Dissèsto idrogeològico

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dissèsto idrogeològico Degradazione ambientale dovuta principalmente all'attività erosiva delle acque superficiali, in contesti geologici naturalmente predisposti (rocce argillose e arenacee, comunque scarsamente coerenti), o intensamente denudati per la distruzione del ricoprimento boschivo. Colpisce soprattutto i versanti acclivi e in generale i bacini montani in fase di abbandono. Può essere prevenuto con opere di imbrigliamento dei deflussi, di consolidamento dei terreni, di rimboschimento e di razionalizzazione delle pratiche agricole (alcune delle quali, per es. il rittochino, hanno fortemente contribuito ad accentuarlo) e, più ampiamente, di controllo nell’uso del suolo.

Fattori di rischio

fig.

Rientrano nell'ambito dei fenomeni che alterano, spesso in modo catastrofico, l'equilibrio geomorfologico dei territori, l'erosione idrica diffusa e profonda (frane), le alluvioni, l'erosione marina (arretramento dei litorali), la subsidenza indotta dalle attività antropiche, e le valanghe, ovvero tutti quei fenomeni per combattere gli effetti dei quali si richiedono interventi di difesa del suolo finalizzati alla previsione, prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico. La dimensione del problema è particolarmente rilevante in Italia, dove dal 1918 al 1994 sono stati registrati rispettivamente oltre 17.000 e oltre 7000 eventi franosi e alluvionali calamitosi, i quali nell'ultimo ventennio del Novecento hanno provocato danni al patrimonio stimati in 30.000 miliardi di lire e 645 decessi; la tendenza all'aumento degli eventi idrogeologici catastrofici, fatta registrare negli ultimi anni, si può mettere in relazione con pratiche di gestione del territorio che hanno privilegiato l'occupazione e lo sfruttamento indiscriminati del suolo, e solo marginalmente con mutazioni delle condizioni meteorologiche medie indotte da variazioni climatiche (fig.).

Normativa sulla prevenzione

La normativa per la difesa del suolo ha subito alcune integrazioni, resesi necessarie per la mancata completa attuazione della l. 18 maggio 1989, n. 183, legge quadro in materia. Tale legge individuava nel piano di bacino idrografico lo strumento principale per la gestione del pericolo idrogeologico, demandandone l'elaborazione alle Autorità di bacino, per i bacini di rilievo nazionale, e alle Regioni, per i bacini minori. Tuttavia, palesi conflitti con altri enti competenti sul territorio e carenze tecniche hanno impedito alle Autorità di bacino di definire i suddetti piani e, nel corso del tempo, anche in ragione della l. 4 dic. 1993, n. 493, che aveva previsto una gradualità nella realizzazione degli stessi, si è proceduto attraverso un'impostazione per progetti formulati secondo aree omogenee o settori tematici (piani di stralcio). Gli atti giuridici per la definizione di questi strumenti di pianificazione sono quasi sempre intervenuti al seguito di catastrofi idrogeologiche: il d. l. 11 giugno 1998, n. 180, confermato dalla l. 3 ag. 1998, n. 267, e corredato per gli indirizzi di coordinamento dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 sett. 1998, è successivo all'evento calamitoso, causato da rovinose colate di fango, occorso in diversi territori del Salernitano, dell'Avellinese e del Casertano, noto con il nome del comune più colpito, Sarno; il d. l. 12 ott. 2000, n. 279, che stabilisce interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato, segue i tragici eventi di esondazione, causati da intense precipitazioni, verificatisi nel territorio del comune di Soverato in Calabria. Le Autorità di bacino di rilievo nazionale e interregionale, e le Regioni per i restanti bacini sono vincolate ad adottare piani di stralcio per l'assetto idrogeologico contenenti, in partic., l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico e la perimetrazione di quelle da sottoporre a misure di salvaguardia. L'attività di pianificazione della lotta al dissesto idrogeologico ha comunque conseguito negli anni più recenti risultati significativi. Nel 1999, infatti, sono stati approvati alcuni importanti piani di stralcio (di bacino "Attività estrattive" e "Qualità delle acque" da parte dell'Autorità di bacino del fiume Arno, piani di stralcio "Assetto idrogeologico" per il fiume Po, "Riduzione del rischio idraulico" per il fiume Arno, "Difesa dalle alluvioni" e "Tutela ambientale della zona Le Mortine" per i fiumi Liri-Garigliano e Volturno) e sono stati avviati 109 interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico in aree che presentano complessivamente una popolazione altamente esposta di 130.000 persone. È stata inoltre predisposta dal ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio, in collaborazione con il Dipartimento per i servizi tecnici nazionali e l'ANPA, la prima analisi omogenea a livello nazionale del pericolo idrogeologico (livello di attenzione per il rischio idrogeologico definito in frazione di un indice calcolato a scala comunale), dalla quale sono risultati 3671 i comuni a rischio molto elevato e a rischio elevato (45,3% del totale dei comuni italiani). Per tale elaborazione gli estensori si sono avvalsi dei dati risultanti dall'attività degli enti preposti allo studio e alla gestione dei fenomeni associati al dissesto idrogeologico: GNDCI (Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche); Dipartimento della protezione civile; Servizio geologico nazionale; Servizio idrografico e mareografico nazionale. In partic., il GNDCI, nel contesto del progetto AVI (Aree vulnerate italiane), ha ultimato (1998) l'archivio digitale delle zone colpite da frane e inondazioni, provvedendo alla pubblicazione di una carta sinottica a scala 1:1.200.000, nella quale sono riportate oltre 15.000 località che hanno subito eventi catastrofici (9085 frane e 6456 inondazioni); sono stati completati gli studi di verifica del grado di efficacia dell'archivio riguardo alla valutazione e alla perimetrazione della pericolosità da frane e inondazioni. Inoltre, il Servizio geologico nazionale ha portato a termine nel 1999 la determinazione della "propensione al dissesto" dei territori comunali: partendo dalla carta della propensione al dissesto della litologia affiorante, dedotta dall'elaborazione sintetica georeferenziata dei dati AVI relativi ai fenomeni franosi sulla carta geologica alla scala 1:500.000, è stato calcolato, per ogni formazione geologica, un indice di franosità come rapporto tra il numero di frane occorse nella formazione stessa e l'area della sua superficie affiorante, in base al quale i terreni sono stati classificati ad alta, media o bassa propensione al dissesto; si è successivamente giunti alla carta della classificazione dei territori comunali in base alla propensione al dissesto, calcolando, per ogni singolo comune, la percentuale di territorio ricadente nelle classi precedentemente definite.

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