Ebraismo

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Religione ebraica, complesso delle credenze e della cultura degli Ebrei. È una delle più antiche religioni monoteistiche, dalla quale è derivato anche il cristianesimo e il cui nucleo originario risale alla credenza in un Dio nazionale, Yahweh, che stringe con il suo popolo un patto speciale. Probabilmente gli Ebrei avevano in origine una religione simile a quella dei popoli vicini; il monoteismo sorse gradualmente tra i gruppi che facevano capo ai profeti e si affermò definitivamente dopo l'esilio in Babilonia. Dal periodo del Secondo Tempio in poi (cioè a partire dal 6° sec. a.C.), la religione degli israeliti è detta più propriamente giudaismo.

Ebraismo - Approfondimento, di Elena Loewenthal

Il primo uomo a essere chiamato "ebreo", in ebraico ivri, fu Abramo, il capostipite delle tre grandi religioni monoteistiche, patriarca della Bibbia. Ivri è un appellativo di origine incerta, ma che probabilmente va ricondotto al significato della parola ever, che in ebraico indica "altra parte", "sponda opposta" (del Giordano o dell'Eufrate). Così, il verbo avar significa "attraversare". Abramo è dunque simbolicamente colui che "sta dalla parte opposta". Questa connotazione in fondo racchiude l'essenza originaria dell'ebraismo. Abramo varcò infatti un confine geografico e materiale, abbandonando la terra in cui era nato per eseguire l'ordine divino che gli ingiungeva di recarsi lontano. Ma egli si lasciò alle spalle anche e soprattutto il paganesimo, il culto degli idoli, scegliendo di obbedire all'unico Dio, alla sua voce nascosta che non ha volto.

Una lunga storia

L'ebraismo è la civiltà millenaria che prende le mosse dal cammino umano e spirituale di Abramo. Ha per suo codice di fede, ma anche di storia, la Bibbia ebraica, cioè l'Antico Testamento. L'ebraismo concepisce questo libro come dettato da Dio secondo diversi livelli di ispirazione. La Torah, cioè il Pentateuco, è il testo più vicino alla voce divina; seguono i Profeti e gli Scritti (o Agiografi). La Bibbia ha costituito per lunghi secoli il vero e proprio terreno di vita dell'ebraismo: non solo un libro di riferimento e nemmeno un codice di leggi da rispettare, bensì un autentico cosmo entro il quale situare l'esistenza.

Gli Ebrei non sono una nazione, né soltanto gli adepti di una fede religiosa, né tanto meno una razza (come hanno creduto i persecutori dell'epoca moderna). Gli Ebrei sono un popolo, anche se dal destino molto particolare. Innanzitutto perché sono e sono sempre stati un popolo molto piccolo. All'inizio del 21° sec. non si contano più di dodici milioni di Ebrei in tutto il mondo, sparsi fra lo Stato d'Israele, l'America e gli altri continenti. Inoltre, questo popolo ha vissuto per circa duemila anni - dal 70 d.C., anno della distruzione del tempio a Gerusalemme da parte dell'Impero romano, fino al 1948, anno in cui rinacque lo Stato ebraico - disperso fra le altre genti, in mezzo a culture, lingue e regimi diversi. Questo lungo fenomeno storico si chiama diaspora, che in greco significa "esilio" e "dispersione" al tempo stesso.

La particolare circostanza storica, che segna così profondamente l'ebraismo, è determinata da due fattori. Il primo è di carattere strettamente militare e riguarda i metodi espansionisti dell'Impero romano, deciso a estirpare la presenza del riottoso popolo autoctono da una sperduta regione, la Palestina, conquistata con impreviste difficoltà. In questa regione, detta originariamente terra d'Israele o di Canaan, gli Ebrei, o Israeliti, vivevano da tempo immemorabile, secondo il racconto della Bibbia. L'altro fattore è, naturalmente, l'emergere in quegli stessi anni di una nuova fede, innestata sull'ebraismo: il cristianesimo. Se infatti i primi convertiti alla nuova fede furono proprio gli Ebrei, il popolo cui Gesù apparteneva, l'ebraismo non ha però accolto in massa questa rivoluzione religiosa, rimanendo invece fedele alla propria identità. Queste due ragioni stanno alla base di una storia millenaria fatta di emarginazione e di disprezzo nei confronti dell'ebraismo. Fra i suoi momenti salienti si annoverano i massacri delle comunità ebraiche in Germania sotto il pretesto della lotta agli infedeli propugnata dalla prima crociata del 1096; vi è poi la fondazione a Venezia nel 1516 del primo ghetto, che di fatto ufficializza una realtà secolare, quella cioè che vedeva l'ebraismo vivere in forma di piccole comunità all'interno dei nuclei urbani, spesso con molte restrizioni. Le comunità si configurano ben presto come nuclei autosufficienti, piccoli quartieri nei quali si trovano le strutture necessarie alla vita dell'ebraismo: sinagoga, bagno rituale, forno per cuocere le azzime, scuole. Un altro evento cruciale nella lunga storia della diaspora fu certo il 1492, anno della cacciata dalla Spagna. E l'ultimo si chiama con il nome di Shoah, che definisce lo sterminio nazista.

Una cultura in esilio

Una visione in negativo della diaspora non racchiude certo tutta la complessità dell'esperienza ebraica. L'ebraismo si è formato, prima e durante questo lunghissimo periodo storico, come una cultura e una fede. Per meglio dire, costituisce una civiltà vera e propria. La frequentazione con il testo sacro ha sviluppato una coscienza dell'umanità in cui il libero arbitrio e l'onniscienza divina convivono senza cadere in contraddizione.

Centrale, nel pensiero dell'ebraismo, è l'idea della responsabilità individuale: nel rispetto della legge, ma anche nel concetto di una compassione reciproca che è principio sociale. Ogni individuo è coinvolto nel destino altrui e in qualche modo lo determina. Altrettanto centrale è, nell'ebraismo, la legge che Dio ha consegnato a Mosè sul Sinai e che guida la vita individuale e collettiva negli eventi grandi e in quelli quotidiani. La legge biblica è il terreno sul quale si cimenta l'arte del commento, dell'esegesi, dell'illustrazione, laddove essa sembra oscura. L'ebraismo si configura pertanto come una tradizione di testi e una successione di generazioni in cui ogni passo è un piccolo ma imprescindibile anello capace di garantire la continuità. Questa continuità traspare, per es., lungo il Talmud, il grande codice di narrazioni e commenti che costituisce la cd. Torah orale di fronte alla Torah scritta, cioè la Bibbia vera e propria. Il Talmud  risale all'epoca tardoantica, ma ha accompagnato l'ebraismo sino a oggi senza mai perdere la propria misura di attualità.

Lo Stato d'Israele, nato nel 1948 a seguito del risorgimento ebraico, detto sionismo, e sulle ceneri dell'ebraismo europeo sterminato dai nazisti, ha posto una sfida vecchia e nuova all'ebraismo: il confronto per un verso con una normalità nazionale da cui per millenni era stato escluso, e per l'altro con quella cultura della diaspora che la rinascita non ha affatto azzerato, dandole al contrario nuove energie e occasioni.

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