GUARDI, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUARDI, Domenico

Michele Di Monte

Nacque a Mastellina (ora comune di Commezzadura) nella Val di Sole, in Trentino, dove ricevette il battesimo il 22 maggio 1678. Il padre, Guardo de Guardi, era discendente di una famiglia la cui continuativa presenza nella Val di Sole è attestata almeno dal XVI secolo, come si evince dai documenti rintracciati e resi noti da Ciccolini.

Benché nel 1643 i Guardi - che intanto si erano divisi in due rami: quello di Mastellina e quello di Almazzago - fossero stati insigniti del titolo nobiliare dall'imperatore Ferdinando III, Guardo non doveva disporre di cospicue risorse economiche, non essendo primogenito e dovendo per di più mantenere una famiglia assai numerosa. A queste ragioni si può forse far risalire la decisione di inviare il figlio, cadetto e primo nella storia dei Guardi a scegliere il mestiere di pittore, a cercar fortuna a Vienna.

Nella capitale asburgica la famiglia poteva contare certamente su vari appoggi: in primo luogo, la presenza dello zio paterno del G., Giovanni, che era stato avviato alla carriera ecclesiastica ed era diventato canonico della cattedrale di S. Stefano. A Vienna era poi attiva una piccola comunità di emigranti, per così dire, della Val di Sole, che aveva conservato vincoli di solidarietà e amicizia e contava altri parenti dei Guardi. Nella grande metropoli europea sarebbe stato inoltre più facile per un pittore trovare favorevoli occasioni di collocamento, magari potendo valersi della mediazione di altri artisti già bene introdotti a corte, come Peter Strudel, anch'egli di origine trentina, di Cles nella Val di Non. L'ipotesi poi che il G. possa essere stato per qualche tempo alunno di Strudel - che nel 1689 era stato nominato pittore di corte e già nel 1692 aveva fondato a Vienna un'accademia privata - per quanto plausibile non pare suffragata da sicure evidenze documentarie né argomentabile sulla base di affidabili confronti stilistici, ché tuttora completamente ignota è la produzione artistica del G. durante il soggiorno austriaco. D'altra parte restano ugualmente congetturali le supposizioni circa il possibile iter formativo del giovane pittore, che avrebbe potuto acquisire i primissimi rudimenti dell'arte già nel nativo Trentino, dove pure non mancavano botteghe di qualche notorietà, come quella di Giuseppe Alberti, nella vicina Cavalese, in Val di Fiemme.

È piuttosto probabile che il G. abbia cominciato a formarsi una vera personalità e identità artistica soltanto nell'ambiente viennese, tanto più se il suo trasferimento ebbe luogo assai precocemente, già all'inizio degli anni Novanta, come vorrebbe una tradizione critica che risale fino alle ricerche ottocentesche dell'erudito trentino P. Bernardelli, il primo vero studioso dei Guardi, le cui fatiche, pur restando inedite, hanno costituito il punto di partenza per tutte le successive indagini. Documentati sono invece i rapporti personali, anche se non strettamente professionali, con il pittore veneto Antonio Bellucci, che in quegli anni lavorava per il principe di Liechtenstein e nel 1699 avrebbe tenuto a battesimo - insieme con un altro artista di origine italiana, lo scultore Johann Stanetti - il primogenito del G., Giovanni Antonio. I contatti con la famiglia Bellucci erano destinati a durare; e nel 1715, a Venezia, il figlio di Antonio, Giovanni Battista, faceva da padrino dell'ultimogenito del G., Nicolò.

Ma la circostanza più saliente del soggiorno austriaco dell'artista è il fatto che a Vienna egli entrò probabilmente in contatto con la famiglia Giovanelli, il cui interessamento si sarebbe rivelato decisivo, di lì a qualche anno, non solo per la carriera e le private vicende familiari del G., ma anche per quelle dei suoi due più celebri figli pittori: Giovanni Antonio e Francesco.

I Giovanelli, ricchi mercanti di origine bergamasca, si erano andati conquistando sul finire del XVII secolo, grazie soprattutto a ingenti fortune economiche, uno status sociale di notevole prestigio: detenevano vaste proprietà in Veneto, nel Bergamasco, in Tirolo; erano stati ammessi al patriziato veneziano e dal 1678 potevano fregiarsi del titolo comitale del Sacro Romano Impero, conferito loro dall'imperatore Leopoldo I. In quanto nobili di recente acquisizione erano dunque anche propensi a impegnarsi in committenze e investimenti artistici. Giovanni Paolo e il fratello Giovanni Benedetto erano poi soliti soggiornare in Val di Sole, ciò che avrebbe potuto costituire un'occasione di diretto contatto con la famiglia Guardi. Inoltre, possedevano un palazzo a Vienna e intrattenevano frequenti rapporti con la città anche per il tramite di un loro fiduciario, Domenico Lorenzo, pure lui originario della Val di Sole e canonico della cattedrale di S. Stefano, come lo zio paterno del G., che di certo doveva conoscere personalmente.

Il giovane G. cominciò verosimilmente ben per tempo a frequentare l'ambiente dei Giovanelli e non è escluso che proprio in quest'ambito egli abbia avuto modo di conoscere anche la sua futura consorte, Maria Claudia Pichler (Montecuccoli degli Erri, p. 17). La Pichler aveva cinque anni più del G., essendo nata il 25 maggio del 1673, e come lui era arrivata a Vienna dalla nativa Egna (Bolzano). I due si sposarono il 12 marzo del 1698 e poco più di un anno dopo ebbero il loro primo figlio.

Non molto più tardi però, forse già durante l'anno 1700, la famiglia Guardi lasciò Vienna per trasferirsi a Venezia.

Dopo le recenti, attente ricognizioni archivistiche e documentarie di Montecuccoli degli Erri sembra verosimile ipotizzare che il trasferimento del G. con la sua famiglia nella città lagunare, dove nel luglio del 1700 è documentato anche Bellucci, sia stato motivato principalmente dal desiderio di conservare, e se possibile rinsaldare, i legami, già avviati a Vienna, con l'entourage dei Giovanelli, in particolare con i fratelli Giovanni Paolo e Giovanni Benedetto che proprio in quel torno di anni eleggevano Venezia a propria sede principale di residenza. Già nel 1697, infatti, i conti Giovanelli si erano stabiliti in contrada S. Felice, per trasferirsi più tardi, nel 1712, nel più prestigioso e più consono palazzo Zane a S. Stin.

A Venezia il G. andò ad abitare probabilmente in contrada S. Polo, come si può inferire dal fatto che in quella parrocchia venne registrato l'atto di battesimo della seconda figlia, Maria Cecilia, nata il 23 giugno 1702. A conferma dei personali rapporti che vincolavano i Guardi alla famiglia dei Giovanelli, Giovanni Paolo risulta presente alla cerimonia in qualità di padrino della neonata (Binion, p. 80).

E non è meno sintomatico, in ordine a questo punto, che quando diciassette anni dopo, il 21 nov. 1719, la stessa Maria Cecilia andò in sposa al pittore Giambattista Tiepolo, a fare da testimoni vennero scelti - oltre al collega di Giambattista, il pittore Fortunato Pasquetti - anche Carlo Bianchini e don Giovanni Battista Passirani, rispettivamente maestro di casa e uomo di stretta fiducia dei Giovanelli, i quali dichiararono appunto al processo di "stato libero", preliminare alle nozze, di conoscere Maria Cecilia "da ché è nata havendo da tempo praticato con tutta la famiglia" (Montecuccoli degli Erri, p. 17).

Anche questa nuova sistemazione veneziana del G. dovette però essere temporanea, poiché dopo il 1702 non vi sono più tracce documentarie della sua presenza e di quella dei familiari in contrada S. Polo. È anzi possibile che la famiglia del pittore avesse cambiato domicilio già dall'anno successivo, prendendo dimora in parrocchia di S. Maria Formosa.

Il certificato di morte della moglie, datato 21 genn. 1743, attesta, infatti, che la donna aveva abitato in quella contrada per quarant'anni, quindi almeno dagli inizi del 1703. In ogni caso, presso la parrocchia di S. Maria Formosa vennero registrati gli atti di battesimo degli altri quattro figli del G.: Iseppo Benedetto, il 3 febbr. 1705; Iseppo Piero, il 29 giugno 1709; il poi celebre Francesco, battezzato il 5 ott. 1712 e infine, il 9 dic. 1715, l'ultimogenito Nicolò, che divenne anch'egli pittore.

Questo dato, oltre a un mero valore documentario e biografico, riveste pure un certo interesse critico, dal momento che permette di mettere in dubbio che il G. si fosse trasferito in contrada dei Ss. Apostoli - come è stato spesso ripetuto nella letteratura specialistica - dove avrebbe tenuto anche una bottega di pittore, ereditata poi dal primogenito.

Più recentemente è stato possibile individuare con maggior precisione il luogo e l'abitazione in cui il G. trascorse gli ultimi anni del suo soggiorno veneziano. Se infatti dai catasti settecenteschi relativi ai censimenti per la riscossione delle decime non risulta alcun contratto di locazione sotto il nome del G., ciò si deve al fatto che la famiglia del pittore divideva con altri affittuari la propria abitazione, sita in Barbaria delle Tole - in parrocchia di S. Maria Formosa appunto - pagando metà della pigione, 66 ducati annui, al proprietario Pietro Trevisan, come si rileva dalla "condizione di decima" denunciata da quest'ultimo nell'anno 1712. Quanto all'entità dell'affitto, piuttosto consistente all'epoca, almeno per le possibilità di un pittore, si è ipotizzato (Montecuccoli degli Erri, p. 62) che la spesa potesse essere sostenuta, in tutto o in parte, dai committenti e protettori Giovanelli, i quali, anche dopo la morte del G., avrebbero continuato a preoccuparsi delle non certo rosee condizioni economiche della vedova e dei figli, accollandosi l'onere dell'affitto di Giovanni Antonio, pagando le spese per il matrimonio di Maria Cecilia e sborsando infine i denari necessari per la cerimonia funebre del G. stesso.

In verità il bilancio domestico dei Guardi non dovette mai essere propriamente florido, soprattutto dopo che la famiglia si era accresciuta, e con poche occasioni per far fortuna e affermarsi sul variegato ma concorrenziale mercato veneziano. Se infatti oscuri restano finora gli esordi della carriera artistica del G. a Vienna, poco o nulla si sa anche a proposito della sua produzione pittorica nella Serenissima, dove certo non lasciò tracce, pubbliche almeno, di una qualche rilevanza, benché risulti iscritto - sia pur tardivamente, nel 1715 - al Collegio dei pittori.

Forse gli fu in questo di impedimento, non meno che di sostegno - e indipendentemente da qualità e meriti oggi non sufficientemente valutabili - il legame che egli strinse con i Giovanelli. Tale legame, se andò oltre i limiti di un mero rapporto occasionale di committenza, poté però eventualmente trasformarsi in una sorta di dipendenza esclusiva, garantendo al giovane una dignitosa sussistenza, ma precludendogli forse ulteriori opportunità professionali.

È negli epistolari e nelle carte d'archivio dei Giovanelli che si sono ritrovati finora gli unici sparuti riferimenti a opere realizzate dal pittore: in una lettera da Noventa Padovana del 28 sett. 1709, inviata dal conte Giovanni Paolo al fratello, a Venezia, si fa menzione di una "cena piccola" dipinta dal G. e promessa come dono a un non specificato destinatario (Montecuccoli degli Erri, p. 18). Troppo poco, evidentemente, per tentare identificazioni. Ma tracce documentarie come questa, e altre simili in cui è memoria di piccoli donativi, modeste somme elargite al pittore anche indipendentemente da specifiche prestazioni professionali, suggeriscono comunque che i facoltosi fratelli si servissero del G. quasi come di un pittore "di casa", al quale affidare incarichi di minor conto, quali la realizzazione di copie - attività per la quale furono poi impiegati anche i suoi figli - da donare ad amici e conoscenti, o con cui decorare residenze, ville e cappelle private sparse nelle varie proprietà della famiglia.

A quest'ultima esigenza rispondeva per certo quella che resta sinora l'unica opera documentariamente accertata e individuabile commissionata al G., e forse l'ultima da lui licenziata. In un elenco di spese manoscritto, datato 1717, Giovanni Benedetto Giovanelli annotò infatti dei pagamenti versati "alla vedova del Guardi per conto della pittura fatta per le Valtriche" (Montecuccoli degli Erri, p. 19), pittura identificata nella piccola pala con S. Zenone oggi custodita nella sagrestia della parrocchiale di Valtrighe, ma originariamente destinata all'antica chiesa del minuscolo villaggio del Bergamasco possedimento dei Giovanelli.

Ammettendo che analoghe commissioni venissero affidate più o meno regolarmente allo stesso pittore, ulteriori possibili presenze dell'opera del G. per i suoi protettori e committenti sono state ancora riconosciute nella chiesa di S. Salvatore a Morengo e nella parrocchiale di Luzzana, nella Val Cavallina (anche questi piccolissimi centri nei dintorni di Bergamo).

Nella prima gli sono stati ascritti, per ragioni cronologiche, i due quadri presbiteriali, segnati 1700, che replicano i grandi teleri tintoretteschi di S. Giorgio - l'Ultima Cena e la Caduta della manna - e che costituirebbero la primissima testimonianza dell'attività del pittore dopo il trasferimento a Venezia. Nella seconda spetterebbe all'artista almeno una delle quattro tele di soggetto cristologico donate alla chiesa dai Giovanelli: un Cristo davanti a Caifa, datato 1711, copia da un originale di Palma il Giovane, Iacopo Negretti, nella chiesa veneziana di S. Giovanni in Bragora.

Al magro, forzatamente ipotetico e provvisorio, catalogo del G. si potrebbero ancora aggiungere i due dipinti laterali della cappella maggiore della parrocchiale di Noventa Padovana - altro feudo della famiglia Giovanelli - con l'Adorazione dei magi e la Circoncisione, entrambi databili a ridosso della riedificazione della chiesa, terminata nel 1714.

Resta infine da menzionare la proposta attributiva avanzata da Pedrocco, il quale ha voluto riconoscere nelle quattro piccole tele dell'Accademia dei Concordi di Rovigo - che illustrano exempla virtutis della storia greca e romana: le morti eroiche di Temistocle, Licurgo, Marco Curzio e Orazio Coclite - delle copie che il G. avrebbe derivato dalle pitture del salone della villa Giovanelli a Noventa Padovana, realizzate agli inizi del secolo da Giannantonio Pellegrini, piuttosto che i bozzetti preparatori degli affreschi, come tradizionalmente ritenuto. Attribuzione, basata su considerazioni di ordine stilistico, per cui nell'abbreviazione plastica e nell'evaporazione del tessuto disegnativo delle quattro telette sarebbe da ravvisare una prolessi di alcuni tratti caratteristici di quella che doveva divenire la maniera di Giovanni Antonio, il quale, ancorché giovanissimo, potrebbe aver affiancato il padre in almeno alcune delle ultime commissioni.

Un corpus, quello delle opere del G., troppo modesto, e per numeri e per qualità, per poterne dedurre elementi utili alla delucidazione di un profilo critico o alla ricostruzione delle tappe di sviluppo di una vera e propria personalità artistica.

Il G. morì trentottenne a Venezia, il 16 ott. 1716, stroncato da una febbre durata undici giorni, nella casa in contrada di S. Maria Formosa.

L'ultima notizia che lo riguarda è conservata nelle private scritture contabili del conte Giovanni Benedetto Giovanelli, il quale, in data 29 apr. 1717, registrò scrupolosamente la spesa delle candele per il funerale del suo pittore "di casa" (Montecuccoli degli Erri, p. 18).

L'ultimogenito del G., Nicolò, nacque a Venezia il 9 dic. 1715. Perduto il padre ad appena un anno di età, il suo vero maestro dovette essere il fratello Giovanni Antonio, che aveva sedici anni più di lui. Praticamente del tutto ignote sono le vicende della sua attività di pittore, né esistono documenti anche indiretti che rendano possibile l'identificazione di qualche sua opera. Si può ipotizzare che il più giovane dei figli del G. cominciò a praticare la pittura nell'ambito strettamente familiare, accanto al quasi coetaneo fratello Francesco, eventualmente coinvolto come assistente in alcune delle commissioni affidate a Giovanni Antonio. Le uniche testimonianze superstiti circa la sua professione di pittore provengono dal Catalogo dei quadri esistenti in casa del sig. don Giovanni Vianelli di Chioggia, in cui Nicolò è detto "paesaggista di nome" (p. 42). Il Vianelli, d'altra parte era in quegli anni uno dei pochi espliciti estimatori dell'arte di Francesco Guardi, nonché collezionista dei suoi quadri. Un'altra fugace informazione sull'attività di Nicolò si trova nella testimonianza lasciata allo studioso P. Bernardelli da un omonimo nipote dell'artista, il quale a metà dell'Ottocento ricordava il suo avo come "esimio pittor di camera" (Simonson, p. 84).

Quest'espressione ha suggerito l'ipotesi che Nicolò avesse lavorato soprattutto come decoratore di interni, esecutore di apparati esornativi di second'ordine che ne avrebbero decretato così il totale anonimato nei documenti dell'epoca. Ma è altrettanto probabile che egli fosse attivo come pittore di vedute accanto al fratello (Montecuccoli degli Erri, 2002). Vari sono stati i tentativi di divinare la mano di Nicolò nelle opere dei fratelli, basandosi su speculazioni di ordine stilistico, e di assegnare a lui un certo numero di quadri di vedute all'interno del corpus di dipinti, non ancora compiutamente stabile, di Francesco. Da ultimo, Succi ha proposto di attribuirgli in via del tutto ipotetica alcune vedute che sembrano denunciare caratteri esecutivi relativamente omogenei, come il Canal Grande a Ca' Pesaro della National Gallery di Londra, già espunto dal catalogo di Francesco, o la coppia di tele del Museum of art di Baltimora con La chiesa della Salute e il Canal Grande a S. Geremia, databili per motivi topografici tra 1745 e 1753. Dipinti cui dovrebbero assimilarsi anche le quattro vedute dell'Accademia di Vienna, pure posteriori al 1744.

Nicolò morì a Venezia nel 1786.

Fonti e Bibl.: G. Simonson, Francesco Guardi, London 1904, pp. 75, 84 (per Nicolò); P. Panizza, Francesco Guardi, Trento 1912, pp. 8-11; F. De Maffei, Gian Antonio Guardi pittore di figura, Verona 1951, ad indicem; G. Ciccolini, La famiglia e la patria dei Guardi, in Studi trentini di scienze storiche, XXXIII (1953), pp. 41-45, 55 s., 189 s., 197; R. Gallo, Note d'archivio su Francesco Guardi, in Arte veneta, VII (1953), pp. 153-156; N. Rasmo, Recenti contributi a Giannantonio Guardi, in Cultura atesina, IX (1955), pp. 150-159; M. Muraro, The Guardi problem and the statutes of the Venetian guilds, in The Burlington Magazine, CII (1960), pp. 421-428; F.J.B. Watson, The Guardi family of painters, in Journal of the Royal Society of arts, XIV (1965-66), pp. 266-289; A. Morassi, Guardi. I dipinti, I, Venezia 1973, pp. 27-30; A. Binion, Antonio and Francesco Guardi. Their life and milieu, New York-Londra 1976, pp. 72-83; F. Montecuccoli degli Erri, D. e Antonio Guardi e i loro patroni, in F. Pedrocco - F. Montecuccoli degli Erri, Antonio Guardi, Milano 1992, pp. 9-66; F. Pedrocco, ibid., p. 123; F. Montecuccoli degli Erri, Nuovi dettagli sull'attività dei fratelli Guardi, in Guardi. Vedute, capricci, feste, disegni e quadri "turcheschi", a cura di A. Bettagno, Venezia 2002; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 166 (p. 171 per Nicolò).

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