DONIZONE

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DONIZONE (Domnizo, Donizo)

Paolo Golinelli

Nacque nella seconda metà del sec. XI, probabilmente in una delle città dominate dai Canossa.

Scarse sono le notizie sulla sua vita, nella Epistola dedicatoria, con la quale si apre la sua Vita Mathildis, presumibilmente scritta negli anni 1111-1112, D. dichiara di essere monaco del monastero di S.Apollonio da 25 anni, il che fa risalire il suo monacato al 1086-1087; la sua nascita si colloca quindi ad una quindicina d'anni prima. Difficile dire di dove egli fosse originario: diversi autori lo vorrebbero nato a Canossa, per l'amore che egli dimostra per quel luogo e per la natura circostante, ma si tratta per lo più di espressioni di carattere letterario. Non sembra ad ogni modo che egli abbia potuto maturare a Canossa la sua formazione culturale, dal momento che solo da poco la comunità canonicale era stata trasformata in monastero (nel 1075 ad opera di Beatrice). Il richiamo della Vita Mathildis (II, vv. 385-438) a Rangerio, vescovo di Lucca ed autore di un poema su s. Anselmo, vescovo di quella città, consigliere spirituale della contessa, e la lode che D. ne fa, indicandolo come suo modello; i numerosi riferimenti a Parma, città che D. mostra di conoscere bene, inducono a credere che egli si sia formato in uno dei centri cittadini del dominio dei Canossa. Non Modena, per la quale non accenna nemmeno alla consacrazione della nuova cattedrale (1106), mentre parla di quella di Parma; non Mantova, per la quale nutre una vera avversione; forse Reggio Emilia, sede dell'insegnamento retorico di Drogone; forse Parma, il più importante centro culturale dell'area canossana, dove si formò, per esempio, Pier Damiani; forse Lucca, dove operava alla fine dell'XI secolo Rangerio.

Monaco a Canossa, nel 1136 D. è documentato come abate di S.Apollonio, in una conferma di Innocenzo II (Kehr, Italia pontificia, V, p. 394). Il suo nome compare oltre che nell'Epistola dedicatoria, nell'acrostico finale della Vita Mathildis (II, vv. 1358-1399: "Presbiter hunc librum finxit monachusque Donizo"), quasi una firma in calce al poema, e nel primo verso dell'Enarratio Genesis ("Hec Genesis fictio gratanter metra Donizo").

La Vita Mathildis, o meglio, come D. stesso l'intitolò, il De principibus Canusinis, èl'opera maggiore, scritta tra il 1111 e il 1115. Si tratta di un poema in due libri, di 20 capitoli ciascuno, che, nel progetto dell'autore, dovevano essere di 1.400 versi ciascuno; ma la morte della contessa Matilde, giunta prima che il poeta potesse donarle l'opera che aveva composto per lei, gli fece aggiungere altri due capitoli: uno nel quale descrive la morte della contessa (24 luglio 1115) e la sua sorpresa nell'apprendere la notizia, proprio mentre stava rilegando il volume (II, vv. 1401-1535), ed il secondo per l'arrivo dell'imperatore Enrico V a Canossa, il 7 apr. 1116 (II, vv. 1536-1549). Il poema si conserva nell'originale, di mano probabilmente di D. stesso, nel ms. Vat. lat. 4922 della Bibl. ap. Vaticana; da questo esemplare manca solamente un bifolio, tra gli attuali ff. 25v-26r, con il testo corrispondente ai vv. 596 (a b c d) - 660 del primo libro. La presenza di altri manoscritti, copie del Vat. lat. 4922, con questi versi ha consentito agli editori di colmare agevolmente la lacuna.

Il poema ècostruito sull'artificio retorico che sia la rupe di Canossa a raccontare le vicende dei suoi signori; il primo libro è dedicato agli avi di Matilde, dal loro affacciarsi sull'Appennino reggiano, provenienti dalla contea di Lucca, al tempo di Adalberto Azzo, fino al governo della vedova di Bonifacio, e madre di Matilde, Beatrice di Lorena. Il secondo è interamente dedicato alla contessa.

Il metro adottato è l'esametro leonino, con il particolare che la terminale del primo emistichio fa di solito assonanza con la terminale del secondo emistichio, aggiungendo così al valore quantitativo del metro - per altro non sempre rispettato - un chiaroscuro di assonanze e rime che prelude già alla nuova forma di poesia; in due passi l'esametro viene abbandonato per altre forme metriche: al cap. IX del primo libro (vv. 749-794), costituito da una specie di epicedio per Bonifacio di Canossa, nel quale vengono utilizzati distici elegiaci epanalettici (nella forma dei versi serpentini), nei quali i distici iniziano e terminano con le stesse parole; e nell'ultimo brano del poema, noto come "Exliortatio Canusii" (II, vv. 1536-1539), nel quale si adottano versi "adonici", con una forte scansione ritmica.

Nel corso dell'opera D. mostra una grande destrezza letteraria, con il ricorso agli artifici propri della retorica e della poetica medievali, quali l'amplificatio, indicata come ideale poetico (II, vv. 1-6), o l'uso di allitterazioni, chiasmi, tmesi, ossimori, o il diffondersi in similitudini, apologhi, proverbi, e vere e proprie citazioni di autori classici, in particolare di Virgilio, di cui D. mostra di conoscere l'opera e la tradizione medievale. Buona risulta anche la conoscenza degli autori medievali, oltre a Rangerio, Isidoro di Siviglia, Paolo Diacono, Gregorio Magno, Gregorio di Tours. Naturalmente frequente anche il ricorso al testo biblico, che però appare usato solo come repertorio di immagini e raffronti, giudicati solo "esteriori" (Ropa, Studio e utilizzazione..., p. 423). Ma il grande bagaglio dal quale D. trae le fonti per il suo poema è costituito dalla tradizione canossana, tradizione formata sia di scritti (lettere di pontefici, lapidi funerarie, iscrizioni, vite di santi, necrologi, ecc.) conservati nel monastero e che il monaco mostra di conoscere, sia di un insieme di narrazioni orali, arricchitesi col crescere della potenza canossana, costituite variamente sia di primitive forme di teatro (qua e là ravvisabili nel poema), sia di canti epicedici, sia di semplici racconti di chi era stato testimone di avvenimenti tanto importanti.

Esplicito fin dall'Epistoladedicatoria, conla quale si apriva il codice - una legatura sbagliata ha portato a piegare in modo errato il binio nel quale è contenuta, ora al f. 4r, mentre all'origine doveva essere al 2r -, lo scopo immediato della stesura del poema: far si che Matilde decidesse di essere sepolta a Canossa, dove erano state rinnovate le tombe dei suoi avi e dove risiedeva il nucleo centrale della tradizione famigliare. Chiaro anche il motivo più profondo che aveva dato origine al poema: dotare la dinastia dei Canossa di un carme eroico che, elevandola al rango delle dinastie regie, fornisse ad essa un essenziale elemento di riconoscimento e di identificazione ideologica (Nobili, L'ideologia, pp. 263 s.). Dati questi obiettivi, è naturale che il valore storico del poema non stia tanto - o soltanto - in ciò che esso ci fa conoscere dei Canossa, ma nel fatto di essere stato scritto in quel momento, con quegli scopi, in quel modo. Si tratta di un testo marcato da una precisa ideologia, che esclude dalla narrazione tutto ciò che poteva portare ombra alla dinastia che intendeva celebrare: da qui i silenzi di D. sul primo matrimonio di Bonifacio, sulla sua morte violenta, sul secondo matrimonio di Beatrice, sui due mariti di Matilde, sulla sua maternità e su tutta una serie di episodi più o meno minori, che sarebbe lungo elencare. Forse per questo D. è stato definito mediocre cantore dal Simeoni, da Gina Fasoli e da altri: semmai fu mediocre storico, ma la storiografia non era lo scopo da lui perseguito. Nonostante questo, però, su diversi episodi dei Canossa egli è l'unico - anche se, a volte, dubbio - testimone: è il solo a ricordare il convegno di Carpineti, l'assegnazione di Ferrara ai Canossa da parte del pontefice, la sua ribellione, la battaglia di Sorbara, l'alleanza di Matilde con Venezia, mentre la sua attenzione per la vita quotidiana ha fatto si che oggi possiamo sapere, tra l'altro, che al suo tempo si produceva l'aceto balsamico, che la chiesa di Canossa disponeva di un organo, che i Canossa avevano una flotta con la quale combattevano i pirati del Po. D. descrive l'incontro di Canossa del 1077 soprattutto da un punto di vista matildico, attribuendo alla contessa una funzione decisiva che probabilmente ella non ebbe, ma su molti particolari consente di correggere la cronachistica tedesca. Nella narrazione degli avvenimenti della cosiddetta lotta per le investiture egli attinge da fonti consolidate, come Bonizone da Sutri, l'anonimo autore della Vita Anselmi Lucensis, e Rangerio; la sua narrazione venne utilizzata da scrittori successivi (precise consonanze sono state riscontrate con la Vita Gregorii VII di Paolo di Bernried).

La sua opera venne conosciuta nel Medioevo e fu oggetto di diverse epitomi giunte a noi in mss. del XIV-XV secolo (cfr. ediz. Simeoni, pp. XXIV-LVI); essa fu alla base della nascita del mito di Matilde di Canossa.

Assai meno importante è la seconda opera di D., pervenutaci incompleta, forse perché mai conclusa dall'autore: si tratta di un commento poetico al libro della Genesi intitolato Enarratio Genesis, giunto a noi nel ms. Turri E. 52 della Bibl. Panizzi di Reggio Emilia, sec. XIV, ff. 78r-86v, dopo una trascrizione della Vita Mathildis, e prima di un'epitome della stessa (Epitome Canossiana). Da questo manoscritto è stata tratta una copia seicentesca nel ms. di Bologna, Bibl. univ., 596. LL. 6.

Del poema sono giunti a noi i primi 378 versi leonini, divisi dall'autore in sei parti: un'introduzione senza titolo, "De plantatione Paradisi deliciarum", "Qualiter Evam seduxit serpens", "De creatione angelorum", "Quid significet terra generans herbam", "Quid significet plantatio Paradisi". In effetti l'opera, che pur non avendo particolari pregi artistici si distingue dalle altre cosmogonie cristiane precedenti e si manìfesta come "la prima composizione del genere di carattere tipicamente medievale" (Ropa, L'"Enarratio Genesis", pp. 12 ss.), si struttura su due moduli compositivi ben distinti: la narrazione biblica e l'esposizione del senso mistico del racconto. Ad un esame interno dei contenuti emergono da un lato la comunanza di temi e forme poetiche con la più nota Vita Mathildis, dall'altro un'accentuazione del tema religioso e mistico, il che fa presumere trattarsi di un'opera più tarda, forse senile, di Donizone. Sono tuttavia avvertibili in essa echi di altre composizioni di carattere biblico dell'ambiente matildico, scritte sullo scorcio dell'XI secolo, quali il Tractatus in Cantica canticorum di Giovanni da Mantova e l'Expositio in septem psalmos poenitentiales di Eriberto, vescovo di Reggio (1085-1092).

L'opera, segnalata per la prima volta dal Muratori nella sua edizione della Vita Mathildis con un giudizio negativo, ripetuto dal Simeoni, solo in anni recenti è stata oggetto di edizione, prima ad opera di I. S. Robinson, e poi di G. Ropa, che ne ha compiuto un'analisi molto dettagliata, sia sotto il profilo letterario (fonti esplicite ed implicite, lessico, metrica, stile), sia sotto quello storico, con l'inserimento dell'opera nel contesto matildico-canossano.

Edizioni. Della Vita Mathildis, oltre al ms. Vat. lat. 4922, del sec. XII in., probabile autografo di D., si hanno dieci copie: Lucca, Bibl. governativa, ms. 2508, anno 1234 (dall'abbazia di Frassinoro, Modena); Reggio Emilia, Bibl. municipale Panizzi, ms. Turri E 52, sec. XIV in. (da S. Apollonio di Canossa); Mantova, Bibl. comunale, ms. 243 (B. IV. 17), sec. XV (da S. Benedetto Polirone); Milano, Bibl. Ambrosiana, ms. D. I. inf.; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. Lat., cl. XII, 214 (4467); Bibl. ap. Vaticana, mss. Vat. lat. 3754 e Ottob. lat. 934; Bologna, Bibl. univ., ms. 596. LL. 6; Mantova, Bibl. comunale, mss. 195 (B. II. 18) e 536 (E. II. 1): tutte copie queste dei secoli XVIXVII. Otto sono le edizioni apparse nel corso dei secoli e curate da S. Tengnagel (Vita comitissae Mathildis, in Id., Vetera monumenta contra schismaticos iam olim pro Gregorio VII aliisque nonnullis pontificibus Romanis conscripta..., Ingolstadii 1612, pp. 127-233; ristampata in J. Gretscr, Opera omnia, VI, Ratisbonae 1735, pp. 487-511), G. G. Leibniz, Scriptores rerum Brunsvincensium illustrationi inservientes , Hannoverae 1707, pp. 629-687; L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., V, Mediolani 1724, pp. 335-397, riprodotta poi da Migne, Patr. Lat., CXLVIII, Lutetiae-Parisiorum 1853, coll. 939-1040; L. Bethmann, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XII, Hannoverae 1856, pp. 348-409; L. Simeoni, in Rer. Ital. Script., 2 ed., V, 2, ristampata poi da U. Bellocchi-G. Marzi, in Matilde e Canossa. Il poema di Donizone, Modena 1970, con trad. ital. a fronte; Donizone, Vita di Matilde di Canossa, introd. di V. Fumagalli, a cura di P. Golinelli (volume di commento all'edizione in facsimile del cod. Vat. lat. 4922 della Biblioteca Vaticana), Zurigo-Milano 1984 (e, senza il testo latino, Milano 1987).

L'Enarratio Genesis èpresente nei mss. di Reggio Emilia, Bibl. munic., Turri E 52 e di Bologna, Bibl. univ., 596. LL. 6, ed èstata edita da I. S. Robinson (The metrical commentary on Genesis of Donizo of Canossa. Bible and Gregorian reform, in Recherches de théologie ancienne et médiévale, XLI [1974], pp. 5-37) e G. Ropa (L'"Enarratio Genesis" di Donizone di Canossa. Introduzione, edizione, commento e studio d'ambiente (sec. XI-XII), Bologna 1977).

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