Distendere

Enciclopedia Dantesca (1970)

distendere

Alessandro Niccoli

È vocabolo che appartiene quasi esclusivamente all'uso poetico; ricorre 24 volte nella Commedia, una nella Vita Nuova, due nel Convivio e una nelle Rime. Inoltre, in If VIII 40 e Pg XXII 75 la tradizione manoscritta oscilla tra forme di d. e quelle analoghe di ‛ stendere '. È da osservare come al di fuori di questi due casi, ‛ stendere ' sia usato da D. solo come intransitivo pronominale e più frequentemente nel Convivio (nove volte) che non nella Commedia (cinque volte, quattro delle quali in rima).

Quale contrario di ‛ tendere ', e quindi con il valore di " allentare " ciò che è teso, d. compare solo in Pg XVI 48 del mondo seppi, e quel valore amai / al quale ha or ciascun disteso l'arco. ‛ Avere l'arco disteso ', cioè tenerlo con la corda allentata, è locuzione frequente nella lingua del tempo, reperibile anche nel volgarizzamento delle Metamorfosi di Arrigo Simintendi: " [Diana] diede a una delle ninfe che le portava l'arme la lancia e 'l torcasso e' distesi archi " (in Volgarizzamenti del Due e Trecento, a c. di C. Segre, Torino 1964, 555). D. la usa in senso metaforico per dire che ormai nessuno più tende l'arco del proprio animo verso la virtù, cioè nessuno mira più al possesso di essa.

Si avrebbe un altro esempio dell'uso di d. con il significato di " allentare " se fosse esatta l'interpretazione proposta, sia pure in modo dubitativo, dal Porena per Pd XXXII 96: l'arcangelo Gabriele, che primo lì discese, / cantando ‛ Ave, Maria, gratïa plena ', / dinanzi a lei [Maria] le sue ali distese. Alla spiegazione consueta (" aperse, spiegò le ali " o " si librò sulle ali ") il Porena aggiunge l'osservazione che qui d. potrebbe essere il contrario di ‛ tendere ', sicché tutta la locuzione verrebbe a significare che Gabriele piegò le ali, cessando dal tenerle tese. L'interpretazione è suggestiva e plausibile, ma non trova conforto in analoghi usi né di D. né di altri scrittori citati dai dizionari. Questi, infatti, per ‛ d. le ali ', oltre all'esempio dantesco, registrano solo passi di autori quattro-cinquecenteschi, o anche più tardi, nei quali d. ha certamente il valore di " aprire ", " spiegare ".

Nelle altre occorrenze d. compare con i significati e negli usi che gli sono propri anche oggi.

Accezione fondamentale è quella di " allargare ", " allungare " (cose ristrette o rattratte). Oltre che in Pd XXXII 96 (vedi sopra), con questo valore ricorre in If VI 25 [Virgilio] distese le sue spanne [cioè allargò in tutta la loro ampiezza le mani], / prese la terra, e con piene le pugna / la gittò dentro a le bramose canne di Cerbero. Quasi tutti i commentatori considerano distese un passato remoto; solo il Tommaseo (anche nel Dizionario) e il Chimenz lo ritengono un participio passato.

Detto di braccia o mani, vale " muoverle ", " stenderle ", per compiere un atto determinato o in segno di affetto o per afferrare. Con questo significato compare in If XXXIII 148 Ma distendi oggi mai in qua la mano; / aprimi li occhi; XV 25 quando 'l suo braccio a me distese, / ficcaï li occhi per lo cotto aspetto; XXXI 131. Particolare evidenza espressiva la locuzione acquista in If XIII 49: se avesse potuto intuire la verità, D. non averebbe in te [contro Pier della Vigna] la man distesa. L'episodio è libera rielaborazione di quello virgiliano di Polidoro (Aen. III 24 ss.), ma più che il richiamo alla fonte classica conviene sottolineare la sfumatura latinamente implicita nel complemento in te, che, pur avendo un valore fondamentale di moto, include un senso di ostilità. La ricchezza e il vigore della lingua di D. appaiono ancor più evidenti dal confronto di questo passo con If XIII 31 (Allor porsi la mano un poco avante), dove il medesimo gesto di allungare il braccio verso il gran pruno è descritto con riferimento allo stato d'animo di D. e non allo strazio di Piero.

Pari potenza creatrice nella ricreazione di uno spunto classico si ha in If XXX 9 [Atamante] distese i dispietati artigli, / prendendo l'un ch'avea nome Learco; qui la fonte è Ovidio (Met. IV 516 ss.), ma la narrazione ovidiana (" parva Learchum / bracchia tendentem rapit ") acquista nuovo vigore in quel trasmutare le mani di Atamante in dispietati artigli afferranti la creduta preda. Analogo valore, infine, il verbo ha in If XXV 55: un serpente con sei piè, lanciatosi contro Agnello Brunelleschi, co' piè di mezzo li avvinse la pancia / e... / li diretani a le cosce distese.

Appartengono a questo gruppo di esempi anche i due casi per i quali la tradizione manoscritta oscilla tra d. e ‛ stendere '. In If VIII 40 il Petrocchi propende per la lezione Allor distese al legno ambo le mani, mentre la '21 e Casella hanno stese. Una situazione analoga, ma risolta dagli editori in senso opposto, si ha in Pg XXII 75; qui la '21 legge perché veggi me' ciò ch'io disegno, / a colorar distenderò la mano; Petrocchi invece, questa volta in accordo con Casella, accoglie la variante stenderò. In ogni caso, il valore della metafora non muta: Stazio si propone di completare con nuovi argomenti il suo ragionamento, nello stesso modo che, per condurre a compimento un quadro già disegnato, occorre la coloritura. Il traslato, analogo ad altri comuni al linguaggio dantesco (valga per tutti Pd XXV 2 'l poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra), è di lontana derivazione classica, come dimostra il commento di Servio (" est translatio a pictura, quam manus complet atque ornat extrema ") ad Aen. VII 572 ss. " interea extremam Saturnia bello / imponit regina manum ".

A qualche dissenso interpretativo ha dato luogo il passo di If XXVIII 63 Poi che l'un piè per girsene sospese, / Mäometto mi disse esta parola; / indi a partirsi in terra lo distese. Il senso generale del passo è chiaro (Maometto, " appena finito di parlare, compie il passo e se ne va ", Scartazzini-Vandelli), né, per renderlo più perspicuo, occorre sostituire a distese la lezione ritese, come fanno il Porena e il Chimenz. L'incertezza dei commentatori è dovuta al fatto che per alcuni (Sapegno, Chimenz), sembra grottesco l'immaginare Maometto che parla per un tempo abbastanza lungo rimanendo col piede sollevato da terra. A superare questa difficoltà, il D'Ovidio (in " Studi d. " VII [1923] 21 ss.) crede che sospese possa significare che il dannato aveva sollevato solo il tallone da terra, rimanendo appoggiato sulla punta del piede. In questo caso distese indicherebbe il venir meno dello stato di tensione cui è sottoposto il piede allorquando tutto il peso del corpo grava sulle dita. Se invece, come fanno Steiner, Porena e Mattalia, si ritiene che Maometto parli a D. dopo aver già alzato il piede per avviarsi, distese significherà piuttosto " lo poggiò a terra in tutta la sua estensione ".

In senso figurato ricorre solo in Cv III XI 12 con il valore di " diffondere ", " propagare ": 'l vero filosofo ciascuna parte de la sua sapienza ama, e la sapienza ciascuna parte del filosofo, in quanto tutto a sé lo riduce, e nullo suo pensiero ad altre cose lascia distendere.

Ai significati con i quali il verbo viene usato nella forma transitiva si riallacciano quelli assunti quando è adoperato come intransitivo pronominale.

All'accezione di " allungare cosa ritratta " si accosta quella di " raddrizzarsi ", con la quale d. compare in Pg XXXI 76: quando ebbi ascoltato l'ammonimento di Beatrice, la mia faccia, da china per la vergogna che era, si distese, tornò dritta, si alzò. " Propriamente ", osserva il Porena, " è il collo di Dante che si distende, cioè si allenta dalla contrazione vergognosa che lo piegava in basso; ma siccome l'effetto essenziale consiste nell'alzar la faccia, Dante applica l'espressione alla faccia ". L'uso del verbo con questo valore venne poi ripreso dal Boccaccio: " poi dinanzi a Dïana la donzella / s'inginocchiò e, da pietate offesa, / di lagrime bagnò la faccia bella, / la quale invér la dea avêa distesa " (Teseida VII 78).

Più frequentemente, sempre come intransitivo pronominale, il verbo significa " acquistare maggior ampiezza, maggior estensione " (If XX 80 [il Mincio] Non molto ha corso, ch'el trova una lama, / ne la qual si distende e la 'mpaluda); " assumere una determinata forma " (Pd XXX 103: la luce irradiata da Dio si distende in circular figura); o anche, ed è anzi questo il caso più frequente, " spandersi ", " diffondersi ", " propagarsi ". Di quest'ultima accezione si hanno esempi in Vn XIV 4 (mi parve sentire un mirabile tremore incominciare nel mio petto de la sinistra parte e distendersi di subito per tutte le parti del corpo), Pd XXVIII 66 (i nove cieli sono ampi e arti / secondo il più e 'l men de la virtute / che si distende per tutte lor parti), Pg XXIII 69, XXV 58.

Controversa è l'interpretazione di If XXXIV 128 Luogo è là giù da Belzebù remoto / tanto quanto la tomba si distende. La maggior parte dei commentatori (Scartazzini-Vandelli, Casini-Barbi, Porena, Sapegno, Chimenz), accogliendo una proposta formulata dal Barbi (in " Bull. " XVIII [1934] 12 ss., poi in La nuova filologia), ritengono che per tomba sia da intendere non la ‛ cavità dell'Inferno ' come vogliono altri (ad es. lo Steiner) ma la natural burella; il senso dei versi verrebbe ad essere questo: laggiù, nella tomba o caverna dove eravamo (v. 98) c'è un luogo, un punto, remoto, distante da Lucifero, tanto quanto si distende, quanto è lunga, la tomba o caverna stessa. A conclusioni diverse perviene il Mattalia: anch'egli identifica la tomba con la natural burella, ma ritiene che si distende si debba intendere come indicazione di misura orizzontale (diametro o circuito) e non nel senso dell'altezza. Secondo questa interpretazione il passo va così spiegato: c'è laggiù, in quella caverna, un punto distante (in altezza) da Lucifero di un tratto di spazio dal più al meno equivalente al diametro della caverna stessa.

Il participio passato ‛ disteso ' appare più volte anche con schietto valore aggettivale.

Nel senso di " messo a giacere ", " coricato ", " sdraiato ", con valore predicativo: poi cadde giuso innanzi a lui disteso (If XXV 87); mi si gittò disteso a' piedi (XXXIII 68); ponea lo suo corpo sopra la terra disteso (Cv III III 7); e ancora in Rime CIII 42, If XII 12; XXIII 125 colui ch'era disteso in croce; Pg XIX 126. Per " ampio ", " spazioso ", " esteso ": pioggia o fiume / lago non fece alcun tanto disteso (Pd I 81).

In senso figurato vale " ampio ", " diffuso ", " esplicito ", " esauriente ": Tu dubbi, e hai voler che si ricerna [sia nuovamente chiarito] / in sì aperta e 'n sì distesa lingua / lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna, così che esso si porga piano al tuo intendimento (Pd XI 23).