Diritti umani [dir. int.]. Profili generali

Diritto on line (2013)

Riccardo Pisillo Mazzeschi

Abstract

Vengono esaminati i profili generali della teoria dei diritti umani nell’ordinamento internazionale e soprattutto l’incidenza notevole che tale teoria ha prodotto sul processo di modernizzazione che ha investito sia la struttura tradizionale del diritto internazionale sia molti settori particolari di tale diritto. Le norme e le garanzie del sistema di protezione internazionale dei diritti umani sono esaminate nella voce Diritti umani (dir. int.). Protezione internazionale.

1. Introduzione

1.1 Nozione e fondamento

La nozione di “diritti umani” è apparentemente semplice; ma in realtà piuttosto complessa. Infatti essi sono stati, nella storia della filosofia giuridica, via via definiti con termini diversi (diritti naturali, innati, originari, morali, fondamentali); la loro origine storica viene situata in tempi diversi; il loro fondamento giuridico è stato spiegato in maniera diversa dal giusnaturalismo, dal positivismo, dal realismo giuridico; e la nozione medesima di “diritti umani” si è progressivamente molto ampliata. Secondo alcuni autori, i diritti umani sono quelle libertà, immunità e benefici che, secondo i valori contemporanei accettati, tutti gli esseri umani dovrebbero essere capaci di pretendere, come diritti veri e propri, dalla società in cui essi vivono (Henkin, L., Human Rights, in Enc. Publ. Int. Law, 2, Amsterdam, 1995, 886). Secondo altri, sono diritti umani quelli che hanno la natura di diritti fondamentali ed essenziali della persona e quindi sono imprescrittibili, inalienabili, irrinunciabili ed universali (Zanghì, C., La protezione internazionale dei diritti dell’uomo, II ed., Torino, 2006, 5). Secondo altri ancora, i diritti umani costituiscono un minimo invalicabile per ogni essere umano che il diritto deve proteggere a qualsiasi costo (Focarelli, C., Lezioni di diritto internazionale, I, Padova, 2008, 342). Queste definizioni sono piuttosto simili; tuttavia esse non sembrano sufficientemente precise da distinguere chiaramente i diritti umani da altri diritti “ordinari”. Pertanto si apre il problema del fondamento giuridico dei diritti umani, specie nell’ottica dell’ordinamento internazionale.

Secondo una prima opinione, si può ritenere che un certo diritto costituisca un “diritto umano” quando corrisponde alla natura umana, cioè alla ragione ed alla volontà tipiche della specie umana. Questa tesi ha un’impostazione di fondo giusnaturalistica e presenta lo svantaggio di lasciare un margine di soggettività nel trovare una definizione di “natura umana” che sia universalmente accettata nel mondo multiculturale contemporaneo.

Altri autori hanno sostenuto la tesi dell’ “auto-evidenza” dei diritti umani. Essi sarebbero così evidenti e così immediati, che non richiederebbero di cercarne una giustificazione razionale ed un fondamento giuridico. Ma anche questa tesi si presta ad interpretazioni soggettive diverse da parte dei vari gruppi di Stati aventi tradizioni, religioni e culture diverse.

La terza tesi, a nostro avviso la più convincente, ritiene che i diritti umani si fondino semplicemente sul consenso. In altri termini sono diritti umani quei diritti che vengono riconosciuti come tali in un certo ordinamento giuridico sulla base di un consenso generalizzato dei soggetti di tale ordinamento. Nell’ordinamento giuridico internazionale sarà il consenso della comunità internazionale a stabilire quali diritti possano essere definiti come “diritti umani internazionali”. Un problema diverso (la cui risposta è più restrittiva) è quello di accertare quali diritti umani siano davvero universali, perché affermatisi nel diritto internazionale generale.

1.2 Precedenti storici dei diritti umani nell’ordinamento internazionale tradizionale

Come è noto, secondo la concezione del diritto internazionale classico, predominante fino alla metà del XX secolo, gli individui non erano soggetti del diritto internazionale, il loro ruolo era in sostanza irrilevante ed essi erano sottoposti al potere di governo esclusivo dello Stato del quale erano “sudditi”. Il diritto internazionale regolava formalmente solo rapporti fra Stati. Anche dal punto di vista sostanziale, il diritto internazionale si occupava quasi esclusivamente di disciplinare rapporti interstatali e pertanto il modo con cui lo Stato trattava i propri sudditi era una questione c.d. di dominio riservato di tale Stato. In realtà alcuni limiti alla sovranità territoriale degli Stati esistevano già nel diritto internazionale classico; ma essi erano posti solo a favore degli stranieri che si trovavano nel loro territorio. Il limite principale, quantomeno nel diritto consuetudinario, era costituito dal c.d. obbligo di protezione degli stranieri e dei loro beni. Ma tale obbligo era concepito solo come operante fra lo Stato territoriale e lo Stato di cittadinanza dello straniero; l’individuo vittima era considerato soltanto come possibile “beneficiario di fatto” di tale obbligo.

Questa concezione strettamente interstatale del diritto internazionale era largamente dominante, specie per il diritto consuetudinario. Tuttavia, vi era la possibilità, sia pure in casi rari ed isolati, che uno Stato, tramite un trattato bilaterale o multilaterale, stabilisse degli obblighi volti a garantire diritti degli individui. Ne sono esempi, già nel XVII secolo, alcuni trattati che contenevano norme a tutela delle minoranze religiose; nel secolo XIX, alcune convenzioni che proibivano la tratta ed il commercio degli schiavi; all’inizio del XX secolo, varie convenzioni di diritto bellico, che proteggevano i prigionieri ed i civili durante i conflitti armati. Nei trattati di pace successivi alla I Guerra Mondiale furono incluse alcune disposizioni tese alla tutela di minoranze etniche, religiose e linguistiche. Un altro sviluppo fu la creazione nel 1919 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con lo scopo di tutelare le condizioni dei lavoratori, predisponendo raccomandazioni e progetti di convenzioni.

Tuttavia si devono sottolineare tre limiti importanti che caratterizzavano i suddetti sviluppi. Il primo è che essi avevano carattere assai limitato e settoriale. Il secondo limite è che molti dei trattati sopra citati perseguivano in realtà interessi politici o economici degli Stati, più che motivazioni di carattere umanitario. Il terzo limite è che la dottrina all’epoca prevalente, di formazione positivistica, continuava ad interpretare tali trattati come formalmente regolanti solo rapporti fra Stati, dai quali non discendevano veri e propri diritti per gli individui sul piano internazionale. Questa tesi fu avallata anche dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale.

1.3 La svolta dopo il 1945: la teoria dei diritti umani si impone a livello internazionale

È nel periodo successivo alla II Guerra Mondiale che, sotto la spinta dell’opinione pubblica mondiale, gli sforzi per una tutela internazionale dei diritti umani, avente un carattere generale e non solo settoriale, si moltiplicano. Gli individui vengono considerati come persone umane da tutelare in quanto tali, e quindi anche verso il proprio Stato nazionale. Pertanto il tema dei diritti umani, nella loro globalità, diviene un tema centrale sulla scena internazionale.

Il motivo più importante di questo radicale cambiamento è certamente la consapevolezza da parte della comunità internazionale che il sistema nazista e gli altri regimi totalitari avevano dimostrato, prima e durante la guerra, un disprezzo assoluto per i diritti umani più essenziali e che la protezione dei diritti umani tramite le costituzioni dei singoli Stati non era sufficiente. Occorreva invece creare un nuovo ordine mondiale, che fosse fondato sulla pace e sulla tutela internazionale dei diritti umani. Queste idee furono sostenute inizialmente soprattutto dagli Stati occidentali, in virtù delle loro tradizioni costituzionali; furono inserite nella Carta Atlantica del 1941; e furono riprese nella Conferenza di Dumbarton Oaks del 1944, in cui si proponeva l’istituzione delle Nazioni Unite (NU).

Infine le potenze occidentali crearono nel 1945 l’Organizzazione delle Nazioni Unite, affidandole come parte importante del suo mandato la promozione e la protezione dei diritti umani. L’idea di fondo era quella di elaborare dei principi sui diritti umani che dovessero guidare l’azione delle NU e degli Stati membri, con lo scopo di creare gradualmente un sistema ampio di protezione dei diritti umani in tempo di pace, tramite la sua progressiva codificazione in una serie di trattati e di meccanismi internazionali di garanzia. Questo scopo si è realizzato con il tempo, dando luogo al c.d. sistema di tutela dei diritti umani delle NU.

Tale sistema sarà esaminato successivamente (v. la voce Diritti Umani (dir. int.). Protezione internazionale). Conviene adesso trattare alcuni profili generali importanti che caratterizzano il rapporto tra la teoria dei diritti umani e l’ordinamento internazionale: in particolare il tema dell’influenza che tale teoria ha prodotto sul processo di modernizzazione del diritto internazionale contemporaneo.

1.4 L’impatto della teoria dei diritti umani sul processo di modernizzazione del diritto internazionale

La teoria dei diritti umani ha via via assunto una grande importanza nel diritto internazionale ed ha finito per produrre un notevole impatto sull’ordinamento internazionale complessivamente considerato. Ciò dipende da due motivi. Il primo è che tale teoria è per sua natura “rivoluzionaria” (Cassese, A., Diritto internazionale, II, Bologna, 2004, 83 ) rispetto alla struttura tradizionale dei rapporti fra Stati, perché si pone in contrasto netto con il principio di sovranità, che costituisce il principio alla base del diritto internazionale classico e che ha protetto per secoli la sfera del dominio riservato dello Stato sui propri cittadini. Il secondo motivo è che tale teoria tende ad attribuire all’individuo un ruolo sempre più centrale nel quadro della comunità internazionale, ponendosi in contrasto con la tradizionale natura esclusivamente interstatale del diritto internazionale.

Per questi motivi, la teoria dei diritti umani, radicandosi a fondo nella dinamica della società internazionale contemporanea, ha prodotto una notevole modernizzazione del diritto internazionale. Per ragioni sistematiche, conviene distinguere fra quattro fenomeni di cambiamento: a) un vero e proprio processo di modifica strutturale dell’ordinamento giuridico internazionale; b) un aggiornamento notevole del settore della responsabilità internazionale degli Stati; c) un impatto su una serie di altri settori del diritto internazionale; d) alcuni cambiamenti importanti circa l’attuazione interna delle norme internazionali.

2. Influenza della teoria dei diritti umani sulla struttura tradizionale dell’ordinamento internazionale

2.1 Contenuto tipico del diritto internazionale

Si è visto che il contenuto tipico del diritto internazionale classico era quello di disciplinare materie attinenti a rapporti interstatali. La teoria dei diritti umani ha prodotto una frattura notevole rispetto a tale contenuto, poiché ha trasferito a livello giuridico internazionale i rapporti fra lo Stato e i suoi cittadini ed ha attribuito all’individuo un ruolo centrale. In tal modo essa ha prodotto una spinta dinamica verso l’ampliamento del contenuto del diritto internazionale. Infatti, il diritto internazionale contemporaneo regola materialmente non solo i tradizionali rapporti interstatali, ma anche una serie sempre più ampia di rapporti che intercorrono fra Stati ed individui e di rapporti interindividuali. In sintesi, si potrebbe dire che il diritto internazionale contemporaneo, nell’ottica del suo contenuto materiale, non è più soltanto un diritto per gli Stati ma anche un diritto per gli individui.

2.2 Funzione tipica e natura giuridica del diritto internazionale

Il diritto internazionale classico, specie quello consuetudinario, ha la funzione tipica di regolare la coesistenza fra Stati, nel quadro di una struttura paritaria e orizzontale della società internazionale. Di conseguenza, esso si fonda essenzialmente sui principi di reciprocità e bilateralità ed ha pertanto una natura giuridica tipicamente “privatistica”, cioè tesa a regolare gli interessi individuali dei singoli Stati. Questa natura privatistica concerne due aspetti principali: a) l’assenza degli interessi collettivi degli Stati; b) l’assenza di valori fondamentali appartenenti all’intera comunità internazionale. Il primo aspetto è illustrato dal fatto che le norme internazionali tradizionali, anche quando sono indirizzate a più Stati, operano in maniera bilaterale e reciproca. Il secondo aspetto è mostrato dal fatto che le norme tradizionali consuetudinarie hanno quasi tutte natura dispositiva, cioè possono essere derogate dagli Stati mediante accordo. Ciò conferma che il diritto internazionale classico non riconosce l’esistenza di valori fondamentali dell’intera comunità internazionale, che siano di natura inderogabile.

Su ambedue questi aspetti la teoria dei diritti umani internazionali ha prodotto un cambiamento radicale, che è bene evidenziato dai concetti di obblighi erga omnes e di ius cogens.

Il primo concetto è legato alla nascita, nel diritto internazionale contemporaneo, di alcuni interessi collettivi e comunitari degli Stati. L’impulso iniziale e la spinta decisiva per lo sviluppo del concetto di obblighi erga omnes sono derivati proprio dal settore dei diritti umani. Infatti le norme consuetudinarie ed i trattati sui diritti umani sono esempi paradigmatici di norme che contengono obblighi erga omnes, nel senso che essi obbligano ogni Stato nei confronti di tutti gli altri Stati o (nel caso dei c.d. obblighi erga omnes partes) nei confronti di tutti gli altri Stati parti di un trattato multilaterale. Ne consegue che la loro violazione lede un diritto, o comunque un interesse giuridico, di tutti gli altri Stati o di ogni altro Stato parte del trattato multilaterale. Pertanto è evidente che il nuovo concetto di obblighi solidali, pur convivendo con i tradizionali concetti di obblighi bilaterali e reciproci, ha introdotto un cambiamento notevole nella funzione e natura tipica del diritto internazionale classico, poiché il riconoscimento di valori solidali costituisce una spinta verso una natura “pubblicistica” del diritto internazionale.

Un discorso simile si può fare per il concetto di norme consuetudinarie di ius cogens, che trae origine dallo sviluppo, nel diritto internazionale contemporaneo, di alcuni valori fondamentali e non derogabili dell’intera comunità internazionale. Il concetto giuridico di ius cogens, ormai universalmente riconosciuto, non deve essere confuso con quello di obblighi erga omnes, perché il primo non riguarda la struttura particolare dell’obbligo, ma piuttosto il valore, la forza di resistenza e forse anche il rango gerarchico della norma. Inoltre la nozione di ius cogens è più restrittiva di quella di obblighi erga omnes. Tuttavia vi sono anche forti affinità fra i due concetti, poiché alla loro base vi è l’idea che nel diritto internazionale contemporaneo vi sono dei valori “comunitari” o “pubblici”, che devono essere tutelati. La teoria dei diritti umani ha giocato un ruolo importante anche nel far emergere e affermare nel diritto internazionale il concetto di ius cogens e, in pratica, molte norme inderogabili corrispondono a norme consuetudinarie sui diritti umani fondamentali, che stabiliscono anche obblighi erga omnes, quali il divieto di genocidio, di tortura, di schiavitù, di discriminazione razziale, di apartheid.

Pertanto, la teoria dei diritti umani ha contribuito, tramite i concetti di obblighi erga omnes e di ius cogens, a cambiare la funzione e la natura giuridica tipiche del diritto internazionale nel senso di una loro modernizzazione: accanto alla dimensione privatistica del diritto internazionale, una sua dimensione pubblicistica si è gradualmente sviluppata e affermata.

2.3 Soggettività e capacità internazionale

Come si è visto, nel diritto internazionale classico solo gli Stati sono destinatari formali delle norme internazionali e considerati soggetti. Gli individui sono ritenuti solo “oggetti” o, quantomeno, meri “beneficiari di fatto” delle norme internazionali. In epoca più recente, si è affermata anche la soggettività internazionale delle organizzazioni internazionali. La teoria dei diritti umani internazionali ha, secondo l’opinione oramai dominante, dato un contributo fondamentale per cambiare radicalmente tale concezione tradizionale. Oggi si ammette che il diritto internazionale contemporaneo regola formalmente e direttamente (cioè senza necessità di essere recepito dal diritto interno) anche alcuni rapporti fra Stati ed individui (ed altri enti non statali) ed alcuni rapporti interindividuali. In altri termini gli individui sono adesso destinatari diretti di alcune norme internazionali, non solo primarie, ma anche secondarie e terziarie, e quindi anche di diritti e obblighi sul piano internazionale. La stessa Corte internazionale di giustizia (CIG) ha stabilito che la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari contiene norme che attribuiscono diritti agli individui (sentenze LaGrand del 2.6.2001, in ICJ Reports, 466, e Avena del 31.3.2004, in ICJ Reports, 121). Le norme internazionali sui diritti umani sono l’esempio principale, anche se non il solo, di norme che impongono obblighi ad uno Stato cui corrispondono sia diritti di altri Stati, sia diritti di individui. Parimenti, le norme del diritto internazionale penale sono l’esempio principale di norme internazionali che impongono direttamente obblighi agli individui.

In dottrina, poiché non vi è accordo unanime sul concetto di soggettività internazionale, si discute ancora se questo cambiamento significa che gli individui sono “soggetti” del diritto internazionale, oppure “soggetti parziali o limitati”, oppure solo dotati di certe capacità. A nostro avviso, si tratta oramai di una discussione solo teorica, che non incide molto sulla realtà, che consiste nel determinare, in concreto e volta per volta, quali siano i destinatari di ogni singola norma internazionale ed i titolari di ogni singolo diritto o obbligo internazionale. Volendo, questa soluzione, di natura pragmatica, potrebbe concretizzarsi nella tesi, mutuata dai diritti interni, di ritenere che gli individui siano soggetti internazionali, ma che abbiano capacità volta per volta diverse (e talora nessuna capacità), a seconda dei singoli settori e delle singole norme del diritto internazionale.

In ogni caso, è chiaro che la teoria dei diritti umani, anche su questo aspetto della soggettività, ha modificato radicalmente un elemento fondamentale, che aveva caratterizzato per secoli la struttura tradizionale di tale diritto. Oggi si può sostenere che la comunità internazionale deve essere estesa in senso lato, come comprendente anche gli individui ed altri attori non statali.

3. Diritti umani e aggiornamento del regime della responsabilità internazionale degli Stati

3.1 Responsabilità aggravata per violazioni di obblighi derivanti da norme di ius cogens

La teoria dei diritti umani, insieme ad altri fattori, ha prodotto notevoli cambiamenti anche nel settore tradizionale della responsabilità degli Stati, incidendo sugli elementi fondamentali di tale settore, che erano costituiti dal principio del bilateralismo e dal principio del carattere esclusivamente interstatale della responsabilità. Essa ha modernizzato tali aspetti, poiché i cambiamenti strutturali sopra menzionati hanno inciso anche sulla fase “patologica” del diritto internazionale, rappresentata dalla responsabilità internazionale. Più in particolare, tali cambiamenti hanno: a) stabilito, accanto al regime ordinario di responsabilità dello Stato, anche un regime di responsabilità “aggravata”; b) ampliato la sfera degli Stati e degli altri soggetti legittimati ad invocare la responsabilità dello Stato accusato dell’illecito; c) dato un contributo a sviluppare una teoria moderna degli obblighi internazionali.

Per quanto riguarda il primo aspetto, si è già visto che un fattore importante del processo di cambiamento strutturale del diritto internazionale è costituito dalla nascita e consolidamento delle norme di ius cogens. Nell’ottica della responsabilità degli Stati, la nozione di ius cogens ha contribuito a creare, nel quadro del relativo Progetto della Commissione del diritto internazionale (CDI), il concetto di crimini internazionali degli Stati, che è stato in seguito sostituito dalla nozione di «gravi violazioni di obblighi derivanti da norme imperative del diritto internazionale generale» (art. 40 del Progetto). Queste violazioni producono una responsabilità “aggravata” dello Stato offensore, poiché producono alcune conseguenze particolari (art. 41), che si aggiungono alle normali conseguenze dell’illecito, e che comportano un coinvolgimento di tutti gli Stati diversi da quello responsabile in alcuni obblighi: quello di cooperare per porre fine, con mezzi leciti, alla violazione; quello di non riconoscere come legittima una situazione creata attraverso la violazione; ed infine quello di non prestare aiuto o assistenza nel mantenere la situazione illecita.

In realtà, queste conseguenze particolari, anche se contribuiscono ad aggravare la responsabilità dello Stato che ha violato lo ius cogens, non appaiono molto incisive e sono inferiori rispetto alle attese, tenendo conto che esse dovrebbero sanzionare violazioni gravi di valori fondamentali dell’intera comunità internazionale. Tuttavia si deve considerare che gli artt. 55, 56 e 59 del Progetto lasciano impregiudicate le regole sulla responsabilità stabilite dal diritto internazionale, in quanto norme speciali o perché non espressamente previste dal Progetto o perché sancite dalla Carta delle NU.

Inoltre, per le gravi violazioni dello ius cogens, ci sembra applicabile anche l’art. 54 del Progetto. Esso afferma il diritto di ogni Stato diverso da quello leso e legittimato ad invocare la responsabilità di prendere “misure lecite” contro lo Stato responsabile della violazione, per assicurare la cessazione dell’illecito e la riparazione nell’interesse dello Stato leso e dei beneficiari dell’obbligo violato. Il Progetto non specifica il concetto di “misure lecite”; ma, alla luce del Commento dell’art. 54 e dei citati artt. 55, 56 e 59, si può ritenere che, per definire tale concetto, si possa ricorrere al diritto internazionale (anche nel suo sviluppo progressivo) ed alla Carta delle NU. Pertanto, in caso di gravi violazioni dello ius cogens (ad es., gross violations dei diritti umani) ci sembra che le “misure lecite” possano comprendere: a) ritorsioni pacifiche contro lo Stato autore dell’illecito, b) contromisure pacifiche; c) misure non comportanti l’uso della forza raccomandate o decise dal Consiglio di sicurezza (CdS) ex art. 41 della Carta delle NU quando le gravi violazioni dello ius cogens determinano una delle condizioni previste dall’art. 39 della Carta; d) misure implicanti l’uso della forza decise o autorizzate dal CdS , sempre nei casi previsti dall’art. 39 della Carta.

In conclusione, il regime di responsabilità aggravata per le violazioni dello ius cogens appare poco incisivo nel Progetto della CDI, ma può rafforzarsi in futuro tramite un’interpretazione dinamica del diritto internazionale. In ogni caso, tale regime ha creato una modernizzazione importante del settore della responsabilità degli Stati.

3.2 Invocazione della responsabilità per violazione di obblighi erga omnes

Come si è visto, un altro aspetto importante del processo di cambiamento del diritto internazionale contemporaneo, tramite l’impulso decisivo dato dalla teoria dei diritti umani, concerne il ruolo via via crescente degli interessi collettivi e comunitari degli Stati. Questo sviluppo è rappresentato soprattutto dal fatto che esistono adesso molte norme internazionali che stabiliscono obblighi solidali (o erga omnes). Nell’ottica della responsabilità dello Stato, la solidarietà dell’obbligo comporta soprattutto un’estensione degli Stati che sono legittimati ad invocare la responsabilità dello Stato autore della violazione. Ciò ha grande importanza nel settore dei diritti umani, poiché le ormai numerosissime norme convenzionali sui diritti umani stabiliscono in linea di principio obblighi erga omnes partes; e le meno numerose norme di diritto internazionale generale sui diritti umani stabiliscono obblighi erga omnes.

Ciò premesso, il problema più importante è stabilire in concreto quali Stati siano legittimati ad invocare la responsabilità e quali conseguenze dell’illecito essi possano far valere. A questo proposito, il Progetto della CDI sulla responsabilità degli Stati opera una distinzione generale fra Stati lesi (art. 42) e Stati non lesi, ma pur sempre legittimati ad invocare la responsabilità dello Stato offensore (art. 48). I primi Stati possono far valere tutte le conseguenze dell’illecito internazionale (richiesta di cessazione dell’illecito, garanzie di non ripetizione, riparazione, contromisure). Invece, i secondi Stati possono far valere solo alcune delle conseguenze dell’illecito: la cessazione dell’illecito e garanzie e assicurazioni di non ripetizione, nonché la riparazione dell’illecito, ma solo nell’interesse dello Stato leso (se vi sia uno Stato leso) e dei “beneficiari” dell’obbligo violato (ad es., gli individui vittime delle violazioni dei diritti umani). Inoltre essi possono adottare contro lo Stato responsabile quelle “misure lecite” (art. 54), di cui abbiamo già parlato. Tuttavia, ci sembra che, quando la violazione di un obbligo erga omnes non comporti anche una grave violazione dello ius cogens, il concetto di “misure lecite” dovrebbe essere interpretato in maniera più restrittiva; cioè dovrebbe essere limitato a ritorsioni pacifiche. Infatti, è logico che le conseguenze giuridiche di una grave violazione dello ius cogens debbano essere più rigorose rispetto a quelle di una semplice violazione di un obbligo solidale.

Pertanto si può ritenere che, in materia di responsabilità degli Stati per violazione di obblighi erga omnes, il Progetto della CDI abbia raggiunto un compromesso: ha molto esteso la sfera degli Stati legittimati a reagire contro tali violazioni, ma ha, al tempo stesso, limitato le misure di reazione che tali Stati possono prendere.

Infine, si deve considerare che, per quanto riguarda la violazione di norme convenzionali in materia di diritti umani, i trattati principali dispongono di procedure di controllo per accertare e sanzionare le violazioni. Pertanto, per il principio di specialità, ogni Stato parte del trattato deve utilizzare il meccanismo di garanzia previsto dal trattato ed astenersi dal ricorrere a ritorsioni o contromisure su base individuale.

In conclusione, anche l’ampliamento della sfera degli Stati che possono invocare la responsabilità per violazione di obblighi erga omnes costituisce un cambiamento significativo del regime della responsabilità degli Stati.

3.3 Responsabilità degli Stati verso gli individui e diritto individuale alla riparazione

La teoria dei diritti umani, contribuendo molto a far affermare il concetto che l’individuo può essere destinatario diretto di alcune norme internazionali, ha prodotto un altro cambiamento nel settore della responsabilità degli Stati, poiché ha messo in crisi il principio classico del carattere solo interstatale del rapporto di responsabilità. Infatti gli individui possono, in certe circostanze, essere destinatari di norme internazionali secondarie (v. CIG, sentenze LaGrand e Avena, citt.); e quindi possono invocare e far valere la responsabilità di uno Stato. In altre parole, quando l’obbligo internazionale primario violato dallo Stato ha per destinatari formali non solo altri Stati ma anche individui, tale Stato assume una responsabilità internazionale non solo verso altri Stati ma anche verso gli individui, che diventano anch’essi soggetti attivi del rapporto di responsabilità (Pisillo Mazzeschi, R., The Marginal Role of the Individual in the ILC’s Articles on State Responsibility, in Ital. YB. Internat. L. (2004) 39 ss.). Queste conclusioni sono assai importanti per il settore dei diritti umani, dove pertanto è possibile concepire oggi una vera e propria responsabilità internazionale dello Stato verso gli individui. In tale materia, gli aspetti più importanti riguardano la legittimazione degli individui ad invocare la responsabilità e il loro diritto alla riparazione.

Il Progetto della CDI sulla responsabilità degli Stati, purtroppo, si occupa solo della responsabilità internazionale dello Stato verso altri Stati, e quindi sotto questo profilo è assai conservatore. Tuttavia la CDI ha implicitamente ammesso che il diritto internazionale contemporaneo può contenere norme sulla responsabilità di uno Stato verso un individuo (v. artt. 33.2 e 33 del Progetto).

Il diritto di un individuo di invocare, a livello internazionale, la responsabilità di uno Stato è dimostrato dai numerosi casi in cui un individuo può iniziare un’azione dinanzi ad organi internazionali giurisdizionali o quasi-giurisdizionali di controllo sui diritti umani contro lo Stato autore della violazione.

Quanto al diritto dell’individuo di pretendere la riparazione, la sua esistenza nel diritto internazionale è dimostrata da numerose norme convenzionali sui diritti umani, che stabiliscono che lo Stato responsabile ha un obbligo di riparare l’offesa nei confronti dell’individuo vittima. Inoltre, la prassi degli organi internazionali di controllo sui diritti umani dimostra, molto chiaramente, che le decisioni di tali organi spesso stabiliscono una riparazione (restituzione, risarcimento o soddisfazione) che è direttamente a favore dell’individuo vittima, anche se l’obbligo di riparare spetta poi in pratica allo Stato responsabile della violazione. Pertanto si può concludere che l’individuo è oggi titolare di un diritto alla riparazione per violazione dei diritti umani, conferito direttamente dal diritto internazionale. Si tratta di un altro importante sviluppo nel settore della responsabilità degli Stati.

3.4 Categorie diverse di obblighi statali e forme diverse di responsabilità per la loro violazione

Poiché l’elemento oggettivo dell’illecito internazionale è costituito dalla violazione di un obbligo internazionale, il tema della responsabilità non può prescindere da una teoria degli obblighi internazionali, che prenda in esame in maniera sistematica le varie categorie di obblighi e le varie conseguenze in caso di loro violazione. La prassi degli organi internazionali di controllo sui diritti umani ha dato un contributo importante a chiarire meglio alcune categorie di obblighi internazionali, la cui violazione produce forme diverse di responsabilità.

Molti studiosi specializzati nel settore dei diritti umani hanno adottato la distinzione fra “obligations to respect”, “obligations to protect” e “obligations to fulfil” i diritti umani. A nostro parere, tale distinzione ha un significato meramente descrittivo, non ha valore teorico-sistematico e non corrisponde alla prassi suddetta. Al contrario, tale prassi ha confermato e specificato la distinzione fra obblighi negativi e positivi e, specie nel quadro dei secondi, la distinzione fra obblighi immediati di risultato, obblighi immediati di due diligence e obblighi “a realizzazione progressiva” (Pisillo Mazzeschi, R., Responsabilité de l’Etat pour violation des obligations positives relatives aux droits de l’homme, in R C, t. 333 (2008), 282-297 e 311-489).

Nel diritto internazionale si ha un obbligo immediato di risultato quando la norma internazionale impone allo Stato di ottenere, con una condotta attiva, un risultato immediato, la cui realizzazione non comporta un’alea particolare. Si può parlare di un obbligo di riuscire.

Invece, si ha un obbligo immediato di due diligence quando la norma internazionale impone allo Stato di adottare una certa condotta in sé stessa, indipendentemente dal risultato di tale condotta; ciò perché la realizzazione del risultato è per sua natura aleatoria e pertanto si può richiedere allo Stato solo uno sforzo particolare di diligenza per raggiungere il risultato. Si può anche parlare di obblighi di usare i “migliori sforzi” per perseguire il risultato.

Infine si ha un obbligo “a realizzazione progressiva” quando la norma internazionale impone allo Stato di agire allo scopo di assicurare gradualmente nel tempo la piena realizzazione del risultato voluto dalla norma. Esempi tipici sono dati da molte norme sui diritti economici, sociali e culturali, la cui completa realizzazione richiede un certo lasso di tempo. Tuttavia si deve notare che lo Stato non è libero nei tempi e nei mezzi, ma è obbligato a procedere, il più rapidamente ed efficacemente possibile, ed a usare tutti i mezzi appropriati e tutte le risorse disponibili, allo scopo di raggiungere il risultato finale voluto dalla norma.

Nel settore dei diritti umani, la distinzione fra queste tre categorie di obblighi, applicata dalla prassi degli organi internazionali di controllo, è assai utile per individuare con più esattezza le condotte concretamente richieste agli Stati da ciascun obbligo e le forme della responsabilità statale in caso di violazione. In realtà, tale prassi ha sviluppato e chiarito meglio una distinzione che già esisteva (ma era assai trascurata dalla dottrina) nella teoria generale degli obblighi internazionali.

4. Incidenza della tutela internazionale dei diritti umani su altri settori del diritto internazionale

Il diritto internazionale dei diritti umani ha non solo prodotto un impatto sulla struttura tradizionale dell’ordinamento internazionale e sul settore cruciale della responsabilità degli Stati; ma ha esercitato anche una notevole influenza su altri singoli settori o singole norme di tale ordinamento. Faremo solo alcuni esempi.

Il diritto internazionale umanitario ed il diritto internazionale penale sono le due aree che, essendo strettamente collegate ai diritti umani, sono state più influenzate da quest’ultimi. Il diritto internazionale umanitario ha molto mitigato il suo carattere originale solo interstatale, in misura tale che oggi si tende a riconoscere che l’individuo può essere un destinatario diretto di alcune norme di tale diritto. Inoltre, si è realizzata con il tempo una confluenza fra il diritto internazionale umanitario ed il diritto internazionale dei diritti umani; e si è riconosciuto che alcuni diritti umani sono applicabili anche durante i conflitti armati. In particolare, viene in rilievo il diritto alla vita, protetto da tutti i principali trattati sui diritti umani, nei casi in cui sia arbitrariamente privato da un atto illecito secondo il diritto internazionale umanitario. Questo sviluppo consente agli individui vittime di violazioni di ricorrere agli organi internazionali di controllo sui diritti umani, che non sono invece previsti dal diritto internazionale umanitario.

Il diritto internazionale penale è ancora più strettamente collegato al diritto internazionale dei diritti umani e influenzato da quest’ultimo, poiché il suo scopo principale è quello di rafforzare, con lo strumento della responsabilità penale individuale, la protezione dei diritti umani fondamentali in tempo di pace ed in tempo di conflitti armati.

Il diritto internazionale dei diritti umani ha prodotto un’influenza anche su molti altri settori o singole norme dell’ordinamento internazionale. Nel campo delle fonti del diritto internazionale, esso ha contribuito a creare un sistema di fonti più dinamico e più flessibile, sia rafforzando il ruolo dell’opinio iuris rispetto alla diuturnitas nelle consuetudini internazionali, sia aumentando l’importanza dei trattati e della soft law nel processo di accertamento delle nuove norme consuetudinarie, sia rivalutando l’importanza dei principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili nella disciplina dei nuovi settori del diritto internazionale.

Per quanto riguarda le norme generali e strumentali del diritto internazionale, la teoria dei diritti umani ha influenzato: a) il processo di formazione dei trattati, per il ruolo importante esercitato dalle NU, da altre organizzazioni internazionali e dalla soft law in tale processo; b) le norme sulle riserve ai trattati; c) le norme sull’interpretazione dei trattati; d) le norme sulla risoluzione e sospensione dei trattati per inadempimento; e) le regole sulla successione degli Stati nei trattati.

Venendo ai settori di norme generali e materiali del diritto internazionale, si possono ricordare: a) le norme sul trattamento degli stranieri, che sono state in gran parte assorbite da quelle sui diritti umani; b) le norme del diritto internazionale dell’ambiente, dove nel quadro di una disciplina tipicamente interstatale si è inserito anche il diritto umano individuale ad un ambiente salubre; c) le norme consuetudinarie sulle immunità, tipiche espressioni della sovranità statale, dove si sta progressivamente affermando anche la tutela dei diritti umani fondamentali e dei diritti dei lavoratori; d) le norme del diritto internazionale dell’economia e dello sviluppo, dove stanno emergendo alcuni diritti umani di natura collettiva e meccanismi di risoluzione delle controversie aperti anche agli individui; e) alcune norme del diritto del mare e degli spazi comuni, dove l’ideologia dei diritti umani ha contribuito a sviluppare i concetti di patrimonio comune dell’umanità e di tutela delle generazioni future.

Infine, la teoria dei diritti umani ha influenzato anche le norme generali e secondarie del diritto internazionale. Della responsabilità internazionale degli Stati abbiamo già parlato. Ma anche le norme sulla protezione diplomatica, altro baluardo tipico del classico diritto internazionale stato-centrico, stanno subendo un processo parziale di modernizzazione, ispirato ad un certo grado di protezione dei diritti individuali.

5. Cambiamenti relativi all’attuazione interna delle norme internazionali sui diritti umani

5.1 Importanza delle norme self-executing

Gli organi interni statali e specie i giudici nazionali esercitano un ruolo importante nell’accertamento e attuazione del diritto internazionale. Questo ruolo è ancora più importante quando le norme internazionali si indirizzano non solo agli Stati, ma anche agli individui. L’esempio più importante è dato dalle norme internazionali sui diritti umani. Quindi la teoria dei diritti umani ha prodotto un impatto anche nel settore dell’attuazione interna del diritto internazionale. Del resto molti trattati sui diritti umani chiedono espressamente agli Stati parti di prendere le misure necessarie per attuare nei propri ordinamenti interni i diritti riconosciuti in tali trattati.

Pertanto, a nostro avviso, le norme internazionali sui diritti umani, specie quelle convenzionali, debbono essere interpretate, in linea di principio, come norme self-executing; cioè come norme che, una volta recepite formalmente nel diritto interno, sono suscettibili di essere immediatamente applicate a livello nazionale e non hanno bisogno di attività di integrazione normativa o istituzionale da parte di organi statali. Inoltre, tali norme, appunto perché indirizzate soprattutto agli individui, dovrebbero anche essere interpretate come provviste di “effetti diretti”; cioè capaci di produrre diritti ed obblighi per gli individui (effetti diretti sostanziali) ed anche diritti ed obblighi che gli individui possono far valere dinanzi ai giudici interni (effetti diretti processuali o diritti giustiziabili). Infatti le norme internazionali sui diritti umani sono destinate a funzionare, prima di tutto, dinanzi ai tribunali interni.

Purtroppo questa tesi trova ancora qualche difficoltà ad essere accolta dagli organi interni di molti Stati. Ciò evidentemente non tiene conto del suddetto fenomeno di cambiamento strutturale del diritto internazionale contemporaneo, che regola ormai formalmente e sostanzialmente molti rapporti fra Stati e individui e penetra sempre più a fondo nella vita giuridica interna degli Stati.

5.2 Previo esaurimento dei ricorsi interni

Il fatto che l’attuazione delle norme internazionali sui diritti umani spetti, in primo luogo, agli organi interni statali è confermato anche dalla regola del previo esaurimento dei ricorsi interni. Infatti in materia di diritti umani si applica tale regola, che deriva da quella già esistente da molto tempo in tema di trattamento degli stranieri e di protezione diplomatica, ma che si è sviluppata in maniera autonoma e con alcune diversità (Pisillo Mazzeschi, R., Esaurimento dei ricorsi interni e diritti umani, Torino, 2004). In particolare, nel settore dei diritti umani essa deve essere interpretata in maniera più flessibile e più favorevole all’individuo. Tutti i trattati sui diritti umani che prevedono organi internazionali giurisdizionali o quasi-giurisdizionali di controllo contengono tale regola. Essa significa che l’individuo che lamenta una violazione o lo Stato che fa valere una violazione di un diritto individuale contro un altro Stato non possono adire gli organi internazionali di controllo, finché l’individuo non abbia esaurito tutti i ricorsi interni ordinari dello Stato accusato (c.d. esaurimento verticale) e se non ha fatto valere in tali ricorsi le condizioni di forma, le regole di procedura ed i mezzi di prova che erano necessari per far valere le sue pretese (c.d. esaurimento orizzontale). Questa regola sancisce il principio base della sussidiarietà dei ricorsi internazionali rispetto ai ricorsi interni.

Tuttavia la regola prevede varie eccezioni, che si sono estese con il tempo specie in materia di diritti umani: essa non si applica se i ricorsi interni sono inaccessibili, se sono inadeguati o inefficaci, se si verifica un diniego o un ritardo irragionevole di giustizia, se vi sono circostanze speciali nello Stato accusato della violazione che ostacolano il funzionamento della giustizia, se in tale Stato vi sono delle misure legislative o prassi amministrative illecite o delle gross violations dei diritti umani. In tutti questi casi i ricorsi interni renderebbero inutile o troppo difficile per l’individuo vittima ottenere la riparazione.

5.3 Ricorsi di individui dinanzi ai giudici interni e norme internazionali sulle immunità

Un altro problema oggi molto dibattuto, che riguarda l’attuazione interna delle norme internazionali sui diritti umani, è quello che si presenta quando l’individuo vittima di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali adisce i giudici interni di uno Stato per ottenere la riparazione contro lo Stato autore della violazione. In questo caso si pone il problema del possibile conflitto fra una norma consuetudinaria di ius cogens (quella che proibisce le gravi violazioni dei diritti umani fondamentali) e la norma consuetudinaria dispositiva sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile straniera per atti iure imperii (v. immunità - dir. int.). Qualora poi l’individuo vittima non abbia la possibilità di adire i giudici interni dello Stato accusato della violazione né organi internazionali giurisdizionali o quasi-giurisdizionali di controllo, si pone anche il problema del conflitto fra il diritto individuale di accesso alla giustizia ed il diritto individuale alla riparazione, da una parte, e la norma sull’immunità dello Stato estero, dall’altra parte.

Come è noto, una tesi innovativa era stata sostenuta dalla Cassazione italiana (v. spec. sentenza Ferrini dell’11.3.2004). Secondo tale tesi, quando sussiste un conflitto fra una norma consuetudinaria dispositiva, come quella sull’immunità degli Stati, ed una norma consuetudinaria di ius cogens, come quella sul divieto di violazioni di diritti umani fondamentali, la seconda norma prevale. Tuttavia, come è noto, la CIG, con una recente sentenza (Jurisdictional Immunities of the State del 3.2.2012, in www.icj-cij.org/ ) ha respinto nettamente tale tesi. Questa sentenza sembra per ora aver risolto la questione. Ciononostante, poiché la CIG non ha approfondito tutte le potenzialità del concetto di ius cogens e del diritto individuale di accesso alla giustizia, non è escluso che in futuro problemi simili si ripropongano e che il diritto internazionale si sviluppi progressivamente in una direzione meno favorevole all’immunità.

Un problema simile si pone quando l’individuo è vittima di gravi violazioni di diritti umani fondamentali da parte di un Capo di Stato o altro organo statale straniero, che invoca l’immunità giurisdizionale funzionale (v. sentenza Pinochet della House of Lords del 24.3.1999). Tuttavia, in questi casi, la giurisprudenza è tuttora incerta.

Infine, un possibile conflitto fra diritti umani dell’individuo e suo diritto di accesso alla giustizia, da una parte, e norme sulle immunità, dall’altra parte, si pone anche quando l’individuo adisce i giudici statali contro un’organizzazione internazionale, se quest’ultima non dispone di tribunali interni che assicurino uno standard adeguato di tutela giurisdizionale. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che occorre bilanciare l’immunità dell’organizzazione internazionale con il diritto di accesso alla giustizia dell’individuo (sentenze Waite and Kennedy e Beer and Regan del 18.2.1999). Questa soluzione è da approvare.

6. Conclusioni

In conclusione, oggi è difficile trovare un settore del diritto internazionale sul quale la teoria dei diritti umani non abbia prodotto o non stia producendo cambiamenti significativi. I più importanti sono quelli che hanno inciso sulla struttura stessa del diritto internazionale. L’ampliamento della sfera di applicazione materiale del diritto internazionale, la tendenza verso una crescente tutela degli interessi collettivi e comunitari, lo sviluppo di valori fondamentali ed imperativi dell’intera comunità internazionale, l’ampliamento dei soggetti del diritto internazionale ed il ruolo crescente dell’individuo nel sistema giuridico internazionale hanno complessivamente prodotto un processo di trasformazione radicale e di modernizzazione del diritto internazionale tradizionale.

Il diritto internazionale contemporaneo può essere tuttora definito, con espressione sintetica, come il diritto della comunità internazionale; ma, come già detto, tale comunità dovrebbe avere un significato nuovo e più ampio, poiché essa include oggi Stati, organizzazioni internazionali, individui ed altri attori non statali. Inoltre tale comunità non si limita più a regolare la coesistenza e la coordinazione degli interessi individuali degli Stati; al contrario, essa esprime anche i suoi propri valori, che tendono, sia pure lentamente e gradualmente, a superare l’internazionalismo e muoversi verso la direzione dell’universalismo.

Fonti normative

Si rinvia alle fonti citate nella voce Diritti Umani (dir. int.). Protezione internazionale.

Bibliografia essenziale

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