AULISIO, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)

AULISIO (d'Aulisio), Domenico

Filippo Liotta

Nacque a Napoli il 4 genn. 1649 da Antonio e da Maddalena Magretta di Bagnoli Irpino dove la famiglia Aulisio aveva il domicilio abituale. Assai presto, però, l'A. (probabilmente con i familiari) si trasferi a Napoli, dato che in questa città egli cominciò e compì tutti i suoi studi (i primi alla scuola di Muzio Floriatì e di Leonardo Martena). Dì ingegno fervido e temperamento versatile, raggiunse una così grande cultura ed erudizione da meritare da G.B. Vico l'appellativo di "uomo universale delle lingue e delle scienze": appellativo dovuto alla conoscenza che egli ebbe delle lingue morte, e anche del francese e dello spagnolo, nonché dell'archeologia, della matematica, del diritto civile e canonico, della storia, della cronologia, della numismatica, della medicina e della scienza delle fortificazioni. Fu, anzi, questa disciplina che egli cominciò ad insegnare privatamente, sin dai vent'ami, e poi, pubblicamente nella scuola di architettura militare in Pizzofalcone.

Addottrinatosi, intanto, nelle materie giuridiche, dopo avere esercitato l'avvocatura per breve tempo, si dedicò all'insegnamento privato e pubblico del diritto. Aprì, dapprima, in casa uno studio privato di giurisprudenza frequentato da circa duecento giovani, e, subito dopo (1675), fu nominato professore straordinario di istituzioni civili nell'università di Napoli. Il 13 nov. 1682 gli fu assegnata la cattedra di istituzioni canoniche, e nel 1689 fu chiamato a leggere "Testo, glossa e Bartolo". Finalmente, il 29 febbr. 1696 vinse il concorso per la cattedra di "ius civile della sera" succedendo a Felice Acquadia, cattedra che tenne con grande prestigio sino alla morte.

Uomo di formazione e dottrina enciclopedica, come, del resto, erano i dotti nel sec. XVII, prese parte attiva alla vita culturale napoletana dei tempo. Lo troviamo tra i soci fondatori dell'Accadernia Palatina istituita dal viceré Medinaceli (1697), e, indubbiamente, in rapporti con i personaggi più rappresentativi del mondo politico ed intellettuale di Napoli, come Gaetano Argento (per le nozze del quale scrisse dei versi), G. B. Vico (con il quale i rapporti furono dapprima burrascosi, poi amichevoli e improntati a reciproca stima dopo la pubblicazione, nel 1708, dei vichiano De universi iuris uno principio et fine uno, e tali durarono sino alla morte dell'A.), Diego Vincenzo Vidania, Giosia Acquaviva duca d'Atri (che fu suo awevo), Gregorio Messere, ecc., ed anche con l'Arcadia romana, di cui fu socio con il nome di Timbrio Filippeo. Rimase tuttavia sordo allo spirito di rinnovamento culturale che aleggiava in Napoli alla fine dei sec. XVII tendente a superare le posizioni del neoplatonismo della Rinascenza, e avversò quella corrente di pensiero che per opera di Camillo Colonna, Lionardo Di Capua, Tommaso Comelio, Sebastiano Bartoli, ecc., andava permeando l'attività e le opere dei più aperti intellettuali napoletani del tempo, i quali accoglievano elementi cartesiani, leibniziani, baconiani, e persino spinoziani. Da quell'ammiratore dell'antichità quale era, l'A. si fece sostenitore della filosofia dei veteres intendendo con questo termine l'atomismo dal quale sarebbe derivata la scuola pitagorica che in Italia ebbe la stagione di miglior fioritura. Legata a questi contrasti dottrinali è la feroce polemica dell'A. (1681) contro Lionardo Di Capua provocata da una teoria di quest'ultimo sull'iride, polemica che non sempre si esaurì m satire letterarie (di cui alcuni rarissimi esemplari si conservano nella Biblioteca nazionale di Napoli nella miscellanea manoscritta XIX. G. 18), ma che trascese anche in risse, bastonature, duelli, talché l'autorità pubblica vietò di proseguire quella contesa.

Durante la sua vita non diede alle stampe se non un volumetto (Opuscula de Gymnasii constructione, Mausolei architectura, Harmoma timaica, et Numeris medicis. His accessit Epistola de colo mayerano, Neapoli 1694) contenente quattro suoi opuscoletti ed una Epistola de colo mayerano indirizzata a Vincenzo Vidania, cappellano maggiore e prefetto dei regi Studi, per illustrare un reperto archeologico e spiegarne il probabile uso. I restanti opuscoli riguardano un tentativo di ricostruzione dell'antico Gymnasium e del Mausoleo di Alicarnasso; gli ultimi due sono studi di matematica dai quali è possibile precisare il carattere del suo pitagorismo legato alla fisica fondata sull'armonia dei numeri, propria dei pitagorici, i quali, per primi, "Terrani ad motum sollicitarunt" (Harm. tim.,p. 97). Solo che le leggi che ne scoprirono "quam ut rem sacram, ne cui violaretur, longe ab hominum oculis abduxerant Timaeus et Plato" (ibid., p. 101), e il carattere della sacralità di questa fisica deriva dalla creazione stessa, poiché Dio "Unam principio parteni detraxit ex Toto", e, "Totum hic non est nisi ea Numerorum summa quani Deus ad Mundi Harmoniam selegit" (ibid.,p. 61). Individuata nell'armonia matematica la legge fondamentale del mondo fisico, la scuola pitagorica assurse a tanta rinomanza che "nemo demum sapiens censeretur nisi qui ea esset imbutus" (Num. med.,p. 108), ed anche la medicina ippocratica èricalcata su quella, ben più perfetta, dei pitagorici "ut secta Philosophiae Italica, alia a Pythagorea non est" (ibid.,p. 107).

Le altre opere dell'A. che ci rimangono sono state pubblicate dopo la sua morte dal nipote (ex sorore)Nicolò Ferrara e da allievi e amici (Ottavio Ignazio Vitaliano, Pietro Giannone e, pare, Gaetano Argento), che, non senza fatica, decifrarono i manoscritti dell'Aulisio.

Furono pubblicate, così, Dalle scuole sacre libri due postumi del conte palatino D. A. Pubblicati dal suo Erede e Nipote Nicolò Ferrara-Aulisio, Napoli 1723 (alla quale edizione, dedicata a Gaetano Argento, è premessa una nota biografica dell'A. dettata da Biagio Troise, suo allievo), dove, sulla scorta dei testi dei Vecchio Testamento l'A. si propone di ricostruire l'ambiente scolastico del mondo ebraico e di tracciame una storia degli studi e della cultura. Questa ricostruzione è introduttiva al secondo libro che vorrebbe essere un saggio storico sugli studi di teologia a partire dalle scuole di Alessandria per tentare di risolvere "la lite insorta da lunghissimi tempi innanzi intorno la Teologia Scolastica cotanto in prò e'n contro agitata tra Desiderio Erasmo e Iacopo Latomo " e cioè " se convenga tran-ùschiar colla Teologia la Ragione Umana" (ibid., lib. II, p. 2). Ed è qui che si innesta la sottile polemica anticartesiana ed antispinoziana sul cui filo è condotta tutta l'opera. Rifacendosi alla metodologia scolastica dei pitagorici con la quale il cristianesimo delle origini avrebbe avuto contatti e similitudini, l'A. conclude che la ragione umana è matrice del probabile; a questo si contrappone nelle "materie di Fede" una "Ragione Teologica" che derivando dal "lume Divino... è solamente quella che rende il soggetto certo e forza lo 'ntelletto" (ibid., pp.67-68). Il problema di fondo di questa impostazione è, come si vede, quello di negare al razionalismo cartesiano il carattere della unicità della verità raggiunta attraverso la ricerca scientifica.

Un miglior banco di prova della capacità dell'A. si ha nelle due opere giuridiche rimasteci (anche queste pubblicate postume), per le quali il giudizio di "raccoglitore di cognizioni" formulato sull'A. dal Nicolini va riveduto e modificato. La prima di esse (Commentariorum iuris civilis ad Titt. Pandettarum: De acquirenda vel amittenda possessione, De verborum obligationibus, De legatis et fideicommissis, Soluto matrimonio quemadmodum dos petatur: tomus primus, Neapoli 1719, e Commentariorum turis civilis De pignoribus et hypothecis, De bonis maternis et materni generis, De officio eius cui mandata est iurisdictio, De edendo, De transactionibus, De vulgari et pupillari substitutione, De mora, De donationibus, De censibus: tomus secundus, Neapoli 1720; successive edizioni: Neapoli 1754 e 1756) in due volumi (di tanti se ne compone l'edizione del 1719-1720 e non di tre come, sul non chiaro riferimento del Troise, si afferma, tra gli altri, dal Nicolini; correttamente, invece, Mazzuchelli, Gli Scrittori..., p.1262) contiene i corsi di diritto civile tenuti dall'A. nell'Ateneo napoletano relativi ai titoli del Digesto indicati, tranne uno (De bonis maternis etc.) che è sul Codice (C. 6.60).

Sebbene la pubblicazione sia stata ricavata da appunti per le lezioni e schede personali - e per ciò sovente incompleta -, essa è notevole nella letteratura giuridica del tempo per la chiarezza dell'impostazione e del dettato, la straordinaria ricchezza della documentazione, la modernità dell'informazione: tutti elementi che ci danno la misura di un intelletto vigile ed attento alla voce delle fonti e della dottrina. Ma ciò che subito risalta è la ricerca filologica applicata allo schema tradizionale della lezione di diritto civile (schema costituito da un commentarius sul testo legislativo e di quaestiones, discussiones, controversiae, ecc., sui testi e opinioni allegate) che inserisce di pieno diritto la dottrina giuridica napoletana nella corrente della "scuola culta" il cui metodo, introdotto in Napoli da Marino Freccia e, sopratutto, da Alessandro Tutamini, era stato adottato nello Studio saltuariamente e solo dai maestri più illuminati (cfr. Cortese, L'età spagnola..., pp.421-422). Tutta la cultura dell'A. è impegnata nello sforzo di ricostruire nella loro originaria purezza gli istituti del diritto romano mettendo a frutto testi giuridici e fonti letterarie, di risolvere le controversie dottrinarie agitate sin dai tempi della Glossa, ma ora vedute alla luce di una nuova sensibilità che incomincia a considerare il diritto romano come diritto storico. Vero è che l'opera è priva di una impostazione organica, di una 1pconomia generale nella trattazione delle varie parti, di un sistema; ma questo è difetto derivante dalla sua stessa qualità di opera postuma. In cambio ci dà, trattandosi dei corsi universitari, l'esatta misura delle capacità didattiche dell'A., che ben a ragione è stato definito "insegnante di grandissimo stile" (E Nicolini, Uomini di spada..., p. 393), giacché in questi scritti il pensiero dell'A. si rivela nella viva immediatezza della lezione.

E se, come si osserva, fu "poco o punto rinnovatore di cultura o maestro nel senso non iscolastico della parola" (F. Nicolini, loc. cit.), fu,certamente, rinnovatore di un metodo di studio che, da ultimo, altro non è se non rinnovamento di cultura. E questo ben capirono i suoi discepoli, primo fra tutti Pietro Giannone (cfr. Ist. civ., XL, 51 p. 491, del t. IV dell'ed. Napoli 1723).

L'altra opera giuridica dell'A. (In IV institutionum canonicarum libros Commentaria, Neapoli 1721; altra edizione: Antuerpiae 1738) presenta una stesura assai più organica e completa che potrebbe essere stata predisposta per la stampa dall'A. medesimo, anche se, presumibilmente per la sopravvenuta morte, l'opera vide la luce postuma. Quivi sono messi a frutto i corsi canonistici dell'A. tenuti dal 1682 al 1689 sulle Institutiones iuris canonici di Giovan Paolo Lancellotti, testo fondamentale del corso istituzionale di diritto canonico nell'università di Napoli.

Nei suoi Commentaria l'A. segue fedelmente l'impostazione del Lancellotti, ma amplia e arricchisce la materia trattata con una vasta documentazione tratta da canonisti, teologi, concili, codificazioni canonistiche e civilistiche, decisioni rotali, ecc., e, se pure è vero che non vi si trovano spunti originali, è altrettanto vero che egli non tralascia mai di porsi una problematica rigorosamente giuridica, talora in polemica con il testo del Lancellotti (vedi, per es., la definizione di "ius canonicum", p. 3), e di renderne conto con una esemplare chiarezza di dettato.

Ma non soltanto queste sono le opere dell'Aulisio. Il Troise dà un elenco di opere delle quali alcune pubblicate e la gran parte manoscritte, ed un altro elenco, sulla base di fonti diverse, dàil Nicolini (Uomini di spada.., pp. 412-415), ma di esse nessuna è pervenuta sino a noi. Grande attesa avevano suscitato le sue Historiae de ortu et progressu medicinae che non videro mai la luce per le esitazioni dell'autore prima, e per l'insipienza del nipote Nicolò Ferrara poi, e nonostante l'interessamento e le insistenze di Pietro Giannone per giungere alla pubblicazione del manoscritto da lui ritenuto il risultato di "studi immensi" (Ist. civ., XL, 5, p. 491).IlTroise ci ha tramandato l'indice di quest'opera dal quale si può ricavare un quadro della sua impostazione e dei temi trattati.

Dell'A. si conoscono, infine, nove sonetti pubblicati nelle Rime scelte di vari illustri poeti napoletani  (Firenze 1723, pp. 255-259) di A. Muzio, altri componementi poetici sparsì nelle miscellanee poetiche dell'epoca e alcuni Ragionamenti intorno ai principi della filosofia e teologia degli assiri ed all'arte di indovinare degli stessi popoli, recitati nell'Accademia del Medinaceli (tra il 1699 e 1711) e pubblicati nel tomo VI (pp. 245-344) della raccolta intitolata Miscellanea di varie Operette all'Illustrissimo e Reverendissimo, Domenico Giorgi Prelato di N. S. Benedetto XIV  (Venezia 1792,t. VI), con una biografia anonima dell'A., nonché un opuscolo intitolato Ragioni di precedenza nella regia università degli studi a pro' de' professori primari di legge civile contro i professori primari de' sacri canoni, s. l. né a. (ma 1703),per sostenere contro Nicola Capasso una questione di precedenza nelle manifestazioni accademiche.

L'A. morì a Napoli il 29 genn. 1717 in seguito ad una breve malattia.

Subito dopo la sua morte corse voce in Napoli che il nipote Nicolò Ferrara lo avesse avvelenato per impossessarsi dell'eredità. Voce che non ebbe mai conferma o smentita, ma che condusse il Ferrara in prigione per due anni. Il Ferrara affidò la sua difesa a Pietro Giannone, il quale ottenne la scarcerazione dell'accusato; fu forse per sdebitarsi della. prestazione professionale che il Ferrara diede al Giannone parte dei libri dell'A. (e soltanto così poterono salvarsi da probabile distruzione i manoscritti giuridici di cui si è discorso), tra i quali, si disse, una storia del Regno di Napoli in latino di cui l'A. sarebbe stato l'autore e che il Giannone avrebbe tradotto e pubblicato come sua, o, quanto meno, riscritta secondo lo schema del manoscritto aulisiano e data alle stampe con il titolo di Istoria civile del regno di Napoli. Diceria, però, che mai ha trovato un indizio di prova in suo favore.

Alcuni recenti studiosi dei giurisdizionalismo meridionale, che ha nel Giannone il maggiore esponente (Marini, De Giovanni, Bertelli), forse tratti in inganno dai rapporti intercorsi tra l'A. e il Giannone - come quest'ultimo ne riferisce nella Vita - hanno creduto di poter ravvisare nell'A. un autorevole rappresentante del movimento anticurialista e giurisdizionalista che dominava negli ambienti avanzati della cultura napoletana del tempo. Questa affermazione non trova alcun fondamento negli scritti aulisiani pervenuti sino a noi; in proposito, nei suoi Commentaria canonistici (lib. I, de iure canonico, p. 4 dell'ed. 1721) si legge: "... principes laici omni carent potestate statuendi quidquam in Ecclesia et leges iustinianeae quae sunt in C. de sacros. Eccl. [C. 1, 2] et de episc. et cler. [C1, 3] et in auth. de reb. Eccles. [rectius: de rerum ecclesiasticarum, Nov. 46] cum aliis similibus quae directe pro Ecclesia et ecclesiasticis personis latac sunt, nullam vini obligandi habent ut docent nostri ex cap. omnes principes, de maior. et obed. [C. 3, X, 1, 331, ex cap. Ecclesia S. Mariae, de constitutionib. [c. 10, V, 1, 2]" le quali categoriche affermazioni suonano tutto il contrario delle idee che si pretende di attribuire all'Aulisio. Più correttamente èda ritenere che il senso della continuità del diritto, l'interpretazione del diritto romano come diritto storico, l'esame critico di tutta la dottrina del diritto comune, furono sentiti dall'A. soltanto come problema metodologico del diritto, e non già come problema giuridico-politico. I rapporti tra l'A. e il Giannone non legittimano, allo stato delle fonti, affermazioni in contrasto con questa posizione aulisiana, e, invece, come bene ha visto a questo riguardo soltanto B. Vigezzi, da questa si ricavano inequivocabilmente i limiti dell'A. e la geniale intuizione giannoniana.

Fonti e Bibl.: G. M. Crescimbeni, Notizie istor. degli arcadi morti, III, Roma 1721, pp. 65-69; P. Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, III, Napoli 1723, lib. XXVIII, cap. 3, p. 480; IV, ibid. 1723, lib. XL, cap. 2, pp. 474 s.; lib. XL, cap. 2. pp. 491 s.; B. Troise, Vita di D. A., in D. Aulisio, Delle scuole sacre,  Napoli 1723, pp. non num.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 1261-1263; G. Origlia, Storia dello studio di Napoli, II, Napoli 1754, pp. 106-108; L. Giustiniani, Mem. stor. degli scrittori legali del regno di Napoli, I, Napoli 1786, pp. 91 ss.; G. Cavone-S. Marano, Un poeta satirico del XVII sec., Salerno 1892, pp. 52-58; G. B. Vico, L'autobiografia, il carteggio e le poesie varie, a cura di B. Croce, Bari 1911, p. 33, 37, 111; R. Cotugno, La sorte di Giovan Battista Vico e le polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del XVII alla metà del XVIII sec., Bari 1914, pp. 35-37, 52-53, 95, 133, 191, 221, 231, G. De Rogatis, Cenni biogr. degli uomini illustri di Bagnoli Irpina, Avellino 1914, pp. 39-45; N. Cortese, I ricordi di un avvocato del Seicento: Francesco d'Andrea, Napoli 1923, p. 25; Id., L'età spagnola, in Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 231, 339, 340, 342, 356, 398, 430, 438; F. Nicolini, La giovinezza di Giambattista Vico, Bari 1932, pp. 74, 82, 88, 90, 115, 132, 136, 141, 163, 186, 191; Id., Uomini di spada, di chiesa, di toga, di studio ai tempi di Giambattista Vico, Milano 1942, pp. 17, 29, 30, 232, 303, 333, 392-424, 437, 438; L. Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950, pp. 24, 25, 69, 94, 106; B. De Giovanni, Filosofia e diritto in Francesco d'Andrea, Milano 1958, p. 168; P. Giannone, Vita scritta da lui medesimo, a cura di S. Bertelli, Milano 1960, pp. XIV, XXV, 9, 10, 14, 15, 17, 21, 44, 60, 64, 67; S. Bertelli, Pietro Giannone, in Il Veltro, dicembre-1960, p. 52; N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Milano 1961, vedi Indice; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche dei Viceregno napoletano (1656-1734), Roma 1961, p. 172; B. Vigezzi, Pietro Giannone riformatore e storico, Milano 1961, pp. 103-106, 108.

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