ROSSI, Domenico Egidio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI, Domenico Egidio

Cristiano Marchegiani

– Nacque a Fano il 1° settembre 1659 da Giuseppe, «non meglio indicato maestro» fanese, e dalla bolognese Cristina Corticiali, i quali ebbero altri sei figli fra il 1662 e il 1675 (Battistelli, 1984, pp. 3, 18; Boiani Tombari, 1984, p. 21).

Come avvertito dalla critica (Lohmeyer, 1935, pp. 56 s.; Passavant, 1967, p. 9), alla scuola felsinea Rossi deve la formazione in architettura e quadratura, intorno alla prima metà degli anni Ottanta. Compì di certo anteriori esperienze di base nella città natale, ambiente sensibile all’illusionismo prospettico emiliano, come già alle solenni proiezioni centrali ad infinitum delle scene dell’architetto Giacomo Torelli, rivoluzionario grand magicien teatrale nella Francia di Luigi XIV, rientrato a Fano nei primi anni Sessanta. La crescente richiesta nelle corti cattoliche d’Oltralpe di maestri nella costruzione e decorazione della grande architettura, reale e suggestivamente virtuale, portò dunque Domenico Egidio a cogliere promettenti opportunità estere.

Nel 1688 era a Vienna, impegnato con il Gartenpalais nella Fürstengasse per il principe di Liechtenstein (preferito all’ardita proposta berninesca del giovane Johann Bernhard Fischer von Erlach), forse collaborando sin dalle prime fasi progettuali con il sacerdote architetto lucchese Domenico Martinelli, accademico di S. Luca venuto da Roma (Lorenz - Rizzi, 1980). Primi documenti degli inizi degli anni Novanta lo vedono occupato nella decorazione pittorica del palazzo del conte Thomas Zacharias Czernin. Fu richiesto nel maggio del 1692 dal di lui fratello Hermann Jakob per il suo palazzo di Praga, opera cui per qualche anno attese «in qualità d’architetto» e decoratore, superata la disavventura boema che nei primi tempi lo vide perseguitato dalla giustizia su false «istigazioni» di collaboratori del lorenese Jean-Baptiste Mathey, architetto arcivescovile protetto dal conte Wenzel Adalbert von Sternberg (Passavant, 1967, docc. I-II, VII). Frattanto curava altri incarichi a Vienna. In una lettera del 14 luglio 1694 al segretario del conte Czernin (doc. XII) accenna ai solleciti del conte bolognese Enea Silvio Caprara, feldmaresciallo cesareo, a seguire i lavori del suo palazzo eretto sul sito acquistato nel 1687 in Wallnerstrasse. Qualora l’incarico risalisse al progetto, potrebbe aver determinato la migrazione di Rossi dall’Italia.

Alla serrata iterazione attorno al rettangolo del cortile del sintagma parasta-finestra su tre ordini, traduzione di mansartiana finesse della partitura esterna del cinquecentesco palazzo Malvezzi di Bologna, rispondono sulla facciata di ordine rustico il lieve aggetto di simmetrici settori alle estremità e il prorompente portale con telamoni, di cui Caprara importava dalla sua città la sensazionale idea esibita da palazzo Davia Bargellini: esordio transalpino di un motivo berninesco di larga fortuna tardobarocca.

Sposata a Vienna il 15 ottobre 1695 Maria Maddalena Stifterin di Salisburgo (docc. XV-XVI), che gli avrebbe dato quattro figli (Battistelli, 1984, pp. 4, 8, 15), lo stimato pittore d’architettura («Architectur Mahler») e «Ingenieur zu Wien» intraprese nel luglio del 1696 il perfezionamento della «sala nel giardino di Leopoldstadt» del conte Hermann Jakob Czernin, nella periferia viennese presso il Danubio (Passavant, 1967, p. 11 e doc. XVII). Mentre si imponevano rivali di solida formazione romana come von Erlach e Lucas von Hildebrandt, Rossi passava in terra tedesca grazie a un rilevante nuovo incarico, che lo portò presso il confine con la Francia.

Per il margravio di Baden-Baden, il comandante in capo delle armate imperiali Ludwig Wilhelm, curò una cospicua serie di opere a corollario dell’edificazione, dal 1697, del grandioso castello di Rastatt (Lohmeyer, 1912). Ricondotta alla misura classicistica l’esuberanza dei primi schizzi (Passavant, 1967, tavv. 1-30), Rossi interpose un rigido corps de logis fra una cour d’honneur quadra e un parco formale alla francese. Vi racchiuse una sorta di colpo di teatro degno di Torelli: uno scalone aperto al modo bolognese, sotto una volta squarciata dall’affaccio di una loggia ovale dal piano ammezzato, materializzante un vertiginoso tema quadraturistico: prima esibizione germanica di principesca Freitreppe barocca. Mentre su progetto di Rossi il capomastro Giovanni Mazza proseguiva la ricostruzione della chiesa principale di Durlach e avviava nel 1697 la nuova edificazione del complesso gesuitico di Baden-Baden, nel 1698 l’«Ingenieur von Bolognia» veniva incaricato dal margravio dei progetti per la Residenz di Durlach (Rott, 1917, p. 145) e il casino di caccia di Scheibenhardt (1699-1702), nei pressi di Karlsruhe. Nel piano di ricostruzione di Rastatt, distrutta dai francesi nel 1689, Rossi incrociò il dominante asse del Residenzschloss con quello ortogonale dell’insediamento a vie parallele, incidendolo con il perentorio tridente viario convergente sul cortile d’onore. Erettavi intorno al 1700 una casa per la propria famiglia («Rossi-Haus»; Ossenberg, 1986, pp. 247-250), dimora di sobria eleganza dell’architetto capo e gentiluomo di corte, progettava verso il 1702 la chiesa matrice (compiuta nel 1738). Durante un viaggio a Bologna agli inizi del 1704 in cerca di un artista per l’impresa decorativa del castello di Rastatt, servì il duca di Parma Francesco Farnese con il progetto di un «palazzo» per Guastalla (Passavant, 1967, p. 139). Nel 1707, morto il margravio e non più favorito dalla consorte, Rossi fu costretto a lasciare ad altri i vari lavori in corso. Ancora a Rastatt nel marzo del 1707, come consta da un mandato di procura scritto di suo pugno (lamentando la mancanza di notai e avvocati in quei «paesi immersi nelle guerre»), il 21 gennaio 1708 risulta tornato a Fano da un atto di acquisto di un podere, dove intendeva erigere un casino: rimpatrio programmato da tempo dal «familiare del Serenissimo di Parma», avendo acquistato per procura già nel settembre del 1706 una «casa grande» nella parrocchia del duomo (Battistelli, 1984, pp. 4, 6, 12). Intenzionato a condurvi un’agiata vita more nobilium, contrasse non pochi debiti. Fra le scarse notizie di occasioni professionali spicca l’incarico di riedificare in Ancona il pubblico teatro eretto nel 1664 presso l’arsenale del porto, distrutto da un incendio il 20 novembre 1709.

Riaperto come La Fenice nel carnevale del 1712, il teatro sviluppava una sala a quattro ordini di palchetti lignei su pianta a U allungata, dai rami lievemente divergenti attestati a un arcoscenico levato sul sostegno apparente di statue personificanti l’Aurora e la Fama, presso palchi di proscenio «guarniti da statue di stucco e da cinque putti» tenenti l’arme civica (Giochi - Mordenti, 2005, p. 182). Adattando ai vincoli dimensionali del fabbricato preesistente l’anfiteatrale impianto a U del solenne teatro Farnese di Parma, ma con la moderna scioltezza del non meno decantato teatro torelliano di Fano, la sala di spettacolo di Ancona anticipò di cinque anni il modello del Regio Ducal Teatro di Milano, ricostruito su progetto di un allievo di Francesco Galli Bibiena, il parmense Giovan Domenico Barbieri.

Un progetto per la «riparazione di porta Giulia» e uno di natura idraulica destinato a «introdurre l’acqua del fiume Arzilla nel porto» furono discussi nel consiglio pubblico fanese dell’8 gennaio 1714 (Battistelli, 1984, p. 14).

Morì, dopo poco più di un anno, il 19 febbraio 1715, venendo sepolto nella chiesa della Confraternita del Suffragio, di cui era membro (p. 4).

L’inventario, curato dalla moglie tre giorni dopo (Boiani Tombari, 1984, pp. 24-27), registra, fra l’altro, tre «ovati» con ritratti del marito, di cui il primo, piccolo, «in rame di buona mano». Inoltre, «il rame del palazzo fatto dal sig. Domenico mio marito per il Principe di Baden. [...] E più vari libri di studio d’Architettura fra’ quali si conta la Prospettiva del Pozzi, l’Architettura del Sergli, due li Palazzi di Roma, altri li fonti, altri li sepolcri, altri camini, altri porte e altri Edificii di Germania e varii disegni di mano del fu sig. Domenico mio consorte, fra’ quali il palazzo e pianta del detto palazzo per il Serenissimo di Parma. E più tre quadri con sue cornice biancha con dentro in uno il disegno d’una porta, in altro un casino da campagna e l’altro una stampa opera medesimamente del sig. Domenico fu mio consorte».

Fonti e Bibl.: Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle, Plansammlung, nn. 28-29, 31, 41, 46, 48-49, 55-56, 64-66, 68, 83, 89, 108, 111-112, 201-205, 210, 213, 219-220; Stuttgart, Württemberg Landesbibliothek, Sammlung Nicolai, vol. 8, cc. 29, 31-32, vol. 58, cc. 44-51, 59, 66.

Berenice Regina d’Egitto, dramma per musica rappresentato in Ancona il Carnevale dell’anno 1712 nell’aprirsi il nuovo teatro intitolato La Fenice, eretto et ideato di pianta dal signor D.E. R. di Fano, Ancona 1711; Joseph Braun, Die Kirchenbauten der deutschen Jesuiten, II, Die Kirchen der oberdeutschen und der oberrheinischen Ordensprovinz, Freiburg im Breisgau 1910, p. 7; K. Lohmeyer, Beiträge zur Baugeschichte des Rastatter Schlosses. I. Die Korrespondenz des Markgrafen Ludwig Wilhelm von Baden mit dem Architekten und Ingenieur D.E. R. 1698-1701, in Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins, n.s., 1912, vol. 27, pp. 269-307; Id., Des Ingenieurs und markgräflich badischen Oberbaudirektors D.E. R.’s Briefe über den Durlacher Schlossbau, in Zeitschrift für Geschichte der Architektur, VI (1913), pp. 215-225; Id., D.E. R. und seine Schlossbauten in Deutschland, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XL (1917), pp. 193-211; H. Rott, Kunst und Künstler am Baden-Durlacher Hof bis zur Gründung Karlsruhes, Karlsruhe 1917, pp. 137 s., 144-158, 170-173; G. Peters, Zur Biographie des Rastatter Schlossarchitekten D.E. R., in Zeitschift für die Geschichte des Oberrheins, n.s., 1927, vol. 40, pp. 495-516; K. Lohmeyer, R., D.E., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, Leipzig 1935, pp. 56-58; A.M. Renner, Die künstlerische Herkunft des D.E. R., in Zeitschrift des deutschen Vereins für Kunstwissenschaft, 1938, vol. 5, pp. 40-49; I. Williams Gregg, Der Grundriss des ehemaligen Palais Althan in der Rossau (Wien), in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, 1956, vol. 17, pp. 109-115; G. Passavant, Studien über D.E. R. und seine baukünstlerische Tätigkeit innerhalb des süddeutschen und österreichischen Barock, Karlsruhe 1967; H. Lorenz - W.G. Rizzi, D.E. R. Die Originalpläne für das Wiener Gartenpalais Liechtenstein, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, 1980, vol. 33, 1, pp. 177-179; F. Battistelli, Documenti inediti sull’architetto fanese D.E. R. (1659-1715), Fano 1984, pp. 2-20; G. Boiani Tombari, Appendice documentaria, ibid., pp. 21-27; H. Lorenz - W.G. Rizzi, Zur Planungs - und Baugeschichte des Palais Mollard-Clary in Wien, in Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte, 1985, vol. 38, pp. 239-246; H. Ossenberg, Das Bürgerhaus in Baden, Tübingen 1986, pp. 40, 69, 247-250; W.E. Stopfel, D.E. R., der Architekt des Rastatter Schlosses, Rastatt 1986; W.G. Rizzi, Der Festsaal des Palais Caprara-Geymüller in Wien, in Österreichische Zeitschrift für Kunst und Denkmalpflege, XLIII (1989), 1-2, pp. 26-32; M. Bachmann, Die Karlsburg in Durlach. Die Planungen D.E. Rossis zum Neubau der barocken Residenz im Licht dreier bisher unpublizierter Zeichnungen, in Architectura. Zeitschrift für Geschichte der Baukunst, XXVIII (1998), pp. 37-59; M. Horyna, Czernin Palace Architects in the Baroque period, in Id. - P. Zahradník - P. Preiss, Czernin Palace in Prague, Praga 2001, pp. 73-181 (in partic. pp. 149 s., 153, 181); F.M. Giochi - A. Mordenti, Civiltà anconitana, Ancona 2005, pp. 180-183, 186; C. Marchegiani, Meteore nei cieli d’Arcadia. Marchigiani e scuole d’arte nel Seicento: la via emiliana, in Studia picena, 2011, vol. 76, pp. 131-188 (in partic. pp. 167 s.).

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