire l'intrusione di qualche parametro dell'agitazione molecolare, e macroscopicamente non sopravvive altro che come vassallo del principio di conservazione dell'energia. Solo in assenza di ogni azione interna dissipativa il 2° principio della termodinamica ricostituisce la (51) pei fenomeni isotermi e pei fenomeni adiabatici (con due diverse espressioni della III): ma questo basta per giustificare lo sviluppo esclusivamente macroscopico della dinamica classica.

Il caso di un numero finito di gradi di libertà corrisponde a una costante aspirazione di tutte le scienze tecniche. Nel seguito lo terremo specialmente presente (magari per solo motivo di convenienza formale) senza più insistere sulla natura macroscopica di un tale schema cinematico e delle rispettive sollecitazioni.

19. Principio del d'Alembert, principio dei lavori virtuali, relazione simbolica della dinamicaa. - Riprendiamo le notazioni del n. 16 sottintendendo il sistema S comunque vincolato. Distinta la forza totale agente su Pr nella forza attiva Fr e nella reazione vincolare Rr, le (43) rimangono sostituite da mr αr = F + Rr o dalle equivalenti

e conviene rilevare che, genericamente, mentre le Fr si presentano come funzioni note di t, della configurazione e dell'atto di moto di S, le Rr hanno il carattere di incognite ausiliarie.

Sulle (55) chiaramente si legge che "durante il moto di un sistema materiale comunque vincolato e sollecitato, istante per istante, si fanno equilibrio le forze attive, le forze d'inerzia e le reazioni; cioè, in virtù dei vincoli si ha un costante equilibrio tra le forze attive e quelle d'inerzia". D'altra parte mr αr rappresenta la forza che, qualora Pr fosse libero, basterebbe da sola a imprimergli lo stesso moto ch'esso acquista sotto l'azione combinata dei vincoli e della Fr = mr αr + (Frmr αr). Onde appare evidente il motivo per cui si suol dare il nome di forze perdute alle Frmr αr, riducendo il precedente enunciato alla forma più concisa: "durante il moto di un sistema materiale, comunque vincolato e sollecitato, in virtù dei vincoli si ha un costante equilibrio tra le forze perdute". In questa forma, o in una qualsiasi delle equivalenti, esso prende il nome di principio del d'Alembert (Traité de dynamique, Parigi 1743). Si tratta, sostanzialmente, di un'interpretazione nominale delle (55), la quale però ha un interesse notevole tanto sotto l'aspetto speculativo, quanto riguardo alla discussione dei problemi meccanici; tutte le volte che lo stato di moto non modifichi il comportamento della sollecitazione e delle reazioni vincolari, le equazioni del moto si ricavano da quelle dell'equilibrio sostituendo ogni forza attiva Fr (o componente di tale forza) con la forza perduta Frmr αr (o con la rispettiva componente). Tipico è il caso dei sistemi a vincoli privi d'attrito, pei quali il principio del d'Alembert si concreta nella riduzione delle leggi del moto alla relazione simbolica della statica data dal Lagrange nella sua classica Mécanique analytique (Parigi 1788). Il principio dei lavori virtuali, nella dinamica al pari che nella statica, definisce i sistemi a vincoli privi d'attrito come quelli pei quali le reazioni Rr si esplicano sempre in modo da compiere, per ogni spostamento virtuale, lavoro positivo o nullo, cioè δL(v) ≡ Σr Rr × δPr ≥ 0.

Subordinatamente a esso, le condizioni dell'equilibrio si riassumono nella relazione simbolica

Il principio del d'Alembert conduce quindi, senz'altro, a caratterizzare il moto mediante la relazione

da riguardarsi valida per tutti e soli gli spostamenti virtuali δPr, a partire da una qualsiasi configurazione del sistema. La (56) ha il nome di relazione simbolica della dinamica o del moto: e quando si tratti di un sistema a vincoli esclusivamente bilaterali (cioè a spostamenti virtuali tutti reversibili) si riduce all'equazione simbolica

Nell'uno e nell'altro caso le relazioni vincolari rimangono sistematicamente eliminate: circostanza favorevolissima riguardo alla determinazione del moto, ma totalmente dovuta alla perfetta indifferenza del principio dei lavori virtuali di fronte al modo di realizzazione dei vincoli. Pei sistemi a vincoli scabri la (56) non sussiste altro che a patto di aggiungere, per ciascun Pr, alla risultante delle forze attive la risultante delle reazioni non ubbidienti al principio dei lavori virtuali. Tra le applicazioni immediate della relazione simbolica citeremo l'estensione ai sistemi vincolati dei teoremi del n. 16, insieme a talune conseguenze curiose quanto ovvie (impossibilità della marcia, nonché di un semplice "dietro front" sopra un suolo orizzontale perfettamente levigato, ecc.).

20. Ritorno al teorema delle forze vive: sistemi conservativi. - Se i vincoli sono indipendenti dal tempo, ognuno degli spostamenti elementari subiti dal sistema durante il moto rientra nella categoria degli spostamenti virtuali (v. cinematica, n. 39). Se, di più, i vincoli sono privi d'attrito e bilaterali, a ognuno di tali spostamenti elementari può applicarsi il principio dei lavori virtuali, con la conclusione che il lavoro elementare delle reazioni vincolari è identicamente nullo. Quindi, ove si rappresenti con dL(a) = Σr Fr × dPr il lavoro elementare delle sole forze attive (esterne e interne) per ogni sistema a vincoli indipendenti dal tempo, privi d'attrito e bilaterali il teorema delle forze vive si traduce nell'equazione

facilmente deducibile anche dalla (56′).

Se, di più, la sollecitazione attiva interna è conservativa, designando con Πi,a la corrispondente energia potenziale e con dLe,a il lavoro elementare delle sole forze attive esterne, la (57) assume la forma più espressiva

Nelle questioni di meccanica terrestre (più in particolare, nella teoria delle macchine puramente meccaniche) basta aggiungere l'ipotesi che il sistema consti di più parti, ciascuna delle quali sia intrinsecamente conservativa e d'energia interna invariabile (sistemi rigidi; e anche fili perfettamente flessibili e inestendibili, ecc.), perché la (58) tranquillamente possa sostituirsi con

Aggiungendo l'ipotesi che sia conservativa anche la sollecitazione attiva esterna, la (58) riconduce alla (52) senza alcun contributo della sollecitazione vincolare all'energia potenziale totale Π.

Nel seguito, per ovvio motivo, ci sarà comodo chiamare sistemi conservativi soltanto i sistemi pei quali simultaneamente siano soddisfatte tutte le condizioni che ci hanno ricondotto alla (52), cioè: 1. la sollecitazione attiva sia conservativa; 2. i vincoli siano indipendenti dal tempo, privi d'attrito e bilaterali.

21. Principî generali della dinamica: legami con la geometria differenziale e con l'ottica geometrica. - La relazione simbolica sintetizza le leggi del moto di un qualsiasi sistema a vincoli privi d'attrito. Una diminuzione di generalità quasi viene imposta dall'idea che le forze e i vincoli naturalmente obbediscono a restrizioni, delle quali è indispensabile tener conto nella previsione concreta dei fatti. Ma anche principî logicamente equivalenti alla relazione simbolica possono presentare un estremo interesse, quando permettano di studiare le leggi della meccanica sotto un nuovo punto di vista che faciliti la trattazione di classi abbastanza estese di problemi particolari.

In quest'ordine d'idee, storicamente ha la precedenza il principio della minima costrizione o del minimo sforzo del Gauss, del quale traduciamo quasi alla lettera l'enunciato originale (Giornale del Crelle, IV, 1829): "il moto di un sistema di punti materiali, comunque vincolati e sollecitati, a ogni istante si raccorda il più possibile col moto che essi assumerebbero se divenissero tutti liberi, cioè si svolge con la più piccola costrizione possibile, ove si prenda come misura della costrizione subita in un intervallo di tempo abbastanza breve la somma dei prodotti della massa di ciascun punto pel quadrato del suo scostamento dalla posizione che assumerebbe nel moto libero". Di questo principio è stata data da E. Gugino un'interpretazione molto espressiva come principio di massimo effetto (Atti dell'Accademia dei Lincei, 1928-29).

Rinunziando a parlare del principio della direttissima di Hertz (che pure implica una notevole estensione del principio d'inerzia) insisteremo alquanto sul principio di Hamilton (On a general method in Dynamics, in London Philosophical Transactions, 1834 e 1835), il quale (a differenza del principio di Gauss) sottintende la bilateralità dei vincoli, ma in compenso non limita il suo dominio alla pura dinamica; mentre la sua forma, per estesissime categorie di sistemi, a una estrema semplicità accoppia il pregio d'una grande espressione.

Il principio di Hamilton mette a raffronto il moto effettivo M con quelli che G. A. Maggi chiama moti variati sincroni, cioè con quei moti fittizî infinitamente prossimi a M in cui, a ogni istante t, la configurazione del sistema S, se non coincide con la simultanea configurazione in M, ne differisce solo per uno spostamento virtuale (relativo all'istante t).

Fissati ad arbitrio i due istanti t′ e t″ > t′, integriamo l'equazione simbolica della dinamica tra t′ e t″, sottintendendo i δPr riferiti al generico moto variato sincrono Ms. Detta δT la differenza (infinitesima) che istante per istante intercede tra le determinazioni di T in M e M, aggiungendo la condizione che Ms abbia in comune con M le configurazioni estreme, si ottiene, con una semplice integrazione per parti, la formula variazionale che costituisce il principio di Hamilton:

Effettivamente l'ipotesi che la (60) sussista rispetto a tutti i moti variati sincroni aventi in comune con M le configurazioni estreme, caratterizza M come moto naturale, in quanto permette d'invertire tutto il ragionamento fino a concludere la validità dell'equazione simbolica per ogni t fra t′ e t″.

Basta che la sollecitazione attiva derivi dal potenziale U, perché il corrispondente lavoro virtuale Σr Fr × δPr s'identifichi con la differenza infinitesima δU tra le determinazioni sincrone di U in Ms e M. Allora la (60) può scriversi

e il principio di Hamilton si presta al seguente enunciato: "fissati comunque i due istanti t′ e t″, la funzione principale di Hamilton

non subisce alcuna variazione se in (t′, t″) il moto effettivo viene sostituito con un qualsiasi moto variato sincrono che abbia con esso in comune le configurazioni estreme".

Per una funzione ordinaria non può mancare l'annullamento del differenziale in ogni punto di minimo: analogamente, la condizione δS = 0 appare evidente se M corrisponde a un minimo di S. G. Darboux ha dimostrato che questo si verifica pei sistemi conservativi olonomi almeno quando l'intervallo (t′, t″) non sia troppo grande; donde la conclusione che per tali sistemi non soltanto sussiste l'integrale delle forze vive, T U = cost. = E, ma inoltre, almeno per intervalli di tempo abbastanza piccoli, la differenza S (t″ − t′) tra i valori medî dell'energia cinetica e dell'energia potenziale risulta più piccola nel moto effettivo che non in qualsiasi altro moto avente in comune con esso i vincoli e le configurazioni estreme. Dal punto di vista fisico questa proprietà di minimo può farsi rientrare come caso molto particolare nel principio di equipartizione dell'energia (v. meccanica statistica).

Accanto al principio di Hamilton e a varie sue estensioni, si hanno nella dinamica altri principî che (invece di applicarsi come quelli di Gauss e di Hertz a ciascun istante del moto) mettono a raffronto in ogni intervallo di tempo finito il moto naturale con opportuni moti variati. Tale è il principio dell'azione stazionaria, enunciato dal Maupertuis in una forma un po' vaga e successivamente precisato da Eulero e Lagrange. Pei sistemi conservativi olonomi esso è suscettibile di un'interpretazione geometrica che, per motivi differenti, profondamente ha influito tanto sullo sviluppo della relatività quanto su quello della meccanica ondulatoria.

Il punto materiale P, di massa unitaria, sia soggetto alla sollecitazione conservativa di potenziale U e ritenuto dalla superficie fissa σ. Non appena ci si riferisca a un determinato fascio di traiettorie dinamiche - cioè, non appena si fissi il valore dell'energia totale E - l'integrale delle forze vive individua la grandezza v della velocità in funzione del posto, riducendo così la determinazione del moto a quella della traiettoria, c. Chiamate P′, P″ le posizioni di P ai due istanti t′, t″, poniamo

intendendo l'integrale riferito a uno qualsiasi degli archi di curva che su σ congiungono P′ con P″. Sopra c esso non differisce da

cioè dall'integrale che ormai porta il nome di azione (v. azione minima).

Nel caso dei moti spontanei (U ⊄ cost.; cfr. n. 15) A non differisce dalla lunghezza d'arco altro che per un fattore costante: onde l'arco di c tra P′ e P″, in quanto deve far parte di una geodetica di σ, può dirsi caratterizzato, in corrispondenza a ogni valore di E, dalla proprietà di rendere l'integrale A stazionario (o addirittura minimo se P′, P″ sono abbastanza vicini). La stessa proprietà (insieme con l'integrale delle forze vive) si trova verificata quando si liberi P, nonché il generico arco PP″, dal vincolo d'appartenenza a σ; e la si può anche estendere a un qualsiasi sistema conservativo olonomo, a vincoli indipendenti dal tempo, con n gradi di libertà, identificando in definitiva il problema del moto con la ricerca delle geodetiche della varietà metrica a n dimensioni di elemento lineare

La conclusione formalmente è identica a quella cui conduce, nell'ottica geometrica, il principio di Fermat. In un mezzo trasparente, isotropo ma eterogeneo, la velocità v di propagazione della luce varia in funzione del posto (e soltanto del posto): in quanto che indicando con c la velocità di propagazione della luce nel vuoto e con n(x, y, z) l'indice di rifrazione, sussiste l'eguaglianza v = c/n (equiparabile all'integrale delle forze vive). D'altra parte (principio di Fermat) la curva seguita da un raggio tra due generici punti P′, P″ è caratterizzata dalla proprietà di render minima (o almeno stazionaria) la durata di propagazione della luce, direttamente espressa da

Si conclude che l'andamento dei raggi luminosi è caratterizzato dall'equazione variazionale

Dopo questo, basta richiamare la (62) per riconoscere che "in un mezzo isotropo eterogeneo d'indice di rifrazione n(x, y, z) i raggi luminosi costituiscono altrettante traiettorie dinamiche di un punto materiale soggetto alla sollecitazione conservativa di potenziale n2/2 e precisamente quel fascio di traiettorie che corrisponde al valore zero dell'energia". Ad es., schematizzando le circostanze che dànno luogo al cosiddetto miraggio del Monge nell'ipotesi che n sia funzione crescente e lineare della sola altitudine, si ricade sul caso elementare del moto dei gravi, con l'immediata conclusione che i raggi luminosi hanno andamento parabolico, ecc.

22. Equazioni del Lagrange. - Trasformando la (60) col procedimento abituale del calcolo delle variazioni, per ogni sistema olonomo S a vincoli privi di attrito si ottiene la 2ª forma delle equazioni del Lagrange (cfr. n. 15). A queste equazioni ci si riferisce quando si parla senz'altro di "equazioni del Lagrange". Il loro sconfinato dominio dalla meccanica newtoniana si è esteso a tutte le più recenti teorie fisiche, senza contare le molteplici interpretazioni nell'elettrodinamica classica, ecc. Il Bertrand giudicava fin troppo comodo l'impiego delle equazioni del Lagrange, in quanto dispensa da ogni riflessione sulle relazioni degli effetti con le cause.

Sia, come di consueto, n il numero dei gradi di libertà di S e q1, q2, ..., qn un qualsiasi suo sistema di coordinate lagrangiane indipendenti (v. cinematica, n. 34). In corrispondenza a una qualsiasi configurazione e a un qualsiasi atto di moto di S, per effetto dei vincoli la forza viva T = Σr mr vr2/2 resta individuata dai valori delle 2n + 1 variabili q, ó e t. Precisamente, essa risulta una funzione razionale intera di 2° grado nelle ó, i cui coefficienti, nel caso più generale, dipendono solo dalle q e t.

Per quanto riguarda il lavoro virtuale delle forze attive, in coordinate lagrangiane esso si riassume in un'espressione differenziale nelle n variazioni elementari δq, indipendenti e arbitrarie, inerenti al generico spostamento virtuale:

Ciascuna Qh - componente della sollecitazione attiva secondo la coordinata lagrangiana qh - non può dipendere altro che dalle q, ó e t; e agli effetti del moto (o dell'equilibrio) di S, due diverse sollecitazioni risultano perfettamente equivalenti non appena dànno luogo alle stesse espressioni delle Q. Nel caso particolare che la sollecitazione derivi dal potenziale U(qt) le singole Qh s'identificano con. le corrispondenti ∂U/∂h. Con queste notazioni le preannunziate equazioni del Lagrange costituiscono il sistema differenziale del 2° ordine (normale)

Esse hanno il pregio singolarissimo di dar risalto ai fattori essenziali del moto. Accanto alla T(qót), che unicamente dipende dalla costituzione geometrica e materiale del sistema, intervengono solo le Q, elementi caratteristici della sollecitazione attiva. Tutte le volte che questa derivi dal potenziale U(qt) si può dare alle (63) una forma anche più sintetica, perché, posto L = T + U = funzione lagrangiana o potenziale cinetico, l'indipendenza della U dalle ó permette di sostituire le (63) con le

Dinamica dei solidi.

23. Generalità. - I solidi reali non sono mai perfettamente indeformabili; tuttavia in numerosi problemi dinamici di primaria importanza per le scienze tecniche, per l'astronomia, ecc., l'ipotesi, puramente ideale, di una rigidità assoluta (v. cinematica, n. 20) - mentre riduce il più possibile le difficoltà analitiche - non esclude una conveniente approssimazione. G. A. Maggi ha introdotto il termine stereodinamica (dal gr. στερεός "solido") per designare la schematizzazione della dinamica dei solidi in una dinamica di sistemi rigidi. Qui ci occupiamo di alcuni problemi stereodinamici, relativi quasi tutti a un unico solido, libero o variamente vincolato, ma non soggetto a sensibili resistenze di mezzo. Tanto i problemi relativi a sistemi di solidi, quanto quelli in cui la dinamica dei solidi s'intreccia con la dinamica dei fluidi, sono in genere così complessi da non potere venire approfonditi altro che coi procedimenti di approssimazione proprî delle scienze tecniche.

Nei più semplici problemi stereodinamici la costituzione fisica dei solidi originarî interviene solo per il tramite di un certo numero di parametri dipendenti dalla distribuzione delle masse (coordinate baricentrali, momenti d'inerzia, ecc.); ma l'aggiunta di un vincolo di regola deve essere integrata dalle leggi empiriche dell'attrito, col conseguente intervento della natura dei solidi, dello stato delle loro superficie e della qualità degli eventuali lubrificanti. Anzi l'estensione di tali leggi dal caso del punto ritenuto da una superficie ai moti di rotolamento di un sistema rigido, fa tacitamente intervenire anche la mutua deformazione dei solidi in contatto.

Nella tecnica, con procedimenti di seconda approssimazione, si tien conto delle varie circostanze dimenticate dal vincolo di rigidità (deformazioni elastiche, termiche, ecc.) o da vincoli accessorî (giuoco di un asse nel proprio alloggiamento, ecc.), e non è detto che (anche quando il numero delle reazioni vincolari non sia eccessivo) la valutazione dell'attrito possa sistematicamente disgiungersi, con diritto di precedenza, da quella dei cedimenti degli appoggi. Va pure sottinteso che la realizzazione delle previsioni stereodinamiche rimane principalmente subordinata a una sufficiente resistenza di tutti i materiali.

24. Pendolo composto e bipendolo. - La stereodinamica ha avuto origine con la soluzione data dall'Huygens del problema del pendolo composto o pendolo fisico (solido pesante liberamente girevole attorno a un asse fisso orizzontale, asse di sospensione). In Horologium oscillatorium (v. n. 1) Huygens formula una regola di riduzione delle leggi del moto del pendolo a quelle del pendolo semplice: "Sia dato un pendolo composto di un numero qualsiasi di pesi. Moltiplichiamo ciascun peso per il quadrato della sua distanza dall'asse... e dividiamo la somma di tali prodotti per il prodotto della somma dei pesi per la distanza del centro di gravità dal medesimo asse; otteniamo così la lunghezza del pendolo semplice isocrono al pendolo composto...". Questa regola (in assenza di ogni resistenza passiva, ecc.) è perfettamente esatta e l'Huygens la ricava con un'applicazione del principio di conservazione dell'energia la quale non ha precedenti altro che nelle opere di Galileo.

Designando con C il momento d'inerzia del solido rispetto all'asse di sospensione ζ (fig. 7), con m la massa, con O la proiezione su ζ del baricentro G (che si sottintende esterno a ζ) e ponendo r = ∣ OG ∣, si riduce la regola alla forma seguente: un pendolo composto oscilla come un pendolo semplice di lunghezza l = C/mr = lunghezza ridotta del pendolo composto. Si può anche dire che, portato sulla semiretta OG il segmento OP di lunghezza l, il punto P, centro d'oscillazione, nel seguire il moto del pendolo composto si comporta come un pendolo semplice sospeso in O.

In ogni caso G risulta interno alla striscia di piano limitata da s e dalla parallela a ζ per P - asse d'oscillazione -; l'asse di sospensione e l'asse d'oscillazione sono reciproci, nel senso che, portando l'asse di sospensione a coincidere col primitivo asse d'oscillazione, il nuovo asse d'oscillazione non differisce dal primitivo asse di sospensione; se il pendolo oscilla nello stesso modo attorno a due assi paralleli (situati in un piano per G, da bande opposte e a diversa distanza da G) il comune valore delle lunghezze ridotte è dato dalla distanza dei due assi. Anche queste proprietà sono dovute all'Huygens, che le ricavò dal suo celebre teorema sui momenti d'inerzia rispetto ad assi paralleli: esse dànno luogo a notevolissime applicazioni per la determinazione sperimentale della gravità (pendolo reversibile di Kater), per la determinazione sperimentale dei momenti d'inerzia, ecc.

Accanto al pendolo composto va menzionato il bipendolo, che corrisponde allo schema più elementare della coppia campana-battaglio, di un faro natante (galleggiante e lanterna), ecc. Il pendolo secondario (battaglio) normalmente oscilla anche rispetto al pendolo principale (campana), ma una particolare struttura (geometrica e materiale) del bipendolo può rendere possibili moti rigidi d'insieme, nei quali il pendolo secondario conservi rispetto al pendolo principale quella che è la normale sua posizione di riposo. In pratica tale possibilità rimane sensibilmente tradotta dalla condizione che, fissando il pendolo secondario al pendolo principale, si ottenga come centro di oscillazione lo stesso punto che senza il nuovo vincolo darebbe il centro d'oscillazione del solo pendolo secondario. Di qui la spiegazione del singolare comportamento di una certa campana del duomo di Colonia, rispetto alla quale, comunque la si facesse dondolare, il battaglio compiva oscillazioni così piccole da non giungere mai a percuoterla.

25. Solido qualsiasi girevole attorno a un asse fisso, sistemi a un grado di libertà. - Il problema del pendolo composto può considerarsi come un caso particolare di quello del moto di un solido S, soggetto a una qualsiasi sollecitazione attiva e vincolato a rotare attorno a un qualsiasi asse fisso ζ senza attrito (cioè, mediante dispositivi che rispetto a ζ non diano luogo a un sensibile momento della sollecitazione attiva). All'istante generico del moto sia ϕ l'angolo di cui S ha rotato a partire dalla sua posizione iniziale (angolo che notoriamente è legato alla velocità angolare dall'equazione ω = ∣ϕ∣). Designando ancora con C il momento d'inerzia del solido rispetto all'asse fisso, il momento assiale delle quantità di moto e la forza viva rispettivamente rimangono espressi da

Il momento assiale Mζ della sollecitazione attiva è da trattarsi come una funzione nota del tempo, nonché delle posizioni e delle velocità simultanee dei punti di S, cioè in ultima analisi come una funzione nota di t, ϕ e ϕ???: ad es., al caso del pendolo composto, pur di contare ϕ a partire dalla verticale discendente, corrisponde Mζ = − mgr sen ϕ. L'analogo momento della sollecitazione vincolare (per definizione) è identicamente nullo. Quindi, applicando il teorema del momento delle quantità di moto (o quello delle forze vive) senz'altro si ottiene un'equazione pura del tipo

Dicendo equazione pura, qui e nel seguito vogliamo alludere all'eliminazione di ogni incognita della sollecitazione vincolare.

Dal lato puramente analitico anche il problema attuale non differisce da quello del moto di un punto su traiettoria prestabilita: alla massa del punto fa riscontro il momento d'inerzia C, all'accelerazione tangenziale l'accelerazione angolare ϕ???, alla componente tangenziale della forza totale il momento Mζ delle forze attive rispetto all'asse (v. n. 14): il moto rotatorio di S risulta uniforme allora e allora soltanto che a ogni istante risulta nullo Mζ.

Determinato il moto, le due equazioni (vettoriali) cardinali forniscono la risultante R(v) e il momento risultante M(v) delle reazioni vincolari. Nulla di più può domandare la stereodinamica, che per ciascun solido non fa differenza tra un determinato sistema di forze e un sistema vettorialmente equivalente; e la distribuzione del cimento sui dispositivi vincolari rimane indeterminata fin quando non si tenga conto della deformabilità dei materiali. Non è detto però che R(v) ed M(v) non possano risultare indipendenti dallo stato di moto di S. Questo caso si presenta quando ζ è per S un asse principale d'inerzia baricentrale. Nel caso opposto almeno qualcuna delle componenti di R(v) ed M(v) secondo le normali a ζ dipende (linearmente) da ω2. Perciò un albero di macchina destinato a una rotazione molto rapida deve avere il suo asse esattamente coincidente con un asse centrale d'inerzia; questo è uno dei motivi per cui i prodotti d'inerzia si chiamano anche momenti di deviazione.

Tornando al caso del pendolo composto, la (65) si riduce all'equazione classica Cϕ??? = − mgr sen ϕ e ammette l'integrale (delle forze vive)

Basta che l'energia totale E superi mgr, perché la velocità angolare non possa mai annullarsi e il moto del pendolo non subisca né inversioni, né arresti e quindi diventi rotatorio. Escludendosi che G appartenga a ζ, un tale moto non può certo essere esattamente uniforme e la velocità angolare oscilla, con legge periodica, tra un minimo ωm (ϕ = π) e un massimo ωM (ϕ = 0); precisamente dalla (66) segue C M2 − ωm2) = 4mgr. Però il divario del moto effettivo da un moto uniforme si può rendere insensibile calettando sull'asse del pendolo un solido di rotazione - volano - il quale (mentre non può influire sul valore di mr, cioè, sul momento statico rispetto al piano per ζ ortogonale a OG) aumenti convenientemente il valore di C.

Riguardo alla regolarizzazione delle macchine fisse a un grado di libertà, le precedenti considerazioni hanno un interesse maggiore di quanto potrebbe sembrare a prima vista. Quando pure non si trascuri l'inerzia degli organi non destinati a un moto rotatorio (bielle - (fig. 8) -, pistoni, ecc.) l'espressione della forza viva rientra nel tipo T ={C + f(ϕ)}ϕ???2/2, con C costante ed f(ϕ) funzione periodica di ϕ (di periodo 2π). Se C è molto grande in confrnto all'oscillazione di f(ϕ), si può trascurare tale oscillazione e ridurre l'espressione della forza viva al tipo dei moti puramente rotatorî. Lo stesso non può ripetersi per un qualsiasi sistema a un grado di libertà; ma basta che i vincoli siano indipendenti dal tempo e si possa prescindere da ogni resistenza passiva, perché il teorema delle forze vive direttamente conduca a un'equazione differenziale del 2° ordine (nell'unica coordinata lagrangiana) atta a individuare il moto col concorso delle condizioni iniziali.

26. Attrito; moti piani di contatto, palla da biliardo, tendenza dei sistemi materiali a sfuggire all'attrito. - Il tipo più semplice di moti di contatto è offerto da un disco circolare pesante che (se pure non è pieno e omogeneo) abbia il baricentro G coincidente col centro geometrico e, mantenendosi sempre in uno stesso piano verticale, rotoli senza strisciare (e senza arresti) sopra una retta fissa η, orizzontale o no. Tanto il moto (rettilineo) di G, quanto il moto del disco attorno a G, se non sono uniformi sono uniformemente varî; anzi lo stesso si verifica quando si aggiunga al peso, nel piano del moto, una qualsiasi sollecitazione costante (che non sopprima il contatto).

Dopo una tale aggiunta la sollecitazione attiva totale, in genere, equivarrà a una forza F applicata in G, più una coppia Γ nel piano del moto, onde lo schema sarà adattabile, oltre che alle ruote di un veicolo trainato, anche a quelle di una motrice.

La velocità di strisciamento σ (velocità del punto di contatto C, considerato come solidale alla ruota) risulta sempre dalla velocità v di G e dalla rotazione attorno a G. Quindi, se ω è la velocità angolare, il vincolo (anolonomo) di puro rotolamento (σ = o) dà luogo istante per istante a:

Orientato l'asse ξ verso l'alto e l'asse η nel senso del moto (fig. 9), rappresentiamo con −p* 〈 0 e τ le componenti di F, con M = rq il momento (scalare) della coppia attiva (il che corrisponde al pensare Γ come costituita da due forze parallele a η, di comune grandezza ∣ q ∣, applicate in C e G). Per effetto della pressione sul suolo (p* > 0), la ruota sarà anche soggetta (sempre nel piano del moto) a una reazione d'appoggio col conseguente attrito radente e volvente (mentre l'attrito di giro resta automaticamente escluso dall'ortogonalità di ω a η). Indichiamo con fs il coefficiente d'attrito statico tra ruota e suolo, con fd quello d'attrito dinamico, ricordando che, qualunque siano i materiali a contatto, si ha

Le componenti N (reazione normale) e A (attrito radente) della forza R applicata in C saranno a priori vincolate solo dalle limitazioni N > 0, ∣ A ∣ ≤ fs N. L'assenza di strisciamento annulla identicamente il lavoro di R e neppure esclude che possa risultare A > 0. Sia h il cosiddetto parametro di attrito volvente in condizioni di effettivo rotolamento (cioè il numero per cui bisogna moltiplicare il peso della ruota per avere il momento di quella coppia, in cui si schematizza la resistenza del suolo al rotolamento): il momento della coppia d'attrito volvente non potrà differire da −hN, perché si suppone un effettivo rotolamento nel senso ξ → η.

Applicando il teorema del moto del baricentro (n. 16) si trova N = p*, nonché = τ + A (m massa della ruota). L'applicazione del teorema del momento (scalare) delle quantità di moto (rispetto a G) si concreta (n. 16) in mδ2ω??? = r(q − τvA) non appena si ponga τv = hN/r = hp*/r e si rappresenti con mδ2 il momento d'inerzia della ruota rispetto all'asse baricentrale normale al piano del moto. Le precedenti equazioni non sono equazioni pure, ma aggiungendo la (67), ù, ω??? e A rimangono individuate nelle costanti

Conseguentemente la condizione ∣ A ∣ ≤ fs p* viene a stabilire che non può aversi un moto di puro rotolamento se non è

Viceversa è da ritenere che ogni qualvolta i dati del problema soddisfano alla (70) non può mai iniziarsi uno strisciamento della ruota sul suolo. Prima di chiarire quest'asserzione (v. n. seg.) riferiremo le (69) e (70) ad alcuni casi particolarmente interessanti.

a) Moto di regime di una ruota condotta su suolo orizzontale:

Le (69) dànno τ = τv = hp/r, A = − τv: l'attrito radente A costituisce con lo sforzo di trazione τ una coppia che equilibra la coppia d'attrito volvente: rimane giustificata l'abituale denominazione di trazione limite di rotolamento per τv. La (70), si riduce ad h/r fs e in pratica è largamente soddisfatta insieme alla diseguaglianza più restrittiva

Anzi, proprio a questa è dovuto il grandissimo vantaggio offerto dalle ruote come organi portanti. Invero, quando si costringa la ruota a un moto di strisciamento lungo η, applicando il teorema del moto del baricentro e la legge di attrito dinamico A = ∓ fd N, si trova che in condizioni di regime lo sforzo di trazione, invece del valore τv = hp/r, deve avere il valore molto più grande fd p = trazione limite di strisciamento. Nella stessa (71) genericamente è implicita l'avvertenza che l'attrito radente (quando si esplichi in completa efficienza) prepondera sull'attrito volvente; analogamente a quanto si verifica per l'attrito volvente nei riguardi dell'attrito di giro.

b) Ruota motrice in fase di regime: q > 0, τ 〈 0, ù ⊄ 0.

Dalle (69) e (70) risulta q = ∣ τ ∣ + τv, A = ∣ τ ∣ ≤ fs p*; la coppia motrice viene integralmente assorbita dallo sforzo di trazione e dall'attrito volvente, anzi è proprio l'attrito radente statico (A > 0) la forza esterna che riesce a mantenere l'uniformità del moto; lo sforzo di trazione non può superare l'aderenza fs p* (donde il peso sempre crescente delle locomotive moderne).

c) Ruota frenata su suolo orizzontale: q > 0, τ = 0, p* = mg.

Il massimo di ∣ q ∣ compatibile con la condizione di puro rotolamento si accompagna col massimo della ritardazione, −ù = fsg. Sono queste le condizioni del frenamento regolamentare. Una maggiore intensità della coppia frenante, in quanto provoca inevitabilmente lo strisciamento, dà luogo allo stesso valore della ritardazione cui ci si riduce inchiodando le ruote, −ù = fdg (e quindi aumenta la durata della fase di arresto).

Alquanto più complesso è il problema della palla da biliardo. Supposto che il moto s'inizî con una velocità di strisciamento σ0 ≠ 0, trascurando l'attrito volvente e l'attrito di giro si trova che: α) la velocità di strisciamento si estingue in capo al tempo 2σ0/7fdg; β) durante la fase di strisciamento il moto del centro G della palla si svolge sopra una parabola (degenere in una semiretta solo se σ0 è parallela alla velocità iniziale di G). La β) dà ragione del fatto ben noto che la palla può in certe circostanze, per così dire, tornare indietro; la α) può essere notevolmente generalizzata. In base a un teorema dell'Appell si deve ritenere che in genere i sistemi materiali tendono a sfuggire all'attrito radente: se le forze attive e i vincoli sono tali da consentire un tipo di movimento nel quale il lavoro dell'attrito radente sia identicamente nullo, il moto del sistema tende a ridursi proprio a tale tipo. Cosi, ad es., si spiega il fatto curioso che una trottola, quando la si abbandoni sul suolo con l'asse non verticale (dopo averle impresso una rapida rotazione attorno all'asse medesimo) manifesta una spiccata tendenza a raddrizzarsi.

27. Osservazioni sulle leggi empiriche dell'attrito. - Sia P un punto materiale, di peso p, in quiete sopra un piano orizzontale scabro. Applicando a P una trazione orizzontale τ di grandezza compresa tra fdp ed fsp > fdp, la quiete sussiste, nonostante che l'interpretazione letterale della legge d'attrito dinamico consenta che P si metta in moto con accelerazione τ ( − fdp/τ).

Un'analoga difficoltà logica si presenta nel problema del n. prec. se il disco inizialmente è animato da un moto di puro rotolamento nel senso positivo di η e sussiste la (70) ma non la relazione che da essa si deduce sostituendo fs con fd: fin quando non si esclude che il coefficiente d'attrito possa bruscamente abbassarsi dal valore fs al valore fd, accanto alla continuazione della fase di puro rotolamento rimane permesso l'inizio di una fase di strisciamento.

Non sono questi i soli casi in cui si avvertono tutti gl'inconvenienti del procedimento di esclusione richiesto dalle leggi del Coulomb appena si annulla la velocità di strisciamento (o quella di rotolamento o quella di giro); però in ogni caso per sfuggire a indeterminazioni o impossibilità basta un appello più o meno palese alla deformabilità dei materiali. Sotto questo punto di vista la critica delle leggi del Coulomb fu iniziata da P. Painlevé e ad essa non è rimasto estraneo neppure F. Klein.

28. Alcuni fenomeni giroscopici. - Il giroscopio comune (v. anche bussola, VIII, p. 166) è costituito essenzialmente da un solido di rotazione S (omogeneo e massiccio) montato, pel suo asse z, su una sospensione cardanica. Tale sospensione, mentre lascia al solido piena libertà di orientamento attorno al proprio baricentro G, è costruita in modo da ridurre al minimo tanto gli attriti quanto l'inerzia dei suoi organi mobili. La denominazione "giroscopio" (dovuta a quanto pare al Foucault) deriva dal fatto che l'apparecchio si presta a mettere in evidenza la rotazione diurna della Terra (se non a valutarla quantitativamente). Invero, s'imprima a S una rapidissima rotazione attorno a z e per qualche istante si tenga z puntato a una qualsiasi stella fissa: abbandonato l'asse a sé stesso, si constata che esso non conserva (insieme agli anelli della sospensione) orientamento invariabile rispetto alla Terra, ma rimane invece puntato verso la stella fin quando la rotazione non si attenua.

Non è questo il solo fenomeno in cui un solido in rapida rotazione presenta un comportamento, per così dire, di eccezione. Un disco che rotoli per una ripida discesa, le ruote di una bicicletta in corsa, sembrano sottrarsi, almeno in parte, agli ordinarî effetti della gravità. Né meno strane appariscono a prima vista le esperienze sulla bilancia giroscopica. Essa è costituita (fig. 10) da un'asta cilindrica fissata (con sospensione cardanica) in un punto O del suo asse z - asse giroscopico - e recante a un'estremità un giroscopio di asse z; mentre, dalla banda opposta di O, porta un peso P, che si può spostare lungo l'asta in modo da allogare il baricentro G del triplice sistema sia dall'una che dall'altra banda di O. Impressa al sistema una forte velocità giroscopica (cioè, una rapida rotazione attorno a z) abbandonando l'asse giroscopico in una direzione generica, lo si vede assumere, con leggiero tremito, un lento moto di rotazione attorno alla verticale. Anzi, caeteris paribus, il senso di tale rotazione s'inverte quando si porti G dall'una all'altra banda di O, e rispetto alla verticale discendente (cioè, all'orientamento della forza applicata in G) risulta sempre discorde a quello della rotazione iniziale rispetto al raggio OG. In modo analogo vanno le cose quando s'imprima a una trottola una rapida rotazione attorno al suo asse e si fissi un punto O dell'asse medesimo, allogando, ad es., la punta della trottola in un opportuno sostegno a scodellino.

Rientrano nella categoria dei fenomeni giroscopici anche le apparenti anomalie delle posizioni d'equilibrio (rispetto alla Terra) per la bussola giroscopica e pel barogiroscopio (fig. 11). Nell'uno e nell'altro caso si ha che fare con un solido di rotazione S il cui asse z, oltre essere fissato in un suo punto O, è vincolato (sempre senza sensisibile attrito) a non uscire da un piano π fisso alla Terra (ad es., mediante una sospensione cardanica opportunamente privata di un grado di libertà): per la bussola giroscopica O coincide col baricentro G di S, per il barogiroscopio ne è distinto. Una forte velocità giroscopica fa sparire nella bussola l'indifferenza dell'equilibrio di z attorno a O, dando luogo a un'unica direzione d'equilibrio, quella della proiezione su π dell'asse terrestre; di maniera che, se π è orizzontale o verticale, l'apparecchio si presta a sostituire la bussola di declinazione, o, rispettivamente, d'inclinazione, col doppio vantaggio di orientarsi secondo il Nord vero e di sfuggire all'influenza di masse di ferro troppo prossime. Nel barogiroscopio, eccitato in modo analogo, l'orientamento d'equilibrio stabile di OG non è più segnato dalla verticale discendente, ma dipende dalla velocità giroscopica, nonché dalla struttura materiale di S, dall'orientamento di π rispetto alla Terra e dalla latitudine del luogo.

29. Equazioni dinamiche dei solidi: moti attorno a un punto fisso e moti attorno al baricentro. - Scriviamo le equazioni cardinali del moto (n. 16) nella forma

indicando con m la massa totale, con αG l'accelerazione del baricentro, con R, M il risultante e il momento risultante della sollecitazione attiva (esterna), con R(v), M(v) gli omologhi elementi per la sollecitazione vincolare. Resta sottinteso che quando la terna Ωξηξ, cui viene riferito il moto, non è inerziale (né può trattarsi come tale) vanno aggiunte alla sollecitazione attiva le forze apparenti del moto relativo, per ogni particella del mobile. In particolare, quando la terna Ωξηξ è fissa alla Terra, non solo si deve sostituire l'attrazione terrestre col peso (cfr. n. 12), ma vanno pure aggiunte le forze centrifughe composte; a meno che - come abbreviatamente continueremo a dire - non si possa trascurare la rotazione terrestre.

Per un generico sistema rigido S, libero o comunque vincolato, le (72) aggiungono all'universale loro carattere di necessità quello di una completa sufficienza a individuare il moto (per date condizioni iniziali). Una tale sufficienza deriva dal fatto che (eventualmente con l'opportuno concorso delle leggi empiriche dell'attrito) dalle (72) si possono sempre trarre tante equazioni pure (n. 25), quanti sono i gradi di libertà di S. Abbiamo già visto un esempio del procedimento da seguire nel caso del solido girevole attorno a un asse fisso. Se invece S è fissato senza attrito in un solo suo punto O (tre gradi di libertà) per giungere allo scopo basta identificare con O il centro di riduzione C dei momenti. Allora (con v*) identicamente si annulla il momento M(v) della reazione inerente all'unico punto fisso, cioè la 2ª delle (72) si semplifica in

che evidentemente equivale a tre equazioni scalari pure. Determinato il moto, la 1ª delle (72) fornisce R(v).

Nella (73) è implicita una spiccata analogia - nel senso che ora preciseremo - tra le leggi del moto di un solido attorno a un suo punto fisso e quelle del moto di un solido libero attorno al suo baricentro.

Per ogni solido libero (sei gradi di libertà, R(v) ⊄ M(v) ⊄ 0) le (73), proiettate su tre assi di riferimento, non possono dar luogo che a sei equazioni scalari pure. Quando R non dipende dall'orientamento di S attorno a G, né dalla velocità angolare ω, la 1ª delle (72) da sola definisce il moto del baricentro. Parallelamente, basta che M, riferito a G, non dipenda né dalla posizione, né dalla velocità di G, perché, identificato C con G, la 2ª delle (72) definisca da sola il moto attorno al baricentro: invero nelle condizioni supposte, non soltanto si annulla v* ≿ Q, ma la (73) non risente affatto del moto di G, perché il valore baricentrale di K non dipende mai dalla velocità del baricentro. Ad es. per un solido pesante lanciato nel vuoto il moto del baricentro è proprio quello che viene proposto dalla dinamica del punto; e il moto attorno il baricentro è lo stesso che si avrebbe se (a parità di condizioni iniziali) il baricentro fosse un punto fisso. Circostanze altrettanto favorevoli possono ritenersi verificate nel problema della precessione degli equinozî (v.), la cui differenza specifica sta nelle coppie perturbatrici dovute all'attrazione del Sole e della Luna sul rigonfiamento equatoriale della Terra. Invece nei fenomeni che rimangono essenzialmente subordinati a una resistenza di mezzo (balistica, aviazione, ecc.) la determinazione del moto del baricentro non può scindersi da quella del moto attorno al baricentro altro che coi procedimenti di approssimazione suggeriti caso per caso dall'esperienza, proporzionatamente allo scopo; mentre la trattazione integrale del problema offre tali difficoltà che finora è stata affrontata solo per qualche tipo di moti piani (tiro delle armi ad anima liscia, ecc.).

30. Giroscopio comune, barogiroscopio, bussola giroscopica. - Sia S un qualsiasi solido rotondo, liberamente girevole attorno a un punto fisso O del suo asse z; asse sul quale penseremo arbitrariamente fissato un verso positivo designando (all'istante generico) con k il relativo versore, con r l'omologa componente di ω. Siano inoltre C il momento d'inerzia di S rispetto a z e K il momento delle quantità di moto rispetto a O.

Tutte le volte che la sollecitazione attiva e le condizioni iniziali del moto sono tali da lasciar fisso z (k ≡ cost.), per motivo di simmetria K si riduce al suo componente secondo z, cioè si ha

Nel caso del giroscopio comune, ove si riferisca il moto a una terna di origine G e orientamento invariabile rispetto alle stelle fisse (M ≡ o), l'adozione della (74) lascia indeterminato l'orientamento (invariabile) di k, mentre implica l'uniformità del supposto moto rotatorio: di qui la spiegazione dell'esperienza già ricordata.

Volendo procedere in modo analogo alla determinazione delle direzioni d'equilibrio per l'asse del barogiroscopio e della bussola giroscopica, occorre in primo luogo por mente (cfr. n. 28) al vincolo d'appartenenza di z al piano π, aggiungendo al 2° membro della (73) il momento M(v) della corrispondente sollecitazione vincolare. In assenza di attrito questa non fa alcun lavoro tanto per gli spostamenti rotatorî di asse z, quanto per quelli che hanno per asse la normale ζ in O a π: quindi M(v) deve avere la direzione n normale a z e ζ.

Per giungere allo scopo occorre pure riferire il moto di S alla Terra, senza trascurare la rotazione terrestre. In definitiva, indicando con ωT la velocità angolare terrestre e con P il peso del mobile, posto OG = z0k (con che il caso della bussola giroscopica è caratterizzata da z0 = 0) si ha

la quale: 1. proiettata su z, riconduce all'uniformità del supposto moto rotatorio; 2. proiettata su ζ, individua la direzione di k con la condizione

dove naturalmente Pn e ωn stanno a indicare le componenti di P e ωT secondo n, ed r0 il costante valore di r; 3. proiettata su n, determin M(v).

Per la bussola giroscopica la (75) si riduce a ωn = 0, cioè al parallelismo tra z e la proiezione di ωT su π. Per il barogiroscopio, quando π sia il piano del meridiano di O e s'indichi con λ la latitudine del luogo, l'angolo Θ formato da z con la verticale rimane definito da

purché lo si intenda contato positivamente a partire dalla verticale discendente verso Nord e si dia a r0 il segno di ± z0 a seconda che la rotazione di S è, rispetto al raggio OG, destra o sinistra.

31. Principio dell'effetto giroscopico. Bilancia giroscopica. - Sempre indicando con S un qualsiasi solido rotondo fissato in un punto del suo asse (e mantenendo le altre notazioni dei nn. precedenti) supponiamo che nella (73) M possa ritenersi variabile solo con k, e costantemente ortogonale a k (come quando si ha a che fare solo col peso e può trascurarsi la rotazione terrestre). In tale ipotesi la (73) dà come conseguenza esatta

ma, spingendo un po' più oltre l'analisi, genericamente si riconosce che se la velocità giroscopica r0 è molto grande, anche K si comporta come se z fosse per S un asse fisso; cioè, si ottiene una sufficiente approssimazione assumendo nella (73), non solo r r0, ma anche

Proprio questa è l'espressione del principio dell'effetto giroscopico, il quale può anche enunciarsi affermando che tutti i moti di S corrispondenti a una stessa posizione iniziale, per la sola posizione (non per l'atto di moto) hanno per r0 → ∞ uno stesso comportamento asintotico, definito da

Nel caso della bilancia giroscopica (n. 28), la (78) assume la forma

onde il moto di z risulta una rotazione uniforme attorno alla verticale per O, con ω = ∣ z0 P/Cr0 ∣, ecc.

Orientato l'asse giroscopico z in modo che risulti r0 > 0, in ogni caso e in ogni tempuscolo dt lo spostamento dk fornito dalla (78) per l'estremo libero del vettore k applicato in O è parallelo e concorde ad M; donde il principio della tendenza al concorde parallelismo dell'asse giroscopico col momento sollecitante. La grandezza dello stesso dk, a parità di M e C, è inversamente proporzionale a ∣ r0 ∣ (principio della permanenza o tenacia degli assi giroscopici).

Non insistiamo sull'estensione dei precedenti risultati dal moto attorno a un punto fisso al moto attorno al baricentro. Per quanto riguarda la struttura materiale del solido, le precedenti deduzioni non richiedono che esso sia omogeneo e di rotazione attorno a un asse per O: basta che una retta per O sia asse di rotazione dell'ellissoide centrale d'inerzia. Per questo si chiama giroscopio ogni solido S, il cui ellissoide centrale d'inerzia sia rotondo, dando simultaneamente il nome di asse giroscopico all'asse di rotazione (o a ognuna delle rette per G se l'ellissoide rotondo degenera in una sfera).

32. Moti alla Poinsot. - Il problema del moto di un solido S attorno a un punto fisso O è uno dei più importanti di tutta la meccanica, non soltanto per la grande varietà delle questioni concrete in esso schematizzabili, ma anche perché, da Eulero in poi, ha dato impulso a numerose ricerche d'interesse generale.

Indichiamo con E l'ellissoide d'inerzia relativo a O, con Q il punto in cui E è intersecato dal raggio condotto da O con l'orientamento di ω (polo istantaneo), con τQ il piano tangente in Q a E.

Il solo caso in cui la (73) si sappia completamente integrare, qualunque sia la struttura materiale di S, è il "caso del Poinsot":

Si verifica questo caso quando (come per il giroscopio comune) la sollecitazione attiva è riducibile a un'unica forza applicata in O (e non si hanno da aggiungere forze apparenti); il che, agli effetti del moto, equivale all'assenza di ogni sollecitazione attiva (moto spontaneo o moto per inerzia). Il caso del Poinsot è pure caratterizzato dalla validità dell'integrale del momento (vettoriale) delle quantità di moto: K ≡ cost. = K0. La (78) dà luogo anche all'integrale delle forze vive, nella forma T = cost. = E. Conseguentemente τQ si riduce a un piano invariabile nello spazio, τ, e si può dare all'andamento del moto un'interpretazione geometrica estremamente elegante dovuta al Poinsot: "il moto si svolge come se E materializzato, rotolasse senza strisciare sul piano invariabile τ, con velocità angolare di grandezza proporzionale al raggio vettore del punto di contatto".

Le due curve descritte da Q sopra E e sopra τ si chiamano polodia ed erpolodia (dal gr. ἔρπω "serpeggio"). La polodia appartiene interamente alla curva del 4° ordine (quartica di 2ª specie) luogo del punto di contatto dei piani tangenti a E situati alla distanza √2E/K0 da O. L'erpolodia, in generale, è una curva trascendente.

Altre interpretazioni geometriche del moto spontaneo di un solido attorno a un punto fisso (meno semplici, ma pur sempre eleganti ed espressive) sono state date da J. Sylvester, J. MacCullagh, F. Siacci, M. Gebbia.

Basta (e occorre) che inizialmente ω sia diretta secondo uno degli assi di E, perché il moto degeneri in una rotazione uniforme (rotazione permanente). Osservando l'andamento della polodia (fig. 12) facilmente ci si convince che le rotazioni attorno all'asse massimo o minimo sono tutte stabili: risultano invece instabili tutte le rotazioni attorno all'asse medio.

Se E è rotondo (solido a struttura giroscopica rispetto al punto fisso) il moto degenera in una precessione regolare (v. cinematica, n. 31) qualunque siano le sue condizioni iniziali: fa da asse di precessione la normale per O a τ e da asse di figura l'asse giroscopico del solido; la precessione risulta progressiva o retrograda a seconda che l'ellissoide rotondo E è allungato o accorciato. Se, più in particolare, E è una sfera (es.: cubo omogeneo fissato pel baricentro) il moto non può essere altro che una rotazione uniforme.

33. Moto di un solido pesante attorno a un punto fisso. - Nel caso del solido pesante, di peso totale P, la (73) prende la forma

La sua integrazione completa non si sa ridurre alle quadrature altro che subordinatamente a opportune ipotesi restrittive circa la struttura materiale del solido, però si riesce sempre a individuare tutti i possibili moti rotatorî. Nel caso generale essi corrispondono ad altrettante rotazioni uniformi attorno alla verticale per il punto fisso (rotazioni permanenti); le rette del solido che possono esser l'asse di una di tali rotazioni costituiscono un cono quadrico (cono dello Staude). Qualunque sia la struttura materiale di S la (80) ammette l'integrale delle forze vive, nonché l'integrale (scalare) del momento delle quantità di moto rispetto alla verticale pel punto fisso.

Tra i casi, nei quali si riesce a completare l'integrazione con sole quadrature, il più semplice e il più importante dal punto di vista fisico è quello, segnalato dal Lagrange e approfondito dal Poisson, in cui: 1) S sia un giroscopio, 2) O appartenga all'asse di S (senza coincidere con G). In questo caso ai due precedenti integrali se ne aggiunge immediatamente un terzo - velocità giroscopica = cost. - r0, - e l'integrazione completa si effettua mediante funzioni ellittiche. Per effetto di particolari condizioni iniziali il moto può degenerare in una precessione regolare e magari in una rotazione uniforme (ad es., attorno all'asse giroscopico disposto verticalmente in verso arbitrario). In generale si ha un moto con nutazione dell'asse giroscopico: cioè, l'inclinazione dell'asse giroscopico rispetto alla verticale (angolo di nutazione) non si mantiene costante ma oscilla, con legge periodica, tra due valori ben distinti. Assumendo ω0 molto grande e diretta come l'asse giroscopico, si ritrovano le precessioni regolari fornite dal principio dell'effetto giroscopico, completate da piccole oscillamoni di forte frequenza (pseudoprecessioni); precisamente, di periodo 2πA/Cω0, se si rappresentano con A = B e C i momenti principali di inerzia in O.

Riguardo alle rotazioni uniformi attorno all'asse giroscopico disposto verticalmente, va fatta menzione della singolare e notevole circostanza che, ove G sovrasti a O, esse sono stabili quando e soltanto quando ω superi, o almeno eguagli, il valore critico

È questo il fenomeno noto sotto il nome di stabilizzazione giroscopica, il quale trova una suggestiva realizzazione fisica nel moto della trottola. Per una trottola appoggiata al suolo con l'asse verticale, è essenzialmente instabile (al pari dello stato d'equilibrio) ogni rotazione lenta; ma basta imprimere alla trottola una rilevante velocità giroscopica perché essa, malgrado le inevitabili perturbazioni provenienti, ad es., dalle vibrazioni dell'aria e del suolo, si mantenga a lungo ritta, cosi da apparire, a chi la guardi da lontano, come immobile (trottola dormiente).

Bibl.: Abbiamo già citato le opere massime di Galileo, Huygens, Newton, d'Alembert, Lagrange, Hamilton. Per un elenco completo dei classici v. E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt, 8ª ed., Lipsia 1921. Una bibl. aggiornata in T. Levi-Civita e U. Amaldi, Lezioni di meccanica razionale, Bologna I, 2ª ed., 1930; II, i, 1926; II, ii, 1927; v. inoltre: F. Enriques, Problemi della scienza, 2ª ed., Bologna 1926; L. Lecornu, La mécanique, les idées et les faits, Parigi 1918; G. A. Maggi, Dinamica dei sistemi, Pisa 1917.

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