DIRITTO

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1978)

DIRITTO (XII, p. 983; App. I, p. 517; II, 1, p. 788)

Norberto Bobbio

Filosofia del diritto. - Subito dopo la seconda guerra mondiale il dibattito fra filosofi del d. si svolse sotto il segno della "rinascita del d. naturale". Giuridicamente, i regimi fascisti erano stati considerati come la necessaria conseguenza del positivismo giuridico, interpretato come quella concezione del d. secondo cui non vi è altro d. che il d. positivo, e il d. positivo altro non è che l'insieme delle norme poste e rese efficaci dal potere politico effettivamente dominante in un determinato territorio. Si riteneva che dietro l'apparente neutralità della teoria secondo cui non vi è altro d. che il d. posto dallo stato si fosse celata l'ideologia secondo cui ogni norma posta dallo stato, per il solo fatto di essere posta, è anche giusta, e quindi dev'essere obbedita in quanto tale, cioè indipendentemente dal suo contenuto. Poiché si riteneva che le conseguenze di tale ideologia fossero state la negazione di ogni d. di resistenza alla legge ingiusta e quindi l'acquiescenza a ogni forma di potere, se ne deduceva che il d. di resistenza alla legge ingiusta poteva essere fondato soltanto sul riconoscimento di una legge superiore al d. positivo e da questo indipendente, cioè di quel d. che sin dalle origini era stato chiamato d. "naturale". Ispirato in parte al principio di un d. naturale vigente fra gli uomini indipendentemente da ogni statuizione fu il Tribunale militare internazionale di Norimberga (1945-46) contro i criminali di guerra; nelle nuove costituzioni (Francia, Italia, Germania, ecc.) furono riaffermati solennemente i d. inviolabili della persona umana d'origine giusnaturalistica; il 10 dicembre 1948 l'Organizzazione delle Nazioni unite emanò la prima Dichiarazione universale dei d. dell'uomo, che estendeva a tutta l'umanità le dichiarazioni nate alla fine del Settecento dalle teorie del d. naturale.

Il primo autorevole interprete di questo rivolgimento fu G. Radbruch, il quale nel 1946 scrisse un saggio, Gesetzliches Unrecht und übergeseztliches Recht, le cui tesi furono riprese due anni dopo nel manuale Vorschule der Rechtsphilosophie (Gottinga 1948; trad. it., Propedeutica alla filosofia del diritto, Torino 1959), per sostenere che il positivismo giuridico era colpevole di aver ridotto il d. alla forza e che in casi estremi d'ingiustizia, come alcune leggi naziste, la legge ingiusta non dev'essere considerata giuridica né dal cittadino né dal giudice. In parte sotto l'influsso del Radbruch, H. Coing pubblica nel 1950 il primo importante trattato di filosofia del d. del dopoguerra, Grundzüge der Rechtsphilosophie (Berlino 1950), e fa un appello esplicito al d. naturale come "somma di massime giuridiche superiori che formano il fondamento del diritto positivo". L'anno successivo, H. Welzel pubblica una storia del d. naturale, in cui il d. naturale viene considerato polemicamente, nei riguardi del positivismo giuridico e del formalismo sua ombra, come un'etica materiale della giustizia: Naturrecht und materiale Gerechtigkeit, Gottinga 1951 (trad. it. Diritto naturale e giustizia materiale, Milano 1965). Una ripresa dei temi del positivismo giuridico si deve soprattutto a H. L. Hart che nel 1958, in una serrata discussione col filosofo-giurista statunitense Lon L. Fuller, prende le difese del positivismo giuridico traendo argomento dalla separazione fra d. e morale (Positivism and separation of law and morals, in Harvard Law Review, vol. 71 [1958], pp. 593-630; trad. it. in H. L. A. Hart, Contributi all'analisi del diritto, Milano 1964, pp. 107-66). Nel frattempo, il più autorevole rappresentante del positivismo giuridico, H. Kelsen, era andato esponendo in scritti vari la propria teoria formale della giustizia inserita in una concezione relativistica e irrazionalistica dei valori (Was ist Gerechtigkeit?, Vienna 1953, e Das Problem der Gerechtigkeit, ivi 1960; trad. it. Il problema della giustizia, Torino 1975). Al di là di positivismo e giusnaturalismo Hart pubblica nel 1961 The concept of law, Oxford 1961 (trad. it. Il concetto del diritto, Torino 1965), opera che da quando è apparsa non ha cessato di essere al centro del dibattito filosofico-giuridico, in cui, pur riaffermando l'autonomia del d. rispetto alla morale, lascia spazio a un "contenuto minimo del diritto naturale", fondato su alcuni caratteri irriducibili dell'uomo come essere biologico e come essere sociale.

Alla reazione contro il positivismo in nome del giusnaturalismo si è affiancata la reazione contro il formalismo in nome del cosiddetto "realismo", che chiede al giurista maggiore attenzione per i nessi fra d. e società, e promuove un'apertura della filosofia del d. verso la sociologia giuridica. Nella rivolta contro il formalismo convergono due tendenze sotto altri aspetti contrastanti. Da un lato, il realismo di tradizione empiristica, rappresentato dalla scuola scandinava che ha il suo capostipite in A. Hägerström, e conta due fra i maggiori filosofi del d. contemporanei: lo svedese K. Olivecrona con le opere Law as fact, Londra-Copenaghen 1939 (trad. it. Il diritto come fatto, Milano 1967) e Rättsordningen ("Ordinamento giuridico"), Lund 1966 (riveduto e accresciuto nella trad. it., La struttura dell'ordinamento giuridico, Milano 1972); e il danese A. Ross, la cui opera in un certo senso conclusiva è On law and Justice, Londra 1958 (trad. it. Diritto e giustizia, Torino 1965). Dall'altro, le teorie giuridiche sovietiche, ispirate al marxismo e al materialismo storico, diffuse in Occidente soprattutto attraverso il volume Soviet Legal Philosophy, pubblicato a cura dell'università di Yale nel 1951, in Italia attraverso i due volumi Teorie sovietiche del diritto (Milano 1964), e La funzione rivoluzionaria del diritto di P. I. Stučka (Torino 1967, entrambe a cura di U. Cerroni). Una specie di summa della teoria del d. d'ispirazione marxistica può essere considerata l'opera dello iugoslavo R. Lukić apparsa recentemente in francese: Théorie de l'état et du droit (Parigi 1974, ma nella lingua originale 1951).

Nella direzione della teoria formale del d. sono apparse negli ultimi trent'anni le due opere fondamentali di H. Kelsen, General Theory of Law and State, Harvard 1945 (trad. it. Teoria generale del diritto e dello stato, Milano 1952) e la seconda edizione riveduta e accresciuta della Reine Rechtslehre, Vienna 1960 (trad. it. La dottrina pura del diritto, Torino 1966). In qualche modo connessi allo sviluppo della teoria formale dell'ordinamento giuridico sono gli studi di logica delle norme o "deontica", che insieme con il dibattito pro e contro il d. naturale e con l'aumentato interesse per lo studio dei rapporti fra d. e società, costituiscono uno dei tratti salienti della filosofia del d. negli ultimi decenni. Avviata dal filosofo del d. messicano E. G. Maynez, con il libro Introducción a la lógica Jurídica (Messico 1951) - dello stesso autore è uscita recentemente l'opera conclusiva, Filosofía del derecho, ivi 1974 -, la logica deontica ha trovato il suo primo assetto per opera del logico finlandese G. H. von Wright; quindi è stata variamente elaborata con particolare riguardo al d. dal logico polacco G. Kalinowski, autore di una fondamentale Introduction à la logique juridique (Parigi 1965; trad. it. Milano 1971). Peraltro, via via che si andavano sviluppando gli studi di logica normativa si veniva sempre più precisando la differenza fra questa e la logica dei giuristi, intesa come l'insieme dei ragionamenti e degli argomenti che i giuristi impiegano nell'attività interpretativa delle norme di un sistema giuridico positivo. Si deve allo studioso belga C. Perelman, autore, in collaborazione con L. Olbrechts-Tyteca, del Traité de l'argumentation (Parigi 1958; trad. it. Torino 1966), la riaffermazione e la rifondazione della tesi secondo cui occorre distinguere rigidamente la logica del probabile, o retorica, dalla logica dimostrativa in senso stretto, e sulla base di questa distinzione la logica dei giuristi dev'essere ricondotta nell'ambito della prima; tesi che Perelman ha variamente sostenuto e ribadito in una serie di saggi, di cui una buona scelta si può leggere nel volume Morale, diritto e filosofia (Napoli 1973). Pur partendo da diversi presupposti, ad analoghi risultati è giunto T. Viehweg nel fortunato volume Topik und Jurisprudenz, Monaco 1953 (trad. it. Topica e giurisprudenza, Milano 1962). L'importanza della teoria dell'argomentazione per lo studio dell'opera dei giuristi nelle diverse epoche della storia della giurisprudenza è stata confermata dal congresso internazionale di filosofia del d. svoltosi a Bruxelles nel 1971, i cui atti (Le raisonnement juridique, Bruxelles 1971) rappresentano un contributo fondamentale al dibattito sul tema.

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