DROGHE E DIPENDENZE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

DROGHE E DIPENDENZE.

Antonello Bonci
Marco Diana

– Neurobiologia. Dopamina. Acido glutammico. Ormone di rilascio della corticotropina. Bibliografia

La dipendenza da sostanze o tossicodipendenza si riferisce a una patologia del sistema nervoso centrale che si sviluppa con il ripetuto uso di sostanze chimiche e produce astinenza alla sospensione del trattamento (Koob, Le Moal 2006). L’abuso di sostanze è un concetto diverso dall’uso di sostanze e caratterizza un comportamento patologico dove la sostanza abusata acquista un ruolo preponderante nella vita dell’individuo sino a occupare il primo posto nella scala delle attività quotidiane (American psychiatric association 2013). Tale comportamento è definito come compulsivo e fuori controllo a dispetto delle conseguenze negative.

Una sostanza da abuso è una molecola con proprietà ricompensanti (rewarding) e rinforzanti (reinforcing). Su queste proprietà si stabilisce la compulsione nella ricerca: ottenimento, assunzione ed effetti della sostanza abusata. Elemento fondamentale nello sviluppo della tossicodipendenza è il tempo. Maggiore è il tempo dedicato all’assunzione, maggiore sarà la gravità della dipendenza. Il grado di adattamento del sistema nervoso centrale (comunemente noto come plasticità neurale) consente, all’inizio, la ‘sopravvivenza’ del sistema alla sostanza intrusa, mentre, in seguito a trattamento protratto, rende la sostanza intrusa essenziale nella normale fisiologia, tanto che la sospensione della sua assunzione genera l’astinenza la quale, a sua volta, funziona da elemento di ‘rinforzo negativo’ per l’ulteriore assunzione. In ultima analisi, la normale funzionalità del sistema nervoso centrale viene profondamente modificata così da generare lo stato patologico. Questo stato si concretizza in un comportamento distinto da quello precedente all’assunzione protratta di sostanza (nello stesso individuo) e dal comportamento degli altri individui della stessa specie in situazioni analoghe e ragionevolmente comparabili (Diana 2013). Queste differenze giustificano la classificazione della tossicodipendenza fra le malattie del cervello e la escludono dai ‘vizi’ come una tradizionale, quanto obsoleta, visione del fenomeno vorrebbe. La classificazione della tossicodipendenza come malattia non è semplicemente accademica. Essa, infatti, ha importanti riflessi pratici e sociali, escludendo il fenomeno dalla sfera delinquenziale dove, frequentemente, trova asilo. Questa visione appare come la più equilibrata nella società moderna, garantendo all’individuo tossicodipendente lo status di ‘paziente’ (che necessita di cure) e prevenendo il suo inserimento nella sfera delinquenziale con le ineluttabili conseguenze giudiziarie.

Neurobiologia. – Allo stato attuale la ricerca delle anomalie che caratterizzano il cervello ‘drogato’ è non solo particolarmente attiva, ma anche molto feconda e produttiva. Le moderne tecnologie di imaging come PET (Positron Emission Tomography) e fMRI (functional Magnetic Resonance Imaging) consentono infatti di studiare l’effetto delle sostanze (e delle varie situazioni collegate) nel cervello dell’individuo vivente e consapevole (in assenza di anestesia). Con queste metodiche si sono evidenziate alterazioni molecolari e funzionali tipiche della dipendenza che hanno permesso di identificare vari meccanismi di neurotrasmissione implicati nella patologia. In prima approssimazione si può affermare che l’uso protratto di sostanza altera la fisiologia cerebrale a tutti i livelli (strutturale, molecolare, elettrofisiologico ecc.). I neurotrasmettitori (messaggeri chimici della funzione sinaptica) sono fra le molecole più studiate sia per il loro valore ‘euristico’ sia per la loro potenzialità di ‘target terapeutici’. Fra essi, tre molecole si distinguono nettamente dalle altre come protagoniste fondamentali delle alterazioni prodotte dalla dipendenza: la dopamina, l’acido glutammico e l’ormone di rilascio della corticotropina (CRF, Corticotrop in Releasing Factor).

Dopamina. – La dopamina è un neurotrasmettitore endogeno della famiglia delle catecolamine. È prodotta in diverse aree del cervello, tra cui la substantia nigra e l’area tegmentale ventrale (VTA, Ventral Tegmental Area). Si ritrova nei gangli della base, soprattutto nel nucleo caudato, nel nucleo accumbens e in alcune zone della corteccia prefrontale. Nessun altro sistema neuronale ha ricevuto tanta attenzione negli ultimi vent’anni quanto quello dopaminergico. La funzione della dopamina come neurotrasmettitoreè stata scoperta nel 1958 da Arvid Carlsson e Nils-Åke Hillarp presso il laboratorio di Chimica e farmacologia dell’Università di Göteborg, in Svezia. Nel 2000 Carlsson ha ricevuto il premio Nobel per la medicina o la fisiologia poiché ha dimostrato che la dopamina non è solo un precursore della noradrenalina e dell’adrenalina, ma anche un neurotrasmettitore.

I suoi livelli sono aumentati dalla somministrazione acuta di sostanze da abuso indipendentemente dalla loro classe (Di Chiara, Imperato 1988). Al contrario, dopo trattamento cronico e successiva astinenza i livelli di dopamina sinaptica si riducono drasticamente (Diana 2011), configurando quello che oggi viene riconosciuto come stato ipodopaminergico (Melis, Spiga, Diana 2005). Secondo questa teoria, l’impoverimento dopaminergico sarebbe responsabile dello scarso interesse mostrato dal tossicodipendente per i normali stimoli gratificanti, tipici della specie umana, come sesso, cibo, denaro ecc., e conferirebbe vulnerabilità al sistema per future assunzioni di sostanza da abuso (relapse).

Acido glutammico. – È uno dei 20 amminoacidi ordinari, con un gruppo laterale carbossilico che gli conferisce il comportamento acido da cui prende il nome. Oltre al suo ruolo di costituente delle proteine, nel sistema nervoso è un neurotrasmettitore eccitatorio e partecipa attivamente e diffusamente alla trasmissione sinaptica in condizioni fisiologiche e patologiche varie. Si ipotizza che l’acido glutammico sia coinvolto nel cervello in funzioni cognitive quali l’apprendimento e la memoria, benché in quantità eccessive possa causare danni neuronali da eccitotossicità tipici di sclerosi progressive (come la sclerosi laterale amiotrofica) e della malattia di Alzheimer. Nella tossicodipendenza il suo ruolo è ampiamente studiato e tipicamente un’alterazione della sua omeostasi è considerata fattore cruciale nella ricerca della sostanza, nel suo consumo e, più in generale, nella disfunzione cognitiva del tossicodipendente che lo conduce a una sbilanciata considerazione degli effetti a lungo termine (Kalivas 2009).

Ormone di rilascio della corticotropina. – Classicamente ascritto a un’attività di regolatore della funzione corticosurrenalica, il CRF ha assunto recentemente un ruolo di primo piano nei meccanismi neurobiologici responsabili della dipendenza da sostanze (Koob, Le Moal 2008). In particolare, è stato definito come il mediatore del sistema anti-reward, con un ruolo fondamentale tipicamente nelle fasi dell’astinenza caratterizzate dal ‘rinforzo negativo’, come trigger («grilletto») determinante del perpetuarsi dell’assunzione compulsiva. Il CRF sarebbe un trasmettitore con funzioni opposte a quelle della dopamina e pertanto sarebbe il correlato molecolare del sistema anti-reward, che verrebbe attivato nelle situazioni di stress elevato come la fase di astinenza (Sarnyai, Shaham, Heinrichs 2001). Recentemente è stato anche dimostrato un diretto legame anatomico e funzionale che legherebbe i due trasmettitori in un’area cerebrale, la VTA, classicamente dopaminergica (Grieder, Herman, Contet et al. 2014). Di notevole interesse pratico/terapeutico è il potenziale che gli antagonisti del CRF rivestono attualmente.

Bibliografia: G. Di Chiara, A. Imperato, Drugs abused by humans preferentially increase synaptic dopamine concentrations in the mesolimbic system of freely moving rats, «Proceedings of the National Academy of sciences USA», 1988, 85, 8, pp. 5274-78; Z. Sarnyai, Y. Shaham, S.C. Heinrichs, The role of corticotropinreleasing factor in drug addiction, «Pharmacological reviews», 2001, 53, 2, pp. 209-43; N.D. Volkow, L. Chang, G.J. Wang et al., Loss of dopamine transporters in methamphetamine abusers recoverswith protracted abstinence, «Journal of neuroscience», 2001, 21, pp. 9414-18; M. Melis, S. Spiga, M. Diana, The dopamine hypothesisof drug addiction: hypodopaminergic state, «International review of neurobiology», 2005, 63, pp. 101-54; G.F. Koob, M. Le Moal, Neurobiology of addiction, London 2006; G.F. Koob, M. Le Moal, Addiction and the brain antireward system, «Annual review of psychology», 2008, 59, pp. 29-53; P.W. Kalivas, The glutamate homeostasis hypothesis of addiction, «Nature reviews. Neuroscience», 2009, 10, pp. 561-72; M. Diana, The dopaminehypothesis of drug addiction and its potential therapeutic value, «Frontiers in psychiatry», 2011, 2, 64, pp. 1-7; American psychiatric association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, Washington D.C. 20135; M. Diana, The addicted brain, «Frontiers in psychiatry», 2013, 4, 40; T.E. Grieder, M.A. Herman, C. Contet et al., VTA CRF neurons mediate the aversive effects of nicotine withdrawal and promote intake escalation, «Nature neuroscience», 2014, 17, 12, pp. 1751-58; P. Trifilieff, D. Martinez, Imaging addiction: D2 receptors and dopamine signaling in the striatum as biomarkers for impulsivity, «Neuropharmacology», 2014, 76 Pt B, pp. 498-509.

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