PIRAINO, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PIRAINO, Domenico

Elena Gaetana Faraci

PIRAINO, Domenico. – Nacque a Milazzo (Messina) il 17 marzo 1801 da Francesco e da Maria Picciolo.

Il padre, ricco commerciante e armatore, lo voleva coinvolgere nelle sue attività economiche, ma il giovane nutriva interesse per gli studi. Lasciata Milazzo, Domenico si stabilì a Messina, dove frequentò l’università e conseguì la laurea in giurisprudenza. Alla metà degli anni Trenta entrò nel movimento cospirativo e patriottico, prendendo contatti con Nicola Fabrizi, il quale, trasferitosi a Malta, era convinto che solo un’insurrezione iniziata nel Mezzogiorno, e in special modo in Sicilia, avrebbe potuto innescare la guerra nazionale.

Dopo le sollevazioni popolari del 1837 nelle principali città della Sicilia orientale (Messina, Catania e Siracusa), provocate dalla comparsa del colera, il governo di Napoli avviò una politica di dura repressione, che accrebbe tra i liberali e i democratici dell’isola un forte sentimento antiborbonico. Agli inizi degli anni Quaranta Piraino entrò in contatto con Giovanni Raffaele, il quale aveva stipulato un accordo con i patrioti napoletani per un’insurrezione generale del Regno e per un’autonomia amministrativa della Sicilia. Da quel momento, il patriota milazzese strinse buoni rapporti con il comitato rivoluzionario siculo-napoletano, mantenendo i collegamenti con il centro estero di Malta diretto da Fabrizi. Da allora il movimento rivoluzionario cercò di mobilitare insieme Napoli e la Sicilia. L’8 settembre 1847, Piraino fu arrestato quale preparatore del moto del 1° settembre e quale presunto complice della famosa Protesta del popolo delle Due Sicilie, redatta insieme a Luigi Settembrini e a Carlo Poerio.

Liberato il 18 gennaio 1848, una settimana dopo l’insurrezione di Palermo, Piraino divenne uno dei capi del movimento rivoluzionario, rivestendo importanti cariche nel governo dell’isola. Nel marzo 1848 fu eletto deputato al Parlamento della Sicilia e, il 29 dello stesso mese, fu nominato da Ruggero Settimo commissario generale per la provincia di Messina, con pieni poteri, civili e militari. La difesa della città fu difficile dal momento che la cittadella, con il forte del Salvatore e il bastione Don Blasco, era rimasta in possesso delle truppe borboniche e costituiva una grave minaccia non solo per Messina, ma per tutta la Sicilia. Per tali ragioni Fabrizi si affrettò a raggiungere la città dello stretto, ritenuta il cuore delle operazioni militari nell’isola. Il governo provvisorio gli riconobbe il grado di colonnello e lo impiegò subito in tutte le operazioni di guerra. Non bastò la sua presenza per incoraggiare i patrioti messinesi.

Gli ufficiali inviati dal governo siciliano volevano risolvere il problema con l’attacco alla cittadella. Piraino si oppose a tale strategia militare per la scarsa efficienza delle truppe siciliane, che avrebbe causato gravi perdite fra gli assalitori. Le sue proteste non furono accolte e il generale Vincenzo Giordano Orsini, comandante delle forze armate, procedette all’attacco, provocando così la caduta di Messina e poi la riconquista borbonica della Sicilia.

Fallita la rivoluzione, Piraino prese la via dell’esilio prima a Malta, a Genova, a Firenze, a Torino, poi a Parigi e a Londra.

La Sicilia, nonostante la restaurazione borbonica, restava una polveriera: cospirazioni e conati rivoluzionari contribuivano a rafforzare la posizione degli esuli, che discutevano sugli errori commessi. Piraino, nella sua corrispondenza e poi nelle sue Memorie, pubblicate postume, sostenne che la rivoluzione siciliana era stata opera concorde di tutti i ceti sociali per l’odio generale nei confronti della dinastia dei Borbone. Il popolo siciliano, quindi, era insorto seguendo la parola d’ordine dell’indipendenza, ma il governo rivoluzionario, con le arbitrarie destituzioni e sostituzioni del personale amministrativo e militare, aveva provocato un diffuso senso di inquietudine e sfiducia tra la popolazione. Un altro problema esaminato da Piraino era quello dell’organizzazione delle forze armate. Il governo, non riuscendo a imporre la coscrizione obbligatoria, non era stato in grado di formare schiere regolari, accogliendo elementi volontari quasi sempre scadenti. A proposito della caduta della città dello stretto, Piraino, inoltre, attribuì la colpa alla viltà degli ufficiali di carriera, esaltando il patriottismo del popolo messinese. Per tali motivi egli definì quel conflitto come «guerra di popolo che senza ordine, senza disciplina, senza capi, combatteva volontariamente da quattro giorni senza mai essere stato rafforzato da nuova gente» (Memorie storiche messinesi dell’ultima guerra..., 1929, p. 59).

Dopo la lezione del 1849, Piraino acquisì consapevolezza dell’impossibilità per la Sicilia di reggere da sola la controffensiva borbonica. Perciò cominciò a guardare alla causa nazionale, auspicando la libertà dagli stranieri e dai tiranni e la creazione di un regime monarchico e federale. A suo avviso, la Sicilia, liberando se stessa dalla dinastia dei Borbone, avrebbe contribuito alla soluzione della questione italiana. Nel compiere questa missione, i patrioti dell’isola, dopo l’amara esperienza del fallimento della rivoluzione, non dovevano fidarsi degli aiuti stranieri.

Di questa fase, fra il 1851 e il 1857, restano, e sono molto importanti come fonte, le lettere inviate da Piraino al marchese Vincenzo Fardella di Torrearsa, presidente del governo siciliano nell’ultima fase della rivoluzione. Spesso prolisse e tortuose, esse testimoniano lo scetticismo di Piraino nei confronti dei governi stranieri e la sua insistenza nell’orientare le iniziative «verso i nostri concittadini che finora sono stati da noi obliati e per cui colà si vive come nella Torre di Babele» (Trapani, Biblioteca Fardelliana, Fondo Fardella di Torrearsa, Carteggio Piraino-Fardella di Torrearsa, Parigi, 25 ottobre 1856).

Sempre attratto dal miraggio di un’iniziativa rivoluzionaria meridionale, Piraino continuava a nutrire molti dubbi sul ruolo nazionale del Piemonte. Nel frattempo, la congiura promossa da Francesco Bentivegna nel 1853, scoperta dalle autorità borboniche, era stata repressa così come la sollevazione organizzata dallo stesso patriota corleonese alla fine del 1856 nel quadro di un più ampio moto – fallito – che avrebbe dovuto esplodere in tutta la Sicilia nel gennaio 1857 su iniziativa di Fabrizi e sotto il controllo dei democratici, mentre l’Inghilterra ormai riteneva la causa del Piemonte più importante di quella siciliana. Di fronte a una situazione bloccata, Piraino, come altri patrioti, cominciò a guardare all’opzione sabauda, la quale avrebbe assicurato il successo delle operazioni militari e, al tempo stesso, avrebbe scongiurato il sovvertimento dei rapporti sociali. Erano le stesse posizioni di Fabrizi, che proprio nel 1859, alla vigilia della guerra del Piemonte contro l’Austria, aveva sostenuto la linea ‘nazionale’ e il sostegno alla monarchia costituzionale dei Savoia.

Dopo lo sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala, Piraino rientrò in Sicilia, mantenendo stretti rapporti con Fabrizi. Nel settembre 1860 il prodittatore Antonio Mordini lo chiamò a ricoprire l’importante carica di ministro degli Affari esteri e del Commercio, mentre Fabrizi dirigeva il ministero della Guerra. L’ultimo governo prodittatoriale aveva di fronte, oltre al problema militare dell’organizzazione dell’Esercito meridionale, anche quello politico dell’annessione. Diversamente dal predecessore Agostino Depretis, Mordini cercò di lasciare ogni decisione in materia a un’Assemblea siciliana liberamente eletta. Questa proposta fu respinta dal governo piemontese e, il 21 ottobre 1860, si celebrò il plebiscito che sancì l’annessione dell’isola al regno costituzionale di Vittorio Emanuele II. A quel punto il governo prodittatoriale si sciolse, ma Mordini, prima delle dimissioni, nominò Piraino governatore di Messina. Durante la Luogotenenza, il generale Alessandro Della Rovere, procedendo al riordino amministrativo e all’epurazione del personale politico vicino a Mordini, nell’agosto 1861 destituì Piraino dalla carica.

Su sollecitazione di Fabrizi, in occasione delle elezioni del gennaio 1861 per il primo Parlamento italiano, Piraino si era candidato nel collegio di Milazzo risultando vincitore al ballottaggio, ma la sua elezione era stata annullata per incompatibilità con l’incarico di governatore di Messina. In seguito, il sovrano lo chiamò a far parte del Senato del Regno; la sua nomina, risalente al 31 agosto 1861, fu convalidata il 7 luglio 1862.

Logorato ormai nella salute, morì a Messina un anno e mezzo più tardi, l’11 gennaio 1864.

Celibe e senza figli, fu sepolto a Milazzo nel santuario di S. Francesco di Paola.

Fonti e Bibl.: Delle carte di Domenico Piraino si conosce solo una parte, in quanto molte di queste furono distrutte dai suoi familiari già nel 1847 e nel 1849 per sottrarle alle perquisizioni della polizia. La parte più interessante rimasta è quella riguardante il 1848. Il primo e l’ultimo segmento delle Memorie di Piraino sono stati pubblicati dal pronipote Giovanni Cambria, in due volumetti: Memorie storiche messinesi dell’ultima guerra dal 3 al 7 settembre 1848, raccolte su manoscritti inediti e pubblicate a cura e spese di Giovanni Cambria, Messina 1929; Memorie storiche messinesi dal 1 settembre 1847 in poi, raccolte su manoscritti inediti e pubblicate a cura e spese di Giovanni Cambria, Messina 1930.

Una fonte importante per la conoscenza del personaggio è il Carteggio Piraino-Fardella di Torrearsa, custodito nel Fondo Fardella di Torrearsa presso la Biblioteca Fardelliana di Trapani. Lettere e documenti di Piraino sono conservati altresì nell’Archivio storico risorgimentale Antonio Mordini di Barga, Prodittatura di Sicilia, filza 14, f. B; filza 17, ff. Q, W, AA. Fonti importanti sono anche le testimonianze coeve e i carteggi pubblicati, tra cui: G. La Farina, Istoria documentata della Rivoluzione siciliana e delle sue relazioni co’ governi italiani e stranieri (1848-99), in Documenti della Guerra Santa d’Italia, Capolago 1850, ad ind.; P. Calvi, Memorie storiche e critiche della Rivoluzione siciliana del 1848, I-III, Londra [Malta] 1851, ad ind.; C. Gemelli, Storia della siciliana rivoluzione del 1848-49, II, Bologna 1867, ad ind.; Memorie della Rivoluzione siciliana dell’anno MDCCCXLVIII pubblicate nel cinquantesimo anniversario del XII gennaio di esso anno, Palermo 1898, pp. 10, 59, 72, 76, 141 s.; V. Fardella di Torrearsa, Ricordi su la rivoluzione siciliana degli anni 1848 e 1849, introduzione di F. Renda, Palermo 1988, ad ind.; C. Cavour, Epistolario, XVIII, 1, a cura di R. Roccia, Firenze 2008, pp. 414, 429.

Sulla figura, il pensiero, l’attività culturale e politica di Piraino si vedano: T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e d’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma 1880, p. 665; U. De Maria, L’opera degli emigrati siciliani nel Carteggio Torrearsa. Quadriennio 1857-1860, in La Sicilia nel Risorgimento italiano, I (1931), 1, pp. 57-112; P. Pieri, Messina e la Sicilia nel 1848 negli scritti inediti di D. P., in Rassegna storica del Risorgimento, XXVI (1939), 2, pp. 231-236; G. Falzone, Il problema della Sicilia nel 1848 attraverso nuove fonti inedite. Indipendenza e autonomia nel giuoco della politica internazionale, Palermo 1951, pp. 146, 157-159; L. Tomeucci, La guerra di Messina nel ’48, IV, Messina 1953, ad ind.; R. Composto, Gli esuli siciliani alla vigilia della rivoluzione del 1860, Palermo 1961, ad ind.; S. Recupero, La città di Milazzo nel Risorgimento italiano. Itinerario storico 1847-1918, Roma 1961, ad ind.; G. Berti, I democratici e l’iniziativa meridionale nel Risorgimento, Milano 1962, ad ind.; R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1970, ad ind.; G. Falzone, La Sicilia nella politica mediterranea delle grandi potenze. Indipendenza o autonomia nei documenti inediti del Quai d’Orsay, Palermo 1974, pp. 48 s., 159 s., 171 s.; N. Falcone, D. P. attraverso sei lettere inedite, in Annuario del liceo scientifico statale di Milazzo, 1977-78, pp. 1-18; G. Ciampi, I liberali moderati siciliani in esilio nel decennio di preparazione, Roma 1979, pp. 55, 83-87, 93 s., 96, 102-104, 111 s., 116, 128, 132-134, 140; G.B. Furiozzi, L’emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze 1979, ad ind.; G. Astuto, Garibaldi e la rivoluzione del 1860. Il Piemonte costituzionale, la crisi del Regno delle Due Sicilie e la spedizione dei Mille, Acireale-Roma 2011, ad ind.; E.G. Faraci, La Luogotenenza nel Mezzogiorno. I conflitti politici e l’unificazione amministrativa, in Le Carte e la Storia, XIV (2013), 1, pp. 77-90; C.M. Pulvirenti, Biografia di una rivoluzione. Nicola Fabrizi, l’esilio e la costruzione dello Stato italiano, Acireale-Roma 2013, ad ind.; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, ad vocem, http://notes9. senato.it/web/ senregno.nsf/P_Regno?OpenPage (18 giugno 2015).

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