CARACCIOLO, Domenico

Enciclopedia Italiana (1930)

CARACCIOLO, Domenico

Fausto Nicolini

Nato il 2 ottobre 1715 in Spagna, da padre napoletano, ma educato a Napoli, coltivò da giovane la poesia, la musica, le matematiche, il diritto, non senza entrare nella magistratura col grado di giudice di Vicaria: salvo poi, per la sua insofferenza della società napoletana, da cui era poco amato e che egli detestava, a chiedere e ottenere di viaggiare all'estero con una missione governativa (1752). Nell'aprile del 1753 supplì temporaneamente nell'ambasciata napoletana a Parigi il principe di Ardore; dal 1754 al 1764 fu inviato straordinario a Torino; dal 1764 al 1771 dimorò con lo stesso ufficio a Londra, ove (1768 e 1771) ebbe grande dimestichezza col giovane Alfieri, che lo loda, nella Vita, quale "uomo di alto ingegno, sagace e faceto", soggiungendo d'averlo sperimentato "più che padre per amore". Ma la grande epoca della vita del C. fu il decennio trascorso a Parigi (1771-81), quale ambasciatore titolare delle Sicilie. Non aveva più la salute di una volta: pure non mai come allora, in quell'ambiente in cui si sentiva e manifestava fragorosamente la gioia di vivere, egli mostrò tanto quell'esprit che, per testimonianza del Marmontel, possedeva "jusq'au bout des doigts". Il suo "air épais et massif, avec lequel on peindrait la bêtise" era tutt'altro che seducente: ma bastava sentirlo parlare nel suo cattivo francese, materiato d'italianismi (e talora napoletanismi) arditi e pittoreschi e illustrato da gesti quanto mai espressivi, perché si restasse incatenati. Certi suoi motti proverbiali e aneddoti efficacissimi, certi suoi giudizî fin troppo audaci sul labbro d'un diplomatico, certi suoi atteggiamenti di dignitosa fierezza (p. es., l'essere stati egli e l'ambasciatore spagnolo soli nel corpo diplomatico parigino a ricusare di recarsi a "far la corte" alla Dubarry) fecero il giro trionfale non solo di Parigi, ma di tutta l'Europa. E, naturalmente, tutti i salotti in voga (della Geoffrin, dei d'Holbach, dei Necker, degli Helvétius, della Lespinasse, della d'Épinay, ecc.) se lo contendevano; e gli uomini e le donne più rappresentativi (specialmente il D'Alembert, che gli fu legato da amicizia fraterna) accorrevano numerosi alle magnifiche feste ch'egli dava all'Hôtel de Broglie, sede dell'ambasciata napoletana, dove, fra l'altro, il C., in una memoranda serata musicale, procurò a Niccolò Piccinni i primi allori parigini e pose, senza prevederlo, le basi dell'annosa querelle fra i gluckisti e i piccinnisti. Naturale pertanto che la promozione a viceré di Sicilia (1780) gli sembrasse il più tremendo dei castighi, e che occorresse un intero anno perché da Parigi si risolvesse a raggiungere, col cuore infranto, Palermo. Laggiù, per altro, fu tutto preso dal dovere; e la lotta senza quartiere che, in cinque anni di laboriosissimo governo, condusse contro l'Inquisizione e, in genere, contro inveterati abusi di ecclesiastici, baroni e legulei, valse a far uscire l'isola dal Medioevo, in cui ancora giaceva. Chiamato nel 1786 a Napoli alla testa del governo, seppe, nonostante la vecchiaia, la stanchezza e la sorda lotta della regina Maria Carolina e del suo favorito Acton, disegnare una riforma dell'Università e dei servizî postali, restaurare l'Accademia Ercolanense, istituire una scuola di sordomuti e fondarne parecchie normali, stipulare trattati di commercio con Torino, Genova, Tripoli, e, più laborioso ed importante, quello con la Russia, che aprì il Mar Nero al commercio napoletano; e, ch'è più, resisté con suecesso a pressioni d'ogni parte perché Ferdinando IV stipulasse con Giuseppe II e Caterina II, e contro la Turchia, un'alleanza che sarebbe stata rovinosa per le Sicilie. Proprio a lui, avversissimo ad ogni concordato con Roma, le contingenze politiche imposero di trattarne uno; ma riuscì altresì a non concluderlo, pure attuando l'abolizione della chinea. Morì improvvisamente la sera del 16 luglio 1789. Poiché, nonostante tanto scintillio d'ingegno, tanto senno pratico e tanta conoscenza di mondo, egli non era, o era scarsamente, uomo di critica e di scienza, non è da maravigliare che non pubblicasse altro che un opuscolo, non privo di pregi, di Riflessioni sull'economia e l'estrazione de' frumenti in Sicilia (1785). Tuttavia, dalle sue più che mille lettere "confidenziali" da Torino, da Londra, da Parigi e da Palermo, che, note soltanto in piccola parte, giacciono inedite nell'archivio di stato di Napoli, sarebbe agevole cavare un bel volume antologico, interessante e istruttivo.

Bibl.: M. Schipa, Un ministro napoletano del sec. XVIII: D. C., Napoli 1897, estr. dall'Arch. stor. per le prov. nap.; B. Croce, Il marchese D. C., in Uomini e cose della vecchia Italia, II, Bari 1927, pp. 83-112; F. Nicolini, La signora d'Épinay e l'abate Galiani, Bari 1929; E. Pontieri, Lettere del march. C. al ministro Acton, in Arch. stor. cit., n. s., XV (1929), pp. 206-311; F. Nicolini, Il marchese C. e l'ab. Galiani, in Pègaso, III (1930), pp. 641-669.

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