GHEZZI, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000)

GHEZZI, Domenico (Domenico di Bartolo)

Maria Elena Massimi

Nacque verosimilmente nel 1400 ad Asciano, vicino a Siena, dove si trasferì precocemente e svolse la sua attività di pittore tra il terzo e il quinto decennio del Quattrocento. Nella quasi totalità dei documenti e nei profili storici, a partire da quello vasariano, è menzionato come Domenico di Bartolo, benché il cognome G. sia trascritto nel contratto del giugno 1437 pubblicato da Milanesi (1854, pp. 171 s.).

A Milanesi si deve la confutazione della notizia vasariana, che era stata ampliata dalle ipotesi genealogiche di Romagnoli (p. 440), di una parentela, con annesso alunnato, tra il pittore Taddeo di Bartolo e il Ghezzi. La prima testimonianza relativa all'artista data al 1420, anno in cui il G. era apprendista nel cantiere del duomo di Siena; restano sconosciuti sia l'intervento decorativo di impiego, che la bottega artistica di riferimento (Strehlke, in La pittura senese…, p. 263). La sua formazione professionale deve considerarsi compiuta nell'arco del terzo decennio: nel 1428 risultava iscritto come maestro indipendente nel "breve dell'arte" di Siena (Milanesi, 1854, p. 49). A fronte delle molteplici suggestioni rivelate dalla pittura del G. maturo, modalità e referenti di tale formazione rimangono ignoti: la Gallavotti Cavallero (1974, p. 196; 1985, pp. 171 s., 259) ipotizza un soggiorno romano alla fine del terzo decennio, durante il quale l'artista avrebbe appreso - dalle sinopie di Pisanello per S. Giovanni in Laterano - i preziosi grafismi "internazionali" che emergono massicciamente nella sua produzione tarda. Strehlke (in La pittura senese…, p. 263) individua nel senese Martino di Bartolomeo un possibile maestro e nella scultura policroma cittadina, praticata da Domenico di Niccolò dei Cori, Francesco di Valdambrino, Lorenzo di Pietro (il Vecchietta) e Jacopo della Quercia, un campo di serrato confronto stilistico. È probabile - benché non comprovabile dal punto di vista documentario e cronologicamente non circoscrivibile - un periodo di studi giovanili a Firenze, circostanza che giustificherebbe la conoscenza delle novità rinascimentali mostrata dal G. sin nelle prime prove pittoriche. La presenza di Donatello nel duomo senese allo scorcio del terzo decennio (Festino di Erode per il fonte battesimale; lastra tombale del vescovo Pecci) potrebbe aver suscitato nel G. curiosità appagabili solo con un'esperienza diretta delle problematiche fiorentine (Damiani, in Una scuola per Piero…, p. 62). Di "educazione del tutto fiorentina", senza "residui senesi e senza compromessi gotici" parla Brandi (1949, pp. 105 s.), che rinviene nella giovanile Madonna con Bambino tra i ss. Pietro e Paolo della Kress Collection alla National Gallery of art di Washington (ex "Madonna Duveen", databile all'inizio del quarto decennio) una studiata approssimazione al nuovo linguaggio.

Attribuita a Filippo Lippi da Pudelko e ricondotta al G. da Ragghianti, l'opera, dietro un apparente linearismo di tradizione senese, rivela una cultura artistica ben più complessa: un'edicola classicheggiante coronata da putti reggighirlanda di matrice donatelliana (Damiani, in Una scuola per Piero…, 1992, p. 60; 1996, p. 94) o quercesca (Strehlke, in La pittura senese…, p. 264); aureole ingenuamente scorciate e decorate con un motivo stellare di ascendenza uccellesca (Brandi, 1949, p. 108); una chiara concezione monumentale pur nelle ridotte dimensioni. Il debito maggiore è col Masaccio della S. Anna Metterza degli Uffizi - da cui il G. deriva l'involucro possente della Vergine - e della Madonna del polittico del Carmine di Pisa (Londra, National Gallery), che detta al pittore la fonte di luce naturale in presenza del fondo d'oro (Brandi, 1949, p. 109; Strehlke, in La pittura senese…, p. 264). All'assimilazione diretta "del fiorentino" rinascimentale da parte del G., Strehlke (ibid.) affianca la mediazione linguistica del conterraneo Jacopo della Quercia, impegnato dal 1428 al fonte battesimale (Gengaro; Pope-Hennessy, 1944; 1947). Il formato dell'opera denuncia quella committenza privata cui si deve la quasi totalità della pittura su tavola del G.; l'architettura antichizzante e la presenza, a fianco della Vergine-Ecclesia, dei "romani" Pietro e Paolo, rifletterebbero il clima culturale diffuso durante il soggiorno del re boemo Sigismondo, trattenutosi a Siena tra il luglio del 1432 e l'aprile 1433, in attesa dell'invito papale per l'incoronazione a imperatore (Strehlke, in Lapittura senese…, p. 264). Di Sigismondo il G. approntò un ritratto dal vero (un "disegnio, il quale è simile alla faccia de la Cesarea Maestà", in Milanesi, 1854, p. 161).

Le citazioni disarticolate della Madonna della Kress Collection si strutturano in fluida sintassi nella Madonna dell'Umiltà (Siena, Pinacoteca nazionale), firmata "Dominicus" e datata 1433. Considerata il capolavoro dell'artista, l'opera si pone fra i testi più aggiornati dell'arte toscana del quarto decennio; spetta a Longhi e a Brandi (1949) l'ormai classico confronto - in termini dialogici e addirittura competitivi - tra il dipinto e la Madonna Trivulzio di Filippo Lippi, la cantoria di Luca Della Robbia, le sperimentazioni cromatico-luministiche di Domenico Veneziano.

La complessità dei riferimenti culturali, la raffinata resa tecnica, l'abilità combinatoria di più registri comunicativi (sono tre le iscrizioni all'interno dell'immagine) testimoniano la piena maturità del pittore. Strehlke (1984) ha rilevato stringenti parallelismi tra l'immagine e la dottrina di s. Bernardino, le cui prediche di soggetto mariologico avrebbero ispirato al G. vere e proprie innovazioni iconografiche. La commissione del dipinto va verosimilmente ricondotta all'entourage senese del santo e riferita al cardinale Antonio Casini - difensore di Bernardino nel processo per eresia del 1426, committente di Masaccio e di Jacopo della Quercia - o, alternativamente, al vescovo Carlo di Angiolino Bartoli (ibid.). La maturazione dell'opera all'interno di una raffinata cerchia umanistica è attestata dalle iscrizioni in capitale romana, di cui il G. ebbe il modello nella lastra Pecci; il rinvenimento, nel dipinto, del tetragramma di un motivo affine a quelli del compositore Guillame Dufay, ha fatto supporre per il G. conoscenze specialistiche e, addirittura, l'esercizio dell'attività musicale (Damiani, in Una scuola per Piero…, p. 60).

Contemporaneo o appena successivo alla Madonna dell'Umiltà è il lacerto con l'Assunta della chiesa del Refugio (S. Raimondo, Siena), la cui perfetta volumetria è debitrice della plastica di Domenico di Niccolò dei Cori e di Francesco di Valdambrino. Nell'ottobre del 1434 l'Opera del duomo predisponeva, per 16 lire, l'acquisto del ritratto dell'imperatore Sigismondo. Non è dato sapere se il G. cedette l'originale; sicuramente ne approntò una seconda versione, servita da schema esecutivo per la piastrella pavimentale del duomo con Sigismondo in trono tra i suoi consiglieri, in situ al dicembre 1434 (Milanesi, 1854, p. 162). Lo snello baldacchino del trono, svettante su quattro colonne brunelleschiane, prelude misuratamente alle invenzioni architettoniche dell'ultima attività del Ghezzi.

Nel marzo del 1435, per interessamento di Jacopo della Quercia, ottenne la commissione delle Storie dei quattro protettori di Siena nella sagrestia del duomo; degli affreschi, primo intervento pubblico dell'artista, non restano che frammenti (identificati da Brandi, 1943, p. 131 n. 8).

Nell'agosto dello stesso anno il pittore aveva già licenziato la storia di s. Ansano; all'ottobre 1436 risultava compiuta quella di s. Vittore (Milanesi, 1854, p. 172). I lavori subirono una temporanea battuta d'arresto alla morte di Jacopo della Quercia (1438); un ultimo pagamento di questa tranche iniziale data all'agosto del 1437 (Strehlke, Three notes…, p. 271).

La scomparsa di Jacopo della Quercia, coincise con l'allontanamento del pittore dalla città e con il decentramento delle successive commissioni. Già nel giugno del 1437 i frati di S. Agostino di Asciano gli allogavano una pala d'altare da condursi in trentasei mesi (dell'opera mancano ulteriori notizie: Pope-Hennessy, 1944, p. 114 n. 22). Firmata "Dominicus de Senis" e datata 1437 è la Madonna con Bambino della collezione Johnson di Filadelfia, in cui Brandi (1949, p. 114) riscontrava un irrigidimento antinaturalistico e improvvisi arcaismi imputabili, più che a una precoce decadenza, al gusto attardato dell'ignoto committente. Nel 1438 il G. era, con ogni probabilità, a Perugia; datato al maggio di quell'anno è il polittico del convento di S. Giuliana, con la Madonna e il Bambino fra i ss. Benedetto, Giovanni Battista, Giuliana e Bernardo e cinque Storie del Battista nella predella (Perugia, Galleria nazionale dell'Umbria).

Realizzata su commissione della badessa Antonia Buccoli, che il pittore raffigurò supplice ai piedi della Vergine, l'opera rivendicava la giurisdizione temporale del convento sul castello di Sant'Egidio al Colle, contesa dal monastero rivale di S. Francesco al Prato e dal Comune di Perugia: nell'orbe trasparente impugnato dal Bambino il piccolo borgo è raffigurato in grisaille (Strehlke, Three notes…, pp. 271-275). Le storie della predella, di debole impianto, vengono riferite da Strehlke a Priamo della Quercia, fratello di Jacopo e collaboratore documentato del Ghezzi.

A Perugia il G. poté allacciare proficui contatti con Domenico Veneziano, che tra il 1437 e il 1438 affrescava una stanza del palazzo di Braccio Baglioni. In questo periodo di assenza da Siena va forse collocata la problematica attività fiorentina del G., cui Vasari attribuisce, nel quarto decennio, un'Annunciazione per la chiesa di S. Trinita e la pala dell'altar maggiore della chiesa del Carmine. I dipinti sono ignoti alla storiografia successiva alle Vite; Strehlke (Lapittura senese…, pp. 264-268) riconosce un lacerto della pala del Carmine nella Madonna con Bambino dell'Art Museum della Princeton University (ex "Madonna Platt"), databile tra il 1435 e il 1440 ed esemplata sulla Rea Silvia di Jacopo della Quercia. Rientrato a Siena il G. ultimava in un anno, tra il marzo 1439 e il marzo 1440, gli affreschi della sagrestia del duomo, realizzando la storia di s. Savino (compiuta al settembre 1439) e quella di s. Crescenzio. Nei primi mesi del 1440 il G. prese in moglie Antonia, figlia di Viva di Pace Pannilini, che gli recò 200 fiorini di dote (Romagnoli, p. 444). Tra il 1440 e il 1444, su commissione del rettore Giovanni Buzzichelli, il G. lavorò alla decorazione della sala del Pellegrinaio dello spedale senese di S. Maria della Scala.

Per la sala, illustrata sulla parete destra con le attività assistenziali, sulla sinistra con i fatti storici dell'istituzione, approntò sei degli otto affreschi: la Cura degli infermi (1440), la Distribuzione delle elemosine, l'Educazione e matrimonio degli orfani, Celestino III concede i privilegi ai laici (recante la data 1442, ora scomparsa), l'Elemosina del vescovo e accrescimento dell'ospedale (1443), il Banchetto dei poveri. Nei vasti ambienti costruiti prospetticamente, arredati con minuzia fiamminga e affollati da personaggi in costume contemporaneo, il G. esibì le molteplici componenti della sua formazione: il ricordo rielaborato delle architetture brunelleschiane, il principio umanistico di adesione al vero (dagli inserti ritrattistici all'illustrazione didattica di due lezioni di medicina e chirurgia, nella Cura degli infermi: Garosi), la saldezza dei volumi masacceschi, la preziosità miniaturistica appresa da Pisanello. Il progressivo slittamento degli affreschi verso l'offuscamento del colore, il decorativismo, l'esasperazione caricaturale e la spazialità irrazionale della tradizione gotica, più volte sottolineato dalla critica (Pope-Hennessy, 1947; Brandi, 1949; Gallavotti, 1972), non sminuiscono la portata della prestigiosa commissione, destinata a consacrare il G. preminente artista cittadino.

Ancora per lo spedale il G. dipingeva, entro il febbraio 1443, quattro drappelloni con l'arma di papa Eugenio IV (Liberati; Gallavotti, 1972, p. 36); nell'aprile 1444 gli veniva saldato il pagamento per due affreschi, la "Limosina della Chorticiela" (identificabile forse con il Banchetto dei poveri: Gallavotti Cavallero, 1985, p. 165) e la Madonna del Manto, una lunetta di vaste dimensioni, oggi lacunosa e divisa tra lo spedale e la Pinacoteca nazionale (Milanesi, 1854, p. 173).

Originariamente nella cappella delle reliquie, la lunetta fu trasferita (1610) sotto un baldacchino di marmo nella cappella del Sacro Chiodo; nel passaggio subì la decurtazione delle ali, che, murate dietro il lacerto centrale, vennero alla luce durante il restauro del 1969. Chiamato a interpretare le intenzioni squisitamente politiche della committenza, il pittore raffigurò papa, imperatore e rispettivi seguiti sotto l'equanime protezione della Madonna della Misericordia; nell'affresco si rinvengono dubitativamente i ritratti di Eugenio IV, di Sigismondo, del beato Sorore (leggendario fondatore dello spedale), del rettore Buzzichelli e di sua moglie (Strehlke, in Lapittura senese…, p. 270). La sinopia emersa nel 1969 mostra una grafia progettuale "nordica" (Gallavotti Cavallero, 1974, pp. 194 s.; 1985, p. 171, cita a confronto le sinopie pisanelliane di S. Anastasia e del palazzo ducale di Mantova); gli aggiustamenti di tiro in corso d'opera - mutamenti di gesti, di posizioni - denunciano un'ideazione in stretta collaborazione con la committenza.

Nel 1444, ormai all'apice della fortuna professionale, il G. ottenne l'incarico di affrescare un'Incoronazione della Vergine nella sala della giunta di palazzo pubblico, che impostò soltanto (sono sue alcune teste di angeli e santi e probabilmente il cartone); l'opera veniva ultimata e firmata nel 1445 da Sano di Pietro. La sospensione dei lavori a palazzo pubblico a metà del quinto decennio può essere ipoteticamente imputata a cattive condizioni di salute.

Il G. morì infatti tra la seconda metà del 1444 e il 1445; in un documento del febbraio 1447 la moglie Antonia risulta ormai vedova (Wagner, p. 37 n. 4).

La parabola discendente in cui la lettura di Brandi ha riassunto l'attività del G., influenzando da presso i successivi giudizi critici, andrebbe ridisegnata sulla scorta di più ampie considerazioni d'ordine culturale. L'involuzione in senso goticheggiante, sensibile nelle commissioni cittadine del quinto decennio, va definitivamente imputata alla scelta di un compromesso con la tradizione artistica senese. Libero di esprimersi nelle tavolette devozionali, ma condizionato da esigenze di comprensibilità negli affreschi pubblici, il G. approntò la traduzione dei testi pittorici fiorentini a uso dei fruitori locali. Il realismo descrittivo, la piana narratività e il gusto analitico della sua pittura tarda hanno perciò indebitamente oscurato la valenza culturale di tale scelta stilistica.

Il catalogo del G. è stato recentemente ampliato con le proposte attributive della Vergine adorante il Bambino, Maria Maddalena, Giovanni Battista e un certosino della Kress Study Collection, The Snite Museum of art, University of Notre Dame (Notre Dame, IN: Strehlke, Three notes…, pp. 275-278) e dei disegni per miniature con l'Adorazione dei pastori, l'Adorazione dei magi, la Resurrezione, l'Ascensione e la Pentecoste (cc. 26v, 36r, 181r, 204r, 209r) di un graduale della parrocchia di Pomarance, vicino a Volterra; dipinto e disegni si collocherebbero nei primi anni del quinto decennio del Quattrocento (Bagemihl).

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 40 s.; E. Romagnoli, Biografia cronologica de' bellartisti senesi (1835 c.), Firenze 1976, IV, pp. 437-459; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1854, I, p. 49; II, pp. 161 s., 165 s., 171-173; R. Wagner, D. di Bartolo G., Göttingen 1898; F. Mason Perkins, Un capolavoro dimenticato di D. di Bartolo, in Rass. d'arte senese, IV (1908), pp. 22-25; A. Lisini, Elenco dei pittori senesi vissuti nel secolo XV, in La Diana, III (1928), p. 67; A. Liberati, Nuovi documenti sul Pellegrinaio dello spedale di S. Maria della Scala, ibid., IV (1929), pp. 240 s.; M.L. Gengaro, A proposito di D. di Bartolo, in L'Arte, XXXIX (1936), pp. 104-122; G. Pudelko, The early work of fra Filippo Lippi, in Art Bulletin, XVIII (1936), pp. 107-111; C.L. Ragghianti, Intorno a Filippo Lippi, in La Critica d'arte, III (1938), pp. XXII s.; V. Lusini, Il duomo di Siena, Siena 1939, II, pp. 25, 31 s., 36; R. Longhi, Fatti di Masolino e di Masaccio, in La Critica d'arte, V (1940), p. 178; A. Garosi, L'affresco di D. di Bartolo: "L'assistenza e la cura degli infermi". Contributo alla storia dell'insegnamento clinico, in La Rinascita, V (1942), pp. 607-612; C. Brandi, Pietro di Giovanni di Ambrogio, in Le Arti, V (1943), pp. 130-132; J. Pope-Hennessy, The development of realistic painting in Siena, I e II, in The Burlington Magazine, LXXXIV (1944), pp. 110-119, 139 s.; Id., Sienese Quattrocento painting, London 1947, pp. 14-16, 28; C. Brandi, Quattrocentisti senesi, Milano 1949, pp. 105-120, 262-264; A. Cairola - E. Carli, Il palazzo pubblico di Siena, Roma 1963, pp. 198, 203; E. Carli, I pittori senesi, Milano 1971, pp. 28, 179-181; D. Gallavotti, Gli affreschi quattrocenteschi della sala del Pellegrinaio dello spedale di S. Maria della Scala in Siena, in Storia dell'arte, 1972, n. 13, passim; Id., Un affresco ricostruito di D. di Bartolo, in Annuario dell'Istituto di storia dell'arte, I (1974), pp. 168-198; E. Carli, Il duomo di Siena, Genova 1979, pp. 115 s., 147 s.; G. Borghini, La decorazione, in Palazzo pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, a cura di C. Brandi, Roma 1983, p. 162; C.B. Strehlke, La Madonna dell'Umiltà di D. di Bartolo e s. Bernardino, in Arte cristiana, n.s., LXXII (1984), pp. 381-390; D. Gallavotti Cavallero, Lo spedale di S. Maria della Scala in Siena. Vicende di una committenza artistica, Pisa 1985, pp. 160-172, 259; La pittura in Italia. Il Quattrocento, Milano 1987, I, pp. 316-318; II, pp. 618 s. (scheda biografica a cura di C. Alessi); La pittura senese nel Rinascimento. 1420-1500 (catal.), a cura di K. Christiansen - L.B. Kanter - C.B. Strehlke, Cinisello Balsamo 1989, ad indicem; C.B. Strehlke, Three notes on the Sienese Quattrocento, in Gazette des beaux-arts, CXIV (1989), pp. 271-278; P. Torriti, La Pinacoteca nazionale di Siena, Genova 1990, pp. 245-247; Una scuola per Piero. Luce, colore e prospettiva nella formazione fiorentina di Piero della Francesca (catal.), Firenze 1992, pp. 59-63, 150 s.; G. Damiani, in The Dictionary of art, London-New York 1996, IX, pp. 94 s.; R. Bagemihl, A Sienese gradual at Pomarance and the early Tuscan Renaissance, in Gazette des beaux-arts, CXXIX (1997), pp. 19-36; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 535-537.

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