BORGHESI, Diomede

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BORGHESI, Diomede

Gian Luigi Beccaria

Nacque a Siena intorno al 1540. Poco sappiamo degli anni della giovinezza: che fu scolaro a Siena di Lodovico Meneghini, docente nello Studio, e che - come ci informa lo Ziliolo (in Mazzuchelli) - "conturbò con alcune licenziose operazioni la fortuna sua ed incontrò in diversi errori", per cui venne bandito dalla patria e confinato per due anni a Portoferraio; di qui, rotto il bando, riparò a Mantova, dove ottenne la protezione del cardinale Federico Gonzaga; dopo la morte di questo, nel 1564, si trasferì a Padova, senza però stabilirvisi durevolmente; continuò anzi la sua vita raminga, tant'è che lo troviamo fra il 1564 ed il 1579 a Venezia, Bergamo, Verona, Roma, Viterbo, Bologna, Ferrara, Reggio. Particolari rapporti egli venne allacciando con la corte di Torino, dove si fece conoscere soprattutto come poeta, componen o nel 1585 una canzone per le nozze di Carlo Emanuele, e inviando nel 1596 e l'anno successivo da Padova allo stesso e alla sua consorte altre composizioni. Scrisse anche versi per la morte di Emanuele Filiberto, diMargherita di Valois, e per la nascita del secondogenito del duca, al quale dedicò più sonetti; sappiamo che nell'87 si recò a Torino ad ossequiare il duca, come annota in una sua lettera dello stesso anno (Lettere discorsive, III, p. 104), passando per Casale nel mese di maggio con Celio Magno (S. Guazzo, Lettere, pp. 10, 136).

A Padova intanto aveva fissato quasi stabile dimora, e nel 1585 aveva lì preso moglie; in questa città era intanto venuto a contatto con i dotti che frequentavano lo Studio, come Sperone Speroni e Francesco Piccolomini, e con quegli altri che si raccoglievano intorno a Scipione Gonzaga; sotto la protezione e l'insegnamento di quest'ultimo veniva intanto compiendo la propria educazione letteraria: a Padova il B. pubblicò tra gli anni 1566 e 1585 quattro volumi di Rime e due di Lettere.

Nel 1588 il cardinale Ferdinando de' Medici, che in passato già l'aveva protetto, divenuto dopo la morte del fratello Francesco granduca di Toscana, lo nominò suo gentiluomo di camera; lo stesso granduca intanto, per aderire alle istanze degli studenti tedeschi, numerosi allo studio di Siena nel sec. XVI, aveva nello stesso anno istituito in quella città la prima cattedra di "lingua toscana"; a quell'insegnamento, per sollecitazione di Cesare d'Este, chiamò il B ., il quale fu il primo, dopo la riforma dello Studio di Siena del 1589, a recitare in S. Domenico, nel 1590, l'orazione inaugurale per lo Studio "riformato et ampliato": orazione che - a detta del B. - "piacque a tutti i non passionati intendenti" (Lettere, ed. Campori, p. 48) e fu perciò stampata in Siena da Luca Bonetti nello stesso anno; ugualmente stampate saranno tutte le successive orazioni accademiche tenute dal B. presso l'ateneo senese fino all'anno della morte (sopraggiunta il 28 gennaio del 1598).

Il B. fu il primo professore di "lingua toscana" presso un'università italiana. L'esempio di Siena rimase per qualche tempo isolato, poiché a Firenze un lettore di lingua toscana non fu nominato che nell'anno 1632, nella persona del celebre grammatico Benedetto Buommattei. Ma il B. saliva sulla cattedra di Siena in un momento significativo per lo Studio, che era all'apogeo del suo splendore (nell'anno della riforma si contavano quasi cinquanta cattedre di discipline varie) e che raccoglieva, soltanto tra letterati grammatici ed eruditi, uomini come Fabio Benvoglienti, l'Ugurgieri, Scipione Bargagli, Adriano Politi, Belisario Bulgarini.

Dopo l'assegnazione dell'ambito incarico il B. visse stabilmente a Siena (dove era intanto entrato a far parte dell'Accademia degli Intronati con il nome di "Svegliato", quasi per alludere - come egli stesso confessava - alle sue veglie di studioso) ed attese esclusivamente all'insegnamento, rivolto - oltre che al gruppo degli studenti tedeschi - ai numerosi scolari provenienti dalle province lombarde. Gran parte della sua attività egli dedicava frattanto a studi grammaticali e linguistici: effettivamente, più che per la sua produzione poetica, questo è il lavoro per il quale egli merita d'esser maggiormente ricordato. I suoi versi in verità furono accolti favorevolmente - come attesta lo Ziliolo - da molti dei suoi contemporanei. Ancora il Crescimbeni ne lodava la "mirabile facilità", la "grazia", la "vivacità", e quella "certa vaghezza che ha del moderno cioè del florido che indi a poco incominciò a introdursi; ma però ristretto dentro i termini del buon gusto antico"; tuttavia costituiscono una produzione di scarso valore per il costante contenuto occasionale privo di schietta e profonda ispirazione. Il B. stesso più d'una volta (Lettere famigliari, p. 133; Lett. disc., II, p. 54;prefaz. di C. Perla alle Lett. disc.), durante gli anni del suo insegnamento senese, ripudiò quei primi scritti poetici, eccetto le giovanili Rime amorose. Fredda e convenzionale è la canzone per la battaglia di Lepanto Nella gran vittoria della armata nella Lega contro quella di Selim (nell'ed. di Viterbo, 1572), scritta cinque giorni dopo la vittoria cristiana. Più abile verseggiatore invece, non privo di quella grazia riconosciutagli dal Crescimbeni, si mostra il B. nei componimenti che si muovono entro le situazioni psicologiche e fantastiche, le immagini e il linguaggio tipico del petrarchismo cinquecentesco; ma la tendenza intellettualistica e filologica del grammatico soverchia anche nei momenti migliori il poeta: si consideri, come indicativa esemplificazione (Rime..., ed. Frati, p. 103), quel giocare in un sonetto su rimandi in rima tra lo stesso aggettivo "vago", ripreso nella triplice gamma di accezioni trecentesche, prima come "desideroso", poi "vagante", indi come "bello".

Anche ai contemporanei il B. parve più degno d'attenzione e di stima come grammatico che non come poeta; ad Adriano Politi (Lettere, Venezia 1624)sembrava "l'oracolo della toscana favella quanto all'osservazione degli scrittori", pur criticandolo "per usar troppe voci antiquate, per ismisurato affetto verso gli antichi scrittori"; il Lombardelli (Ifonti toscani, Firenze 1598)lo metteva insieme a Lionardo Salviati, poiché entrambi "colle loro scritture, e di teorica e di pratica hanno riscossa e avvalorata la nostra lingua". Il B. era ben consapevole di tale reputazione e conscio soprattutto dell'importanza dell'incarico conferitogli nello Studio di Siena: in una lettera del 28 nov. 1592a Tommaso Malaspina, governatore di Siena (Lett. disc., III, p. 43), si gloriava che "in materia di toscano idioma... a dover dare in generale Studio insegnamenti e regole solenni, 10 sono stato primiero e solo infra tutti gli huomini eletto"; ed ancora, l'anno successivo, in una lettera a Fernando Gonzaga (Lettere, ed. Campori, p. 63)scriveva con ostentazione: "l'havere io solo, e primo fra tutti gli huomini tenuto in pubblico Studio già cinque anni sermoni di tosca favella con sodisfacimento e pro di numerosa turba d'illustri uditori, non m'ha partorito, e non mi partorisce lode soprana, e gloria non caduca?".

L'opera grammaticale del B. è, quanto alla mole, certamente notevole, frutto di una erudizione infaticabile e puntigliosa: si rifaceva fedelmente alle sue fonti citando - come si legge nella Prefazione alla prima parte delle Lettere discorsive - "i libri, i capitoli, le novelle, i canti, le carte et per poco le righe, secondo la qualità dell'opera da cui traeva le voci et le forme di dire", ed era fiero di questo suo zelo (poiché ciò "non è stato fatto se non radissime volte"). La sua fatica di filologo è raccolta in gran parte nei tre libri di Lettere discorsive, di cui la prima parte fu stampata a Padova nel 1584, la seconda a Venezia nello stesso anno e la terza, postuma, a cura dei due fratelli Pietro e Claudio, a Siena nel 1603. Tali lettere trattano della proprietà o meno nell'uso di vocaboli e frasi, stabilita secondo il criterio per lo più meccanico di raffronto con i modelli trecenteschi. In un così largo lavorio di osservazioni sparso in tre volumi di lettere non è possibile cogliere linee teoriche e tesi sistematiche: il carattere frammentario e occasionale delle annotazioni si rivela la costante del metodo del B., il quale - come confessa egli stesso (Lettere, ed. Campori, p. 30) - "secondo diverse occorrenze, o giudicando, o difendendo, o accusando" ha voluto nelle sue letture scoprire "assai proprietà di questa lingua, fin qui non conosciute" e dare "per accidente molti importanti ammaestramenti". Mancò quella sintesi che l'autore si proponeva di dare in un "Trattato della lingua toscana"; la pubblicazione, che di tanto in tanto prometteva (v. Lett. fam., p. 105; Lett. disc., I, p. 41; II, p. 37), dovette arrivare a buon punto, tant'è vero che ne vennero stese almeno treparti, su cinque che erano in programma; per il completamento dell'opera programmata ed annunziata a più riprese doveva anche aver ricevuto incoraggiamenti e sollecitazioni dai suoi amici, come si legge in una lettera (senza data) di Adriano Politi a Scipione Bargagli, nella quale risulta evidente l'intenzione del B. di preparare una grande opera di sintesi (Politi, Lettere, pp. 148 s.). Tale trattato non ciè pervenuto tra le opere inedite del B., e chi, come il Valente (p. 127), ha ritenuto che fosse conservato manoscritta nella Biblioteca comunale di Siena, sotto il titolo "Lezioni di lingua toscana", ha con ogni probabilità confuso con un'opera diversa: difatti, secondo il parere del Rossi, quest'opera inedita costituisce soltanto la raccolta dei quaderni delle lezioni dettate dal B. nello Studio dal 1588 al 1589. Del trattato non abbiamo che notizie circa il piano generale da una lettera del 1582 ad Ascanio Piccolomini, arcivescovo di Siena (cfr. Lett. disc., II, pp. 5 ss.), da cui si deduce che doveva contenere, nei suoi cinque libri progettati, una parte critica, un trattato sui verbi, sulle particelle, sulla proprietà delle voci e sulle forme. Quanto al manoscritto delle "Lezioni", forse l'autore aveva in mente di pubblicarlo: il testo è pieno di aggiunte, correzioni e postille, con parti spesso indecifrabili; parrebbe lo scartafaccio di chi sta rivedendo e limando per consegnare alle stampe un lavoro (dell'intenzione di pubblicare le sue lezioni effettivamente il B. parla più volte, nel '90, nel '92 e nel '96: cfr. Lettere, ed. Campori, pp. 39, 59, 63, 68, 70; la stampa era data poi come imminente dall'autore, il quale, inspiegabilmente, asserisce a c. 158v di aver inviato il manoscritto definitivo alla "miglior stamperia" di Venezia); o piuttosto appunti messi frettolosamente insieme per la scuola: e questa ipotesi è tanto più probabile se si tiene in conto sia il vezzo del B., riscontrabile più d'una volta, di dare per terminate od imminenti cose appena incominciate, sia il difetto della forma (alla quale il B. badava sommamente) nella stesura del manoscritto, oltre all'incompletezza ed alle ripetizioni riscontrabili (Rossi, pp. 373 s.).

Le idee grammaticali del B. non sono, tutto sommato, particolarmente geniali e originali: quel che di astratto e di troppo rigido era nella concezione bembesca di un linguaggio tutto costruito sugli scrittori del "buon secolo" noi ritroviamo nelle osservazioni del B.: imitazione del Petrarca e del Boccaccio, con qualche timida concessione ("anche alcune voci non usate né dal Petrarca né dal Boccaccio si possono adoperare, ma in casi singolari e di necessità": Lett. disc., I, pp. 61-64); tra i contemporanei, il modello è il Della Casa. Dante, l'autore più discusso del Cinquecento, trova nel B. una valutazione diversa da certi giudizi severi formulati durante il secolo (Lett. disc., I, p. 32); ma sulla lettera del testo, con pedante minuzia, il B. si dilungava a esaminare soltanto in quali casi fosse da imitare, in quali da fuggire (Lett. disc., I, p. 41; III, pp. 6, 49, 106). Ad originali osservazioni critiche il grammatico non arriva, né sa cogliere se non valori normativi dell'esempio di lingua: comunque - a differenza di contemporanei senesi - non analizza il testo di Dante con animosità municipalistica, e certe critiche d'ispirazione puristica gli paiono infondate, poiché "le voci della Commedia... per lo più sono veramente toscane: certe delle quali son reputate forestiere, da chi non habbia intima famigliarità con gli antichi et con gli antichissimi scrittori". Nella polemica fra il collega Belisario Bulgarini e Iacopo Mazzoni, autore della Difesa della Commedia di Dante (Cesena 1587), egli pare schierarsi difatti in favore di quest'ultimo, pur difendendo altre volte il suo conterraneo, quando attacca Girolamo Zoppio, per aver questi usato espressioni troppo grossolane nei riguardi del Bulgarini (Lett. disc., II, p. 46; III, pp. 67, 69, 71 ss., 114, 116).

Quanto alla questione della lingua il B. è sulla scia del maggior rappresentante della filologia senese, il Tolomei, e con lui (come con il suo successore sulla cattedra di Siena, Celso Cittadini) professa la tesi della lingua toscana, epurata da latinismi e dialettalismi, senza arrivare con questo all'altro estremo del fiorentino puro propugnato dal Salviati e dal Borghini; il fine del B. non è quello di glorificare incondizionatamente il fiorentino, ma di arricchire la lingua della sua città in modo che divenga lingua italiana.

Non mancò infine il B. di intervenire nelle discussioni suscitate dal Tasso: uno dei temi tipici di molta parte delle polemiche linguistiche del secondo Cinquecento. Del Tasso il B. era stato amico sin dalla giovinezza, e con lui ebbe scambi di lettere sino a quando il poeta frequentò lo studio di Padova; a lui dedicò difatti alcuni versi (Valente, p. 113 ss .), e in un sonetto (Delle rime..., I, c. 14r) gli si rivolge affettuosamente per indurlo a ritirarsi da un amore che lo consumava "a dramma a dramma". Poco più tardi lo vediamo invece, nella polemica tra tassisti e antitassisti, schierarsi tra questi ultimi; pur tenendolo per "solenne letterato e per gran poeta", non reputa ch'egli scriva "in tutto secondo le regole e con intera purità di lingua" (v. Lettere, ed. Solerti, II, p. 301), anzi lo giudica "ardito smisuratamente" e "che fuor di modo riesca impuro ed irregolato"; in certi momenti la sua polemica sul Tasso si fa molto dura e pesante, sia contro Giulio Ottonelli, difensore del Tasso (il quale aveva direttamente censurato il B. nei suoi Discorsisopra l'abuso del dire 'Sua Santità'…, Ferrara 1586), sia in certe lettere, quando diffusamente si sofferma ad analizzare minuziosamente le "voci oscure, ignobili e sopra modo irregolate" (Lett. disc., ed. 1701, p. 375) e "gravi falli nelle voci e nelle locuzioni toscane" riscontrabili nelle Rime (Lett. ad. cit., pp. 228 ss.) e nella Gerusalemme conquistata (ibid., pp. 310 ss.); a proposito dei Discorsi sull'arte poetica, in una lettera a Ferrante Gonzaga, chiama "ignoranti" e "animose" le persone "che ardiscon di levar con somme lodi al cielo questa opera" e afferma che "dalla lezione di questo libro non si possa apprendere altro che scrivere senza regola e barbaramente" (Solerti, pp. 284 ss.). C'è chi pensa che alla base della polemica esistessero dissapori di carattere personale per l'insuccesso di un tentativo del Tasso di procurare ospitalità al B. presso la corte estense; ma forse è da scorgere in certa animosità del B. verso il Tasso la logica conseguenza degli ideali di un grammatico che all'"aureo" Trecento guardava come ad un modello di forma e di norma; a proposito appunto del Tasso ribadiva in una lettera (Solerti, p. 345): "Né si può da' poeti e da' prosatori moderni in materia di lingua commettere così grave inescusabile errore, come in usar voci e locuzioni in guisa che direttamente sia contraria all'uso degli antichi nostri eccellenti autori".

Opere. Delle rime di M. D. B. gentiluomo senese..., I, Padova 1566; II, ibid. 1567; III, ibid. 1568; IV, Perugia 1570; V, Viterbo 1572; I cinque libri... con gli argom. di C. Perla, Padova 1585; Rime amorose, Padova 1585; Lettere famigliari, Padova 1578; Lettere discorsive, I, Padova 1584; II, Venezia 1584; III, Siena 1603; rist. delle tre parti a cura di F. Nazari, Roma 1701. Cfr. inoltre Lettere di D. B., a cura di G. Campori, Bologna 1868; L. Frati, Rime inedite del Cinquecento, Bologna 1918, pp. 102-127, che pubblica le rime del B. del ms. 1072 (XII, 3) della Bibl. Univ. di Bologna. Altri componimenti poetici: Canzone nelle felicissime nozze del Gran Duca di Toscana e di Madama Cristina di Lorena,ed altre rime dell'autor medesimo..., Firenze 1589; Rime nella venuta a Siena della sereniss. Gran Duchessa l'anno 1592, Siena 1592; vari componimenti si trovano in Rime di diversi autori nella morte del sig. Lelio Chiericato raccolte da D. B., Padova 1567; due sonetti in Lagrime di diversi poeti volgari et latini sparse per la morte dell'ill.ma et ecc.ma Madama Leonora di Este..., Vicenza 1585; sei madrigali in P. Petracci, Ghirlanda dell'Aurora,scelta de' madrigali de' più famosi autori di questo secolo, Venezia 1608; Oratione del sig. D. B... lettor di tosca favella nello Studio pubblico di Siena da lui medesimo recitata nel principio della sua lettura, Siena 1589; Oratione [pronunciata per la solenne inaugurazione in S. Domenico], Siena 1590; Oratione intorno agli onori ed ai pregi della poesia e della eloquenza, Siena 1596; il De Angelis segnala due Orazioni autografe nella Biblioteca comunale di Siena: Oratio quae incipit: Homines hominum causa esse generatos... (ms. K V 26) e Oratio habita in senatu Senensi in acceptione vexillorum. Delle opere inedite del B. danno notizia il Mazzuchelli e L. Ilari, Indice per materie della biblioteca di Siena, Siena 1844, che già ricorda le Lezioni di lingua toscana, ms. autogr. H VII 46, 574; ed Intorno alla lingua toscana, ms. G IX 48, 23 (1582); il De Angelis aggiunge un terzo inedito, molto breve, della Bibl. di Siena (ms. G II48): Grammatica della lingua toscana. Poesie manoscritte si trovano nel ms. miscell. 1882 della Bibl. Angelica di Roma. f. 107 (tre sonetti); 4 sonetti ed una canzone in Raccolta di poesie d'autori dei secc. XVI e XVII, della Bibl. Univ. di Bologna, n. 829, cc. 42r-45r; due sonetti nel ms. autogr. 2407, Rime spirituali, della Bibl. Angelica di Roma, cc. 104v-105r; altre rime nel ms. H 41, Rime di Curzio Gonzaga e d'altri, nella Bibl. Comunale di Perugia, e nel ms. miscell. Cl. CII, 357, nella Bibl. Naz. di Firenze. Nella Bibl. Naz. di Torino esistevano, sino al 1904 e perdute nell'incendio, alcune rime legate ad avvenimenti della corte sabauda (cfr. B. Peyron, Codices italici, Torino 1904); G. Ghilini e I. A. Ugurgieri (Le pompe sanesis Pistoia 1649, I, p. 591) e il De Angelis registrano tra le opere a stampa del B. certe Osservazioni sopra il testo del Decamerone (Firenze 1583?) ed alcune osservazioni sul Corbaccio e sul Laberinto d'amore (Parigi 1569?), di cui non si ha notizia, per quanto vengano ricordate anche dal Perla.

Fonti e Bibl.: Oltre alla prefazione di C. Perla alla I e II parte delle Lettere discorsive, ed a S. Buazzo, Lettere, Venezia 1603, loc. cit., v. G. Goselini, Ragionamento sopra i componimenti delB., in Lett. disc., p. III, ed. cit., pp. 127-83.; G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, II, Venezia 1647, pp. 67 ss.; G. M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 112; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ognipoesia, II, Milano 1741, p. 254; IV, ibid. 1743, p. 260; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1721-27; A. Zeno, in O. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza italiana, I, Venezia 1753, pp. 81 s., 132, 182, 323; U. Benvoglienti, Opuscolidiversi sopra la lingua toscana, Firenze 1771, pp. 86, 115; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 3, Modena 1779, pp. 26 e 166; L. De Angelis, Biografiadegli scrittori sanesi, Siena 1824, pp. 155-159; F. Inghirami, Storia della Toscana..., I, Fiesole 1843, p. 303; I secoli della letteratura italiana dopo ilsuo risorgimento. Commentario di G. B. Corniani,colle aggiunte..., III, Torino 1855, pp. 43 s., A. Messari, Un libro di secentismo anticipato nella biblioteca del R. Liceo (Teramo), in Rivistaabruzzese, XIV (1899), 1, pp. 30-33; U. Cosmo, Le polemiche tassesche,la Crusca e Dante, in Giornale storico d. lett. italiana, XLII (1903), p. 146; S. Valente, D. B. lirico e grammatico delsecolo XVI, Bari 1905; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., pp. 446 s.; C. Trabalza, Storia della grammatica italiana, Milano 1908, pp. 236 s.; P. Rossi, La prima cattedra di "Lingua toscana"..., Torino 1910; E. Santini, La fortuna del Boccaccio a Siena, in Racc. di studi di storiae critica letter. ded. a F. Flamini, Pisa 1919, pp. 299-314 e spec. p. 309; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1950, p. 460; R. Weiss, TheSienesePhilologists of the Cinquecento. A BibliographicalIntroduction, in Italian Studies, III (1946-1948), pp. 34-49 e spec. 44-45. Per notizie biografiche più particolari si veda, per il bando da Siena, più precisi dettagli in S. Valente, op.cit.;per notizie sommarie sullo Studio di Siena, e relative al B., cfr. Riforma del generale studio dellacittà di Siena, Siena 1590, pp. 1-24; L. De Angelis, Discorso storico sull'Università di Siena, Siena 1840; B. Tanari, Le scuole a Siena, in La rivista europea, III (1871), 3, p. 455. Per la polemica antitassiana cfr. le lettere del B. pubbl. da A. Solerti, Vitadi T. Tasso, Torino 1895, II, ad Indicem.

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