DISTRIBUZIONE COMMERCIALE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

DISTRIBUZIONE COMMERCIALE

Luca Pellegrini

Interventi di liberalizzazione. Linee di sviluppo della distribuzione. Bibliografia

fig. 1
fig. 2

La consistenza dei punti vendita del commercio fisso al dettaglio dal 2000 al giugno 2014 ha subito notevoli variazioni in Italia (fig. 1). Nel 2007 si è verificato il massimo storico di 779.000 unità, che si sono ridotte solo lievemente sino al 2011, mentre da quell’anno l’uscita dal mercato di punti vendita si è fatta più marcata e tra il picco del 2007 e il giugno 2014 la rete ha perso 17.000 unità, il 2,2% del totale. La lunga crisi del 2008-14 ha dunque avuto un inevitabile impatto sulla capacità delle imprese di fare fronte a riduzioni di venduto e continuare a operare. Nondimeno, se si considera che tra il 2007 e il 2013 i consumi delle famiglie italiane, che attivano il settore, si sono ridotti in termini reali dell’8%, il commercio italiano ha dimostrato una tenuta per certi versi inaspettata. Data la sua forte polverizzazione ci si sarebbe infatti attesa una riduzione più marcata degli esercizi. Ciò non è avvenuto e non è pertanto opportuno far riferimento, come talvolta si è fatto, alla condizione di ‘desertificazione commerciale’: anche tenuto conto dell’aumento della popolazione, il livello di servizio offerto dalla distribuzione italiana è oggi simile a quello che essa offriva nel 2000 (fig. 2). Va inoltre ricordato che alla rete fissa vanno aggiunti gli esercizi del commercio ambulante, il cui ruolo è spesso sottovalutato. Essi sono addirittura aumentati: secondo l’Osservatorio nazionale del commercio, erano 192.000 nel 2007 e 223.000 nel giugno 2014.

Interventi di liberalizzazione. – Negli anni considerati il sistema distributivo italiano non è stato soltanto influenzato da una congiuntura economica negativa, ma anche da alcuni rilevanti interventi di regolamentazione. I due decreti del governo Monti, noti rispettivamente come Salva Italia e Cresci Italia (d.l. 6 dic. 2011 nr. 201, convertito nella l. 22 dic. 2011 nr. 214; d.l. 24 genn. 2012 nr. 1, convertito nella l. marzo 2012 nr. 27), hanno infatti introdotto elementi di liberalizzazione anche nel settore commerciale. Sono state modificate sia le norme che riguardano la generalità delle attività distributive, sia quelle che regolano in modo specifico alcuni comparti: le farmacie, le edicole e le stazioni di servizio. Tralasciando queste ultime, che intervengono su segmenti di offerta molto specifici, quelle che interessano tutti gli esercizi commerciali hanno portato novità importanti, che configurano una pressoché totale liberalizzazione della distribuzione, uno dei settori dell’economia italiana storicamente più vincolati.

L’intervento di liberalizzazione che più ha colpito l’opinione pubblica riguarda gli orari, che sono ora lasciati senza eccezioni alla libera decisione delle imprese. Tuttavia il provvedimento ha avuto effetti assai meno dirompenti di quanto alcuni paventavano, modificando molto marginalmente le scelte che le imprese avevano fatto in passato. L’unico disposto che ha avuto un impatto di rilievo è quello sull’apertura nei giorni festivi, di cui si sono avvantaggiati principalmente le grandi superfici della distribuzione moderna che, con una rimodulazione dei nastri orari di lavoro, hanno potuto aprire anche nei giorni festivi a costi accettabili. Sugli orari alcune Regioni hanno tentato un ricorso alla Corte costituzionale, rivendicandone la competenza, ma il ricorso è stato respinto con la sentenza 299/2012. La liberalizzazione degli orari è dunque confermata.

Impatto assai maggiore dovrebbe avere sul settore quanto previsto agli artt. 31 e 34 del decreto Salva Italia, i quali ribadiscono alcuni principi generali elaborati a salvaguardia della concorrenza. È esemplare l’art. 31 che afferma: « [...] costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali [...] senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi compreso l’ambiente urbano, e dei beni culturali». Queste poche righe mettono in discussione una parte rilevante delle normative regionali sul commercio emanate dall’introduzione del federalismo fino a oggi, e costituiscono il più importante contributo alla liberalizzazione del settore. D’ora in poi l’accesso al mercato di qualunque impresa commerciale potrà essere condizionato soltanto dal rispetto delle norme urbanistiche e da una valutazione della loro compatibilità con la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali. Non sono quindi più proponibili contingenti e altre limitazioni territoriali, né lo saranno anche due dei criteri tradizionalmente usati dalla totalità delle Regioni per valutare l’autorizzazione di nuovi grandi sviluppi commerciali: il loro effetto sul sistema distributivo esistente e il loro effetto sull’occupazione. I residui vincoli che limitavano la concorrenza, quelli rimasti dopo gli interventi della riforma del settore del 1998 e del d.l. 4 luglio 2006 nr. 223 (convertito dalla l. 4 ag. 2006 nr. 248), sono stati eliminati. Si tratta quindi di un’effettiva e per certi versi radicale liberalizzazione (anche rispetto a quanto avviene nel resto dei Paesi europei).

Linee di sviluppo della distribuzione. – Due fenomeni hanno inoltre trasformato in modo profondo le prospettive della distribuzione, arrivando a mettere in discussione equilibri che si erano mantenuti per alcuni decenni. Il primo è una crescente tendenza all’integrazione verticale, ovvero a proporre punti vendita che vendono solo, o quasi soltanto, prodotti identificati con l’insegna (negozi monomarca). Il secondo è lo sviluppo dell’e-commerce, che, con la diffusione di smartphone e tablet, ha assunto una rilevanza ancora più trasformativa.

L’integrazione verticale, con la diffusione di punti vendita monomarca, è nata sia sulla spinta delle imprese di distribuzione, che integrano a monte la progettazione dei prodotti in assortimento, sia su quella dell’industria, che integra a valle la rete di vendita. La distribuzione mass market ha cercato di attenuare la sovrapposizione assortimentale che rende trasparenti i prezzi e inasprisce la concorrenza. Le grandi marche industriali, presenti ovunque, tendono infatti a ridurre la finalizzazione del cosumatore (store loyalty), il quale, pur in presenza di un livello di servizio diverso, finisce per fare la sua scelta principalmente sulla base del prezzo che questi identici beni hanno nei diversi punti vendita. Ciò ha portato, anzitutto nella grande distribuzione alimentare, alla nascita e alla diffusione delle marche commerciali, che in questi anni sono significativamente cresciute arrivando a coprire il 18% delle vendite, ma che caratterizza anche una formula, il discount, che propone quasi solo beni con marchi di proprietà dell’insegna. Data la natura degli assortimenti di questo tipo di distributori, molto ampi, la tendenza verso il monomarca si sta rafforzando grazie al successo di alcune insegne che hanno dimostrato come esso sia realizzabile anche in presenza di un’elevata varietà merceologica. Il caso paradigmatico è quello di Ikea, a cui si aggiungono i protagonisti della fast fashion, Zara e H&M, e, nello sport, Decathlon. In definitiva, la parziale o totale offerta di prodotti identificati con l’insegna si diffonde e mostra i suoi vantaggi sia in termini competitivi (si riduce il confronto diretto di prezzo) sia nelle performance di efficienza (velocità di risposta al consumatore e logistica). L’analoga tendenza dell’industria a integrarsi a valle è, in parte, una risposta agli spazi che si chiudono nella distribuzione e, in parte, una scelta che trova motivazioni autonome. Lo sviluppo della marca commerciale e di punti vendita monomarca di origine distributiva ha infatti come effetto la riduzione degli spazi di mercato per le marche industriali. Tuttavia la spinta in questa direzione è anche una risposta ai mutamenti intervenuti in molti mercati. Anzitutto alla tendenza all’ipersegmentazione, che ha moltiplicato le numeriche dei portafogli prodotto, rendendo più difficile convincere reti indipendenti a prendere in carico un numero così elevato di referenze. La moltiplicazione delle varianti di prodotto ha poi accelerato il ricambio dell’offerta, in un mercato più competitivo e dove l’innovazione di prodotto è diventata una leva di marketing sempre più importante, accentuando i problemi di collocare con forte sconto l’invenduto. Ancora, la crescente connotazione dell’offerta con valori immateriali, quindi determinata da valenze stilistiche più che funzionali, ha spinto molti produttori, in particolare nell’abbigliamento, a riproporre questi valori su altre tipologie di prodotto, trovando però difficoltà a comunicare questo più ampio insieme di beni con i tradizionali media. Il ricorso a reti proprie è la soluzione che molti hanno dato a questi problemi. Disporre di monomarca consente infatti di costruire contesti su misura, coerenti alla connotazione data ai prodotti, di predisporre un sistema di rilevazione dell’informazione in tempo reale, che riduce i rischi dell’invenduto, e di raccogliere immediatamente dati utilizzabili per riprogettare l’offerta.

fig. 3

Il secondo fenomeno trasversale che ha modificato gli equilibri del retail è stata la diffusione dell’e-commerce. Malgrado in Italia l’e-commerce sia ancora molto limitato (fig. 3), la multicanalità, intesa come confronto fra offerta fisica e virtuale, richiede a tutte le imprese, di produzione e di distribuzione, una revisione di strategia che si aggiunge e si interseca con quella appena vista della crescita di modelli integrati verticalmente. La disponibilità di smart phone e tablet, in particolare, ha eliminato la barriera fra offerta fisica e virtuale, alla quale ultima in passato si accedeva attraverso un computer fisso da casa o dall’ufficio, rendendo possibile ai consumatori di verificare nei punti vendita l’offerta disponibile in rete. Tale fenomeno (showrooming) consente ai distributori presenti su Internet, che non hanno i costi di gestione della rete fisica e quelli relativi al servizio di consulenza che fornisce il personale, di rendere più competitiva la loro proposta se sono in grado di domiciliare il prodotto a un prezzo più basso. Questo è il modello di business di Amazon e di tutti i retailer virtuali che operano con le stesse modalità.

Integrazione verticale ed e-commerce con supporti mobili si sovrappongono e interagiscono. Il mobile commerce ha infatti un diverso impatto per chi governa la propria rete di vendita e chi no. Nel primo caso i prodotti sono disponibili soltanto nei canali controllati dall’insegna/marca: nei propri punti vendita e nel proprio sito. Lo showrooming si può così risolvere allineando offerta fisica e virtuale, visto che entrambe fanno capo allo stesso soggetto. Un vantaggio rilevante, che contribuisce a spingere molte imprese, di produzione e di distribuzione, verso modelli di offerta integrati.

Bibliografia: La strategia retail nella moda e nel lusso, a cura di S. Sacerdote, Milano 2006, 20113; R. Donvito, L’innovazione nei servizi. I percorsi di innovazione nel retailing basati sul vertical branding, Firenze 2012; E. Viviano, L. Aimone Gigio, E. Ciapanna et al., La grande distribuzione organizzata e l’industria alimentare in Italia, Roma 2012; L. Pellegrini, L. Zanderighi, Il sistema distributivo italiano: dalla regolazione al mercato, Bologna 2013; La regolazione intelligente: un bilancio critico delle liberalizzazioni italiane, a cura di B.G. Mattarella, A. Natalini, Bagno a Ripoli 2013.

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