Dubbio

Dizionario di filosofia (2009)

dubbio


Stato soggettivo d’incertezza, da cui risulta un’incapacità di scelte teoretiche o pratiche, essendo gli elementi oggettivi considerati insufficienti a determinarle in un senso piuttosto che in quello opposto. Sul piano gnoseologico, dubitare significa sospendere l’assenso (➔) nei confronti di proposizioni tra di loro contraddittorie; in questa accezione, esso si contrappone a credenza, ma è diverso anche dall’ignoranza, intesa come assenza di spirito di ricerca. Anzi è proprio la sua collocazione all’interno del processo di ricerca, il suo carattere problematico, che ha costituito il valore permanente del d. nella storia del pensiero filosofico, sia che esso venga considerato come operazione preliminare a ogni ricerca di verità, come premessa all’acquisizione della certezza (d. metodico), sia come constatazione dell’impossibilità di raggiungere certezze (d. scettico). Entrambe le forme di d. sono presenti nella filosofia greca. Al d. come metodo può essere assimilata la dialettica socratica, che contempla nella riduzione all’assurdo delle opinioni dell’interlocutore l’inizio del processo costruttivo del sapere. Aristotele definisce il d. come l’incertezza soggettiva che deriva dall’«equivalenza di ragionamenti opposti» e vede nello scioglimento dei d. l’avviamento alla scienza. Il d. sistematico degli scettici è invece legato all’impossibilità di conoscere la vera natura dei fenomeni. Se la realtà si riduce ad apparenza, tra due proposizioni contraddittorie non è dato stabilire quale sia vera e quale falsa: il d. diventa la condizione naturale del saggio, che si manifesta con la «sospensione del giudizio» (➔ epochè), unico atteggiamento corretto, sia sul piano gnoseologico, sia su quello pratico, perché dal d. nasce la tolleranza delle opinioni e dei comportamenti altrui. Lo scetticismo che apre al d. e alla probabilità ritorna d’attualità nell’Europa moderna segnata dalla crisi della cultura rinascimentale, dalla rottura dell’unità del popolo cristiano e dalla fine dell’eurocentrismo: Montaigne ne sarà il portavoce più raffinato e sensibile. La fine delle certezze tradizionali, la consapevolezza che non esistono più verità privilegiate e la critica corrosiva di ogni logica di scuola sono i motivi messi in circolazione dai Saggi di Montaigne e che costituiscono una fonte comune d’ispirazione delle ricerche di filosofi ed epistemologi del Seicento. Dal d. metodico muo- ve la critica baconiana degli idola, nell’intento di liberare dai pregiudizi la via che porta alla «gran- de instaurazione del sapere». In Locke la critica sistematica dei principi innati, sia speculativi sia pratici, aprirà alla ricostruzione dei processi della conoscenza sulla base dell’esperienza. Ma è con Cartesio che il d. metodico trova la sua realizzazione paradigmatica: nel percorso tracciato dal pensatore francese il d., sviluppato in tutta la sua capacità dissolvitrice, troverà un punto d’approdo nell’acquisizione di nuove certezze metafisiche, contro ogni forma di scetticismo pirroniano. Partendo dall’incertezza dei dati dei sensi, l’analisi del d. si estende progressivamente alle verità razionali, per approdare al cosiddetto d. iperbolico che ipotizza l’esistenza di un «genio maligno» preoccupato soltanto di ingannarci. Nel momento in cui non sembra restare altra strada che la sospensione del giudizio, è proprio l’attività del dubitare a fornire l’indistruttibile consapevolezza dell’io pensante che permette di uscire dal dubbio. Attraverso questo processo, il cogito si palesa come verità «chiara e distinta», inattaccabile dalle supposizioni stravaganti degli scettici, primo principio della nuova filosofia. La sospensione del giudizio degli scettici ritorna infine nella filosofia contemporanea con la fenomenologia di Husserl, dove assume però un carattere schiettamente metodologico. Ricollegandosi al d. cartesiano, l’epochè husserliana ha il compito di sospendere la validità delle credenze per attingere al «residuo fenomenologico» rappresentato dagli atti intenzionali della coscienza.