Disequilibrio

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In economia, situazione in cui gli scambi avvengono in presenza di vincoli o di impedimenti alla realizzazione dei piani degli agenti economici e quindi al raggiungimento dell’equilibrio in uno o più mercati.

L’analisi del d. muove essenzialmente dalla critica del processo di tâtonnement (➔) descritto da L. Walras, secondo il quale esiste un meccanismo di fissazione dei prezzi che assicura il raggiungimento dell’equilibrio economico generale, in cui tutti i soggetti massimizzano le loro utilità o i loro profitti e tutti i mercati sono caratterizzati da uguaglianza fra domanda e offerta. In realtà, fin dagli anni 1950 gli economisti hanno riconosciuto la presenza di importanti effetti prodotti dallo squilibrio di un mercato sulla formazione delle offerte e delle domande sugli altri mercati. I teorici del d. (fra i quali R. Clower, D. Patinkin, R. Barro, H. Grossman, E. Malinvaud) hanno costruito modelli che prendono in considerazione le implicazioni dei vincoli quantitativi nelle decisioni dei soggetti economici (per es., i lavoratori non possono prestare tutto il lavoro che desiderano al salario corrente o le imprese non possono vendere ai prezzi correnti tutta la produzione, e ciò determinerà conseguenze sull’offerta e sulla domanda di lavoro). L’aspetto centrale della teoria del d. è l’ipotesi secondo la quale i mercati non raggiungono l’equilibrio e gli aggiustamenti possono avvenire attraverso variazioni delle quantità. Tali aggiustamenti nei diversi mercati sono poi legati fra loro dai vincoli relativi alle quantità che le famiglie e le imprese devono rispettare nella formulazione delle loro decisioni. L’analisi del d. ha influenzato in modo significativo la ricerca economica, ponendo alla base degli studi macroeconomici i fondamenti microeconomici, vale a dire il comportamento e le scelte delle singole unità economiche nei diversi contesti.

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