SALUZZO, Diodata

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SALUZZO, Diodata

Flavia Caporuscio

– Nacque a Torino il 30 luglio 1774 da Giuseppe Angelo, conte di Monesiglio e generale d’artiglieria, e da Maria Margherita Giuseppa Girolama Caissotti dei conti di Casalgrasso, «donna di virile ingegno e di molte lettere» (T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, p. 289).

Il padre fu chimico e socio fondatore dell’Accademia delle scienze di Torino della quale fu anche il primo presidente.

L’ambiente intellettuale di una delle più nobili famiglie dell’aristocrazia subalpina ebbe un’influenza determinante nella formazione della giovane, battezzata Rosa Deodata Maria Giuseppa. Precocissima si dedicò alla poesia e alla lettura dei classici sotto la guida di Carlo Denina e studiò oltre alla lingua italiana e al francese, il latino e l’inglese. Prese anche lezioni di disegno e musica che però abbandonò presto. Incoraggiata dal padre, si rivolse allo studio delle scienze e, in particolare, della chimica e della fisica.

Appena adolescente fondò un’accademia scientifico-letteraria che si riuniva in casa Saluzzo e alla quale presero parte i cinque fratelli (Alessandro, Annibale, Cesare, Roberto e Federico), i cugini Enrichetta e Cesare Tapparelli di Lagnasco e gli amici Giuseppina e Michele Provana del Sabbione.

Con Enrichetta scrisse un romanzetto morale in forma epistolare andato disperso, mentre Giuseppina fu la destinataria di ventotto lettere inedite, scritte dal 1792 al 1795, particolarmente importanti ai fini della ricostruzione dei primi anni di attività della scrittrice.

Il debutto ufficiale avvenne in concomitanza con la prematura morte di Enrichetta, per la quale compose e pubblicò i versi raccolti nella miscellanea Memoriae Henrichettae Tapparellae Prosperi Balbi uxoris monumentum (Augustae Taurinorum 1792, pp. 110-131). La morte della cugina rappresentò per Diodata Saluzzo una perdita dolorosissima, lenita unicamente dall’amicizia con il marito di lei, Prospero Balbo, che da allora divenne il fedele mentore della giovane letterata, affiancato poi da Tommaso Valperga di Caluso. Fu Balbo a caldeggiare il suo ingresso in Arcadia, avvenuto nel 1795 con il nome di Glaucilla Eurotea, e a ottenere il consenso dei Saluzzo alla pubblicazione della prima raccolta di versi, Versi di Diodata Saluzzo, fra gli Arcadi Glaucilla Eurotea (Torino 1796), ristampata l’anno successivo (Versi di Diodata Saluzzo. Nuova edizione con aggiunte dell’autrice, Torino 1797).

La pubblicazione dei Versi riscosse un sorprendente sebbene effimero successo di critica. A soli ventidue anni, infatti, Diodata Saluzzo fu acclamata, tra gli altri, da Vittorio Alfieri (Nay, 1990b, p. 67), Giuseppe Parini (p. 69), Melchiorre Cesarotti (p. 70) e Ugo Foscolo che, nell’inviarle copia del suo Tieste, le riconobbe il titolo di «Saffo italiana» (p. 68). Oltre alle importanti corrispondenze con tali illustri letterati e molti altri come Vincenzo Monti e Alessandro Manzoni, particolarmente feconde furono le amicizie con Teresa Bandettini, Enrichetta Dionigi, Lucrezia Landi, Fortunata Sulgher e Clotilde Tambroni.

L’11 febbraio 1797, a coronamento del felice esordio letterario, ricevette il primo elogio pubblico presso l’Accademia di Fossano che le dedicò un volume di versi (Acclamazione della nobilissima donzella Diodata Saluzzo all’Accademia di Fossano, Torino 1797) e una medaglia commemorativa. Nel medesimo anno concluse la stesura di due tragedie: Sicheo, successivamente fatta bruciare, e Tullia, di argomento romano e ispirazione alfierana.

Nel 1799 si unì in matrimonio con Massimiliano Roero, conte di Revello, del quale rimase vedova dopo soli tre anni. Dopo la perdita del marito tornò a vivere nella casa paterna.

Prima dell’estate del 1800 compose una tragedia intitolata Tazio che però distrusse l’anno successivo. Il 17 gennaio 1801 fu la prima donna a diventare socio nazionale dell’Accademia delle scienze e, nello stesso anno, divenne membro dell’Accademia degli Unanimi e dei Pastori della Dora. L’anno successivo pubblicò per la collana Parnaso degl’Italiani viventi di Giovanni Rosini Poesie di Diodata Saluzzo torinese (Pisa 1802) e nel 1804 ebbe l’onore di vedere rappresentata a Torino la sua Erminia, tragedia di ispirazione tassiana in cinque atti.

Negli anni della dominazione francese in Piemonte, funestati peraltro dalla morte del padre, nel 1810, le sue pubblicazioni subirono un arresto. Il ritorno alle stampe avvenne nel 1816-17 con Versi di Diodata Saluzzo Roero. Quarta edizione corretta ed accresciuta (I-IV) e Due tragedie inedite (Erminia e Tullia), presso vedova Pomba e figli stampatori e librai di Torino, seguiti dall’edizione pisana dei versi presso Niccolò Capurro nel 1819-1820.

La nuova stagione poetica, biasimata dai classicisti per le presunte aperture al romanticismo (la sua ode Le rovine era stata indicata da Ludovico di Breme in Intorno all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani. Discorso, Milano 1816, come «esempio di perfetta Lirica romantica», p. 55), suscitò aspre critiche. Ai pareri entusiastici degli esordi fecero dunque seguito pungenti attacchi che avrebbero segnato tristemente gli ultimi anni della scrittrice, da sempre preoccupata di vedere svanire il successo precocemente acquisito.

Nel 1827 pubblicò presso la tipografia Chirio e Mina di Torino Ipazia ovvero delle filosofie. Poema di Diodata Saluzzo Roero, la cui idea originaria era stata concepita già nell’estate del 1795. La scrittura del poema la impegnò per più di trent’anni: terminata una prima stesura nel 1809, l’opera fu interamente riscritta tra il 1814 e il 1824 e, sottoposta a un’ulteriore revisione tra il 1828 e il 1829, fu ripubblicata nel 1830 presso la Tipografia regia di Torino. La pubblicazione andò incontro a una stroncatura unanime da parte della critica.

Il poema, la cui protagonista femminile, liberamente ispirata alla filosofa alessandrina Ipazia, è alter ego dell’autrice, fu concepito come «un romanzo istorico e filosofico in versi» (Ipazia..., 1830, p. 9) che, nell’analisi delle dispute filosofiche del V secolo, volle apertamente suggerire un’analogia tra l’Egitto occupato dai Romani e il Regno di Sardegna sotto la dominazione francese.

Nel 1830 pubblicò a Milano presso Vincenzo Ferrario il volume di Novelle curato da Alessandro Manzoni, con tre novelle precedentemente edite e cinque inedite, proponendo un modello narrativo a metà tra il poema epico-cavalleresco, da cui trasse la materia, e il romanzo borghese.

Nell’agosto di quell’anno, dopo l’aggravarsi dei problemi alla vista e delle vertigini, sotto consiglio dei medici compì un viaggio in Italia: si recò a Genova, Voghera, Lucca, dove fece visita alla cara amica Teresa Bandettini, e infine a Firenze.

Il 1831 fu l’anno dolorosissimo della morte della madre, alla quale era legatissima. Le sue condizioni di salute si aggravarono unitamente all’insorgere di una profonda malinconia che la indusse a condurre una vita sociale sempre più ritirata, rallegrata unicamente dalla presenza dei fratelli e di pochi amici.

Nella primavera del 1834 si recò a Roma, dove venne accolta caldamente da Enrichetta Dionigi, e nel luglio del 1835 a Saluzzo in compagnia della poetessa Eufrosina Portula del Carretto. Passò l’inverno seguente a Nizza dove la raggiunse la notizia della morte di Balbo. La perdita dell’amico di una vita fu per lei un colpo durissimo e a soli tre mesi dalla sua morte, nel luglio del 1837, fu colpita da un’emiplegia sinistra. Il 17 gennaio 1840 un’apoplessia le tolse l’uso della parola.

Morì a Torino, nella sua abitazione di via Alfieri 7, il 24 gennaio 1840.

Venne celebrata da una miscellanea di versi in suo onore raccolti da Enrichetta Dionigi (Roma 1840). Nel 1843 fu pubblicata l’edizione postuma curata dall’amico Coriolano Malingri di Bagnolo, Poesie postume, aggiunte alcune lettere d’illustri scrittori a lei dirette, comprensiva anche della tragedia incompiuta Griselda.

L’opera di Diodata Saluzzo scivolò però velocemente nell’oblio: nonostante l’intervento benevolo di Benedetto Croce intitolato La «Sibilla Alpina» (La Critica, 1927, vol. 25, pp. 255-262), è solo con Roberto Tissoni (1981) che la critica è tornata a interessarsi alla scrittrice e alla sua vasta produzione prevalentemente identificata con la poesia arcadica, ma che spaziò altresì dalla novella al poema, dalla tragedia alla commedia (compose infatti anche sei commedie che poi avrebbe ordinato di bruciare).

Opere. Per una ricognizione delle lettere edite si rimanda a L. Nay (1990b) e Il Romanticismo in Piemonte..., 1993, pp. 65 s., n. 2.

Fonti e Bibl.: Bagnolo Piemonte, Archivio Malingri di Bagnolo: lettere a Coriolano Malingri di Bagnolo e un codice miscellaneo di manoscritti autografi e di parti a stampa (1796-1815): per una descrizione di queste lettere v. R. Ferrero, Premesse ad un’edizione dell’opera in versi e in prosa di D.S., Università di Torino, tesi di laurea a.a. 1984-85, pp. 113-125; Biblioteca apostolica Vaticana, Fondo Patetta autografi e documenti: Saluzzo di Monesiglio Diodata (31 lettere a Prospero Balbo (1794-1833), 4 lettere a Cesare Balbo (1797-1830 ca.), 28 lettere a Giuseppina Provana del Sabbione (1792-1795) e varia corrispondenza); Saluzzo, Biblioteca civica, Diodata Saluzzo: varia corrispondenza; Torino, Archivio Saluzzo di Monesiglio, m. 4, f. 2.26, m. 12, f. 4: documenti personali e varia corrispondenza; Torino, Archivio storico dell’Accademia delle scienze, Fondo carteggi: varia corrispondenza.

R. Tissoni, Considerazioni su D. S. (con un’appendice di lettere inedite ad Alessandro Manzoni), in Piemonte e letteratura 1789-1870. Atti del Convegno..., San Salvatore Monferrato... 1981, a cura di G. Ioli, Torino s.d., pp. 145-199; P. Trivero, D. S. oltre “Le Rovine” (due tragedie: “Erminia” e “Tullia”), in Ludovico di Breme e il programma dei Romantici italiani. Atti del Convegno... 1983, Torino 1984, pp. 183-194; L. Ricaldone, D. di S. e la sua attività nell’Accademia delle Scienze, in I due primi secoli della Accademia delle Scienze di Torino. Realtà accademica piemontese dal Settecento allo Stato unitario. Atti del Convegno... 1983, I, Torino 1985, pp. 243-250; P. Trivero, D. e le altre: per una lettura delle “Novelle”, in Studi piemontesi, XV (1986), 1, pp. 27-43; L. Nay, D. S., una femminista «contra-litteram», in Il «genio muliebre». Percorsi di donne intellettuali tra Settecento e Novecento in Piemonte, a cura di M. Cerruti, Alessandria 1990a, pp. 23-41; Ead., Saffo tra le Alpi. D. S. e la critica, Roma 1990b; Il Romanticismo in Piemonte: D. S. Atti del Convegno..., Saluzzo... 1990, a cura di M. Guglielminetti - P. Trivero, Firenze 1993; A. Chemello, La «Saffo Italiana»: D. S. di Roero, in L’alterità nella parola. Storia e scrittura di donne nel Piemonte di epoca moderna, a cura di C. Bracchi, Torino 2002, pp. 87-118. Un ringraziamento va a Giancarla Bertero (Biblioteca civica di Saluzzo), Elena Borgi (Accademia delle scienze di Torino), Monica Grossi (Archivio di Stato di Torino) per le loro preziose informazioni.

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