Discorso diretto

Enciclopedia dell'Italiano (2010)

discorso diretto

Magda Mandelli

Definizione

Il discorso diretto è una delle forme tradizionalmente riconosciute del ➔ discorso riportato, cioè uno dei modi che offre la lingua per riprodurre, in forma orale o scritta, enunciati appartenenti a un atto di enunciazione diverso da quello che dà luogo alla riproduzione. Così, ad una frase come quella dell’es. (1) corrisponde la riproduzione in discorso diretto (2) (Mortara Garavelli 20012: 429):

(1) Vattene, adesso!

(2) «Vattene, adesso!» mi disse [o ordinò o impose]

Nella forma diretta si possono riportare testi scritti o parlati che sono stati (o si suppongono) già realizzati, come in (2), oppure non realizzati dal parlante a cui si attribuiscono (Mortara Garavelli 20012: 431):

(3) mi è dispiaciuto che tu non abbia detto: «Accetto volentieri la tua proposta»

o anche parole non prodotte ma producibili in un momento successivo a quello della citazione, come in:

(4) gli dirò: «Accetto volentieri la tua proposta»

A differenza del ➔ discorso indiretto, il discorso diretto può accogliere tutte le parole della produzione originaria, comprese le interiezioni e i segnali discorsivi tipici del parlato o anche, come negli esempi seguenti, espressioni dialettali e parole straniere:

(5) Diceva mia madre che quando mi portava in giro in braccio, da piccolo […] la gente mi vezzeggiava mormorando: «Povaretto che bello!». Mia madre che non era delle nostre parti, ci restava male; quando poi dicevano: «Povaretto che begli occhioni!» la mamma si avviliva del tutto (Luigi Meneghello, Libera nos a malo, Milano, Mondadori, 1986, p. 33)

(6) Passa la fila degli scolari. E il maestro: «Esto es un chac-mool. No se sabe qué quiere decir», e passa oltre (Italo Calvino, Palomar, Milano, Mondadori, 2002, p. 98).

La cornice del discorso diretto

Al pari delle altre forme di discorso riportato, il discorso diretto è accompagnato da una porzione di testo che segnala esplicitamente il suo carattere di citazione, e che viene chiamata cornice o cornice citante (o anche frase o clausola citante: cfr. Mortara Garavelli 20012; Calaresu 2000 e 2004). Fungendo da «ancoraggio enunciativo» del discorso diretto (Calaresu 2004: 150), la cornice accoglie in genere la fonte della citazione e, spesso, un verbo di percezione (sentire, udire, intendere) o un verbo di dire (dire, affermare, bisbigliare, dichiarare, ordinare, fare) come nell’esempio seguente:

(7) «Noi avremo sempre Parigi» dice Humphrey Bogart a Ingrid Bergman in Casablanca («Corriere della sera» 6 giugno 2009)

Quanto alla sua distribuzione, la cornice può trovarsi prima, dopo o nel mezzo del discorso diretto: tali posizioni sono esemplificate, nell’ordine, nel seguente passo di Luigi Meneghello:

(8) «Questo giorno qui lo voglio di nuovo domani», dissi. La Ernestina disse sorridendo che anche domani sarebbe stato un bel giorno. Mi insospettii e dissi freddamente: «Io voglio che torni questo giorno qui». «Questo giorno qui ormai è passato», disse la Ernestina, «domani ne viene un altro» (Meneghello, Libera nos a malo, cit., p. 33)

La cornice può infine circondare il discorso diretto, come in (9), nel qual caso viene detta bifronte:

(9) Io, Bruno e Guido facevamo un duello a tre in cortile; mia madre venne sulla porta della cucina e ci chiamò: «Venite qua», disse (Meneghello, Libera nos a malo, cit., p. 258)

Nella comunicazione orale, la cornice si trova in genere a sinistra del discorso diretto, essenzialmente per ragioni di chiarezza e di esplicitezza, come nell’esempio seguente tratto da un corpus di italiano parlato spontaneo:

(10) FER: il quale mi disse guarda c’è il Calabrò che ti vuole parlare vallo a trovare (in Giani preprint 2000, es. 10)

Nella scrittura, invece, si osserva una maggior libertà di posizione. Nella prosa giornalistica, ad es., la cornice spesso segue la citazione, soprattutto per gli effetti comunicativi di attesa e sorpresa solitamente associati a tale configurazione.

Dal punto di vista sintattico, la cornice può essere realizzata da una frase verbale, come nella maggior parte degli esempi visti finora, oppure da una forma nominale (➔ nominali, enunciati). Nel sottotitolo dell’articolo riportato in (11), ad es., funge da cornice Parisi, che è il referente designato come il parlante che emette il discorso diretto:

(11) Parisi: «Non possiamo arrenderci ora: sarebbe il caos» («Corriere della sera» 14 febbraio 2008)

Ancora, in (12), sono cornici nominali le porzioni aperte dai sintagmi spiegazione e precisazione, che si riferiscono ai due atti illocutivi corrispondenti:

(12) «Credo che abbiano inciso i miei trascorsi bianconeri, la conoscenza dello spogliatoio e le due settimane di allenamenti», la spiegazione che si è dato Ferrara sul perché la scelta sia ricaduta proprio su di lui. «Non è vero che abbiamo aspettato le decisioni di qualcuno, abbiamo deciso noi», la precisazione dell’amministratore delegato («Corriere della sera» 6 giugno 2009).

I segnali del discorso diretto

I centri deittici

Come le altre forme citazionali, anche il discorso diretto si determina in relazione ai cosiddetti centri deittici ( ➔ deittici). La sua peculiarità rispetto alle forme indirette di riporto è quella di conservare immutato il centro deittico degli enunciati in origine realizzati: le indicazioni personali, temporali e spaziali della riproduzione sono cioè le stesse della produzione.

Negli esempi seguenti fungono da segnali deittici le marche dei verbi, gli aggettivi e i pronomi personali, i dimostrativi e le espressioni spazio-temporali:

(13) Al che sottovoce la giovane Rossana Mussetto ha replicato: «Va bene, io non dico niente a sua madre, ma lei deve trovarmi un posto in città. Non voglio più stare qui. Qui mi annoio e mi viene sempre voglia di morire» (Gianni Celati, Vite di pascolanti. Tre racconti, Roma, Edizioni Nottetempo, 2006, p. 107)

(14) – Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro zecchini diventeranno duemila (Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio, Milano, Mondadori, 1995, p. 57).

I segnali grafico-interpuntivi e intonativi

Nello scritto, il discorso diretto è solitamente preceduto dai ➔ due punti e delimitato da segnali grafici quali le ➔ virgolette (basse o alte) o i trattini (➔ trattino). Tuttavia, nell’italiano contemporaneo, e in particolare in tipologie testuali più ‘libere’ (scrittura giornalistica, prosa letteraria, ecc.), non è raro che manchi l’uno o l’altro indicatore, o che questi siano sostituiti da altri demarcatori di varia natura. In (15), ad es., cadono le virgolette citazionali:

(15) Pessoa non lo riconobbe e chiese: lei chi è, di grazia? (Antonio Tabucchi, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, Palermo, Sellerio, 1994, p. 29)

mentre nel titolo giornalistico in (16) viene a mancare (come spesso succede in questa tipologia), il segno dei due punti, sostituito in un certo senso dall’a capo:

(16) Opel, apertura da Berlino

«Fiat ha piano interessante» («La Repubblica» 4 maggio 2009)

o ancora, in (17), viene adottato come unico demarcatore grafico del discorso diretto il segno della virgola:

(17) Anch’io la saluto, rispose Pessoa, la saluto e la invito a scrivere le sue poesie anche dopo che io non ci sarò più (Tabucchi, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, cit., p. 33)

Altri espedienti grafici segnalanti il passaggio al piano enunciativo della citazione sono il corsivo o, come in (18), il maiuscolo:

(18) I perfidi caporali passano a scuotere le brande urlando Sveglia, Sveglia poltroni cialtroni, forza in piedi spinacce malefiche (Pier Vittorio Tondelli, Pao Pao, in Opere. Romanzi, teatro, racconti, Milano, Bompiani, 2000, p. 212)

Infine, seppur di rado, nell’italiano scritto contemporaneo si osserva un uso del discorso diretto non segnalato né dalla punteggiatura, né da espedienti grafici. In questi casi, si risale alla citazione grazie alla presenza di indicazioni deittiche o attraverso segnali linguistici o contestuali (➔ contesto). Si veda ad es. il testo seguente, in cui il discorso diretto – oltre a essere preannunciato dalla cornice dico – è segnalato dalla deissi personale e spazio-temporale, dalle interiezioni ok e dai, e più in generale dall’andamento sintattico e ritmico mimetico del parlato:

(19) Allora dico ok, andiamo in Vaticano, vedrai che bello e che immensa quella basilica, una cosa stupenda eppoi saliremo in alto e ci cucchiamo tutta Roma d’un colpo, dai, però facciamo in fretta, abbiamo poche ore prima dell’ultimo treno valido per la caserma di Orvieto (Tondelli, Pao Pao, cit., p. 209)

Nella comunicazione orale, i confini del discorso diretto sono individuabili grazie all’intonazione: la citazione, infatti, ha un profilo intonativo più alto rispetto all’intorno linguistico, ed è spesso separata da questo da una pausa percettibile. In particolare, nel parlato si osservano due modalità dirette di riporto: o vengono riportate e la forma e l’illocuzione del discorso originario, oppure il parlante si limita a riprodurre la forma del discorso originale adattando invece la forza illocutiva a quella del contesto citante. Così, se nella conversazione informale esemplificata in (20) chi parla conserva l’intonazione e la relativa funzione illocutiva di tipo interrogativo degli enunciati originari:

(20) GCM: mi sa che sei qui a i seminario di Moneglia te? (in Giani preprint 2000, es. 2)

nell’omelia in (21) la citazione riandiamo al principio, originariamente un invito, eredita l’illocuzione di domanda retorica dell’enunciato complessivo introdotto da cosa vorrà dire:

(21) SIL: cosa vorrà dire quando dice ai farisei riandiamo al principio? (in Giani preprint 2000, es. 1).

Il discorso diretto libero e le isole testuali

Nella tradizione grammaticale, il discorso diretto libero è «un discorso diretto svincolato da introduttori sintattici e, nello scritto, privo di indicatori grafici» (Mortara Garavelli 20012: 470). Considerato come forma citazionale in prevalenza letteraria, il discorso diretto libero «viene fatto spesso corrispondere alla rappresentazione letteraria del soliloquio o al monologo interiore, a casi, cioè, in cui il narratore cita sue proprie parole o pensieri» (Calaresu 2004: 30), come nel seguente passo:

(22) Adesso cominciava a vederci chiaro. Non poteva servirsi con dignità di quel testamento disonorante per la nonna nella forma e nella sostanza […]. No, mai. Conveniva dire al professore di bruciare tutto. Così, signora nonna, trionferò di te: facendoti grazia della roba e dell’onore senza curarmi di dirtelo! Assaporandosi questo proposito, Franco si sentì quasi alzar da terra (Antonio Fogazzaro, Piccolo mondo antico, in Mortara Garavelli 20012: 470)

Si discosta in parte da questa definizione quella proposta, tra gli altri, da Calaresu, secondo la quale nel discorso diretto libero «non vi è alcuna cornice o introduttore esplicito, tranne gli espedienti grafici nello scritto e l’intonazione più alta nell’orale» (Calaresu 2004: 30). Secondo tale definizione, è dunque un esempio di discorso diretto libero anche la porzione a inizio di capoverso La Norma la prendo io, tu prendi la Carla in (23), priva di cornice ma racchiusa da virgolette citazionali:

(23) «La Norma la prendo io, tu prendi la Carla». E io prendevo la Carla, ma in segreto ammiravo la Norma. Il pallore della Norma! quello sbiancare della pelle all’interno delle cosce. La Carla era una bella tosetta, ricciuta e ben fatta, scura di pelle, cordiale; ma la Norma era un molle tranello in cui bramavo cadere. Però prendevo la Carla: l’idea di contraddire Piareto non mi sfiorava nemmeno (Meneghello, Libera nos a malo, cit., p. 5)

Così definito, il discorso diretto libero non è necessariamente una forma letteraria, né propria alla scrittura. Esso è infatti abbondantemente usato nel parlato, «soprattutto quando si riportano dialoghi serrati del tipo botta e risposta» (Calaresu 2004: 30), ed è molto sfruttato nella prosa giornalistica, perlopiù in apertura di articolo, come nell’esempio seguente:

(24) «Stiamo volando con visibilità zero: non sappiamo che ne sarà dei prestiti che abbiamo erogato se aumentano i disoccupati o se cala il valore delle case». Siamo a metà del 2006. La crisi dei mutui ‘subprime’ è ancora lontana, ma c’è già chi prevede il disastro: non un bastian contrario qualunque ma Angelo Mozillo, l’incontrastato ‘re’ dei prestiti immobiliari («Corriere della sera» 6 giugno 2009)

Si osservi tra l’altro, in (23) e in (24), che l’assenza di cornice caratteristica del discorso diretto libero costringe l’interpretante a proseguire nella lettura per risalire alla fonte della citazione: in (23) il referente Piareto e in (24) Angelo Mozillo.

Vicine per certi versi al discorso diretto libero sono le cosiddette isole testuali (da Authier 1978), inserzioni di frammenti di citazione diretta in un testo in discorso indiretto:

(25) I ministri coinvolti nelle trattative […] hanno definito la posizione negoziale di Washington «scandalosa» e «non d’aiuto» («Corriere della sera» 6 giugno 2009)

Se condividono con il discorso diretto libero l’assenza di cornice citante, a differenza di quest’ultimo (e del discorso diretto in generale), le isole testuali non comportano fratture sintattiche con il contesto. Nello scritto, inoltre, esse sono sistematicamente tra virgolette, mentre nella comunicazione parlata sono individuabili grazie a segnali di varia natura, ad es. cambiamenti di intonazione, fenomeni lessicali espliciti (cito, testualmente, ecc.) o gesti che ricordano il segno grafico delle virgolette (Authier 1978; Calaresu 2004: 177). Dal punto di vista morfosintattico, le isole testuali possono essere realizzate da una singola parola oppure da porzioni più ampie, che vanno dal gruppo sintagmatico alla frase.

Le funzioni del discorso diretto

La funzione mimetica

Rispetto alle altre forme di riporto, il discorso diretto ha carattere citazionale, di oratio recta, e si presenta fedele nella forma e nel contenuto al discorso citato (Mortara Garavelli 1985; Calaresu 2000). Nella classificazione di Genette (1972) relativa agli «stati di discorso» rispetto alla «distanza narrativa», il discorso diretto corrisponde alla forma di riproduzione più vicina alla mimesi, tanto vicina da identificarsi con essa. Tuttavia, come ricorda Mortara Garavelli (1985: 71), «la mimesi non esclude, anzi comporta una stilizzazione, nella narrativa come nella lingua scritta in generale». È ciò che si osserva ad es. in (26), in cui la resa semplicistica del dialetto del locutore originario mira più ad effetti caricaturali e parodistici che non strettamente mimetici:

(26) Impara a rispondere al telefono usando il ‘lei’ e non il ‘tu’ (Driinnn. Pronti, sono il soldatu comandatu a star qui e te chissia? U generale? U Senatore? ’Spetta chi te passo o Signore Colonnellu, ’spetta lì eh) (Tondelli, Pao Pao, cit., p. 301)

La funzione mimetica del discorso diretto è in altri casi palesemente negata, come in (27), in cui l’espressione modalizzante cose del tipo riduce notevolmente il grado di attendibilità della citazione tra virgolette:

(27) E lui diceva scusami caro, si ritirava, sentivo che parlottava e diceva cose del tipo «son impegnato te ghe dico che son impegnato no?» (Tondelli, Pao Pao, cit., p. 297)

Anche nella comunicazione orale il discorso diretto serve più a ricostruire sommariamente un discorso che non a trasmetterlo fedelmente. Il locutore ricorre alla forma citazionale diretta spesso anche per ragioni pragmatiche, ad es. «per contestualizzare il climax di una narrazione» o «per veicolare aspetti ‘affettivi’ del significato che si sta trasmettendo» (Calaresu 2004: 54-55).

Le funzioni del discorso diretto nella prosa giornalistica italiana

Sempre più frequente nella prosa giornalistica italiana (➔ giornali, lingua dei), il discorso diretto assume in questo campo svariate funzioni, in genere non mimetiche: similmente a quanto visto per altri generi testuali, il discorso diretto è infatti perlopiù infedele al discorso originario. Il fenomeno è particolarmente evidente nei titoli: ridotto a brevi ed efficaci battute, spesso chiaramente semplificate, il discorso diretto serve soprattutto a riferire informazioni veloci, con un chiaro effetto di immediatezza, oppure a «‘tipizzare’ o connotare un certo parlante citato» (Calaresu 2004: 59) attraverso le parole che gli si attribuiscono. Si osservi ad es. il titolo tratto dal quotidiano «La Repubblica»:

(28) Speroni: non scendo a patti / gli imprenditori si arrangino (in Calaresu 2004: 57)

Anche nel corpo dell’articolo il giornalista ricorre al discorso diretto per ragioni che sono solo di rado dell’ordine della riproduzione fedele. In genere, infatti, il discorso diretto serve a ‘narrativizzare’ e a ‘drammatizzare’ la notizia, e di conseguenza ad incrementare il coinvolgimento emotivo di chi legge. Si veda a mo’ di esempio il testo seguente:

(29) L’appuntamento è alle undici. Veltroni arriva per primo e si ritira qualche minuto con Prodi. Seguono tutti gli altri, Gawronski, Adinoldi, Letta. Rosy Bindi si presenta alle 11 e 30. Rimbrotto seccato di Letta: «Non ci si comporta così, non si fanno aspettare le persone, è una questione di rispetto». Il ministro si scusa, «sono rimasta imbottigliata nel traffico». Gawronski vorrebbe cominciare mettendo sul piatto «il vero problema: la non democraticità delle regole con cui è nato il Pd». Ma non è aria (in Cignetti 2009, es. 5)

Manifestamente narrativizzato, il testo in (29) presenta chiare spie di manipolazioni e mira più alla ‘spettacolarizzazione’ della notizia che non alla sua trasmissione oggettiva. Si osservino, tra i vari fenomeni, la rara presenza del verbo dire (sostituito da forme verbali semanticamente più ricche e da espressioni nominali), i numerosi ➔ connettivi (ma, dunque, cioè) in concomitanza del discorso diretto, e in generale la poca attendibilità delle virgolette citazionali e le continue intrusioni della voce citante. In molti hanno osservato che l’effetto ‘frammentato’ che si ottiene in questi casi finisce per nuocere alla leggibilità complessiva del testo (ad es., Dardano 19862; Serianni 2000; Calaresu 2004).

Studi

Authier, Jacqueline (1978), Les formes du discours rapporté. Remarques syntaxiques et sémantiques à partir des traitements proposés, «DRLAV. Documentation et recherche en linguistique allemande contemporaine» 17, pp. 1-87.

Calaresu, Emilia (2000), Il discorso riportato. Una prospettiva testuale, Modena, Il Fiorino.

Calaresu, Emilia (2004), Testuali parole. La dimensione pragmatica e testuale del discorso riportato, Milano, Franco Angeli.

Cignetti, Luca (2009), La lingua dei quotidiani ticinesi. Il discorso diretto, in Linguisti in contatto. Ricerche di linguistica italiana in Svizzera. Atti del convegno dell’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana (Bellinzona, 16-17 novembre 2007), a cura di B. Moretti et al., Bellinzona, Osservatorio linguistico della Svizzera italiana.

Dardano, Maurizio (19862), Il linguaggio dei giornali italiani. Con due appendici su: “Le radici degli anni ottanta”, “L’inglese quotidiano”, Roma - Bari, Laterza (1a ed. 1973).

Genette, Gérard (1972), Figures III, Paris, Seuil (trad. it. Figure 3. Discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1976).

Giani, Daniela (preprint 2000), Il discorso diretto riportato nell’italiano parlato: http://lablita.dit.unifi.it/preprint/preprint-00bcoll06.pdf.

Mortara Garavelli, Bice (1985), La parola d’altri. Prospettive di analisi del discorso, Palermo, Sellerio.

Mortara Garavelli, Bice (20012), Il discorso riportato, in Grande grammatica italiana di consultazione, nuova ed. a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 3° (Tipi di frasi, deissi, formazione delle parole), pp. 429-470 (1a ed. 1988-1995).

Serianni, Luca (2000), Alcuni aspetti del linguaggio giornalistico recente, in L’italiano oltre frontiera. V convegno internazionale (Leuven, 22-25 aprile 1998), a cura di S. Vanvolsem et al., Leuven, University Press & Firenze, Cesati, 2 voll., vol. 1°, pp. 317-358.

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