GNOLI, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GNOLI, Domenico

Riccardo D'Anna

Nacque a Roma il 6 nov. 1838 dal conte Tommaso e da Maddalena Dini (1807-50), di famiglia nobile originaria di Gioiella, presso Città della Pieve.

Il padre Tommaso (Ferrara 1797 - Roma 1874), trasferitosi a Roma dal 1817 in qualità di agente del Comune e di tutti i pubblici stabilimenti di Ferrara, ebbe parte di rilievo nella vita romana prima del 1870. Avvocato concistoriale dal 1823, fu decano di quel Collegio fin dal 1838, svolse mansioni di avvocato dei poveri (incarico che si accompagnava alla carica concistoriale) e occupò ben presto una cospicua posizione in Curia. Fu in amicizia con P. Giordani e con G.G. Belli: di quest'ultimo condivise la natura intimamente scissa fra un'anima liberale e una confessionale, insomma "fedele al governo pontificio del quale era funzionario", ma "non avverso alle idee di unità e di indipendenza" (A. Gnoli, p. 5).

Dal matrimonio con Maddalena Dini, celebrato nel 1828, nacquero dieci figli, tre dei quali prematuramente scomparsi. Nel maggio del 1849 la famiglia riparò presso i parenti Dini e, una volta restaurato il governo pontificio, Tommaso - che aveva rifiutato l'incarico di ministro della Giustizia offertogli dal governo repubblicano - poté rientrare in Roma, dove, promotore di un circolo letterario, trasmise ai figli la passione per la cultura umanistica. Fu erudito, letterato e poeta, membro onorario di trentadue accademie (fra cui la Tiberina, di cui fu presidente, e l'Arcadia, col nome di Armiro Cidonio). Presso l'Archivio Gnoli in Roma sono conservati numerosi manoscritti che comprendono romanzi, opere brevi (fra cui alcune di argomento comico-satirico), nonché componimenti poetici in italiano e in latino che rivelano un'indole precoce seppure, in genere, disciplinata e convenzionalmente accademica.

Avviato dapprima agli studi di giurisprudenza (si era laureato nel 1863), lo G. si dedicò all'insegnamento, ottenendo, nel 1874, una cattedra di letteratura italiana nelle scuole medie superiori di Roma e poi - sempre come docente di letteratura italiana, per interessamento di G. Carducci e A. D'Ancona - presso l'Università di Torino per l'anno accademico 1880-81.

Dal 1881 tuttavia, risultandogli nocivo il clima del capoluogo piemontese, fu da G. Baccelli chiamato ad assumere l'incarico di direttore della romana Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II (che avrebbe diretto per venticinque anni, fino al 1909). Successivamente, sempre in Roma, avrebbe diretto le biblioteche Lancisiana, presso l'ospedale del S. Spirito, e Angelica.

Come direttore della Biblioteca nazionale lo G. succedeva al commissario regio Luigi Cremona che era stato costretto a chiuderla al pubblico dopo una presunta sparizione di opere pregevoli (1880-81). Riaperta dunque, sotto la direzione dello G., fu avviata la normalizzazione dei cataloghi a stampa: allo G., in particolare, si dovettero l'incremento delle pubblicazioni straniere, l'inaugurazione di una sala con opere di carattere generale aperta alla libera consultazione (la prima del genere in Italia), nonché l'istituzione della sala romana e della sala del Risorgimento.

Uomo eclettico, di cultura vasta, nutrita di curiosità e ampie letture, lo G. fondò nel 1888 l'Archivio storico dell'arte nonché, nel 1897, la Rivista d'Italia (passata dal 1900 alla direzione di G. Chiarini), e a lungo diresse la Nuova Antologia (che nel 1878 si era spostata da Firenze a Roma), fra i fascicoli della quale risultano sparsi numerosi interventi e studi, in particolare dedicati alla Roma cinque-seicentesca, che gli valsero il curioso epiteto di "umanista romano morto ai giorni del Sacco di Roma, rivissuto per misteriosa metempsicosi" (Venturi, p. 64).

Pur se fondato formalmente dallo G. l'Archivio storico dell'arte molto dovette, com'è noto, all'opera di Adolfo Venturi che della rivista fu vero promotore dietro le quinte e che dal 1900 gli subentrò quale direttore unico. Dell'audacia di "fondare una rivista nell'Italia a corto di scrittori e di quattrini" e dell'incontro con lo G. è lo stesso Venturi a narrare nelle sue Memorie: "Ebbi consenso da Domenico Gnoli, il quale mi ascoltò, e mi scrisse dicendosi pronto a iniziar la pubblicazione da me vagheggiata, a concertarsi con me sul carattere, sul titolo e su diversi particolari" (p. 63). Ed è sempre il Venturi a restituirci un ritratto fedele dello scrittore: "Domenico Gnoli, nobile uomo, con begli occhi azzurri, portamento di vecchio colonnello a riposo, aveva grande bontà d'animo che si traduceva nella serenità dello sguardo, nell'entusiasmo giovanile espresso non da fuoco e fiamma, ma con vive sincere convinzioni. Sempre paziente e pacato, non perdeva mai le staffe, perfetto cavaliere, davanti agli oppositori. Nonostante il fervore dell'animo, poteva sembrar impassibile, tanto la sua naturale potenza d'accentrar i pensieri verso la propria mira, di fissar direttamente il punto di vista, appena messa la lente della macchina in foco" (p. 64).

Fin dal suo apparire la rivista (divenuta dal principio del 1898 L'Arte) s'impose come il periodico d'arte di maggior prestigio in Italia, offrendo al lettore - come peraltro già in uso al livello europeo: lo stesso formato della rivista si ispirava alla Zeitschrift für bildende Kunst di Lipsia - una parte generale, di più ampio respiro, giustapposta a più mirati sondaggi di carattere monografico, a una cronaca d'arte contemporanea e a una vasta mole di informazioni bibliografiche, con ciò rispondendo pienamente al modello auspicato dal Venturi di una seria rivista che "raccogliesse le forze sparse degli studiosi, e procurasse d'imprimere un po' di movimento ai nostri studi storici dell'arte" (lettera di A. Venturi allo G., in data 22 luglio 1887, cit. in Agosti, p. 76).

Promotore di cultura e delle arti, critico letterario, scrittore, profondo conoscitore e cultore di cose romane, lo G. si impose anche come epigrafista. Di sua mano risultano, fra le più celebri, l'epigrafe posta in piazza del Pantheon per celebrare una sosta romana dell'Ariosto, quella relativa al Galilei sita all'entrata di villa Medici, quella sulla casa di via del Corso ove abitò J.W. Goethe, e diverse altre, fra cui quella - preferita a un testo approntato da G. D'Annunzio - sulla caserma di S. Francesco a Ripa nel quartiere Trastevere, in ricordo dei bersaglieri morti a Sciara esc-Sciat.

Oltre alla pregevole ricostruzione sul Belli (G.G. Belli e i suoi scritti inediti, Firenze 1878), fra le prose dello G. vanno annoverate almeno: Di alcune piante topografiche di Roma, ignote o poco note (Roma 1865); Vittoria Accoramboni: storia del secolo XVI (Firenze 1870); Studi letterari (Bologna 1883); Mostra fotografica romana, ordinata nella Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele in occasione del Congresso storico in Roma 1903 (Roma 1903); Have Roma: chiese, monumenti, case, palazzi, piazze, fontane, ville (ibid. 1909), "che rappresenta ancor oggi una delle guide più spigliate e curiose, a carattere divulgativo, per la conoscenza dei monumenti della nostra città" (Orioli, p. 251); La Roma di Leon X: quadri e studi originali, a cura di A. Gnoli (post., Milano 1938). Significativo anche il contributo offerto dallo G., senza formalmente apparire, al lavoro d'équipe promosso dal Carducci su La poesia barbara nei secoli XV e XVI (Bologna 1881).

Testimonianza sulla propria formazione di poeta è quella lasciata dallo stesso G., in pagine venate di misurata ironia, nella prefazione all'antologia I poeti della scuola romana (1850-1870), Bari 1913: crestomazia di autori pressoché obliati già allora, e dunque non tanto rivendicazione di "valori poetici" in verità modesti, quanto documentazione per così dire affettuosa e sentimentale di un periodo poco noto della vita letteraria dell'Urbe. Lo G. vi descrive la personale adesione alla scuola romana, in quella singolare comunità di scrittori (tra loro anche le sorelle Teresa ed Elena) raccolti intorno all'estro sottile e bizzarro dell'abate L.M. Rezzi, "fornito di varia dottrina" e dotato di "straordinarie attitudini d'insegnante" e che, fino alla morte (avvenuta nel 1857), fu fra gli ispiratori del cenacolo. Stilisticamente, l'appartenenza dello G. alla scuola si risolve in un classicismo che si stempera fra l'Arcadia e i coevi Carducci e Nencioni, in un fraseggio idillico già caro al Leopardi e riletto senz'altro entro la suggestione delle Nuove poesie di G. Maccari (apparse postume nel 1869, prima appena del suo esordio poetico).

Singolare fu il percorso dello scrittore. Come poeta appartenente alla scuola romana pubblicò dapprima, sotto pseudonimo, i Versi di Dario Gaddi (Imola 1871), rime che il D'Ancona leggendole manoscritte trovò "belle ed eleganti, e tali da fargli onore quando verranno pubblicate" (Carteggio D'Ancona, lettera in data 30 aprile o 1° maggio 1870, p. 12). Seguirono le Odi tiberine e le Nuove odi tiberine (rispettivamente Torino 1879 e Roma 1885, ma ristampate a compendio e con aggiunte in Vecchie e nuove odi tiberine, Bologna 1898), La casa di Raffaello (Roma 1887) e, con eteronimo femminile Gina d'Arco, un volumetto di versi intitolato Eros (ibid. 1896); fra gli altri eteronimi sotto cui lo G. si celò risultano pure quelli di Cesare Rosini e Lucio Vero.

Nel 1903 lo G. pubblicò, col fortunato eteronimo Giulio Orsini, Fra terra ed astri (Torino-Roma), che già l'anno seguente l'editore Treves ristampava a Milano e che L. Folgore parodiava con gustosi versi che alludevano al "poeta / che nerocrinito / ringiovanì di trent'anni" (L'imperruccato. Parodia di Giulio Orsini): i critici d'allora credettero infatti giovane l'autore (lo G. contava invece 65 anni), a ciò indotti dall'esordio: "Giace anemica la Musa / sul giaciglio de' vecchi metri: / a noi, giovani, apriamo i vetri, / rinnoviamo l'aria chiusa!" (Apriamo i vetri!), salvo poi rimaner delusi dall'agnizione Orsini-Gnoli. L'intera parabola del libro non può tuttavia esaurirsi in una semplice dichiarazione d'intenti; a trasmettere, infatti, freschezza d'ispirazione contribuì senza meno il "devoto sentimento d'amore per Vittoria Aganoor" che alla raccolta è sotteso.

Scrittrice essa stessa, la Aganoor aveva dedicato alcuni versi d'amore, per inciso fra le sue prove più convincenti, allo G., da lei poi vagheggiato a lungo con rimpianto. Alla vicenda sentimentale fra i due si ispirò poi L. Pirandello per la stesura del dramma Quando si è qualcuno (1933).

Dotato di sensibilità particolare, lo G. aveva percepito - in un presente avvertito come stagnante e privo di ogni dinamismo - tutto ciò che potesse far circolare aria nuova nelle patrie lettere: e di volta in volta s'era adoperato, tenendo fermi taluni modelli (dal Carducci alle mollezze del Poema paradisiaco del D'Annunzio), ma sapendo variare sui diversi temi "con una commistione di registri sempre curiosa e talvolta efficace, soprattutto quando si accompagna a una ricerca metrica orientata in direzione discretamente "atonale"" (Giovanardi, p. 600).

Già il Pellizzi aveva al proposito sottolineato, nel lavoro poetico dello G., i "motivi non più carducciani, non più esclusivamente classici, anzi talora moderni e modernissimi; stile, ancor più libero e più moderno di quel del D'Annunzio; forme prosodiche aperte, ritmi talora d'impronta romantica" (p. 59). Fra terra ed astri è libro importante per più ragioni: se ne ricava l'impressione di uno G. che, da "gran dilettante di poesia", fosse tuttavia in grado di cogliere con sensibilità eccezionale il "momento" poetico contemporaneo (Baldacci, p. 1196). Il libro ebbe molti elogi, fra gli altri da G. Papini ("Giulio Orsini è un vero e profondo poeta", in Il Regno, 20 dic. 1903) e da G. Mazzoni e A.S. Novaro ("Giulio Orsini è poeta e artista squisito e […] Fra terra ed astri è un libro di versi quali pochi ne abbiamo visti in questi ultimi tempi", in Riviera ligure, X [1904], n. 5-6, pp. 622-624). Notevole resta, a tutt'oggi, la ricerca metrico-ritmica, pur nell'ambito di un procedere "assai cautamente tanto nell'infedeltà alla rima quanto nell'inosservanza della costanza di numero sillabico" (Contini, p. 589), per esempio nel far rimare una parola piana con una sdrucciola (come in Pascoli), ma più in generale nella giustapposizione e nell'uso del novenario e dell'ottonario (sovente accentato come un novenario) che creano nella prosodia ritmica continui sbalzi, accelerazioni e decelerazioni: "Solo un desiderio mi rulla / nell'anima: via fuggire, / fuggire, sparire, sparire / dentro gli abissi del nulla" (Il fior della fede). "Non poteva essere un vecchio a sbloccare la situazione" - così L. Baldacci, introducendo lo G. nei Poeti minori dell'Ottocento - "ma un vecchio era stato forse il primo a varcare la soglia del secolo" (p. 1196).

Della produzione successiva vanno rammentati Jacovella. Nuove liriche (Roma-Torino 1905), l'importante volume antologico Poesie edite ed inedite (ibid. 1907, che comprende: Fra terra ed astri, Jacovella, Oleandri, Solitudini, Eros, Odi tiberine), nonché i Cantidel Palatino. Nuove solitudini, ed. postuma a cura di Tommaso Gnoli (Milano 1923), che denotano anche cronologicamente - si tratta di versi composti fra il 1910 e il 1914 - nuove sperimentazioni su un registro più marcatamente intimista e crepuscolare.

Fervente antinterventista, lo G. si spense a Roma, alle soglie di quell'entrata in guerra dell'Italia da lui tanto osteggiata, il 12 apr. 1915.

Dal matrimonio con Giuseppina Angelini (1843-96), celebrato in Roma il 25 ag. 1864, nacquero otto figli, tra cui Ester (1862-1923) andata in sposa a Karl Vossler, Umberto (1878-1947), e Tommaso (Roma, 18 dic. 1874 - 27 marzo 1958), che fu critico letterario, germanista e traduttore dal tedesco (fra gli autori sono da rammentare almeno J.W. Goethe, H. Heine, E. Mörike, R. Dehmel) e che ebbe peso notevole nell'amicizia che legò B. Croce a suo cognato K. Vossler. Entrato a far parte del ruolo delle biblioteche statali nel 1902, diresse le biblioteche Lancisiana, Angelica e Casanatense di Roma, la Braidense di Milano, quindi per un breve periodo la Estense di Modena. Si ritirò dal servizio attivo nel 1941. Fu esperto di legatura e di materiali antichi (Mostra geografica della Biblioteca nazionale [Braidense] di Milano. Manoscritti a stampa dei secoli XV-XIX, Milano 1927; La legatura della Bibbia di Borso e le legature artistiche esistenti a Modena, in Accademie e biblioteche d'Italia, XIV [1939], 2, pp. 103-107; Mostra delle legature artistiche esistenti a Modena, Modena 1939). Poeta egli stesso sulle orme del padre, pubblicò versi: Prime rondini (Firenze 1898), Canti di sogno (Roma 1926), Liriche del nostro tempo, in Convivium, 1939, n. 6, pp. 589-593, I dodici mesi. 24 liriche di T. G. (Roma 1949), Io non posso morire (con prefaz. di F. Palazzi, Genova 1953). Aveva sposato Gabriella von Tettenborn (1872-1934).

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio privato della famiglia Gnoli. Vasta eco suscitò la scomparsa dello G.; fra i necrologi si vedano quello apparso in La Bibliofilia, XVII (1915), 1, p. 44, nonché - d'ampio respiro e documentato - quello a firma G. Bellonci, in Giornale d'Italia, 14 apr. 1915; una visita alla casa degli Gnoli è raccontata da L. Colet, in L'Italie des Italiens, IV, Rome, Paris 1864, pp. 65-69; Carteggio D'Ancona, III, D'Ancona - Gnoli, a cura di P. Cudini, Pisa 1972; P.E. Castagnola, I poeti romani della seconda metà del sec. XIX, Imola 1895, passim; A. Graf, Anime di poeti: Giovanni Bertacchi e Giulio Orsini, in Nuova Antologia, 1° apr. 1904, pp. 420-436; G.S. Gargano, Il caso Orsini, in Il Marzocco, 5 giugno 1904, p. 1; D. Angeli, Il caso G., ibid., 16 lug. 1906, p. 2; C. Calcaterra, Dal Gaddi all'Orsini, in Id., Studi critici, Asti 1911, pp. 45-87; S. D'Amico, Giulio Orsini e Vittoria Aganoor, in L'Idea nazionale, 13 apr. 1921; M. Stella, Profilo biografico di D. G., in Le Lettere, 9 apr. 1921; C. Calcaterra, Un romanzo vissuto di Vittoria Aganoor, in La Lettura, 1° febbr. 1924; A. Gnoli, D. G. e la vita romana prima del 1870, in Roma, II (1924), ff. 10-11, pp. 1-27; M. De Camillis, D. G., letterato e poeta, Napoli 1925; A. Momigliano, Impressioni di un lettore contemporaneo, Milano 1928, pp. 62-65; B. Croce, Giulio Orsini, in Id., La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, IV, Bari 1929, pp. 157-166; C. Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929, pp. 58 s.; L. Folgore, L'imperruccato. Parodia di Giulio Orsini, in Id., Poeti controluce. Parodie, prima serie, Foligno-Roma 1932, pp. 75-79; G. Ruberti, D. G. bibliotecario e scrittore, in Accademie e biblioteche d'Italia, IX (1935), 1, pp. 5-15; U. Bosco, D. G. e la poesia del primo Novecento, in Rendiconti dell'Accademia naz. dei Lincei, cl. di scienze morali, s. 4, XII (1936), pp. 363-371; R. Forcella, D'Annunzio. 1887. Guida bibl., Firenze 1937, pp. 412-414; S. Negro, Seconda Roma. 1850-1870, Milano 1943, pp. 234-241; P.P. Trompeo, D. G. romano, in Id., Carducci e D'Annunzio, Roma 1943, pp. 227-249; L. Baldacci, D. G., in Poeti minori dell'Ottocento, I, a cura di L. Baldacci, Milano-Napoli 1958, pp. 1195-1197 (con bibl.); G. Orioli, Profilo d'un poeta ed erudito di Roma, in Strenna dei romanisti, XXIII (1962), pp. 250-254; G. Contini, Innovazioni metriche italiane fra Otto e Novecento, in Id., Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino 1970, pp. 587-599; M.G. Accorsi, Dalla "Diamante" ai Testi di lingua, in Carducci e Bologna, a cura di G. Fasoli - M. Saccenti, Bologna 1985, p. 148; A. Venturi, Memorie autobiografiche, Torino 1991, pp. 13 s., 63-65, 84 s.; G. Agosti, La nascita della storia dell'arte in Italia. Adolfo Venturi: dal museo all'università, 1880-1940, Venezia 1996, pp. 75-79, 83-93 e passim; A. Cimmino, Cultura e letteratura nello Stato del Lazio (1860-1870), in Lo Stato del Lazio, 1860-1870, a cura di F. Bartoccini - D. Strangio, Roma 1997, pp. 231-256; S. Giovanardi, La poesia dell'Italia unita, in Storia generale della letteratura italiana (Motta), IX, La letteratura dell'età industriale. Il secondo Ottocento, Milano 1999, in partic. pp. 598-600; G. de Gregori - S. Buttò, Per una storia dei bibliotecari italiani del XX secolo. Diz. bio-bibl. 1900-1990, Roma 1999, pp. 101 s. (con bibl.; pp. 103 s. per Tommaso iunior); Dictionnaire d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXI, coll. 263 s. (per Tommaso senior).

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