ATANAGI, Dionigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

ATANAGI, Dionigi

Claudio Mutini

Nacque a Cagli intorno al 1504 da famiglia borghese immiserita dopo un passato - sembra - abbastanza prospero. Mancano dati biografici sulla giovinezza dell'A., che nel 1529 si trova comunque a Perugia, forse per ragioni di studio, ove stringe particolare amicizia con due condiscepoli: tali L. Sanesi, prete perugino, e un Guidalotti da Urbino e dove compone un sonetto garbatamente moraleggiante dedicato alle donne di quella città. Conclusa la propria preparazione cutturale, l'A. realizza una aspirazione comune a molti poeti e scrittori provinciali: quella di svolgere a Roma una proficua attività letteraria, e a Roma dovette stabilire la sua residenza fin dal 1532 in qualità di segretario presso qualche prelato.

Non si hanno notizie precise sulle mansioni svolte in questo periodo dall'A.: è probabile tuttavia che gli incarichi a lui affidati fossero assolti nell'ambito di quegli ambienti ecclesiastici fortemente impegnati, durante il pontificato di Paolo III, a contenere nei limiti di una nuova organizzazione politico-amministrativa gli sviluppi minacciosi del protestantesimo. Verrebbero così a precisarsi, sin dai primi anni del soggiorno romano, quegli interessi prevalentemente religiosi, che, alla base della formazione intellettuale dell'A., informeranno una parte notevole della sua futura attività culturale. A questo riguardo va inoltre sottolineato l'influsso esercitato sul giovane scrittore cagliese dall'austero sentimento cattolico di G. Guidiccioni, con il quale l'A. collaborò come segretario (1540) e che seguì a Macerata allorché il vescovo di Fossombrone ricoprì la carica di commissario generale dell'esercito pontificio nelle Marche. Importanza non minore ebbe per l'A. l'arnicizia di C. Tolomei che, affettuosamente condivisa dai due scrittori, si risolse sul piano letterario nella adesione da parte del poeta marchigiano ai Versi et regole de la nuova poesia toscana, Roma 1539: raccolta di poesie presentata in maniera lusinghiera da A. Caro ("Or cantate meco, cantate or che altro risorge Pamaso, or che altro nuovo Elicona s'apre..."), cui l'A. collaborò con venti liriche. "Corri al colle sacro, Dionigi, - scriveva per l'occasione il Tolomei - all'alto viaggio / In cima del monte per la via erta sali".

Si deve probabilmente a questo sterile tentativo di arricchire la poesia in volgare con la metrica classica se lo scrittore poté essere introdotto nei più celebri ambienti letterari romani, in special modo (forse per intercessione di G. Ruscelli) presso quei cenacoli di cultura particolarmente legati alla corte pontificia. Una sicura vocazione per la letteratura e un innato desiderio di gloria pongono sin da questo momento l'attività dell'A. in relazione con l'esperienza artistica di alcuni tra gli scrittori più autorevoli dell'epoca, secondo un dialogo che il poeta cagliese cercherà di mantenere vivo grazie anche ad una instancabile attività di critico e di editore, mentre comincia a delinearsi quella varietà d'atteggiamenti, solo in apparenza spontanea e spregiudicata, in realtà contraddittoria e alquanto equivoca, che porterà gli interessi dell'A. dall'incondizionata ammirazione per la personalità letteraria di rilievo (sia il Caro o il Molza, il Flaminio o il Berni) che personifica l'ideale di un mondo fastoso della cultura e della poesia, all'irnpegno morale di alcune Rime che ripiegano sul tema della rinuncia e della rassegnazione, dal gusto per la biografia aneddotica di tradizione umanistico-gioviana, alla redazione dei canoni del Tridentino.

Non si sa con precisione quando l'A. entrò a far parte delle accademie della Virtù dello Sdegno (cfr G. M. Crescimbeni, Dell'Istoria della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 102). È certo comunque che la sua fama di erudito dovette diffondersi notevolmente se, nominato cittadino romano da Giulio III (cfr. G. Fontanini, Biblioteca della eloquenza ital., I, Roma 1753, p. 160), poté intraprendere, sotto gli auspici della protezione papale, la prima importante opera di editore: De le lettere di tredici huomini illustri libri tredici, Roma e Venezia 1554, dedicata al cardinale Feltrio della Rovere.

La raccolta che includeva, fra le altre, lettere di L. Canossa, di G. M. Giberti, di M. A. Flaminio, di I. e P. Sadoleto, di P. Giovio e di B. Tasso, venne polemicamente giudicata da P. P. Vergerio nel Giudicio sopra le lettere di tredici huomini illustri, pubblicate da M. Dionigi Atanagi e stampate in Venezia nell'anno 1554-1555, rivolto non tanto contro l'A., quanto contro i personaggi che nell'opera comparivano. L'opuscolo del Vergerio fu messo all'Indice, mentre la raccolta dell'A. veniva ripubblicata da G. Ruscelli (forse a sua insaputa) nel 1556 presso G. Zitelli con l'aggiunta di altri due libri di lettere e ristampata in quindici libri presso F. Lorenzini di Torino (1560) e per Comin da Trino di Monferrato (1564). Un'ulteriore aggiunta verrà apportata alla silloge dell'A. da T. Porcacchi: in diciassette libri l'opera sarà ristampata nel 1565 per G. Cavalli e riprodotta nel 1571 da G. M. Bonelli e nel 1576 da I. Vidali.

Nel 1555 l'A. ebbe occasione di assistere al conclave, per la creazione del nuovo pontefice (Marcello II) non mancando di sottolineare positivamente il rigorismo religioso del cardinal Cervini: "Sicchè 10 penso che con l'esempio della suà buona vita, molti da se stessi si riformeranno; di che tutti gli uomini da bene devono ricevere grandissima consolazione" (il resoconto del conclave redatto dall'A. per mons. F. Tiranni fu incluso nella raccolta iniziata dal Ruscelli delle Lettere di principi, le quali o si scrivono da principi, o a principi o ragionano di principi, Venezia 1581, pp. 6 e ss. Può leggersi ora in Tarducci, p. 129). Nel 1556 scrisse,per il senatore di Roma B. de Medici una lettera ufficiale al duca di Parma rallegrandosi "della reintegrazione dello Stato suo e della riconciliazione con sua Maestà", cui fa seguito un'altra importante lettera, sempre redatta per il magistrato, e indirizzata a Paolo IV, che ribadisce, contro i pericoli della rivolta baronale e la minaccia dell'invasione spagnola, i sentimenti di lealtà del popolo romano verso il pontefice. lion sembra tuttavia che alla rinomanza raggiunta dall'A. nell'ambito della corte romana corrispondesse un reale progresso delle sue condizioni di vita: ché l'instabilità della situazione econoimca, unitamente al precario stato di salute, travagliarono a lungo l'esistenza dello scrittore. Ne è fedele testimonianza una lettera del cagliese che si legge in A. Cerruti, Lettere inedite di dotti italiani del sec. XVI, Milano 1867, lettera II.

Di ritorno a Cagli (di questo rimpatrio si rallegrava A. Galli: v. P. Manuzio, Delle lettere volgari di diversi nobilissimi huomini, III, Venezia 1567, p. 426), l'A. accetta di revisionare il manoscritto dell'Amadigi "quanto alle cose appartenenti alla locuzione e della lingua". E sembra che egli lavorasse d'impegno intorno all'opera del Tasso suscitando un'eco vastissima di consensi: "novello Aristarco", "lima e fregio a, più culti scrittori", "nuovo Linceo" sono alcuni appellativi che designano tale attività critica (cfr. F. Sansovino, Venezia descritta, Venezia 1581, p. 47, e J. C. Zeltner, Theatrum virorum eruditorum, Norimbergae 1720, p. 73). Recatosi a Pesaro per continuare la revisione del poema, ebbe occasione di stringere rapporti di amicizia con G. Faerno, oltre che con I. Cenci e T. Spica (cfr. B. Zucchi, L'idea del segretario, Venezia 1606, II, pp. 353 s.; III, p. 99), mentre si produceva in alcune poesie d'occasione rivolte alla corte roveresca, che destavano l'anunirazione di B. Guidi e di E. di Valvason.

Da Pesaro l'A. si trasferisce di nuovo a Cagli, forse per l'aggravarsi delle condizioni di salute, dove continua l'opera di correzione al manoscritto dell'Amadigi (cfr. la lettera al Guidarelli in Manuzio, III, p. 364); e di lì a Venezia (1559) dove è accolto in qualità di segretario Presso l'Accademia della Fama. Durante il soggiorno veneziano, il poeta rinuncerà deliberatamente a tornare a Roma declinando l'invito che in tal senso gli verrà proposto dal Tiranni: alla radice di questo rifiuto è da ravvisarsi lw precarietà della situazione politica romana, forse il diminuito interesse per la produzione (del resto ancora esigua) dell'A., ma soprattutto la coscienza, assai viva nello scrittore, di poter svolgere presso gli ambienti veneziani di cultura un'attività letteraria tanto piii vasta e cospicua.

Del 1559 è la ristampa presso il Nicolini dei Ragionamento sulla eccellenza e perfezione della storia, pubblicato per la prima volta nel Sopplimento aggiunto da G. Ruscelli alle storie di P. Giovio: opera che si prefigge di dimostrare come la storia, necessario compimento della politica e della morale, possa integrare queste discipline a quel modo che "i medici razionabili non avrebbero la loro perfezione senza la pratica, nè i pratici senza la teorica". Tale programma verrà perseguito nella traduzione del De viris illustribus urbis Romae di Sesto Aurelio Vittore (Il libro degli uomini illustri di Gaio Plinio Cecilio ridotto in lingua volgare, Venezia, appresso D. Guerra, 1562) in cui s'avverte come all'innato gusto per la biografia aneddotica rivolta a personaggi divenuti favolosi nella tradizione dei volgarizzatori (Alessandro, Catone, Cesare), si sovrapponga un tenace quanto vigile e sorvegliato moralismo.

Nel 1560 l'A. pubblica le Rime di B. Cappello, Venezia, appresso D. Guerra, dedicate all'iUustre protettore dei Cappello, cardinale A. Famese, cui fanno seguito due sillogi di notevole interesse: le Rime di diversi nobilissimi, et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo con una Vita di I. d. S, premessa dall'autore alla raccolta, Venezia, Guerra, 1561 e il primo libro De le lettere facete, et piacevoli di diversi grandi huomini, et chiari ingegni, stampato a Venezia per B. Zaltieri nel 1561(riprodotto dal Manuzio nel 1582 e, dal Salicato nel 1601 con l'aggiunta di un secondo libro redatto dal Turchi).

Le Rime di G. Zane, dedicate a mons. Carlo da Ca, Pesaro, furono edite a Venezia nel 1562a cura dell'A., già probabilmente impegnato alla stesura delle Rhetoricorum Aristotelis ad Theodecten, itemque ad Alexandrum, necnon ex paraphrasi Hermogenis tabulae, Venetiis, apud D. Nicolinum, 1563 (erroneamente il Mazzuchelli segnalava la data del 1553), compilazione di modesta levatura storico-fìlologica, significativa comunque al fine di individuare quegli interessi prevalentemente eruditi che caratterizzeranno l'estrema attività dell'Atanagi.

Nel 1565 compaiono a Venezia per L. Avanzo i due volumi De le rime di diversi nobili Poeti toscani dedicati rispettivamente a P. Bonarelli e a Giovanni II d'Ungheria (cfr. per l'elenco dei poeti inclusi nella raccolta, F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni Poesia, II, Milano 1741, pp. 364-367); mentre l'A. lavora intorno alla ristampa di quei Canones et Decreta sacrosancti Cecumenici et generalis Concilii Tridentini (integrati dalle citazioni "ex utroque Testamento et iuris pontificii constitutionibus" di O. Luzi) che, con lettera dedicatoria al card. G. Morone (11 febbr. 1566), saranno pubblicati a Venezia per F. Ziletti .

L'esperienza critica dell'A. si conclude con l'edizione delle poesie di Bernardino Rota, le cui Rime egli affidava al Giolito nel 1567, mentre i Carmina saranno ristampati a Napoli nel 1572 con una elegante prefazione latina indirizzata dallA. al viceré di Napoli, duca d'Alcalá.

Circa il luogo e la presumibile data di morte dello scrittore cagliese: il Mazzuchelli fissava sicuramente il primo a Venezia, circoscrivendo la seconda tra il 1567 e il 1574 (Gli Scrittoti d'Italia, I, 2, Brescia 1753, p. 1200). Tale oscillazione può essere tuttavia superata accettando la data del 1573 riproposta dal Tarducci secondo la testimonianza di F. Bricchi. Il catalogo chigiano a stampa (p. 39) attribuisce all'A. anche la raccolta de Il primo libro dell'opere burlesche di M. Francesco Berni (Venezia 1564), nove lettere del quale sono state incluse nella silloge del 1561.

L'importanza che ebbe l'attività editoriale dell'A. (notevole anche se talvolta incauta ed affrettata), oscurò precocemente la sua fama di poeta secondo un giudizio negativo espresso già da C. Caporali (Parte seconda dell'Esequie di Mecenate, Perugia 1770, pp. 265 s.) e rimasto insuperato nella modesta tradizione di studi critici dedicati alla figura dell'Atanagi. Nell'ambito di una ispirazione incerta e limitata, troppo spesso la tematica delle Rime si sviluppa secondo i tradizionali modelli della lirica celebrativa, ovvero si esaurisce nell'imitazione schematica di un esausto classicismo che cede non di rado di fronte a un più tenace e risentito spirito controriformista: "Veramente siani polvere ed ombra, / E nostra vita, che ne par si bella /È solo undì, che', n aprir chiude il cielo... " (Per la morte della duchessa Leonora, in Dennistoun, III, p. 280).

Maggiori risultati artistici raggiungono le prose; non tanto quelle latine atteggiate a un vago ideale di retorica magniloquenza, quanto talune prose volgari come quella Vita di Irene da Spilimbergo che non a torto piacque al Giordani e, più recentemente, a B. Croce. In quest'opera, che supera largamente le poesie composte per l'occasione da letterati e poeti famosi quali B. e T. Tasso, L. Tansillo, A. Di Costanzo, L. Terracina, la vena sottilmente affettiva e melanconica dell'A. può felicemente diffondersi nel breve dispiegarsi della rievocazione biografica, rappresentando il personaggio evanescente della giovinetta in un clima di trasognata e poetica evidenza.

Le Lettere che si leggono nelle cit. op. del Turchi, dello Zucchi e del Manuzio (ristampate queste ultime nella Nuova scielta di lettere di diversi curata da B. Pino, Venetia 1574) rispondono a una esigenza di equilibrio e di classico decoro.

Fonti e Bibl.: La Vita di Irene di Spilimbergo fu ristampata da P. Giordani in Fiori d'arte e di lettere italiane per l'anno 1839, Milano 1839, e inclusa nelle successive edizioni delle Opere del Giordani; Dionisii Athanasii Calliensis inedita (ed. E. Mochi), Romae 1879; v. inoltre J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino, III, London 1851, pp. 277-281, 288; F. Ugofini, Storia dei conti e duchi di Urbino, I, Firenze 1859, p. 159; C. Arlia, I correttori di stampe nelle antiche tipografie italiane, in Il bibliofilo, VII (1886), p. 82; A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, I, Torino, 1895, pp. 33, 34, 36, 37, 38, 42. 57. 78, 96; A. Tarducci, L'A. da Cagli, Cagli 1904; Id., Dizionarietto biografico cagliese, Cagli 1909. pp. 21 e.; V. Luce, D. A., in Picenum, V (1908), pp. 205-208; E. Liburdi, Irene di Spilimbergo e l'A. da Cagli, in Picenum, XII(1915), pp. 242-245; L. v. Pastor. Storia dei Papi, V, Roma 1924, p. 696; VI, ibid. 1927, pp. 325, 341; B. Croce, Isabella di Morra e Diego Sandoval de Castro, in La Critica, XXVII(1929), p. 19; Id., Scrittori e poeti del Pieno e del tordo Rinascimento, Bari 1945, I. pp. 89, 366-375; II pp. 70 s.; Id., Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, p. 319; E. Chiorboli, Stampatori ignoti e ignorate edizioni del Cinquecento, in La Bibliofilia, XXXVI (1934), pp. 1197-199.

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