Diritti dell'uòmo

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Diritti che spettano alla persona in quanto essere umano, non dipendenti da una concessione dello Stato. Tali diritti possono essere riportati alla tutela della vita umana sotto ogni forma (contro l'uccisione, la tortura, la schiavitù; la privazione della libertà di coscienza, di religione, di opinioni); all'eguaglianza di tutti (contro le discriminazioni di razza, sesso, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni sociali); alla tutela dei diritti politici (partecipazione effettiva degli individui al governo del proprio paese, elezioni periodiche e libere); alla sicurezza contro il bisogno (libertà sindacali, lavoro, salario, abitazione, cure).

Le origini storiche

I d. dell'u. sono riconosciuti nei testi fondamentali degli ordinamenti moderni che gli Stati si sono dati e che di questi testi costituiscono le parti più qualificanti. Inizialmente gli atti normativi (per es. il Bill of rights, cioè la dichiarazione americana dei diritti adottata dal governo statunitense nel 1781 e la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata in Francia dall'Assemblea nazionale nel 1789) affermavano i diritti di libertà e uguaglianza in appositi preamboli. Tale tecnica venne parzialmente abbandonata per inserire l'enunciazione di questi principi all'interno della parte direttamente precettiva, come accadde per es. nella Costituzione italiana del 1948. Le dichiarazioni americana e francese proclamavano i d. dell'u. invocando l'autorità della natura, in quanto è direttamente dalla natura che i singoli ricevono alcuni diritti fondamentali, di cui sono titolari fin dalla nascita. Poiché fanno parte della natura umana, nessun uomo può decidere di sacrificare tali diritti e, a maggior ragione, questi diritti non possono essere tolti dal sovrano: i diritti naturali costituiscono quindi un cerchio invalicabile che lo Stato è chiamato a rispettare e tutelare.

Diritto internazionale

Dopo la Prima guerra mondiale, ma soprattutto dopo il secondo conflitto, la tutela dei d. dell'u. è stata affidata ad atti di diritto internazionale. Nell'ambito delle funzioni delle Nazioni Unite, il 10 dic. 1948 si giunse all'adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e più tardi all'approvazione del Patto sui diritti civili e politici e di quello sui diritti economici, sociali e culturali, approvati all'unanimità il 16 dic. 1966 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Importante nel campo della tutela dei d. dell'u. e delle libertà fondamentali è la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (stipulata a Roma nel 1950, entrata in vigore il 3 sett. 1953 e ratificata dall'Italia con la legge 4 ag. 1995 n. 848), sulla cui applicazione giudica la Corte europea dei diritti dell'uomo. Con la modifica del 1994, alla Corte europea possono rivolgersi non solo gli Stati membri che lamentano l'inadempimento degli obblighi contrattuali da parte di un altro Stato membro, ma gli stessi cittadini che hanno patito l'oltraggio dei loro diritti. In tal caso, la Corte può condannare lo Stato colpevole a ristabilire il diritto violato o a risarcire la vittima.

I diritti umani all'inizio del 21° sec.

Il tema dei diritti umani ha acquisito una considerazione sempre crescente, tanto nella giurisprudenza internazionale quanto nel dibattito pubblico, in relazione soprattutto al processo incalzante di internazionalizzazione di questi stessi diritti strettamente connesso alle dinamiche dell’era della globalizzazione. Anche le esigenze di pubblica sicurezza affermatesi con la stagione terroristica che si era aperta con gli attentati di New York e Washington del settembre 2001 e le considerazioni sulla strage della popolazione civile durante la guerra scatenata in Iraq dagli anglo-americani (2003) hanno alimentato il dibattito sul diritto alla vita, sulla condanna della tortura e più in generale sulle violazioni dei diritti umani. Diritti, però, assai poco tangibili in larghissima parte del Pianeta. Sicuramente nel primo decennio del 21° secolo si è assistito a una moltiplicazione ed esplosione di nuovi diritti, sia a carattere soggettivo, sia collettivo, rivendicati da organizzazioni e movimenti nazionali e transnazionali, da minoranze linguistiche e culturali, da particolari gruppi sociali e politici. Il diritto a un ambiente non inquinato, all’acqua, al libero accesso a Internet, all’integrità genetica della persona sono temi ormai largamente presenti nel dibattito politico e culturale anche se rappresentano senz’altro più un’aspettativa, o  addirittura  una speranza, che un diritto acquisito. Un primo riconoscimento del dibattito sui nuovi diritti umani, anche se circoscritto solo  a quelli meno controversi e che godono già in molti paesi di un riconoscimento giuridico,  viene dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea  siglata a Nizza nel dicembre 2000. Nel preambolo della Carta si sottolinea la necessità impellente di «rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici». In ambito di integrità genetica, per esempio, si sostiene all’art. 3 il diritto di ogni individuo alla propria integrità fisica e psichica, mettendo al bando le pratiche eugenetiche e la clonazione riproduttiva degli esseri umani. E tra i diritti da tutelare si ricordano anche l’ambiente e la privacy personale e familiare. Molto più difficoltoso appare il cammino del riconoscimento di quei diritti, primo fra tutti quello all’acqua, che costituiscono un ostacolo all’azione di sfruttamento commerciale dei pozzi da parte delle grandi imprese internazionali. Molto limitata appare anche l’effettività di tutti i diritti a tutela dei consumatori o il diritto di libero accesso alla rete telematica. A questo proposito basti pensare alla Cina dove la censura applicata dal governo di Pechino a Internet si è avvalsa della collaborazione delle più grandi società informatiche al mondo: le statunitensi Microsoft, Google, Yahoo. Al centro di aspre battaglie nel nostro Paese il riconoscimento delle famiglie omosessuali: se in Italia non è previsto alcun riconoscimento giuridico per le coppie gay che convivono, in Europa sono cinque i paesi dove il matrimonio è aperto a coppie dello stesso sesso (Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Norvegia, Svezia), mentre diverse forme di Unioni civili per le coppie omosessuali sono in vigore in Germania, Regno Unito, Francia, Finlandia, Svizzera e Austria. In Italia è assente anche una normativa legislativa sul testamento biologico, ossia il documento scritto con il quale un individuo asserisce le proprie volontà in materia di trattamento medico (somministrazione di farmaci, rianimazione, ecc.), valide anche quando non si è in grado di comunicarle. Nuove battaglie sono state combattute anche in nome del diritto alla salute e alle cure sanitarie. Una totale mancanza di equità nella distribuzione delle risorse per la salute si è manifestata infatti nel caso delle cure per l’HIV/AIDS: se nei paesi ricchi gli individui colpiti dal virus hanno avuto accesso gratuito, o a prezzi ragionevoli, ai farmaci per curare la malattia, tale possibilità veniva negata ai malati dei paesi poveri a causa dei prezzi altissimi praticati dalle aziende farmaceutiche. Alle soglie del 21° secolo il Sud Africa, grazie alla battaglia condotta da Nelson Mandela,  rivendicò il diritto dei paesi poveri a disporre di farmaci a basso costo efficaci nella cura della malattia e fu trascinato per questo in giudizio da alcune decine di aziende farmaceutiche con l’accusa di aver prodotto farmaci antivirali senza aver pagato i relativi brevetti.

Il diritto all’acqua

I Millennium Development goals (Obiettivi di sviluppo del Millennio) lanciati nel 2000 dalle Nazioni Unite sono gli otto obiettivi che gli stati membri si sono impegnati a raggiungere entro il 2015. Garantire la sostenibilità ambientale è uno di questi  obiettivi e, come si legge nella dichiarazione, uno degli indicatori di successo del progetto è ridurre della metà, entro il 2015, la percentuale di popolazione senza un accesso sostenibile all’acqua potabile e agli impianti igienici di base (Target 7.c). La centralità della questione ecologica nella riflessione sul destino del nostro Pianeta si è accompagnata tuttavia in questi ultimi anni alla consapevolezza dell’estrema difficoltà a vedere riconosciuti i diritti delle vittime delle devastazioni ambientali per la forte opposizione mostrata dai grandi centri del potere economico e dagli stessi governi nazionali impotenti, da soli, a imprimere un reale cambiamento nel sistema economico mondiale. In questo contesto la battaglia per il diritto all’acqua, intesa come bene comune universale, dono naturale e non frutto dell’ingegno umano, ha visto una grande mobilitazione a tutela delle comunità dei paesi più poveri dove i pochi pozzi potabili rischiano di essere sfruttati a beneficio esclusivo delle grandi aziende multinazionali. Non va dimenticato che sono oltre due milioni ogni anno i bambini vittime di mancanza di acqua potabile nelle regioni più povere del Pianeta. Il problema della gestione delle risorse idriche è di grande attualità, d’altronde, anche nei paesi occidentali. In Italia i due quesiti referendari del 12 e 13 giugno 2011 che si proponevano di fermare la privatizzazione e la mercificazione dell’acqua hanno fatto registrare oltre il 95% dei consensi, a fronte di una partecipazione al voto superiore al 54%.

Il diritto alla vita

Il diritto alla vita di ogni individuo fu proclamato per la prima volta in ambito internazionale nell’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Tuttavia, più di ogni altro, questo diritto viene frequentemente violato. Infatti, nonostante tutta la giurisprudenza internazionale a tutela dei diritti umani, la pena di morte come punizione di reati è tuttora in vigore in numerosi paesi, tra cui gli Stati Uniti. Nel 2010 sono stati ventitré i paesi che hanno eseguito una condanna a morte: oltre 1000 le vittime in Cina, più di 250 in Iran, 60 nella Corea del Nord, 46 negli Stati Uniti, 27 in Arabia Saudita. Altro tema delicatissimo e tornato di drammatica attualità è quello delle uccisioni di civili in guerra, tema che solleva profondi dilemmi etici e di fronte al quale la legislazione internazionale sui diritti umani appare del tutto impotente. Gli stermini e gli omicidi di massa della fine del 20° secolo, nella regione dei Grandi laghi in Africa e in Bosnia dove centinaia di migliaia di innocenti furono assassinati, ha riaperto la riflessione sul genocidio: nel gennaio 2004, su iniziativa delle NU e del governo svedese, si riunirono a Stoccolma i rappresentanti di una cinquantina di governi per discutere di prevenzione al genocidio. È stata la prima volta, dopo la firma nel 1948 della convenzione ONU contro il genocidio, che la questione ha ottenuto un così esplicito carattere di urgenza nel dibattito internazionale.  Anche la tutela dei diritti dei reclusi nelle carceri e la condanna della tortura e delle umiliazione inflitte alla persona hanno conosciuto una crescente attenzione da parte dei media e della comunità internazionale. Nel febbraio 2006 le Nazioni Unite hanno denunciato gli Stati Uniti per gravi violazioni dei diritti umani dopo l’ispezione del carcere statunitense di Guantanamo (Cuba); nel rapporto conclusivo dell’ONU si parlava esplicitamente di torture e la stessa organizzazione ha chiesto agli Stati Uniti la chiusura del centro di detenzione, chiusura annunciata dal presidente Barack Obama nel 2009 ma poi rinviata. La stesse Nazioni Unite hanno voluto dare un segnale di maggiore attenzione e considerazione verso i diritti umani e nel marzo 2006 l’Assemblea generale  ha istituito un nuovo Consiglio per i diritti umani in sostituzione di un organismo preesistente, la Commissione dei diritti umani, che vedeva al suo interno la partecipazione di paesi come il Sudan o lo Zimbabwe, più volte denunciati per palesi violazioni dei diritti dell’uomo. In relazione a questa materia, risulta controverso anche lo scenario mediorientale, con particolare riferimento al conflitto israelo-palestinese; al riguardo, nel luglio 2006 una risoluzione dell’Assemblea generale delle NU esprimeva grave preoccupazione per i contraccolpi sulla popolazione palestinese delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza. Molto più dure le parole della dichiarazione conclusiva presentata nel settembre 2009 dalla Commissione istituita dal Consiglio per i diritti umani per indagare sugli effetti della guerra scatenata da Israele a Gaza alla fine di dicembre 2008: si leggeva nella dichiarazione, successivamente sconfessata dal presidente, ma non dagli altri commissari, che Israele aveva reiteratamente violato i diritti umani della popolazione palestinese e forse commesso anche crimini contro l’umanità. Una vigile opera di controllo sulle violazioni dei diritti umani in tutto il Pianeta è svolta da Amnesty International, un’organizzazione che nei suoi rapporti annuali denuncia le situazioni maggiormente a rischio e opera in concreto per salvare molte vite umane. Il rapporto 2011, nel ricordare il coraggio e la determinazione di quanti dal Nord Africa al Medio Oriente hanno protestato contro la tirannia e l’oppressione, sottolinea i cambiamenti che l’era digitale ha introdotto in tutto il mondo e auspica che la nuova tecnologia possa sempre essere utilizzata al servizio della giustizia e dell’umanità.

Diritti dell'uomo - approfondimento (Gaetano Pecora)

La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) esordisce così: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti". Queste parole riecheggiano i documenti più solenni della Rivoluzione americana (1776) e francese (1789) e ribaltano il tradizionale rapporto fra governanti e governati, là dove si voleva che i primi fossero titolari di diritti e i secondi destinatari di doveri. Qui, invece, si stabilisce che ai governati appartengono diritti che i governanti hanno il dovere di riconoscere. Riconoscere, non creare. Si tratta di diritti, infatti, che sono scolpiti nella natura umana e che gli uomini perciò possiedono fin dalla nascita. E poiché non li ha creati nessun potere, nessun potere può distruggerli ma deve riconoscerli, come appunto recita la nostra Costituzione: "La Repubblica riconosce […] i diritti inviolabili dell'uomo" (art. 2).

Una volta proclamati nelle carte costituzionali, i diritti umani mutano natura: da semplici aspirazioni di filosofi, quali erano all'inizio, essi ascendono al rango di vere e proprie leggi positive, con tanto di sanzioni che ne assicurano l'osservanza. Questo è il fenomeno della positivizzazione delle libertà naturali.

La lunga marcia dei diritti umani

Oltre che positivizzati, i diritti dell'uomo si sono anche moltiplicati e arricchiti. Ed è così che agli originari diritti civili della tradizione liberale (la libertà di circolazione, l'inviolabilità del domicilio, la libertà religiosa ecc.), si sono aggiunti prima i diritti politici del pensiero democratico (il suffragio universale, innanzitutto) e poi i diritti sociali del movimento operaio (il diritto al lavoro, all'istruzione e alla salute). In tal modo si è prodotto un secondo fenomeno, conosciuto come progressione dei diritti dell'uomo.

Quando il 10 dic. 1948 l'Assemblea generale dell'ONU ha riunito tutti questi diritti sotto la bandiera della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, la lunghissima e faticosissima marcia dei diritti ha conquistato una nuova tappa: l'universalizzazione dei diritti umani. Dove per universalizzazione è da intendere l'allargamento della protezione giuridica dal sistema interno dello Stato al sistema esterno della comunità internazionale.

Con la conseguenza che, almeno teoricamente, gli individui potrebbero chiedere la tutela dei loro diritti non solo dentro lo Stato, ma anche contro lo Stato di appartenenza; non solo cioè fidando sugli organi statali, ma anche ricorrendo contro di essi quando proprio essi calpestino o disattendano i diritti umani. In questo caso, scatterebbe negli individui il diritto di appellarsi a istanze sovrastatali, le quali dovrebbero forzare lo Stato colpevole a recedere dalla sua illegalità. Tutto ciò, però, solo teoricamente.

La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo

A seguito della Dichiarazione del 1948, infatti, non è stato organizzato alcun potere capace di sopraffare le politiche liberticide delle comunità statali. Né poteva essere diversamente, perché gli articoli della Dichiarazione - che peraltro nessuno ebbe l'obbligo di firmare e ratificare - si presentano nelle vesti di "ideali da raggiungere" (come si legge nel preambolo): ideali, dunque, e non norme giuridiche che producano qui e ora doveri per gli Stati e quindi diritti per gli individui.

Ispirati ai principi della Dichiarazione, in seguito sono stati conclusi due patti, il Patto internazionale sui diritti politici e civili e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, i quali - approvati dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1966 - hanno predisposto veri diritti e veri obblighi giuridici: innanzitutto l'obbligo per gli Stati firmatari di inviare a speciali comitati un rapporto periodico dove, di volta in volta, essi certificano quel che hanno realizzato per onorare le clausole dei patti; in secondo luogo, il diritto di ricorrere con una comunicazione scritta al Comitato dei diritti dell'uomo, dinanzi al quale ogni cittadino può denunciare l'offesa delle sue prerogative. In questo caso, il Comitato ne valuta l'ammissibilità e quindi, dopo un iter alquanto laborioso, conclude il procedimento con una propria veduta; tali vedute, comunque, dal punto di vista giuridico hanno valore di semplici raccomandazioni.

La Corte europea dei diritti dell'uomo

Non raccomandazioni, invece, ma vere e proprie pronunce giurisdizionali sono le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, che è stata prevista dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

La Convenzione fu stipulata nel 1950 fra gli Stati membri del Consiglio d'Europa ed entrò in vigore nel 1955. Da allora è stata più volte integrata e corretta.

È solo con la modifica del 1994, tuttavia, che la Corte europea ha raggiunto la frontiera più avanzata nella tutela dei diritti umani.  A partire da quella data, infatti, possono rivolgersi a essa non solo gli Stati membri che lamentano l'inadempimento degli obblighi contrattuali da parte di un altro Stato membro, ma anche - ed è la novità più significativa - gli stessi cittadini che hanno patito l'oltraggio dei loro diritti. In tal caso, la Corte può condannare lo Stato colpevole a ristabilire il diritto violato o a risarcire la vittima con un "equo soddisfacimento" in denaro. In tal modo, a partire dalla Dichiarazione del 1948, pur tra incertezze, ripieghi ed errori, è stata rafforzata la tutela effettiva dei diritti dell'uomo.

Approfondimenti:

L’accesso ad internet: un nuovo diritto fondamentale? di Roberta Pisa

La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità di Rachele Cera

Diritti fondamentali europei di Alberto Vespaziani

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