RIVAROLA, Domenico

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RIVAROLA, Domenico

Giampiero Brunelli

RIVAROLA, Domenico. – Nacque nel 1575 a Genova, secondogenito di Ottavio e Nicoletta Lomellini. Apparteneva a un lignaggio genovese che vantava origini dai Rossi di Parma e sosteneva di aver preso il nome ‘de Riparoli’ (dal castrum di Rivarolo, nella bassa val Fontanabuona) sin dalla fine dell’XI secolo.

Come lo zio di secondo grado Matteo, arcivescovo di Genova dal 1596, e il consanguineo Oberto, referendario di entrambe le Segnature e abbreviatore di parco maggiore sotto Clemente VIII, Rivarola fu avviato alla carriera ecclesiastica: si laureò in diritto civile e canonico a Genova ed entrò nel capitolo dei canonici della cattedrale di S. Lorenzo. Avuti contrasti con il successore sulla cattedra della Dominante, Orazio Spinola, si recò a Roma agli inizi del pontificato di Paolo V (eletto il 16 maggio 1605): fu introdotto, forse con la mediazione dell’ambasciatore francese presso la S. Sede Charles de Neuville d’Halincourt, marchese di Villeroy, nella famiglia del cardinal nipote Scipione Caffarelli Borghese. Secondo le più antiche ricostruzioni biografiche, ebbe presto occasione di mettersi in evidenza presso il pontefice grazie alle sue qualità di accorto mediatore. La sua carriera se ne giovò prontamente: attivo nella Segnatura di Grazia fra il 1605 e il 1606, alla fine del 1608 assunse le funzioni di uditore del cardinale Borghese, subentrando a Michelangelo Tonti, elevato alla porpora il 24 novembre 1608; il 10 dicembre dello stesso anno, Rivarola fu quindi scelto da Paolo V come vescovo di Aleria, in Corsica. Egli non risiedette, tuttavia, nella sua diocesi, né si concentrò mai sugli impegni pastorali. Assunto l’incarico di sovrintendente dei negozi di casa Borghese, passò infatti, il 30 marzo 1609, all’arcidiocesi in partibus di Nazareth (unita alla sede di Barletta, in Puglia, e senza obbligo di residenza). Ebbe infine, accelerando i tempi della sua carriera, un incarico diplomatico di alto profilo: una nunziatura straordinaria presso il re di Francia Enrico IV.

L’occasione era data dalla controversia per la successione ai titoli ducali di Jülich, Kleve e Berg (nella Renania settentrionale). Dopo la morte senza eredi del duca Giovanni Guglielmo (25 marzo 1609), due pretendenti protestanti, Giovanni Sigismondo di Brandburgo e Filippo Luigi di Neuburg, avevano dapprima occupato separatamente alcune località dei ducati contesi; poi, in giugno, avevano concluso un accordo per procedere congiuntamente, senza pregiudicare le rispettive pretese e occupando anche la città principale: Düsseldorf. L’imperatore Rodolfo II aveva rivendicato la decisione sulla controversia e, propendendo per la successione del duca di Sassonia Cristiano II (altro discendente per linea femminile), aveva fatto occupare Jülich dall’arciduca d’Austria Leopoldo alla fine di luglio del 1609. L’intervento nella questione di Enrico IV, a favore dei due pretendenti di Brandburgo e di Neuburg, aveva quindi reso il quadro complesso e preoccupante: all’inizio del 1610 un intervento militare francese contro Jülich sembrava imminente. La Curia romana aveva preso allora l’iniziativa, allo scopo di mantenere la pace tra Francia e Spagna e di vedere i ducati assegnati a un principe cattolico.

Rivarola sembrava essere l’uomo giusto per la missione: non nascondeva le sue posizioni filofrancesi ed era stato in quella stessa primavera candidato per il posto di vicelegato di Avignone. Gli fu consegnata un’istruzione in data 25 aprile 1610. Suo compito principale era quello di chiedere al re che si astenesse dal muovere una nuova guerra convincendolo che gli Asburgo non volevano affatto impadronirsi dei ducati, ma solo stabilire per via giudiziaria chi fosse il titolare della successione. Queste argomentazioni, continuava l’istruzione, dovevano essere presentate «con gran reserva, per non dar ombra»; anzi Rivarola aveva facoltà di farle apparire «non come sue, ma come dette da quelli che sostengono le parti dell’Imperatore» (cit. in Le istruzioni generali..., a cura di S. Giordano, 2003, p. 630). Più efficaci sarebbero risultate probabilmente alcune considerazioni politiche generali: Rivarola avrebbe dovuto rammentare a Enrico IV che non gli conveniva rafforzare principi protestanti così vicini ai confini francesi; ne potevano approfittare non solo gli Ugonotti, ancora presenti nel regno, ma addirittura gli inglesi per tentarne l’invasione. In ogni caso, secondo la Segreteria pontificia, a corte vi erano personaggi che non volevano la guerra (come il cancelliere Nicolas Brûlart de Sillery o il segretario di Stato marchese di Villeroy): Rivarola avrebbe potuto «valersi del lor mezzo» (p. 634).

Rivarola giunse a Parigi il 20 maggio. Trovò uno scenario completamente mutato per l’omicidio del re compiuto da François Ravaillac pochi giorni prima (14 maggio 1610). Anzi, secondo il nunzio ordinario Roberto Ubaldini, si poteva dire «cessato [...] tutto il suggetto della sua legatione»; nondimeno, a Rivarola non sarebbe mancato «largo campo in frangente sì miserabile di servire opportunamente a Sua Santità consolando la Regina, e passando seco di mano a mano quegli offizi, che tendono alla conservatione, et augumento della religione, allo stabilimento della tranquillità publica della Christianità, et al ben privato di questo Regno». Era infatti stimato «suggetto di gran capacità e valore», il quale aveva subito guadagnato alta considerazione per «il tratto, e maniera sua molto propria a negotiar qui» (Roberto Ubaldini al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, Parigi, 26 maggio 1610, in Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Francia, 54, c. 70v).

Rivarola, in effetti, si affiancò al nunzio ordinario per qualche mese. Insieme, all’inizio di giugno, ebbero udienza presso la regina Maria de’ Medici, reggente del regno: l’obiettivo di scongiurare un conflitto sembrò vicino in un primo momento; tuttavia, presto il Consiglio di reggenza confermò l’intenzione di muovere un esercito di 8000 fanti e 1200 cavalleggeri contro l’arciduca Leopoldo. Restava ancora sospesa la definizione del modo di trasportare le truppe sul territorio dei ducati contesi: Rivarola e Ubaldini ne approfittarono per contattare singoli membri del Consiglio di reggenza e guadagnare nuovo spazio per le ipotesi di pace. Emerse, in particolare, la possibilità di un accordo incrociato: l’arciduca Alberto d’Austria, sovrano dei confinanti Paesi Bassi meridionali, si sarebbe impegnato a non soccorrere militarmente l’arciduca Leopoldo; analogo obbligo avrebbe assunto la reggente di Francia nei confronti dei due pretendenti già insediati a Düsseldorf. Tuttavia, le difficoltà di ottenere adeguate garanzie non furono superate e il Consiglio di reggenza francese confermò l’intenzione di muovere le truppe. Solo il timore di una guerra allargata ai Paesi Bassi meridionali, dunque anche contro la Spagna, e forse senza sostegno né delle Province Unite olandesi né del Regno d’Inghilterra allontanò l’idea di ricorrere all’opzione militare per risolvere il dissidio (il quale avrebbe conosciuto una prima composizione soltanto nel novembre del 1614, con il trattato di Xanten).

Gli interventi di Rivarola non si limitarono al campo politico-diplomatico. Alla metà di luglio del 1610, egli patrocinò l’operato dei gesuiti a Costantinopoli, dove nel 1609 avevano intrapreso attività missionarie e aperto una scuola, suscitando l’opposizione dell’ambasciatore veneziano Simone Contarini. Ottenne in particolare che all’ambasciatore francese alla Porta, Jean de Gontaut-Biron, barone di Salignac, giungessero specifiche istruzioni della reggente Maria de’ Medici in loro favore.

Rimase in Francia fino alla fine di agosto del 1610: subito prima di partire, incontrò Villeroy che – trattando di un altro quadrante critico – gli annunciò il rallentamento dei preparativi militari nel Delfinato a sostegno del duca di Savoia, a condizione però che dallo Stato di Milano cessassero le minacce spagnole contro lo stesso Carlo Emanuele. Rivarola diede assicurazioni a Villeroy che gli spagnoli non avrebbero iniziato una guerra contro il duca, ma ribadì che si aspettavano comunque un formale atto di sottomissione sabaudo nei confronti del re Filippo III (atto effettivamente poi compiuto da Emanuele Filiberto di Savoia a Madrid, nel successivo novembre).

Da ultimo, Rivarola si mise in viaggio. Rientrando in Italia, portò con sé testi francesi da sottoporre all’attenzione dei censori romani: una copia del Traictez des droicts et libertez de l’Eglise gallicane (Paris, P. Chevalier, 1609), a opera del corrispondente di Paolo Sarpi Jacques Gillot; una parafrasi composta dall’avvocato del re Luis Servin sul salmo Beatus vir qui non abiit in consilio impiorum; una copia della Defense de la foy catholique di Pierre Du Moulin (Ginevra, Aubert, 1624), favorevole alle tesi esposte da Giacomo I d’Inghilterra sul diritto divino dei re e ribattute dal domenicano Nicolas Coeffeteau. A Rivarola fu affidata altresì «una cifra, che ha[veva] uno di questi heretici con uno in Italia, la quale sarà forse un giorno non inutile» (Roberto Ubaldini al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, 2 settembre 1610, in Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Francia, 54, c. 99r).

Una volta a Roma, Rivarola si allontanò dai temi della politica interstatuale e dei conflitti dinastici di respiro europeo. Fu dapprima incaricato di dirimere i contrasti di confine fra Rieti (nello Stato della Chiesa) e Cantalice (nel Regno di Napoli). Quindi, ottenne la promozione cardinalizia nel concistoro del 17 agosto 1611 (con il titolo di S. Martino ai Monti). Preso alloggio all’interno dei Palazzi apostolici, dopo aver occasionalmente partecipato ai lavori della congregazione concistoriale e di quella per i vescovi e i regolari, diventò protettore dell’Ordine dei basiliani nel gennaio successivo. Non si trattenne tuttavia a lungo nei compiti di governo della Chiesa. Tornò invece presto alla politica temporale e in particolare all’amministrazione dei domini pontifici con la carica di legato di Romagna, conferitagli il 4 giugno 1612; nel successivo agosto, egli fu altresì nominato sovrintendente della bonifica delle province di Bologna, Ferrara e Romagna.

Appena giunto nel capoluogo della legazione, Ravenna, Rivarola intraprese un’estesa ispezione dei luoghi sottoposti alla sua autorità, cui aggiunse in dicembre una «visita secreta delle acque» (Rivarola al cardinale Maffeo Barberini, Ravenna, 13 dicembre 1612, in Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 8749, c. 37v). Gli interventi di regimazione idraulica trovarono subito cospicue difficoltà: ostacolavano infatti i progetti di Rivarola molti attori politici sul territorio (non solo i governi cittadini di Ferrara, Bologna e di località minori, come Argenta, ma anche aristocratici di spicco come Enzo Bentivoglio o porporati come il cardinale Carlo Emanuele Pio di Savoia, capaci di trovare sponda a Roma per le loro pretese). Nondimeno, egli riuscì a portare a termine nuove opere: il cavo della Bastia, detto poi anche cavo della Bonificazione, che cambiò corso al canale Zaniolo, la risistemazione dei corsi d’acqua fra Imola, Conselice e Massa Lombarda, la riapertura delle bocche della Sammartina, poiché le acque del Reno che vi confluivano finivano per rimanere stagnanti, danneggiando i terreni agricoli. Si interessò anche alla diversione del fiume Lamone, per la quale si servì dell’architetto Domenico Castelli.

L’incarico di legato gli fu riconfermato per due volte, fino al 1621. Dal 1617 egli era anche formalmente protettore di quattro città romagnole (Cesena, Imola, Forlì e Ravenna). Come dimostra il suo copialettere relativo al 1618, molti erano i suoi campi di attività: la regolazione degli approvvigionamenti cerealicoli, la vigilanza sul corso delle monete, la concessione delle licenze di commercio delle derrate alimentari (le cosiddette tratte), la giustizia penale, il controllo dell’operato degli ufficiali pontifici sul territorio, il contrasto del banditismo. Rivarola intervenne anche in altri campi: elesse e nominò nuovi membri del Magistrato dei Savi e del consiglio municipale di Ravenna; emanò due decreti, il 20 e il 26 febbraio 1617, con norme per eleggere i rappresentanti del ‘popolo’, cioè dei non aristocratici, fra i Savi. Riorganizzò la presenza dei procuratori nel suo tribunale, emanando, il 21 maggio 1621, le nuove Costituzioni del Collegio dei Procuratori della Curia generale di Romagna. In virtù di questa norma, solo gli avvocati iscritti al Collegio potevano comparire dinanzi ai giusdicenti del legato di Romagna. Più tenue, considerato il numero di anni rimasto in carica, il suo ruolo nella promozione di opere urbanistiche e delle infrastrutture: gli si devono certamente il fronte monumentale della fontana della piazza di Faenza e il restauro di porta S. Mamante a Ravenna.

Per quanto riguarda la sua posizione finanziaria, Rivarola nel 1620 vantava rendite per un totale di 6330 scudi annui: risultato non banale se si considera che, al momento della sua elezione, era stato riconosciuto come uno dei cardinali cosiddetti poveri e gli era stato assegnato un mensile di cento scudi (più un finanziamento una tantum di 4000 scudi per far fronte alle spese imposte dal suo nuovo status). Riuscì ad avviare alla carriera ecclesiastica un nipote, Ottavio, ma uscì sostanzialmente di scena con le successioni al soglio pontificio avvenute fra il 1621 e il 1623. Gregorio XV lo sostituì come legato di Romagna nel 1621: l’anno seguente, Rivarola assunse la protezione dei camaldolesi e nel 1623 diventò membro della Segnatura di Grazia; Urbano VIII, con il quale pure Rivarola aveva avuto dimestichezza sin dai suoi esordi fra il personale di governo, non gli aprì la strada a nuovi impieghi di rilievo.

Negli ultimi anni di vita trascorse dei periodi a Genova: vi si trovava da circa sei mesi alla fine del 1626, quando cadde malato. Tornato a Roma, vi morì il 3 gennaio 1627. Fu seppellito dapprima in S. Maria della Scala, poi in S. Maria della Vittoria, chiese entrambe dei carmelitani scalzi (Ordine del quale era preposito generale il consanguineo Paolo Simone di Gesù e Maria).

Di Rivarola si conosce un ritratto, conservato al Portland Art Museum, che è stato attribuito dapprima ad Antoon Van Dyck e poi, più di recente, al genovese Luciano Borzone.

Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Romagna, 1 (minute di lettere di Rivarola al personale di governo della Romagna, 1618); Segreteria di Stato, Nunziature diverse, 236, cc. 344r-664v, passim; Francia, 54, cc. 70v-71v, 77v, 80v, 83r, 95r, 99rv; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 8749 (lettere di Rivarola a Maffeo Barberini, poi papa Urbano VIII). Die Hauptinstruktionen Gregors’ XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen (1621-1623), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; Le istruzioni generali di Paolo V ai diplomatici pontifici (1605-1621), a cura di S. Giordano, Tübingen 2003, ad indicem.

V. Siri, Memorie recondite, II, Ronco 1677, p. 348; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali, VI, Roma 1793, pp. 155-159; F.L. Bertoldi, Memorie per la storia del Reno, Milano 1807, pp. 66 s.; G.B. Semeria, Secoli cristiani della Liguria, I, Torino 1843, pp. 303 s.; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, LVIII, Venezia 1852, pp. 57-59; L. De La Rosa Oliveira, La varia fortuna de los Rivarola, in Anuario de estudios atlánticos, XII (1966), pp. 167-200; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, pp. 869 s.; Storia di Ravenna, IV, Dalla dominazione veneziana alla conquista francese, a cura di L. Gambi, Venezia 1994, ad ind.; B. Emich, Bürokratie und nepotismus unter Reinhard Paul V (1605-1621). Studien zur frühneuzeitlichen Mikropolitik in Rom, Stuttgart 2001, ad ind.; L. Goldenberg Stoppato, Per Domenico e Valore Casini, ritrattisti fiorentini, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XLVIII (2004), p. 165; Römische Mikropolitik unter Papst Paul V Borghese (1605-1621) zwischen Spanien, Neapel, Mailand und Genua, a cura di W. Reinhard, Tubingen 2004, ad ind.; B. Emich, Territoriale Integration in der Frühen Neuzeit. Ferrara un der Kirchenstaat, Köln 2005, ad ind.; La legazione di Romagna e i suoi archivi, secoli XVI-XVIII, a cura di A. Turchini, Cesena 2006, ad ind.; W. Reinhard, Paul V. Borghese (1605-1621). Mikropolitische Papstgeschichte, Stuttgart 2009, ad indicem.

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