DEL CONTE, Donato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)

DEL CONTE (Borri), Donato (Donato da Milano)

Franca Petrucci

Nacque nella prima metà del secolo XV, probabilmente a Milano, da Giovan Pietro Borri e Caterina Del Maino. Secondo il Gallo, assunse il cognome Del Conte per l'affetto dimostratogli da Francesco Sforza "ab ipsa sua pueritia": fu infatti almeno dal 1447 "familiare" del futuro duca di Milano. Dallo Sforza fu indirizzato alla carriera militare: poco prima della battaglia di Caravaggio, del 15 sett. 1448, quando ancora il conte Francesco era alle dipendenze della Repubblica Ambrosiana, fu inviato in avanscoperta e il Corio, e prima di lui il Simonetta lo descrivono mentre di ritorno dall'ispezione, a briglia sciolta, avverte concitamente lo Sforza della vicina presenza del nemico. A Vigevano, agli inizi dell'anno successivo, allorché ormai l'esercito sforzesco combatteva contro la Repubblica, il D., definito dal Simonetta come. un giovane prestante e non imperito delle cose militari, si distinse per il valore. Nell'estate del 1453 partecipò alla campagna nel Bresciano, personalmente diretta da Francesco Sforza, che, divenuto duca di Milano, era impegnato nella guerra contro Venezia e i suoi alleati. Sono note le sue azioni di esplorazione intorno a Brescia e di attacco a Pizzighettone.

Non si sa se il D. partecipò alle campagne in Romagna ed in Toscana contro G. Piccinino, ma alla fine del 1458 fu inviato, al comando di due squadre, presso Alessandro Sforza, allora al servizio di Pio II. Sviluppatasi la rivolta dei baroni contro Ferdinando d'Aragona, che riceveva l'aiuto non palesemente ammesso, ma incontrovertibile del duca di Milano, nel 1460 il D. era con Alessandro Sforza, che nei pressi di Sulmona fronteggiava il Piccinino, quando, uscito con pochi uomini dal campo, venne catturato. Tornato in libertà dopo una lunga prigionia, il D. riguadagnò la Lombardia e fu presto impiegato in azioni di polizia e di repressione nel Piacentino, sollevatosi. ad opera di Onofrio Anguissola, in occasione della malattia dello Sforza, che fra il 1461 e il 1462 aveva fatto correre la voce della sua morte. Il 28 nov. 1463 il D. veniva investito della giurisdizione e del castello di Vespolate.

È noto che quando con l'accordo del 22 dic. 1463 Luigi XI cedette Genova allo Sforza il doge Paolo Fregoso si rifiutò di cedere la città a Milano. Decisa dal duca l'azione militare, nel marzo il D. era a Savona, da dove scriveva come il Fregoso avesse deciso di abbandonare la città, non prima però di aver affidato il Castelletto ai suoi partigiani. Giunto davanti a Genova Gaspare da Vimercate, il D. lasciò Savona e si unì al resto delle forze milanesi, che entrarono il 13 apr. 1464 nella città.

Il D. si distinse nell'azione assalendo e conquistando due edifici e acquistando porta delle Vacche, difesa da Giovan Galeazzo Fregoso con cento uomini. Posto da parte dei Milanesi l'assedio al Castelletto, il 17 aprile il D. scriveva al duca facendo richiesta di almeno due o tremila fanti. Si cominciarono ad adunare uomini e a raccogliere artiglierie per procedere ad un'azione di forza, alla quale il D. era favorevole: ma il Castelletto finì per arrendersi con un accordo, il 2 giugno.

Nell'estate dell'anno dopo prese l'avvio la spedizione che il duca di Milano allestì, affidandone il comando al proprio primogenito, per offrire oltre che l'appoggio diplomatico anche quello militare a Luigi XI, impegnato nella guerra del bene pubblico. Anche il D. faceva parte della spedizione, che cominciò il 1º agosto.

I Milanesi, transitati per Torino, arrivarono a Vienne il 2 settembre e intorno alla città iniziarono le operazioni militari. In breve volgere di tempo furono occupati cinque castelli, affidati i quali al governatore di Asti, i Milanesi si diressero verso il Forez, dove acquistarono altre cinque località, fra cui Aubépin. Il D. stava fortificando quest'ultima cittadina, quando dovette rintuzzare un attacco; il che fece con il solito valore. Cessata ogni operazione militare alla notizia della tregua generale (14 ottobre), le truppe sforzesche si portarono nel Delfinato, dove stavano svernando quando furono raggiunte dalla notizia della morte di Francesco Sforza (8 marzo 1466), che provocò il loro ritorno in patria.

Nel 1467 il D. fece parte delle milizie sforzesche che parteciparono il 25 luglio, in Toscana presso la Molinella, alla battaglia tra l'esercito della lega e quello del Colleoni.

Nell'anno 1471 si apriva un altro campo al maneggi diplomatici del duca di Milano. In Savoia la ribellione dei fratelli di lui aveva portato alla fuga a Grenoble di Iolanda di Savoia, la quale con l'intento di far fronte ai cognati stringeva il 13 luglio con lo Sforza un trattato di amicizia, con il quale gli alleati si impegnavano vicendevolmente a non permettere il passo ad armati diretti verso il paese dell'altro. Lo Sforza si impegnò a inviare 2.000 cavalieri e 4.000 fanti. Fu organizzato così un primo contingente di mille provisionati, cinquanta scoppettieri e alcune genti d'arme, che sotto il comando del D. si avviarono in Piernonte.

Il 18 luglio il D. e il suo esercito erano a Torino, dove furono passati in rassegna dal vescovo di Ginevra. Successivamente il D. prese parte alle varie azioni militari che portarono all'assedio di Chambéry e alla conquista di Montmellian e che terminarono alla firma della tregua, propiziata da Luigi XI, l'8 agosto.

Nel 1476 il duca di Milano organizzò una spedizione contro il vescovo di Ginevra, Giovanni Ludovico di Savoia, beneficiario dell'abazia di San Benigno in Fruttuaria, che comprendeva le località di Montanaro, Feletto e Lombardone. Il 10 giugno il D. riceveva l'incarico di avanzare contro Montanaro, di conquistarla, saccheggiarla ed eleggerla come centro di raccolta delle spoglie depredate da altri luoghi.

Compito non militare del D. era quello di rassicurare le autorità piemontesi sulle intenzioni del duca, non ostili verso la duchessa, ma solo verso il vescovo, colpevole di "mille manchamenti". Dopo una marcia, che lo portò a traversare anche terre del marchese del Monferrato e dei conti di Valperga, il D. ottenne il 20 giugno Montanaro, i cui difensori si arresero a discrezione, avendo avuto soltanto la garanzia della vita. Egli si accinse quindi ad assediare San Benigno. Aveva l'ordine di distruggere l'abbazia una volta presa, ma propose al duca di fortificarla, dopo averla risparmiata, affidandola poi al marchese del Monferrato. Avuta però la conferma dell'Ordine di saccheggiarla, lo eseguì, proseguendo a depredare le altre terre abbaziali. Ignorò le argomentazioni dell'inviato del Consiglio del Piemonte, che si doleva dell'ingresso dei Milanesi nello Stato sabaudo "senza licenza né saputa di Madama e del Consiglio" e che proseguì per Milano. La situazione in Savoia intanto si complicava con la cattura della duchessa Iolanda da parte di Carlo il Temerario e gli ordini del duca al D. divennero convulsi. In un medesimo giorno, il 5 luglio, gli scriveva tre lettere: con una gli ordinava di non spianare i luoghi conquistati, con un'altra di lasciare la zona in cui aveva fino ad allora operato e recarsi a occupare Masserano, con la terza di mettersi a disposizione del Consiglio dei Piemonte e considerare primo suo compito quello di conservare lo Stato al duca Filiberto, sfuggito alla cattura. Subito dopo il D. lasciò la zona di Montanaro nelle mani di Gasparo da Sessa, che sgombrò i territori prima della fine del mese, e si diresse a Masserano, appartenente a Innocente Fieschi, che il 15 luglio gli si consegnava. Quando a metà novembre lo stesso Galeazzo Maria iniziò operazioni militari in Piemonte, il D. partecipò all'impresa.

Allorché, dopo la morte del duca, Genova si ribellò al dominio milanese, nel marzo del 1477, la reggente decise di liberare Prospero Adorno e di rinviarlo nella città insieme a 10.000 uomini, al comando di Ludovico e Ottaviano Sforza, di Roberto Sanseverino e del D., i quali domarono completamente la rivolta entro il mese di aprile. Il mese successivo il governo di Milano ebbe contezza che contro la reggente ed i figli si ordiva una congiura in cui erano implicati i fratelli del duca defunto. Fu in seguito all'arresto del D., coinvolto nel progetto di sovvertimento, che anche i congiurati di maggior levatura uscirono allo scoperto, subendo le note conseguenze. Il D., mentre i suoi beni erano confiscati, fu rinchiuso nei Forni del castello di Monza. Di qui fu ricondotto a Milano al principio del 1478 e messo a confronto con Ibietto Fieschi, un altro dei congiurati, che egli inchiodo alle sue responsabilità. Fu comunque interrogato e forse torturato, dato che a Cicco Simonetta quando fu a sua volta imprigionato e processato si fece questa accusa.

Secondo il Corio, il D. morì agli inizi del 1478 cadendo mentre tentava di fuggire mediante lenzuola annodate.

Ufficialmente la versione della morte del D. fu però diversa. Già dalla fine di marzo del 1478 Cristoforo da Bolleta comunicava l'insoddisfazione degli oratori di Luigi XI per le notizie fornite sulla morte del D. e, nel dicembre, il re, non prestando fede alla notizia dell'avvenuta morte del condottiero, manifestava il desiderio di averlo in Francia. All'oratore milanese, perché lo comunicasse al re, Bona illustrava allora come la morte del D. fosse avvenuta "in lo Forno de Monza, dove per la obscuritate et humiditate la stancia è cattivissima", in seguito all'aggravamento del suo "male de le gotte et fianchi", in modo naturale. La reggente nella sua lettera continuava sostenendo che il D. "era uno valente et gagliardo uomo d'arme sulla sella et era de li alevi de lo ill.mo duca Francesco, ma dall'altro canto non aveva cervello et era tanto bestiale che il governo de ogni impresa in luy saria stato pericoloso". A quest'epigrafe non si contrappone che il dispiacere provato invece per la sua morte da Ludovico Sforza, secondo la testimonianza della Cronica gestorum in partibus Lombardie.

Il D. aveva sposato Caterina Stampa (Arch. di Stato di Milano, Sez. stor., fam. Stampa), da cui aveva avuto almeno un figlio, Giovanni Battista, che nel 1475 era cameriere di Galeazzo Maria Sforza.

Non è da confondere con un omonimo che morì nel 1491 e con contemporanei Del Conte da Milano.

Fonti e Bibl.: G. Simonetta, Rerum gestarum Francisci Sfortiae commentarii, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, ad Ind.; Cronica gestorum in partibus Lombardie et reliquis Italie, ibid., XXII, 3, a cura di G. Bonazzi, pp. 11, 31, 60, 83; A. Gallo, Commentarii de rebus Genuensium, ibid., XXIII, 1, a cura di E. Pandiani, pp. 45 ss., 49 s.; Doc. dipl. tratti dagli archivi milanesi, a cura di L. Osio, III, Milano 1872, p. 512; Cronaca di anonimo veronese, a cura di G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 202, 325; I Diari di Cicco Simonetta, a cura di A. R. Natale, Milano 1962, pp. 66, 132; Acta in Consilio secreto... Mediolani, I, a cura di A. R. Natale, Milano 1963, pp. 8, 263; B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, II, Torino 1978, pp. 1242, 1356, 1360 s., 1367 s., 1372, 1381, 1397, 1412-16; G. Porro, Lettere di Galeazzo Maria Sforza..., in Archivio stor. lombardo, VI (1879), p. 260; A. Bertolotti, Spedizioni militari in Piemonte..., ibid., X (1883), pp. 556-81, 611-21, 627-31, 639, 641, 645; P. Ghinzoni, Spediz. sforzesca in Francia, ibid., XVII (1890), pp. 337 s., 341; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo..., I, Torino-Roma 1892, pp. 54, 61, 66, 173-77, 189 ss.; L. Zerbi, Ilcastello di Monza..., in Arch. stor. lomb., XIX (1892), pp. 326-29; E. Colombo, Iolanda duchessa di Savoia, in Misc. di storia italiana, XXXI (1894), pp. 55 ss., 79, 171, 173, 176-80, 205; A. Sorbelli, Francesco Sforza a Genova, Bologna 1901, pp. 138 s., 144, 146 s., 157 ss., 275 s., 281; Appunti e notizie, in Arch. stor. lomb., s. 4, XVII (1912), pp. 420 s.; C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, Milano 1935, pp. 102 s.; F. Catalano, Ilducato di Milano..., in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 315 s. (cfr. anche ad Ind., s. v. Milano, Donato da); Famiglie notabili milanesi, a cura di F. Calvi, III, Milano 1884, s. v. Borri, tav. IV.

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