DORIA PAMPHILI LANDI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 41 (1992)

DORIA PAMPHILI LANDI, Giuseppe

Marina Formica

Nacque a Genova l'11 nov. 1751 dal principe Giovanni Andrea Doria e da Eleonora Carafa della Stadera, figlia del duca d'Andria.

La prima educazione gli fu impartita nell'ambito delle mura domestiche del palazzo di Fassolo fino al maggio 1761, quando la famiglia si trasferì a Roma. Qui fu fatto entrare nel collegio dei nobili, retto dai gesuiti. Quando la Compagnia fu espulsa dagli Stati borbonici, poiché i Doria Pamphili godevano del titolo di grande di Spagna, egli e il fratello Antonio Maria, in ossequio alle direttive impartite da Carlo III ai suoi vassalli, furono ritirati da quell'istituto e, dal maggio 1767, frequentarono per poco tempo il collegio Clementino, tenuto dai padri somaschi. Alcuni mesi dopo, in seguito al ritorno dalla Spagna del fratello primogenito Andrea (investito del titolo principesco dopo la morte del padre avvenuta nel 1764), i due fratelli ritornarono nel palazzo di famiglia romano e si avviarono agli studi di giurisprudenza prima privatamente e poi all'archiginnasio della Sapienza.

Iniziato il curriculuin ecclesiastico con la tonsura ricevuta il 21 apr. 1768, ottenne dal fratello Andrea l'abbazia di S. Fruttuoso, di giuspatronato della famiglia, alla quale aveva rinunciato il fratello Antonio Maria. Nel maggio 1771 conseguì la laurea in utroque iure e nel giugno vestì l'abito prelatizio.

Nel dicembre di quell'anno Clemente XIV lo nominò nunzio straordinario a Madrid con l'incarico speciale di recare al sovrano le fasce benedette per la nascita dell'infante. Qui si trattenne dall'11 dic. 1772 all'ottobre dell'anno successivo: il 18 luglio 1773 fu ordinato sacerdote in previsione di una consacrazione vescovile, che - preconizzata il 27 febbraio -ricevette il 22 agosto a Madrid dalle mani del cardinale B. de Córdoba Espinola de la Cerda con il conferimento della sede in partibus infidelium di Seleucia. Era il prodromo necessario per l'affidamento al D. di un più importante incarico diplomatico che gli fu dato con la nomina (6 sett. 1773) a nunzio ordinario a Parigi, ove egli giunse il 19 ottobre.

Lo attendeva una missione non facile, data la tensione esistente tra la S. Sede e la Francia, dopo l'occupazione dei possedimenti pontifici di Avignone e del Contado Venassino da parte delle truppe francesi avvenuta nel 1768 in seguito ai forti contrasti giurisdizionali insorti tra Clemente XIII e la corte borbonica. La soppressione della Compagnia di Gesù, decretata dal papa pochi giorni prima della nomina del nuovo nunzio, e l'assicurazione che sarebbe stato rispettato l'assetto amministrativo introdotto dai Francesi, portarono allo sgombero delle truppe e al ritorno di quei luoghi sotto il governo pontificio, ma una nuova crisi politica si profilò ben presto a causa dell'azione unilaterale dell'arcivescovo di Avignone, Francesco Maria de' Manzi, che tentò di ripristinare la primitiva situazione abolendo le innovazioni introdotte dal governo francese. Con il breve del 1° giugno 1774 Clemente XIV inviò perciò il D. ad Avignone in qualità di prolegato con la direttiva di cassare tutte le ordinanze emanate dal Manzi in campo amministrativo. Egli diede prova in quella circostanza di grande prudenza ed avvedutezza, componendo sapientemente i contrasti.

Negli anni seguenti il D. non svolse un ruolo di primo piano tra i diplomatici accreditati alla corte di Luigi XVI, dato il peso sempre più scarso che veniva ad assumere lo Stato della Chiesa nella politica europea. L'8 genn. 1783 presentò le fasce benedette da Pio VI al neonato figlio di Luigi XVI e poco dopo ottenne da questo in dono l'abbazia di Gource nel Lorenese. Ricevette anche dal pontefice l'abbazia dei Ss. Vincenzo e Anastasio di Roma (detta delle Tre Fontane).

Nel concistoro del 14 febbr. 1785 venne elevato alla porpora cardinalizia e, congedatosi dalla corte francese il 16 febbraio, ritornò a Roma ove ottenne il titolo di S. Pietro in Montorio. Il 19 dic. 1785 fu nominato dal papa legato di Urbino.

Nello svolgimento di tale incarico, grazie agli ampi poteri conferitigli da nove brevi pontifici, egli dimostrò un forte impegno nella soluzione dei problemi che angustiavano il territorio dell'ex ducato, compiendo una razionalizzazione politico-amministrativa e un incisivo intervento volto a sollevare le attività economiche.

In particolare sono da ricordare le misure da lui adottate per l'incremento dell'industria laniera e serica (nei centri di Pergola, Cagli, Gubbio e Fossombrone), per lo stabilimento del Monte frumentario a Pesaro, per il calmiere del pane; e ancora l'istituzione dei manicomi di Gubbio e di Pesaro, la nuova regolamentazione della fiera di Senigallia, i lavori di abbellimento di alcuni edifici e l'apertura di una strada dal porto alla fontana dell'attuale piazza Doria a Pesaro.

A proposito della concezione che lo guidava nella sua attività di governo è da sottolineare la fiducia - quasi illuministica - riposta nell'efficacia delle buone leggi: "la maggior parte dei disordini, che di tratto in tratto vanno accadendo nell'amministrazione delle pubbliche cariche, non provengono già dalla malizia dei pubblici deputati ..., ma dalla mancanza di fisse invariabili leggi, e stabilimenti, che o non ci sono mai stati, o per la loro antichità sono passati in oblio, o non sono pervenuti alla loro cognizione.... Stabilita questa [una certa regola] tutto procede con ordine, tutto viene esattamente adempito" (cfr. Caponetto, p. 82).

Il D., prendendo atto della caotica situazione legislativa vigente nella legazione, cercò dunque di fornire delle linee e dei principi generali in armonia con le leggi pontificie. I nuovi regolamenti di Pesaro e Urbino, da lui promossi, sarebbero dovuti entrare in vigore il 1° genn. 1790, ma il timore diffusosi in seguito alle notizie riguardanti gli avvenimenti rivoluzionari in Francia lo convinse dell'opportunità di "non fare novità benché in melius" (ibid., p. 83).

Il 9 marzo 1794, finito il suo incarico di legato, lasciò la residenza pesarese tornando a Roma. Qui, nei tumultuosi anni di fine secolo, si trovò a recitare un ruolo di primaria importanza politica nella vita dello Stato, assumendo un atteggiamento decisamente conciliante nei confronti della Francia. Ciò gli fu aspramente rimproverato dalla storiografia controrivoluzionaria. Noto con il soprannome di "le Bref du Pape" - sembra per la sua piccola statura -, il D. è presentato dai contemporanei come "più piccolo d'ingegno che non di corporatura" (A. Monti, in Rinieri, Napoleone..., p. 322), "uomo di buona intenzione, ma di poco talento" (Sala, I, p. 7).

Nominato membro della congregazione straordinaria, convocata il 28 ag. 1796 per esaminare gli articoli del progetto di trattato di pace da concludere fra lo Stato della Chiesa e la Francia (in seno alla quale si mostrò su posizioni molto duttili), il D. nell'aprile dell'anno seguente fu designato da Pio VI a succedere al cardinale I. Busca nella carica di segretario di Stato.

Questa decisione era dettata da più motivi: le pressioni dell'ambasciatore spagnolo J.N. Azara per le dimissioni del Busca e per la sua sostituzione con un cardinale più conciliante, l'influenza della famiglia Doria Pamphili anche per i servigi finanziari resi alla S. Sede, la fama del D. in Francia a causa dell'attività svoltavi come nunzio e il suo moderatismo e filofrancesismo, particolarmente importanti nell'eccitato clima romano seguito all'armistizio di Bologna e alla stipula del trattato di Tolentino.

Nei primi mesi del suo incarico - mantenuto formalmente fino al 20 ag. 1799 - il D. fu impegnato nella esecuzione di quel trattato, particolarmente per gli obblighi contributivi (in denaro, preziosi e opere d'arte) da questo imposti allo Stato, e nell'affrontare la questione di Ancona, ove - con l'appoggio delle truppe francesi - era stata proclamata la Repubblica.

Dopo l'assassinio del generale L. Duphot (28 dic. 1797), quando il rappresentante francese a Roma, Giuseppe Bonaparte, gli scrisse una lettera pregandolo di "portarsi da lui, perché non era sicuro nel suo palazzo, e veniva offeso il diritto delle genti" (Raccolta di documenti autentici..., p. 22), il D. rispose di essere impossibilitato a lasciare il Vaticano a causa dell'incerta salute del pontefice; mandò tuttavia un distaccamento di quaranta uomini per garantire la sicurezza dell'inviato del Direttorio. Secondo alcuni storici si sarebbe trattato di un comportamento ingenuo e maldestro, dal momento che tale rifiuto poté essere interpretato come "un'offesa alla Francia dinanzi a rappresentanti ufficiali di nazioni amiche" (Cretoni, p. 16), poiché presso il Bonaparte si erano recati immediatamente i ministri di Spagna, N. J. Azara, e di Toscana, L. Angelini. Il Bonaparte decise quindi di lasciare la città, dopo aver ottenuto dal D. il passaporto insieme con una lettera di scuse del governo pontificio.

Il 29 dicembre i membri della congregazione di Stato (i cardinali L. Altieri, L. Antonelli, F. Carafa di Traetto, G. M. della Somaglia e mons. Federici) si incontrarono con il D. per esaminare la grave situazione. Si decise di stilare un resoconto degli avvenimenti da inviare a tutte le corti europee, implorando, in particolar modo, la protezione del re di Napoli; tale documento fu però completato soltanto un mese dopo. Nel frattempo il Direttorio, addossando al governo romano la responsabilità dell'uccisione del Duphot, ordinava al generale A. Berthier di invadere lo Stato della Chiesa. Mentre molti cardinali lasciavano Roma, il D. rimase al suo posto insieme con il pontefice.

Dopo l'ingresso delle truppe francesi, l'11 febbr. 1798 venne formata, con il consenso del Berthier, una nuova congregazione di Stato, composta da elementi ritenuti più moderati e filofrancesi: con il D. rimaneva l'Antonelli, mentre entravano a farne parte il cardinale T. Antici, l'avvocato concistoriale F. Riganti, l'avvocato dei poveri Costantini e il principe Spada. Su invito dello stesso Berthier, il D. accettava di concelebrare con altri tredici cardinali una messa solenne con Te Deum, quale, ringraziamento per la "recuperata libertà del popolo romano".

Dopo soli due giorni, però, veniva intimato a Pio VI di abbandonare Roma e, contemporaneamente, anche i cardinali cominciavano a lasciare la città. L'8 marzo il D., insieme con i cardinali S. Borgia, Antonelli, della Somaglia, F. Carandini e A. Roverella, veniva arrestato e tradotto prima nel convento delle Convertite al Corso, trasformato in carcere, poi a Civitavecchia, nel convento dei domenicani. Espulso dal territorio della Repubblica Romana, dopo aver fatto tappa a Porto Santo Stefano, il 13 aprile egli raggiungeva a Siena Pio VI; due giorni dopo partiva per Genova.

Nei mesi seguenti percorse varie città dell'Italia settentrionale, da dove inviò alle corti cattoliche e allo zar Paolo 1 lettere di protesta per la situazione degli ecclesiastici della Repubblica Romana. Dopo la morte di Pio VI, avvenuta a Valence (29 ag. 1799), il D. si portò a Venezia per la celebrazione del conclave.

Escluso nominativamente dall'imperatore, che si opponeva all'elezione di cardinali sudditi di Spagna, Napoli, Francia, Genova e Sardegna (C. Duerm, Un peu de lumière..., p.29), tra i due partiti formatisi in conclave, l'uno favorevole all'elezione del card. A. Mattei, l'altro per il card. C. Bellisomi, il D. si schierò con il secondo, anche se in qualche momento sembrò riproporsi la sua candidatura (Petruccelli della Gattina, p. 303).

Dopo l'elevazione del card. G. L. B. Chiaramonti con il nome di Pio VII, egli lo accompagnò a Roma, ove entrarono insieme il 3 luglio 1800. Fu designato dal papa membro della congregazione per il nuovo piano, istituita per decidere delle modalità di ristabilimento del governo pontificio. L'11 agosto venne nominato segretario dei Memoriali. Fece poi parte della congregazione speciale, composta da dodici cardinali, deputata ad esaminare nella massima segretezza il progetto di concordato con la Francia.

Secondo il Rinieri (La diplomazia..., p. 92), tra i membri di questa il D. "era quello che godeva meno stima, a cagione delle disgrazie che colpirono Roma, essendo egli Segretario di Stato in tempo dell'invasione francese", ma la sua presenza era divenuta necessaria per l'esperienza che aveva fatto dei problemi religiosi francesi come nunzio. L'urgenza di concludere un accordo concordatario e di stabilire contatti diretti con Napoleone consigliò di inviare a Parigi un cardinale: la scelta cadde su E. Consalvi, che dapprima rifiutò indicando nel D. l'elemento più adatto perché gradito al governo francese (Consalvi, Memorie..., p. 212), poi dovette accettare lasciando proprio al D. le funzioni interinali di segretario di Stato dal 5 giugno 1801 al suo ritorno a Roma.

Il concordato fu finalmente approvato il 15 luglio 180 1 e il D. era stato tra coloro che nella congregazione si erano schierati a favore di una sua rapida approvazione.

Il 13 nov. 1801 egli fu nominato procamerlengo, in seguito alla rinunzia fatta dal cardinale R. Braschi Onesti, e il 25 dello stesso mese entrò a far parte della congregazione economica. Il 26 giugno 1802 sostituì il cardinale S. Borgia nella presidenza delle deputazioni dell'Annona e della Grascia.

Esercitando queste cariche dovette affrontare i delicati problemi relativi al ristabilimento di un sistema monetario uniforme in tutto lo Stato, uniformità che era venuta meno durante il periodo dell'occupazione francese. Il 26 sett. 1803 gli venne affidata la sede vescovile suburbicaria di Frascati.

Nominato nuovamente prosegretario di Stato al posto di F. Casoni, gravemente ammalato, ai primi di febbraio del 1808, subito dopo l'ingresso a Roma delle truppe del generale Miollis (2 febbr. 1808), la sua azione fu volta ad evitare disordini nella città e a mantenere buoni rapporti con i Francesi; questo comportamento moderato evitò inutili rappresaglie da parte delle truppe d'occupazione, ma non impedì che venissero prese dure misure nei confronti degli ecclesiastici residenti a Roma. Nel marzo al D., come a tutti i cardinali non romani, fu intimato di raggiungere i luoghi d'origine.

Egli soggiornò prima a Parma, presso la nipote Maria Vittoria, poi a Genova e a Pegli, ove si trattenne fino al settembre 1809, quando il ministro dei Culti francese gli ordinò di raggiungere Parigi. Qui fissò la sua residenza insieme con gli altri cardinali di Curia.

La sua integrazione nell'ambiente francese fu pressoché totale, anche in virtù dei buoni rapporti personali con l'imperatore, da cui riceveva un compenso mensile di 2.500 franchi. Tale legame venne rinsaldato in seguito all'accettazione del D. dell'invito a partecipare al rito matrimoniale tra Napoleone e Maria Luisa (2 apr. 1810). Alla funzione religiosa erano stati invitati i ventisei cardinali residenti a Parigi, ma tredici di questi rifiutarono e in conseguenza di ciò furono privati dall'imperatore del sussidio mensile e del privilegio di portare la porpora (vennero perciò detti cardinali neri in opposizione a quelli, come il D., che continuavano a portarla). Questi, divenuto sottodecano, nel 1811 fu invitato a raggiungere il papa a Savona per convincerlo a nominare i vescovi indicati da Napoleone per l'occupazione delle sedi vescovili rimaste vacanti.

Richiamato a Parigi, quando Pio VII venne trasferito a Fontainebleau, chiese ed ottenne il permesso di visitarlo periodicamente. Fu proprio grazie alla sua azione mediatrice che furono riprese le trattative tra le due autorità, e Napoleone ne approfittò per far firmare al papa, ormai in precarie condizioni di salute, il progetto di convenzione tra la Francia e la S. Sede, impropriamente noto come concordato del 25 genn. 1813. Il D., che aveva avuto una parte di rilievo nel convincere Pio VII a compiere tale sottoscrizione, il giorno seguente ottenne in premio dall'imperatore l'aquila d'oro della Legion d'onore.

Rientrato il papa in Italia, dopoché Napoleone - in conseguenza della sconfitta di Lipsia - aveva ridato la libertà a lui e agli ecclesiastici deportati in Francia, il D. gli andò incontro a Foligno e rassegnò nelle sue mani le dimissioni dalle cariche di segretario dei Memoriali e procamerlengo che ancora deteneva (17-18 maggio 1814), dimissioni motivate ufficialmente con il precario stato di salute ma in realtà impostegli dalla Curia romana per il suo comportamento durante il soggiorno a Parigi.

Il 26 sett. 1814 il D. lasciò il vescovado di Frascati, optando per quello di Porto e S. Rufina. Nel marzo 1815, quando il Murat entrò nello Stato pontificio, egli fu costretto ancora una volta a lasciare Roma e rifugiarsi a Genova. Rientrato nell'Urbe nel giugno, nel luglio ottenne la nomina a membro della ripristinata congregazione economica.

Il D. morì a Roma il 9 febbr. 1816 e fu sepolto nella chiesa di S. Cecilia a Trastevere.

Noto come uno dei più ricchi cardinali romani (G. Filippone, p. 51), lasciò come eredi usufruttuari i fratelli Andrea e Antonio e il nipote Carlo, come erede proprietario il nipote Luigi Andrea, cui sarebbe spettato il titolo principesco. Il suo stato patrimoniale (cfr. il bilancio in Archivio Doria Pamphili, scaff. 7/43, int. 4) presentava all'attivo 41.511,60 scudi (di cui 19.124,98 scudi per capitali fruttiferi e 10.539,99 per crediti "secchi").

Il D. si era segnalato anche in campo culturale come pastore arcade (era entrato in Arcadia nel 1772 con il nome di Clarmonte) e membro dal 1802 dell'Accademia di S. Luca, e come munifico mecenate. Tra gli altri, trovò in lui un grande appoggio finanziario Francesco Bettini, artista eclettico e versatile, che progettò e realizzò per il cardinale il primo giardino paesistico romano di stile inglese nella proprietà che questi aveva fuori porta Pinciana (poi confiscato e venduto nel 1799).

Grazie all'intervento del D. era stata realizzata a Roma la prima scuola per sordomuti (1784), alla quale fece preporre l'abate Tommaso Silvestri, seguace del metodo dell'abate Ch. M. de l'Epée; lui stesso ne stilò il regolamento e sorvegliò il buon andamento dell'istituzione.

Fonti e Bibl.: Presso l'Archivio Doria Pamphili a Roma si trovano numerosi documenti riguardanti il D.; in particolare: scaffali 7/39-43 e 8/54 (notizie biografiche varie); Archiviolo, buste 126 (notizie politiche dal 1793 al 1805) e 147 (spese per le nunziature).

Cfr. inoltre: Arch. di Stato di Roma, Misc. di carte politiche e riserv., b. 25 (carteggio del D. segretario di Stato); Arch. segr. Vaticano, Arch. S. Coll. d. Card., Cedul. et Rotul., 56 (30 Junii 1785); Ibid., Secr. Br., 4318, f. 1; 4362, f. 375; 4447, f. 5v; Fondo concistoriale, Acta Camerarii, 40, f. 54; 49, ff. 377, 495; 51, f. 36 (cariche ecclesiastiche); Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 8260, ff. 93-101 pt. II, ff. 517-520; 8335 pt. I, ff. 265-268; 8338, ff. 139-144; 10614, ff. 514-15, 518, 520; 12432, ff. 145-148; Ibid., Borg. lat. 13, ff. 74-75; 45, ff. 226-229; 283, f. 147; Roma, Arch. dell'Accademia di S. Luca, vol. 55, ff. 114- 115; Ibid., Bibl. naz., Gesuiti 1356, int. 3; Ibid., A.I. 64; Ibid., Bibl. Vallicelliana, ms. Z, 12, ff. 44-55; G. Antonini, Josephus ab Auria archiepiscopus, Romae s.d. (ritr.); Diario ordinario (Cracas), Roma 1771-1773, nn. 8306, 8318, 8324, 8398, 8400, 8474; ibid. 1783, nn. 846, 848, 850; Relazione di quanto si è praticato in congiuntura di aver mons. don G.D.P. nunzio straordinario apostolico fatto il formal ingresso a Madrid..., Roma 1773; Applausi poetici per la felice promozione alla sacra porpora degli eminentissimi sig. cardinali G. ed Antonio Doria ... dall'abbate Niccolò Dolcini di Meldola .... Cesena [1785]; Raccolta di documenti autentici riguardanti l'orribile attentato commesso in Roma il di 28 Dicembre 1797, Roma 1798; Raccolta di documenti autentici sulle vertenze insorte tra S. Sede e governo francese..., III, Italia 1814, pp. 28-32, 37-46, 48-53, 77 s.; Documenti relativi alle contestazioni insorte tra S. Sede e governo francese, s.l. 1833-34, III, pp. 42-82; VI, pp. 196-208; B. Pacca, Mem. storiche, Orvieto 1843, passim; E. Radet, Memoires, Saint-Cloud 1892, pp. 189, 193; E. Consalvi, Memorie, Roma 1950, ad Indicem; G. A. Sala, Scritti, Roma 1980, I, pp. 19, 33, 35 s., 90; G. B. Semeria, Secoli cristiani della Liguria..., Torino 1843, I, pp. 450-453; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplom. des conclaves, IV, Bruxelles 1886, pp. 281-304; D. Silvagni, La corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, I, Firenze 1881, pp. 432 s., 436; II, ibid. 1885, pp. 172, 197, 385, 405 s., 512; C. v. Duerm, Un peu plus de lumière sur le conclave de Venise…, Louvain-Paris 1896, pp. 29, 55, 84, 122, 163, 176, 201, 216 s., 228, 239, 283, 334, 463, 518, 542, 555, 574, 646, 649; I. Rinieri, La diplomazia pontificia nel sec. XIX, Roma 1902, I, pp. 73, 89, 92, 119, 288; Id., Napoleone e Pio VII (1804-1813), Torino 1906, I, p. 422; II, pp. 65, 330, 332; J. Gendry, Pie VI. Sa vie. Son pontificat (1717-1799), Paris 1907, I, pp. 285, 309 s.; II, pp. 51 s., 277, 284, 287, 298, 303 s., 309, 313, 358, 377, 436, 442, 458; F. Hayward, Le dernier siècle de la Rome pontificale, Paris 1927, I, pp. 97 s., 210; L. v. Pastor, Storia dei papi, XVI, 3, Roma 1934, pp. 270, 314, 325, 622, 625, 628 s., 632, 648; V. E. Giuntella, La giacobina Repubblica romana, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LXXIII (1950), pp. 1-213, passim; S. Caponetto, Pesaro e la legazione di Urbino nella seconda metà del secolo XVIII, in Studia Oliveriana, VII (1959), pp. 75-110; G. Filippone, Le relazioni tra lo Stato pontificio e la Francia rivoluzionaria, Milano 1961, II, pp. 10, 51, 219, 243, 303, 446, 466, 470, 508, 510, 633, N. Del Re, La Curia romana..., Roma 1970, p. 75; A. Cretoni, Roma giacobina, Roma 1971, pp. 15 s., 20-23, 26, 28 s., 37, 66, 101 s.; V. E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna 1971, pp. 297, 314 s.; M. Battaglini, Le istituzioni di Roma giacobina (1798-1799), Milano 1971, p. 13; H. Jedin, Storia della Chiesa, VIII, 1, Milano 1977; M. Caravale-A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, in Storia d'Italia (UTET), XIV, Torino 1978, pp. 505, 569, 583; M. Heimbürger Ravalli, Disegni di giardini e opere minori di un artista del '700: F. Bettini, Firenze 1981, ad Indicem; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles., ad Ind.

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