Alimentazione, disturbi della

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2006)

Alimentazione, disturbi della

Franco Contaldo

I disturbi dell'a. costituiscono una classe di patologie presente nei Paesi economicamente avanzati, direttamente o indirettamente correlata a una disponibilità di cibo superiore al fabbisogno individuale. La facile reperibilità di cibo, che riguarda ormai l'intera popolazione dei Paesi ricchi, in tutte le fasce d'età, con i più vari redditi economici e livelli culturali, si aggiunge alla riduzione dell'attività fisica e quindi dell'esercizio muscolare quotidiano, tanto nel tempo libero quanto in quello lavorativo. In una società che spinge all'indulgenza alimentare e al sedentarismo, sono proposti modelli estetici, sia femminili sia maschili, di magrezza ed efficienza fisica (fitness) per tutte le età e indipendentemente dalle caratteristiche biologiche e fisiologiche individuali. Modelli esasperati di competitività, tipici della società globalizzata nella quale viviamo, sono quindi trasferiti anche nell'ambito dei comportamenti alimentari (mangiare tutto senza ingrassare) e della valutazione della propria immagine corporea (continua efficienza fisica) fino al punto di provocare veri e propri disturbi dell'a. e dell'immagine corporea, con conseguenti comportamenti patologici finalizzati al mantenimento o al raggiungimento di un corpo cosiddetto 'in linea' ed efficiente. I disturbi dell'a. possono quindi associarsi a un disagio/malattia della sfera psichica e a vere e proprie malattie organiche. A questo punto emergono almeno due ordini di considerazioni, che riguardano rispettivamente il potenziale paziente e le strategie di intervento: da un lato, come si è già detto, un individuo può percepire e quindi gestire in modo non adeguato l'evidente conflitto tra una spinta al consumismo alimentare e l'invito a una costante efficienza fisica, diventando vittima di uno squilibrio psicologico e/o corporeo; dall'altro, si avverte l'esigenza di intraprendere una strategia di prevenzione che miri a contenere gli eccessi in comportamenti e stili di vita cosiddetti a rischio. Si comprende quindi come i disturbi dell'a. possano essere inclusi nella categoria delle culture bound diseases, anche note come malattie cultura-dipendenti. Appare evidente come, nel contesto di una società tecnologicamente avanzata, i valori socio-culturali si siano rapidamente trasformati e omogeneizzati a scapito di tipicità e peculiarità locali. Questo aspetto può rappresentare un elemento di disagio, soprattutto in un'età critica come quella adolescenziale. La letteratura specialistica internazionale utilizza un'efficace definizione per esprimere la moderna problematica alimentare legata alla globalizzazione: transition diet. Con questa espressione si indica una trasformazione dei comportamenti e delle abitudini alimentari così rapida da non consentire, soprattutto in alcuni individui o fasce della popolazione, un adattamento compatibile con un soddisfacente stato di salute e di vita di relazione.

Definizioni ed epidemiologia

I disturbi dell'a. possono essere la conseguenza di un disturbo della personalità che a sua volta induce un'alterazione dello stato nutrizionale. Il disturbo dell'a. di gran lunga più frequente nella popolazione occidentale è quello da iperalimentazione, termine con il quale si intende l'assunzione, per un congruo periodo di tempo, di alimenti in eccesso rispetto al fabbisogno. Si instaura pertanto un bilancio energetico cronicamente positivo (facilitato dalla altrettanto cronica scarsa o assente attività fisica) con la conseguenza di un eccessivo accumulo di energia sotto forma di trigliceridi (grassi di deposito) soprattutto nel tessuto adiposo, con aumentata prevalenza e incidenza di sovrappeso e obesità. Che le abitudini e lo stile di vita associato alla cosiddetta globalizzazione abbiano facilitato l'epidemia di obesità è confermato dalla stretta connessione temporale tra i due fenomeni sviluppatisi parallelamente a partire dagli anni Settanta del 20° sec. in tutti i Paesi industrializzati, cominciando dagli Stati Uniti. L'Organizzazione mondiale della sanità classifica l'obesità tra le dieci più frequenti patologie che colpiscono la nostra specie, e tra le prime cinque nei Paesi occidentali o con abitudini di vita proprie dell'Occidente. La prevalenza di obesità è particolarmente temibile in età evolutiva, perché in questa fase della vita l'associazione iperalimentazione-sedentarismo può facilmente produrre alterazioni, irreversibili o difficilmente reversibili, della composizione corporea. Si realizzano in tal modo un non adeguato sviluppo muscolo-scheletrico in età adolescenziale, e quindi una riduzione relativa della massa alipidica (o massa magra o metabolicamente attiva), e un altrettanto stabile aumento del tessuto adiposo, con conseguenze pregiudiziali per la salute dell'individuo. Non a caso la letteratura medica evidenzia una maggiore incidenza, in età evolutiva, di diabete tipo 2 (in passato noto come diabete dell'adulto), ipertensione arteriosa, fratture ossee e altre patologie. Nel senso psicopatologico del termine l'obesità non può essere considerata di per sé un disturbo del comportamento alimentare se non nei casi in cui è documentabile una vera e propria alterazione comportamentale.

Malnutrizione e disturbi del comportamento alimentare

I veri disturbi del comportamento alimentare sono patologie associate a un gruppo di anomalie psicologiche e comportamentali percepito dal paziente, dai familiari e conoscenti e dal medico come bisognevole di essere curato. In senso lato si distinguono comportamenti inibitori, che mirano a ridurre in modo significativo e per un lungo periodo di tempo l'assunzione degli alimenti, e comportamenti disinibitori, caratterizzati da una frequente e incontrollata assunzione di alimenti. Questo alterato rapporto con l'assunzione del cibo può essere associato spesso ad altri comportamenti detti compensatori, ma altrettanto patologici, come il vomito autoindotto, l'abuso di lassativi, l'iperattività fisica. I disturbi del comportamento alimentare così identificati sono inclusi nelle categorie delle patologie psichiatriche e riportati in The ICD-10 classification of mental and behavioural disorders (1992) e in DSM-iv casebook: a learning to the diagnostic and statistical manual of mental disorders (1994). Entrambi questi trattati di riferimento riconoscono due patologie principali: l'anoressia nervosa e la bulimia nervosa, cui si associa una terza categoria, quella dei disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati (DANAS) vale a dire Eating disorders not otherwise specified (EDNOS) o Atypical eating disorders degli autori anglosassoni. L'anoressia nervosa, che colpisce lo 0,5-1,0% della popolazione adolescente, soprattutto femminile, è una patologia spesso di lunga durata, di alta gravità medica e psichiatrica, contraddistinta da un'elevata mortalità. La bulimia nervosa ha una prevalenza lievemente più elevata: circa il 3% della popolazione adolescenziale, anche in questo caso pressoché esclusivamente femminile. I disturbi dell'a. non altrimenti specificati includono un gruppo eterogeneo di pazienti con disturbi del comportamento alimentare tali da non rispondere ai requisiti per la diagnosi di anoressia nervosa o di bulimia nervosa. L'incidenza percentuale dei DANAS è ancora poco nota, ma sembrerebbe essere di circa il 10-15% nella popolazione adolescenziale. I Binge eating disorders (BED, o iperalimentazione compulsiva) vengono in genere inclusi tra i DANAS e si caratterizzano, come sintetizza molto efficacemente la definizione, per episodi di bulimia senza comportamenti compensatori. I BED si associano quindi a obesità o sovrappeso e comprendono una sottocategoria di pazienti, i night eaters o mangiatori notturni, che provano uno stimolo incontrollabile a iperalimentarsi, fino a svegliarsi di notte per consumare pasti abbondanti. Nell'ambito dei DANAS possono essere anche inclusi i cosiddetti sweet eaters o carbohydrate cravers, mangiatori di alimenti dolci o ricchi di carboidrati, e gli snackers, consumatori di frequenti piccoli pasti. Altra categoria è rappresentata dai nibblers, ossia pazienti affetti da comportamento nibbling, che li costringe ad alimentarsi con un piluccare incessante. A questo comportamento si oppone quello gorging, che induce ad alimentarsi solo durante i pasti principali, che sono però abnormemente abbondanti. Queste tipologie sono state descritte per la prima volta negli Stati Uniti quale espressione di uno stile di vita degenerato in patologia del comportamento alimentare che si sta trasferendo anche nel nostro Paese. I disturbi del comportamento alimentare così definiti colpiscono generalmente soggetti in età adolescenziale, di sesso femminile e di classi sociali agiate, ma questo stereotipo sta subendo qualche modifica. L'osservazione che le pazienti anoressiche provengano, di norma, da classi sociali agiate deriva da studi condotti negli Stati Uniti, dove però il sistema sanitario è coperto da un sistema assicurativo essenzialmente privato. È possibile quindi che le informazioni riguardino dati raccolti su una popolazione preselezionata, a reddito elevato, cosa che invece non si osserva in Europa. Inoltre, probabilmente proprio per ragioni culturali e sociali, l'età di insorgenza si è allargata a una sorta di età culturale dell'adolescenza, che inizia già intorno ai dieci anni per arrivare in alcuni casi a trent'anni e oltre. Il rapporto tra i due sessi è nettamente a favore di quello femminile, ma ultimamente da un rapporto di 10 a 1 sembra essersi lievemente ridotto a 9 a 1. Infine, come si è detto, tutti i ceti sociali sembrano esserne uniformemente interessati. Queste modificazioni della distribuzione nella popolazione sembrano confermare che i disturbi del comportamento alimentare debbano considerarsi, nella maggior parte dei casi, anche culture bound diseases.

Anoressia nervosa

L'anoressia nervosa si caratterizza per alcuni tipici sintomi: deliberata perdita di peso; indice di massa corporea inferiore a 17,5 kg/m2 (i valori normali nella popolazione caucasica sono compresi tra 20 e 25 kg/m2; per es., una giovane donna alta 165 cm, invece di avere un peso corporeo compreso tra i 54 e i 67 kg pesa meno di 47 kg); rifiuto di assumere una quantità di alimenti che possa consentire il raggiungimento o il mantenimento di un peso corporeo normale e un normale stato di nutrizione; amenorrea per almeno tre mesi consecutivi. A questi segni e sintomi principali si associano spesso altri disturbi fisici e psichiatrici, quali distorsione dell'immagine corporea, fobia di ingrassare, depressione del tono dell'umore, insonnia, aggressività, isolamento sociale, scarsa capacità di concentrazione. Nell'ambito dell'anoressia nervosa si possono distinguere due sottotipi, rispettivamente il restrittivo e il bulimico. Nel primo caso, vera anoressia nervosa, è presente un ostinato rifiuto del cibo, nel secondo, invece, violente crisi bulimiche seguite da comportamenti compensatori si associano in modo variabile a periodi di totale digiuno. La crisi bulimica del paziente con anoressia nervosa si caratterizza, rispetto a quella classica della bulimia nervosa, per l'assunzione anche di modeste quantità di cibo che vengono percepite comunque come eccessive. In entrambi i casi vi è un marcato sottopeso e un'altissima presenza di complicanze.

La mortalità è compresa tra lo 0,2 e il 5,0%, percentuale molto elevata se confrontata con altri tipi di patologia presenti in età evolutiva, come la schizofrenia, con una mortalità attesa di circa l'1,0%, o il diabete tipo 1 (già definito diabete giovanile), dove la mortalità è praticamente assente. L'anoressia nervosa, essendo la seconda causa di morte, dopo le tossicodipendenze, nell'adolescenza, è una gravissima patologia cronica, con un alto impatto emotivo sull'opinione pubblica e richiede un'assistenza prolungata e un follow-up specialistico. Le cause di morte o di complicanze mediche sono secondarie alla malnutrizione (marasma): si può arrivare al suicidio e, a volte, avere complicanze dovute ad alcolismo o altri abusi. Con il termine marasma si definisce una cronica malnutrizione conseguente alla persistente inadeguata assunzione di tutti i nutrienti: letteralmente il paziente si riduce 'pelle e ossa' (skin and bone). La cronica, graduale malnutrizione (in questi pazienti per un grave disturbo del comportamento alimentare) consente comunque all'organismo di instaurare una serie di reazioni biologiche di tipo adattativo, che permettono la riduzione significativa del dispendio energetico (quindi del fabbisogno sia di energia totale sia di proteine): è per tale capacità adattativa che questi pazienti sopravvivono così a lungo. Alla malnutrizione proteico-energetica del tipo marasma si contrappone il tipo Kwashiorkor (e le forme miste). Questo termine deriva dal dialetto Ga di una popolazione dell'Africa subsahariana e letteralmente significa 'la malattia che colpisce il primo figlio quando nasce il secondo'. Le sviluppate doti di osservazione di queste popolazioni aborigene hanno consentito di collegare l'insorgenza della malattia alla sospensione dell'allattamento materno del primo figlio, unica fonte di proteine di buon valore biologico in condizioni di siccità o carestia. A parte altre considerazioni sulla eziopatogenesi del Kwashiorkor, questo tipo di malnutrizione è legato alla carenza assoluta (per non assunzione) o relativa (per elevato catabolismo da traumi, ustioni, sepsi gravi, ecc.) di proteine. In entrambi i casi le reazioni protettive, di tipo adattativo, dell'organismo non riescono a instaurarsi, con rischi maggiori rispetto al marasma e con diverse necessità di strategie terapeutiche. Appare evidente che se una paziente affetta da anoressia nervosa, quindi con marasma, viene colpita da un evento acuto morboso, come sepsi o trauma, le condizioni clinico-nutrizionali possono rapidamente soccombere con altissimo rischio.

Bulimia nervosa

La bulimia nervosa, letteralmente 'fame da bue', si caratterizza per episodi ripetuti di iperalimentazione compulsiva seguiti da comportamenti compensatori inappropriati. Il paziente (più di frequente la paziente) assume, in un breve periodo di tempo, una quantità di cibo superiore a quella che normalmente si assume in un analogo intervallo di tempo. Questi episodi si associano alla tipica sensazione di perdita di controllo: il paziente avverte di non poter smettere di mangiare, di non essere capace di scegliere, assumendo tutto quello che trova disponibile, anche se normalmente disgustoso, come piatti freddi dal frigorifero o dal congelatore. Altra tipica sensazione del paziente con bulimia nervosa è la vergogna dei sintomi della malattia, che lo induce spesso a mascherarli e nasconderli: da qui la necessità di un'attenta anamnesi medica. Le crisi bulimiche si associano a comportamenti compensatori inappropriati (come vomito autoindotto, abuso di lassativi e/o diuretici, esasperata attività fisica) e a periodi di prolungata ed estrema restrizione nell'assunzione degli alimenti. Ovviamente la frequenza di queste crisi e comportamenti compensatori deve essere tale da influenzare lo stato di nutrizione, quindi per almeno due volte la settimana e per tre mesi consecutivi. Il peso di questi pazienti è, per definizione, normale o di poco superiore o inferiore a quello indicato negli standard di riferimento: non si osserva, in altre parole, la grave emaciazione o l'obesità tipica dell'anoressia, rispettivamente di tipo bulimico e dei Binge eating disorders. Anche se la letteratura internazionale descrive la possibilità del passaggio dall'anoressia alla bulimia nervosa e viceversa, questa viene attualmente messa in discussione. È possibile che il passaggio da anoressia a bulimia possa anche essere l'evoluzione di un disturbo non altrimenti specificato (DANAS) a prevalente impronta anoressica o bulimica verso la rispettiva forma clinica completa.

Disturbi dell'alimentazione non altrimenti specificati (DANAS)

I DANAS sono disturbi del comportamento alimentare che non rispondono completamente ai criteri diagnostici dell'anoressia nervosa e della bulimia nervosa. Si tende a considerarne due sottotipi, prevalentemente l'anoressico e il bulimico. Tra i DANAS sono anche inclusi i Binge eating disorders (BED). La letteratura anglosassone contempla infine in questo vasto capitolo anche ciò che definisce disordered eating, che si può tradurre come a. disordinata, e la dieting disease o malattia dello stare a dieta. Come per l'obesità, anche in questi ultimi casi non si tratta sempre, o nella maggior parte dei casi, di un vero e proprio disturbo del comportamento alimentare, ma di comportamenti che, se protratti, possono portare a disturbi dello stato di nutrizione e quindi dello stato di salute. L'a. disordinata è frequente nei giovani e contrastarla è un obiettivo importante della medicina preventiva. Nelle famiglie l'a. disordinata può essere affrontata convincendo i figli a effettuare ogni mattina una prima colazione adeguata e invitandoli a consumare più frutta, verdura, latte e yogurt; l'introduzione di queste sane abitudini alimentari ridurrà il consumo di spuntini poco salutari, di bevande zuccherate o soft drink e di bevande alcoliche. La sostituzione frequente di latte e yogurt con soft drink induce, infatti, un duplice danno, perché riduce l'assunzione di alimenti ricchi di proteine, di alto valore biologico, e di calcio, e aumenta quella di alimenti ricchi di zuccheri semplici, con scarso potere saziante e arricchiti con acido carbonico, che riduce l'assorbimento del calcio proveniente dagli altri alimenti. Si facilita alla fine un bilancio negativo con due meccanismi: minore assunzione e minore assorbimento. Per a. disordinata si intende anche il frequente ricorso a spuntini fritti o a panini farciti con carni grasse e formaggi, spesso consumati bevendo soft drink e con contorno di patate fritte, che assorbono una notevole quantità di olio di frittura. Spesso l'a. disordinata si associa a una scarsissima attività fisica.

Malattia dello stare a dieta (Dieting disease)

È un altro disturbo del comportamento alimentare e rappresenta anch'esso un fenomeno di costume. Programmi televisivi e riviste, che si definiscono specialistiche perché trattano argomenti collegabili al benessere e alla salute, propongono continuamente nuove diete dai nomi fantasiosi e accattivanti. La malattia dello stare a dieta insorge quando si segue una dieta senza che vi siano necessità cliniche, ossia in assenza di sovrappeso, oppure si seguono diete con continue interruzioni e riprese.

In questi casi è possibile che si possano sviluppare effetti collaterali, soprattutto se queste incongrue abitudini dietetiche si associano all'uso di farmaci senza controllo medico. I DANAS e gli altri disturbi del comportamento alimentare, cosiddetti minori, si possono associare ad altri comportamenti atipici come l'uso improprio di lassativi, di farmaci carminativi (contro il meteorismo) oppure a disagi psicologici come la paura - immotivata - di ingrassare o a disturbi dell'immagine corporea.

Indice di massa corporea e altri indici antropometrici

Nel caso dell'eccesso o della carenza di grasso corporeo questo va valutato opportunamente ricorrendo all'indice di massa corporea (IMC), che si calcola dividendo il peso espresso in kg per l'altezza in metri e al quadrato: kg/m2. L'intervallo di normalità, in età adulta, per entrambi i sessi e nella razza caucasica, è compreso tra i valori di 20 e 25 kg/m2. Questo intervallo di normalità tende a essere minore (per es., 19-23) nelle razze che costituzionalmente sono fornite di minore grasso corporeo, come quella asiatica, mentre tende a essere più elevato in quelle razze, come le aborigene australiane, fornite di maggiore massa muscolare. Da qui anche le ragioni di una facile tendenza all'accumulo di grasso di queste etnie quando sono esposte a stili di vita tipici occidentali. Si evince pertanto che esiste una certa variabilità interindividuale nella composizione corporea e quindi di grasso corporeo. Per identificare la presenza di eccesso di grasso corporeo clinicamente di rilievo si può ricorrere ad altri semplici metodi, come la misurazione della circonferenza dell'addome o il calcolo del rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi. L'indice di massa corporea non consente di discriminare tra eventuale eccesso di grasso corporeo o di massa muscolare. Comunque l'aumento dell'IMC è dovuto a eccesso di grasso corporeo, tranne per alcuni individui che svolgono notevole attività fisica e sono quindi forniti di una consistente massa muscolare, oppure in pazienti con notevole ritenzione di liquidi, come i cirrotici con ascite.

La semplice valutazione del grasso corporeo tramite la misurazione della circonferenza della vita o del rapporto circonferenza vita/circonferenza fianchi conferma quindi la diagnosi di sovrappeso o di obesità e ne specifica la tipologia, se con grasso a prevalente distribuzione splancnica (addome e tronco) o periferica (cosce e glutei).

Eccesso di grasso corporeo

L'eccesso di grasso a prevalente localizzazione addominale ha un valore prognostico più sfavorevole in quanto più facilmente si associa a complicazioni metaboliche, cardiovascolari e anche neoplastiche. La prevalente distribuzione addominale del grasso è spesso anche espressione indiretta di un biotipo costituzionale con scarso tono e trofismo muscolare spesso con uno stile di vita sedentario. Le cellule del tessuto adiposo addominale hanno un più rapido turnover degli acidi grassi che da un lato faciliterebbe la steatosi (infiltrazione grassa), dall'altro ridurrebbe l'utilizzazione del glucosio come substrato energetico, contribuendo a determinare un maggiore grado di insulino-resistenza e quindi di iperinsulinemia, entrambi fattori tra i principali responsabili di tutte le complicanze dell'obesità, in primis della cosiddetta sindrome metabolica, una vera e propria patologia del metabolismo dovuta alla vita sedentaria, all'eccesso di assunzione di alimenti rispetto al fabbisogno e quindi all'eccesso di grasso corporeo soprattutto a livello addominale. Negli ultimi anni è risultato sempre più chiaro il ruolo complesso del tessuto adiposo - non più tessuto ma vero e proprio organo, secondo alcuni autori - in quanto capace di produrre moltissimi ormoni, in particolare le adipochine o citochine (leptina, adiponectina, angiotensinogeno, TNF-α, resistina, interleuchina 6), con funzione sia di regolazione energetica sia di regolazione della pressione arteriosa, e con molte altre funzioni come quelle legate all'immunità, all'infiammazione, alla funzione riproduttiva. L'eccesso di grasso corporeo, quindi, modificando i rapporti tra la produzione di questi ormoni, può contribuire allo sviluppo di patologie cronico-degenerative. In conclusione, l'esame clinico, confortato da semplici misure antropometriche che evidenziano un IMC superiore a 25 kg/m2, e una distribuzione prevalentemente addominale del grasso corporeo autorizzano la prescrizione di un regime dietetico, vera e propria terapia non farmacologica dell'eccesso di grasso. Ovviamente l'attività fisica va sempre incoraggiata ma anche proposta nel modo più corretto: deve essere di tipo prevalentemente aerobico e svolta con frequenza giornaliera, in quanto i benefici dell'esercizio muscolare durano in genere poco più di 24 ore. È necessario, ma anche sufficiente, arrivare a praticare ogni giorno circa un'ora, anche non consecutiva, di cammino, bicicletta, cyclette, danza aerobica, nuoto; per chi ne ha la possibilità, sarà consigliabile la ripresa di una regolare attività sportiva.

Cenni di terapia dell'obesità

La terapia non farmacologica, basata sulla dieta e l'esercizio muscolare, va poi integrata con la modifica di alcuni comportamenti individuali considerati a rischio. Il modello psicologico di terapia cognitivo-comportamentale, oggi proposto soprattutto da ricercatori di scuola statunitense, è da svolgersi preferibilmente in gruppi di pochi pazienti affetti dalla stessa patologia. Questa terapia si associa a un'informazione sui corretti stili di vita e all'elaborazione dei motivi per i quali questi non sono stati seguiti adeguatamente. I risultati sembrano positivi in soggetti fortemente motivati e disponibili a un programma terapeutico basato su incontri, in genere settimanali, da svolgersi per un periodo di quattro-sei mesi. Ovviamente si tratta di una terapia piuttosto costosa e certamente non proponibile in modo sistematico a tutti i pazienti obesi. La terapia non farmacologica può essere integrata con i farmaci solamente quando l'indice di massa corporea è superiore a 30 kg/m2 e sotto il diretto controllo del medico. È opportuno ricordare che, al 2005, i farmaci autorizzati dall'Ente europeo per il farmaco (EMEA), come dalla americana Federal Drug Administration (FDA), sono pochi: soltanto due a fronte dei circa trecento, tra prodotti da banco e integratori, che il consumatore può trovare in farmacia. Questi non sono in genere considerati efficaci, alcuni possono addirittura essere dannosi, soprattutto se assunti in associazione tra di loro. Anche i prodotti a base di erbe non sono, per definizione, innocui, perché possono contenere principi attivi con un'azione farmacologica non sempre blanda e, soprattutto, possono interagire con altre sostanze assunte contemporaneamente. Esiste, infine, la terapia chirurgica dell'obesità o chirurgia bariatrica. Questa va ovviamente prescritta soltanto in caso di obesità di alto grado (IMC>40 kg/m2) o, in caso di minore eccesso di grasso corporeo (IMC>35 kg/m2), solamente se associato a complicanze come diabete, ipertensione arteriosa, e così via. La terapia chirurgica dell'obesità è terapia di elezione e va quindi programmata. La proposta di una terapia chirurgica necessita dell'acquisizione del parere non solamente del chirurgo e dell'anestesista, ma anche del medico internista e dello psicologo; successivamente si potrà proporre il tipo di intervento considerato più adatto al paziente: di tipo prevalentemente malassorbitivo, se tende a ridurre la capacità di assorbimento degli alimenti da parte dell'intestino, o prevalentemente restrittivo, se mira pressoché esclusivamente a ridurre l'assunzione degli alimenti, oppure misto.

La terapia dietetica va elaborata in rapporto all'entità del sovrappeso, all'eventuale presenza di complicanze e ad altre caratteristiche peculiari di ciascun paziente. In linee generali la cosiddetta dieta deve ridurre l'apporto calorico, rispetto al fabbisogno opportunamente valutato, di circa 500-1000 calorie al giorno, essere relativamente ipolipidica e garantire un adeguato apporto di proteine di buon valore biologico. La dieta ipocalorica dovrà comunque ispirarsi alle 'linee guida per una sana a.' e quindi va elaborata consigliando il consumo di latte e yogurt (tra i derivati del latte), carni magre, pesce e legumi (tra gli alimenti a contenuto proteico), cereali e frutta (per quanto concerne i carboidrati), oltre che di verdure, preziosa fonte di vitamine, minerali, acqua e fibre; sono sconsigliate le bevande alcoliche e quelle zuccherate. Tra i condimenti, da usarsi comunque con notevole parsimonia, va preferito l'olio di oliva extravergine. Una dieta così elaborata potrà essere gustosa e varia, ma soprattutto ricca di tutti i nutrienti necessari e di fibre vegetali che hanno un buon effetto saziante e possono prevenire la stipsi. Vanno pertanto assolutamente sconsigliate le diete che escludono per periodi lunghi intere classi di alimenti: per es., diete a base di sola verdura, o solo frutta, o solo carne, o comunque diete esasperate per il consumo prevalente di alcuni alimenti e il divieto per altri.

Un discorso a parte merita la cosiddetta dieta iperproteica per ragioni sia di salute individuale, sia di corretto rapporto con l'ecosistema. La dieta iperproteica, popolare negli Stati Uniti, consiglia l'assunzione praticamente senza limiti di alimenti di origine proteica, carne e pesce, limitando gli alimenti ricchi di zuccheri semplici ma anche complessi (come quelli a base di cereali), e ha un atteggiamento piuttosto tollerante circa l'assunzione di grassi, anche di origine animale: in pratica accentua alcuni pericolosi comportamenti alimentari tipici della nostra società. L'eccesso di proteine nella dieta degli esseri umani è tipico di alcune popolazioni aborigene e, quindi, probabilmente anche dei nostri progenitori dell'età della pietra: per tali ragioni viene considerata un'a. comunque compatibile con la fisiologia della nostra specie. La dieta iperproteica comporta inoltre l'aumentata produzione di urea, prodotto finale del metabolismo proteico; l'urea viene eliminata con le urine e, avendo un discreto potere osmotico, ha effetto diuretico e aumenta l'escrezione urinaria di calcio. Ne consegue quindi che tale tipo di dieta può aumentare la perdita di liquidi e, soprattutto, di alcuni minerali preziosi come il calcio. La dieta iperproteica suscita anche legittime perplessità se si considerano i consumi alimentari in rapporto alle disponibilità ambientali. L'ecologia nutrizionale mira a proporre una dieta ottimale per la salute, compatibile con la produzione agroalimentare sostenibile. Questa necessità è dettata proprio dalle attuali produzioni agroalimentari che non sono più compatibili con le possibilità del territorio coltivabile. Principali imputati di un potenziale disastro ecologico sono, per varie ragioni, l'iperproduzione di proteine di origine animale, in altre parole di animali di allevamento (pollame, caprini, ovini, suini, bovini), e, in parte, l'acquacoltura (v.).

Appare quindi evidente che la dieta ipocalorica debba essere una dieta bilanciata ed equilibrata con un giusto rapporto tra i macronutrienti (carboidrati, lipidi e proteine) e un adeguato contenuto di micronutrienti (vitamine e minerali) e di acqua.

Sindrome da rialimentazione

La sindrome da rialimentazione o refeeding syndrome è quell'insieme di segni e di sintomi che possono presentarsi quando si pratica un intervento nutrizionale intensivo in pazienti con grave malnutrizione proteico-energetica, soprattutto se di tipo marasmatico, o di lunga durata. Essa scaturisce dall'interazione tra gravità del grado di malnutrizione e intensità dell'intervento dietetico-nutrizionale. Infatti il paziente gravemente denutrito, da un lato, ha un fabbisogno energetico e di nutrienti ridotto perché, per ragioni adattative, le funzioni biologiche sono rallentate, ma, dall'altro lato, vi è notevole avidità di substrati per la ripresa delle stesse attività biologiche, e questi substrati devono essere somministrati nelle giuste proporzioni. L'apporto sia di macronutrienti sia di micronutrienti deve essere ben bilanciato onde consentire la giusta dose di carburante (i substrati), ma anche il buon funzionamento di tutte le attività enzimatiche. Nella fase di rialimentazione aumenta in particolare il fabbisogno di ioni intracellulari che richiederanno particolari supplementazioni e un adeguato monitoraggio, soprattutto nella fase iniziale dell'intervento clinico nutrizionale.

La sindrome da rialimentazione nasce quindi, nella maggior parte dei casi, da uno squilibrio tra l'apporto eccessivo di macronutrienti e limitato di micronutrienti (vitamine e minerali). Le complicanze sono temibili perché alcune funzioni, come quelle cardiovascolare e cerebrale, possono essere coinvolte e quindi vi può essere comparsa di scompenso idroelettrolitico con edema agli arti inferiori (ma spesso anche grave e generalizzato), alterazioni maggiori della conduzione elettrica cardiaca (aritmie gravi e potenzialmente letali), stato di agitazione e confusione mentale.

Fattori genetici nella genesi dei disturbi del comportamento alimentare

Esiste una certa familiarità dei disturbi dell'a.: questa appare abbastanza evidente soprattutto per quanto concerne l'eccesso di grasso corporeo. Se tralasciamo le rare forme di obesità dovute alla specifica alterazione di un singolo gene, con secondaria alterazione di una proteina, l'eccesso di grasso corporeo è dovuto alla concomitanza di più polimorfismi genici che regolano diverse tappe del sistema di regolazione energetica. Si parla difatti di un genotipo risparmiatore (thriphty genotype) per esprimere questa costellazione genica che favorisce l'obesità e che, in termini fisiopatologici, si manifesta per maggiore efficienza metabolica, secondaria soprattutto a una ridotta capacità di ossidare i grassi (che quindi si depositano in eccesso sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo), soglia più elevata per il senso di sazietà (minore controllo della fame) e tendenza al minore dispendio energetico da attività fisica (cronico sedentarismo). Il genotipo risparmiatore si sarebbe sviluppato nel lontano periodo preagricoltura, quando l'uomo basava la sua sussistenza sulla caccia e sulla ricerca di vegetali commestibili, favorendo quindi la selezione di individui resistenti a possibili lunghi periodi di carestia. Negli ultimi decenni le società occidentali postindustriali hanno ridotto le possibilità di svolgere attività fisica sia nel tempo libero sia durante il lavoro, offrendo parallelamente un'ampia e continua disponibilità di alimenti e pietanze ipercaloriche. Il genotipo risparmiatore da elemento favorente la sopravvivenza è quindi diventato un potenziale fattore di rischio.

Esistono studi che riguardano l'esistenza di una possibile componente genetica nell'insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare: anoressia e bulimia nervosa. Questi studi non sono numerosi, anche se la pratica clinica evidenzia una certa familiarità per tale tipologia di disturbo: madre e figlia o sorelle con anoressia. Nella genesi dei disturbi del comportamento alimentare si distinguono fattori predisponenti, perpetuanti e precipitanti. I fattori genetici sarebbero fattori predisponenti e corrisponderebbero a un genotipo che influenzerebbe un'alterata attività delle vie nervose collegate al sistema serotoninergico oppure degli oppioidi o endorfine cerebrali. I disturbi del comportamento alimentare non vanno comunque considerati come una malattia genetica.

Diagnosi differenziale dei disturbi del comportamento alimentare

A volte la diagnosi di disturbo del comportamento alimentare può essere facile come nell'anoressia nervosa conclamata. In altre circostanze la diagnosi può essere più difficile: è il caso della bulimia nervosa in giovani donne con vomito autoindotto in presenza di un peso corporeo apparentemente normale o ai limiti bassi della normalità. In questi casi, infatti, a differenza dell'anoressia nervosa che si associa a una specie di orgoglio ostentato per le proprie scelte comportamentali, vi è la diffusa tendenza a nascondere i sintomi, vi è spesso una vera e propria vergogna nel comunicarli, anche al proprio medico. In queste circostanze è fondamentale la ricostruzione di un'accurata storia clinica, o anamnesi, e il ricorrere alla ricerca di alcuni segni sia clinici sia biochimici tipici.

Per es., il vomito frequente si associa spesso a ipertrofia delle ghiandole parotidi, che a sua volta produce iperproduzione di amilasi salivare, perdita dello smalto dentale per corrosione da parte dei succhi acidi, una particolare lesione sul dorso della mano dovuta all'autoinduzione del vomito, o segno di Russell. Il vomito ripetuto produce poi una serie di squilibri idroelettrolitici molto gravi, in particolare ipopotassiemia, ipocloremia e ipofosforemia, che possono compromettere la vita del paziente. A queste gravi alterazioni si associa il tipico aumento delle amilasi sieriche, dovuto specificamente alla componente salivare (e non quella pancreatica); è poi possibile alcalosi metabolica ed emoconcentrazione. È molto importante la diagnosi differenziale con altre patologie che producono denutrizione di variabile gravità.

Anche se rara, non va esclusa l'associazione tra disturbi del comportamento alimentare e altre malattie organiche che inducono perdita di peso, soprattutto se richiedono un controllo nell'assunzione degli alimenti, come il diabete tipo 1 o insulino-dipendente, e la celiachia o sindrome da malassorbimento per il glutine. Le cause più comuni di malnutrizione proteico-energetica da cause organiche, oltre il diabete tipo 1, sono l'ipertiroidismo, l'AIDS e altre infezioni croniche, le sindromi malassorbitive come il morbo di Crohn e la celiachia dell'adulto, le vere intolleranze alimentari.

Culture bound disease

I disturbi dell'a. rappresentano un gruppo di patologie piuttosto eterogeneo ma tipico del nostro tempo, della nostra cultura e abitudini di vita. Questi colpiscono soprattutto i Paesi e, quindi, le popolazioni che, in modo diretto o indiretto, si confrontano con gli stili di vita tipici della cosiddetta globalizzazione. I disturbi dell'a. producono un bilancio energetico cronicamente positivo o cronicamente negativo, per un eccesso, assoluto o relativo, nell'assumere o nel limitare l'assunzione dei nutrienti e quindi degli alimenti necessari per il mantenimento di un sano stato di salute e benessere fisico e psichico. Di rado nella popolazione generale, con discreta presenza invece nelle fasce giovanili e di sesso femminile, sono presenti comportamenti di iperalimentazione incontrollata associati a comportamenti compensatori impropri come iperattività fisica maniacale, vomito autoindotto, e così via. L'anoressia nervosa è anch'essa una grave patologia psichiatrica con grave compromissione organica, che richiede quindi un'attenta e qualificata assistenza psichiatrica e clinico-nutrizionale. Infine esiste un ampio ed eterogeneo gruppo di disturbi del comportamento alimentare, inclusi in un vasto capitolo: i disturbi dell'a. non altrimenti specificati (DANAS). L'epidemiologia di questi disturbi ne sottolinea anche la caratteristica di patologie strettamente legate allo stile di vita contemporaneo, ossia trattasi di culture bound diseases. Queste pertanto richiedono un intervento di prevenzione da svolgersi nel contesto di un complesso e globale processo di recupero culturale e di maggiore consapevolezza dei propri comportamenti.

L'obesità e il sovrappeso richiedono poi una riflessione a parte. Infatti si tratta di patologie troppo a lungo sottovalutate, per almeno due ragioni: il retaggio ancestrale legato alla paura della carestia e il fatto che le complicanze dell'obesità hanno in genere un lungo tempo di incubazione ma, una volta sviluppatesi, sono molto difficili da curare. In realtà è difficile e costoso curare i disturbi dell'a.: per tali ragioni quando possibile occorre prevenirli con impegnative campagne di salute pubblica; viceversa, per la loro cura occorre istituire più centri specialistici.

bibliografia

The ICD-10 Classification of mental and behavioural disorders, Genève 1992.

DSM-iv casebook: a learning to the Diagnostic and statistical manual of mental disorders, Washington DC 19944.

A. Drewnowski, B.M. Popkin, The nutrition transition: new trends in the global diet, in Nutrition reviews, 1997, 55, 2, pp. 31-43.

J.E. Schebendach, P. Reichert-Anderson, Nutrition in eating disorders, in Krause's food, nutrition & diet therapy, ed. L.K. Mahan, S. Escott-Stump, Philadelphia (PA) 2000, pp. 594-615.

M.A. Crook, V. Hally, J.V. Panteli, The importance of the refeeding syndrome, in Nutrition, 2001, 17, pp. 632-37.

M.R. Friedmann, J. King, E. Kennedy, Popular diets: a scientific review, in Obesity Res, 2002, 10, 2, pp. 955-1305.

C.G. Fairburn, P.J. Harrison, Risk factors for anorexia nervosa, in Lancet, 2003, 361, pp. 1914-19.

F. Contaldo, F. Pasanisi, Obesity epidemics: secular trend or globalization consequence? Beyond the interaction between genetic and environmental factors, in Clinical nutrition, 2004, 23, pp. 289-91.

C. Laird Birmingham, P. Beumont, Medical management of eating disorders, Cambridge (Mass) 2004.

Si può inoltre consultare il sito ufficiale dell'Organizzazione mondiale della sanità: www.who.int/nut/obs.htm.

TAG

Diagnostic and statistical manual of mental disorders

Disturbo del comportamento alimentare

Organizzazione mondiale della sanità

Terapia cognitivo-comportamentale

Disturbo della personalità