PAGANELLI, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PAGANELLI, Domenico

Davide Righini

PAGANELLI, Domenico (al secolo Stefano). – Terzogenito di Vincenzo, di famiglia nobile, e di Caterina Calderoni, fratello del pittore Niccolò, nacque a Faenza nel 1545 e gli fu imposto il nome di Stefano (Marchese, 1854, p. 313).

Il 5 giugno 1562, nel locale monastero dei domenicani annesso alla chiesa di S. Andrea in Vineis (distrutta e riedificata nel 1761-65, ora S. Domenico), entrò nell’Ordine assumendo il nome di frate Domenico. Compiuto l’anno di noviziato, il 6 giugno 1563 fu mandato a Bologna, dove studiò filosofia e teologia, interessandosi anche alla matematica e all’architettura. Negli anni 1567-82 circa insegnò teologia e matematica a Pavia e successivamente a Bologna, Reggio nell’Emilia, Verona e Fermo, città dove in alcuni periodi fu nominato priore (ibid., p. 314).

Rientrato a Faenza, nel 1583 ricevette da parte del Consiglio comunale l’incarico di realizzare un acquedotto per alimentare la città. Individuò la sorgente di captazione vicino alla località Errano, verso Brisighella, nella valle del Lamone, e diresse la costruzione di un tratto del condotto sotterraneo. I lavori si interruppero però a fine ottobre e verso la fine dell’anno Paganelli partì per Roma (ibid., p. 317). Nel corso del viaggio, si fermò per più di un anno a Loreto dove, in qualità di architetto della S. Casa, si occupò dell’acquedotto in costruzione per il territorio lauretano (Valgimigli, 1877, pp. 236 s.; il suo nome non compare però nell’elenco degli architetti lauretani redatto da F. Grimaldi, Guida degli archivi lauretani, Roma 1985, p. 90). In questo stesso periodo fu nominato «ingegnere di tutta la Marca» (Valgimigli, 1877, p. 237).

Giunto a Roma nel 1585 (Marchese, 1854, p. 314), fu coinvolto in una serie di importanti commissioni affidategli da alcune famiglie nobili e dalla corte pontificia. Circa alla fine dello stesso anno, partecipò ai lavori di ampliamento del palazzo posto nell’area dei Ss. Apostoli che il cardinale Michele Bonelli, anch’egli domenicano e cardinal nepote durante il pontificato di Pio V, nel novembre 1585 aveva acquistato da Giacomo Boncompagni (poi della famiglia Imperiali, quindi dei Valentini, che entrambi vi apportarono modifiche e ampliamenti; ora sede della Provincia).

Nella fabbrica, già in fase di ristrutturazione, Paganelli diresse i lavori del cantiere, probabilmente rielaborando progetti di Martino Longhi e di Ottaviano Mascherino, architetti attivi per conto dei Boncompagni. In seguito all’acquisto di case contigue, regolarizzò l’intera forma dell’isolato che, mutando la fisionomia del blocco cinquecentesco della fabbrica, assunse la definitiva configurazione trapezoidale (Cola, 2012, pp. 91-109). Ideò poi, riprendendo soluzioni stilistiche e tecniche costruttive di tradizione longhiana, i prospetti esterni, l’impaginato del cortile, lo scalone e curò la sistemazione delle parti interne.

I lavori, oramai in fase di ultimazione, si intensificarono nel corso del 1592 e furono saldati tra il 1594 e il 1596, anni in cui Paganelli ricevette dal cardinale Bonelli compensi relativi a consulenze anche fuori Roma.

Nel maggio 1591 per il cardinale Girolamo Bernerio portò a compimento la fabbrica del convento della chiesa di S. Sabina a Roma enel 1592 fu coinvolto nella costruzione della chiesa di S. Salvatore in Lauro, dal 1590 sotto la protezione cardinalizia di Bonelli (Cola, 2012, p. 178). La progettazione dell’edificio è tradizionalmente ritenuta del Mascherino, nonostante alcune fonti più o meno coeve indichino Paganelli come autore della sua realizzazione (Gandolfi, 1989-90, pp. 75, 77). Il nome di Paganelli compare inoltre in un elenco degli architetti attivi nel cantiere domenicano della chiesa dei Ss. Domenico e Sisto a Magnanapoli (Bernardini - Verdesi, 1988).

Nel 1604 fu coinvolto in lavori nel giardino della villa Belpoggio a Frascati (ora Sciarra), per conto di Marcello Vestri, figlio del noto giurista Ottaviano, di famiglia imolese, e segretario dei Brevi ai Principi fin dal pontificato di Sisto V (Guerrieri Borsoi, 2008, p. 352). In questi anni compì anche opere di sistemazione e di ampliamento nel palazzo in piazza Argentina che il cardinale Ottavio Paravicini aveva acquistato nel 1606 da Francesco Rustici (poi degli Strozzi, che ingrandirono e trasformarono l’edificio, ora Besso; Id., 2000, pp. 42, 51).

Da papa Clemente VIII era stato intanto nominato soprintendente alla Fabbrica di S. Pietro e nel 1598 vicemaestro del Palazzo Vaticano fino al ritorno a Roma del pontefice, recatosi a Ferrara per prendere possesso della città. Documentato «Architetto di Palazzo» dal febbraio 1605 al gennaio 1607 (Fumagalli, 1996, p. 341), allorché fu sostituito da Flaminio Ponzio, durante questo periodo eseguì lavori nella sala del Redentore (posta all’interno dell’appartamento delle Udienze), occupandosi probabilmente dell’iniziale fase di sistemazione dell’appartamento di Paolo V (ibid.).

Mentre risiedeva a Roma, compiendo forse brevi soggiorni nella città natale, stese progetti per edifici da erigersi a Faenza e in altre località.

Nell’aprile 1595 fu incaricato di ideare, per la chiesa di S. Andrea in Vineis a Faenza, l’altare maggiore (sostituito già nel 1704) e quello di S. Giacinto per la cappella Paganelli. Al novembre dello stesso anno risalgono i disegni, non attuati, per la costruzione del santuario della Madonna di Vicoforte a Mondovì, patrocinata da Carlo Emanuele di Savoia (Carboneri, 1966). Inviò anche i disegni per la torre dell’orologio a Faenza, per la cui costruzione fu nominato perito nel 1611 (distruttadurante l’ultima guerra ma poi ricostruita; Cola, 2012, p. 179). Nel monastero annesso alla chiesa di S. Andrea in Vineis, gravemente danneggiato nel 1594 per il crollo del campanile, nel 1607 fece costruire e decorare a sue spese le volte del dormitorio e del corridoio; realizzò inoltre la fabbrica destinata al noviziato, parte del refettorio, la farmacia e le camere superiori (parti perdute). Nel 1612 diresse i lavori per la realizzazione della cisterna del primo chiostro e diede il disegno per la riedificazione della cappella della Madonna del Rosario (eretta nel 1611-13; poi distrutta).

Nell’ottobre del 1613, ricevuto l’incarico da parte del cardinale Domenico Ginnasi di costruire un monastero a Castelbolognese destinato alle suore domenicane della Ss. Trinità, fece ritorno a Faenza.

La posa della prima pietra era stata posta il 24 giugno(Il monastero della Ss. Trinità in Castelbolognese, Imola 1913, p. 22) e i lavori furono ultimati nel successivo autunno, con modifiche apportate nei mesi seguenti. La costruzione, impostata su linee semplici e severe, inglobava preesistenze medievali (alcuni resti sono evidenziati in facciata), e, sul retro, si addossavaai ruderi delle antiche mura.

A Castelbolognese, nel 1615, sempre per conto del cardinale Ginnasi, progettò il palazzo per il prelato, nativo del luogo.

L’opera riprendeva in facciata un progetto assegnato al Mascherino per il palazzo Bonelli, con sovrapposizione di lesene dal portico a bugnato al piano nobile, contrassegnato dall’alternanza di finestre con frontoni e cimase, fino all’attico con aperture quadrangolari. L’idea originale prevedeva una configurazione più estesa delle sette campate realizzate, ora con ingresso principale decentrato e un’ottava edificata solo nel portico, mentre perduti sono due lati del cortile quadriporticato a doppio ordine.

Nel frattempo, nell’ottobre 1615, ripresero, sempre sotto la direzione di Paganelli, i lavori dell’acquedotto di Faenza. Già avviati nel giugno 1583 ma subito interrotti, alla fine di luglio 1616, per volere del cardinale legato Domenico Rivarola, la conduttura fu realizzata e il 26 ottobre diede acqua nella piazza principale della città (ora della Libertà). A Paganelli si affidò anche la progettazione della fontana di piazza, la cui paternità risulta però controversa per la non chiara ripartizione dei ruoli con l’architetto protetto da Rivarola, Domenico Castelli, presente in Romagna dal 1614 per lavori di bonifica, il quale eseguì la pianta (perduta; Valgimigli, 1877, p. 239) che eseguì la pianta. Non è infatti esclusa una collaborazione di Paganelli, a cui comunque si deve il coinvolgimento degli scultori recanatesi Pietro Paolo e Tarquinio Iacometti per l’esecuzione dei bronzi (Righini, in c.d.s.); un ruolo ideativo ebbe forse anche Virgilio Spada, di cui Paganelli fu maestro di architettura. Quest’ultimo, attorno al 1617, fu inoltre coinvolto in una consulenza per la costruzione del casino che gli Spada possedevano a Russi, nella campagna ravennate (Heimbürger Ravalli, 1977, p. 29).

Nel novembre 1618 e nel luglio 1619 si recò a Perugia per sovraintendere ai lavori di ristrutturazione della basilica di S. Domenico, promossi dal cardinale Scipione Borghese. Rientrato a Faenza, nel 1620 tracciò il disegno per la nuova abside della chiesa di S. Andrea in Vineis, eretta a sue spese e compiuta nel luglio 1621.

All’interno di questa stessa chiesa fu poi collocato il coro ligneo eseguito sempre su suo disegno e realizzato dagli artigiani Luigi e Alessandro Chiodaroli che, il 6 giugno 1622, firmarono i capitolati. Ancora in loco, fu ideato in forma rettangolare con 54 stalli suddivisi in due ali di cui 15 nella parte superiore e 12 in quella inferiore.

Nel 1619 aveva iniziato a progettare la sua opera più nota, la cappella della Madonna del Fuoco nel duomo di Forlì. I lavori, iniziati il 9 luglio, furono completati intorno al 1631, sette anni dopo la morte dell’architetto.

In perfetta simmetria con la speculare cappella della Canonica, ideata nel 1490 da Pace di Maso del Bambase, Paganelli ideò un vano quadrato diviso in tre navate, sormontato da un alto tamburo ottagonale dotato di finestre su tutti i lati e coronato da una cupola ogivale con slanciata lanterna. La soluzione, estremamente aerea e luminosa, fu in seguito tradita con l’accecamento di quattro finestre del tamburo e della lanterna della volta, in origine non destinata ad affreschi (poi eseguiti da Carlo Cignani).

Morì a Faenza il 20 febbraio 1624 nel monastero di S. Andrea in Vineis, dove fu sepolto (Valgimigli, 1877, p. 241).

La ricca biblioteca di sua proprietà, composta di opere di letteratura prospettica, scientifica e astrologica e di testi legati alla pratica della professione, e i non pochi scritti delle scienze da lui coltivate sono andati probabilmente perduti (Marchese, 1854, p. 322; Cola, 2012, pp. 182 s.).

Fonti e Bibl.:V. Marchese, Del Padre D. P., architetto e ingegnere civile, in Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, II, Firenze 1854, pp. 312-322 (4a ed., Bologna 1879, II, pp. 397-412); M. Valgimigli, Cenni biografici intorno a D. P., in Atti e Memorie della R. Deputazione di storia patria per le province dell’Emilia, n.s., I (1877), pp. 233-244; N. Carboneri, Ascanio Vitozzi. Un architettotra manierismo e barocco, Roma 1966, pp. 66-69; M. Heimbürger Ravalli, Architettura scultura e arti minori nel barocco italiano. Ricerche nell’Archivio Spada, Firenze 1977, ad ind.; A. Pasini, Storia della Madonna del Fuoco di Forlì (1936), Forlì 1982; C. Grigioni, Scultori e architetti romagnoli in Roma nel XV e XVI secolo, in Romagna arte e storia, VIII (1988), 24, pp. 119-148 (con bibl.); V. Bernardini - G. Verdesi, La chiesa dei Ss. Domenico e Sisto a Roma. Fasi del cantiere da alcuni documenti inediti, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXII (1988), 50-51, pp. 123-160; G. Gandolfi, Nuove acquisizioni critiche sulla chiesa di S. Salvatore in Lauro, in Rassegna di architettura e urbanistica, XXIII (1989-90), 69-70, pp. 66-77; E. Fumagalli, Paolo V Borghese in Vaticano: appartamenti privati e di rappresentanza, in Storiadell’arte, 1996, n. 88, pp. 341-370; M.B. Guerrieri Borsoi, Palazzo Besso. La dimora dai Rustici ai Paravicini e gli affreschi di Tarquinio Ligustri, Roma 2000, pp. 42, 51; Id., Novità suvilla Belpoggio a Frascati, in Strenna dei romanisti, LXIX (2008), pp. 345-361; M. Tabarrini, Borromini e gli Spada: un palazzo e la committenza di una grande famiglia nella Roma barocca, Roma 2008, ad ind.; M.C. Cola, Palazzo Valentini a Roma: la committenza Zambeccari, Boncompagni, Bonelli fra Cinquecento e Settecento, Roma 2012, ad ind.; D. Righini, L’attività scultorea dei fratelli Iacometti per le fontane di Loreto e Faenza, in Notizie da palazzo Albani, 2012 (in corso di stampa); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, p. 135.

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