DE AMICIS, Edmondo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE AMICIS, Edmondo

Lucia Strappini

Nacque a Oneglia (Imperia Levante) il 21 ott. 1846 da Francesco, "banchiere regio dei sali" e Teresa Busseti. A Cuneo, dove la famiglia si era trasferita nel 1848, iniziò gli studi che proseguì a Torino nel collegio Candellero (1862); l'anno successivo fu ammesso alla scuola militare di Modena che frequentò per due anni e dalla quale uscì con il grado di sottotenente, per partecipare subito dopo alla guerra del 1866. A Torino aveva già cominciato a frequentare scrittori e giornalisti fra cui G. Prati e V. Bersezio, interessandosi di poesia e di teatro. Al 1863 risalgono le sue prime composizioni poetiche: A Venezia, Italia e Polonia (Torino), e Alla Polonia (ibid.) che inviò al Manzoni, ricevendone una risposta incoraggiante e lusinghiera.

L'episodio fu raccontato dallo stesso D. insieme alla rievocazione della visita da lui resa a Manzoni nel 1866 a Brusuglio, in Una visita ad A. Manzoni (in Pagine sparse, Milano 1874); in seguito alla quale il Manzoni gli fece pervenire, in segno di cortesia, le bozze della sua Appendice alla relazione dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (pubblicata nel 1868).

Nel 1867 cominciò a collaborare alla rivista Italia militare di Firenze, organo di propaganda del ministero della Guerra, di cui fu anche per breve tempo direttore, sul quale - vennero pubblicati i Bozzetti militari che ottennero un immediato e ampio successo e furono quindi stampati in volume con il titolo La vita militare. Bozzetti (Firenze 1868; nuova edizione accresciuta, ibid. 1869; edizione definitiva Milano 1880), cui seguì Racconti militari. Libro di lettura ad uso delle scuole dell'esercito (Firenze 1869), entrambi ben presto adottati come libri di testo nelle scuole militari. Il primo dei bozzetti, Una marcia come se ne danno tante, fu scritto dal D. su invito della rivista che lo pubblicò nel numero del febbraio 1867, intendendo così dare una risposta, implicita ma chiara, all'appena uscito libro di I. U. Tarchetti, Una nobile follia (Milano 1867), ispirato a una visione dell'esercito e della vita militare giudicata irriverente e trasgressiva. Il Tarchetti nella prefazione alla seconda edizione del romanzo (ibid. 1869) entrò direttamente ed esplicitamente in polemica con la descrizione deamicisiana dell'esercito e dei suoi compiti, edulcorata e manierata. Il D. non raccolse la polemica, alieno come si dimostrò costantemente dall'intervenire pubblicamente su materie che lo riguardassero personalmente.

La ragione del successo immediato dei bozzetti sta proprio nell'esaltazione che il D. vi faceva dell'esercito come istituzionesimbelo di una unità nazionale fortemente sentita ma ancora non compiutamente realizzata; l'esercito di cui il D. parla è il primo esercito nazionale che alla prima importante prova bellica (quella del 1866) aveva dato prove infelici e deludenti e che aveva bisogno pertanto di un'efficace azione propagandistica verso l'opinione pubblica. La sollecitazione ai sentimenti di solidarietà., all'amore patriottico, alla comprensione tra ufficiali e soldati e tra esercito e popolazione, è l'ingrediente di carattere morale e pedagogico che, mutati i terreni di riferimento, rimarrà uno dei motivi principali della intera sua produzione letteraria. L'altra ragione di successo sta nella scelta linguistica e stilistica operata dal D. sul modello del Manzoni e del manzonismo che produce quello stile "preciso e limpido" che molti anni dopo il Croce loderà come uno dei suoi principali pregi e che fu segnalato subito come elemento distintivo e apprezzabile da molti critici. D, il modello del fiorentino parlato, di una lingua media, dal lessico definito, senza. le ricercatezze, le raffinatezze e le asperità lessicali e sintattiche su cui lavoravano scrittori come il Carducci, o in tutt'altro modo il Verga, come poi il D'Annunzio, sulla linea di un più o meno esplicito antimanzonismo. Non a caso il Carducci prenderà di mira il giovane scrittore in un articolo pubblicato da Il Popolo di Genova (30 sett. 1878, p. 3, e precedentemente, nello stesso mese, sul Preludio di Bologna), accomunando la scrittura deamicisiana (pur senza esplicitamente nominarla) a quella dei "descrittori in prosa" ("Due razze al mondo di uomini bisogna odiarle ancora; e sono i parrucchieri in poesia e i descrittori in prosa... Quando non si sa più inventare, né immaginare, né raccontare, né pensare, ne scrivere; allora si descrive"). Come il suo solito il D. non raccolse gli strali carducciani; ma poiché, anni dopo, comparve su Capitan Fracassa (20 giugno 1880) un sonetto intitolato A un critico (poi nelle Poesie, Milano 1881), nel quale parve di riconoscere il ritratto tutt'altro che benevolo dei Carducci, questi inviò immediatamente una lettera al D. che, sotto il velo dell'ironia, faceva trasparire la sua ben nota vis polemica. Il D. rispose mostrando di non cogliere il tono della lettera e lo assicurò della propria stima e buona fede. Così, almeno sul terreno degli scambi epistolari e letterari, la querelle finì, anche se i giudizi e i motti del Carducci saranno ripresi spesso dai critici meno benevoli del De Amicis.

Nella Vita militare, come avverrà anche nei libri di viaggio, il D. si dimostra abilissimo nel mescolare. quasi a collage, diversi generi letterari; i bozzetti comprendono racconti, apologhi, descrizioni quasi cronachistiche, appunti, memorie autobiografiche, in un impasto che.rende il prodotto letterario gradevole e perfino, a volte, interessante per la ricostruzione di un clima sociale e civile; è il caso di L'esercito italianodurante il colera del 1867 (stampato nel 1869a Milano e poi rifuso nelle ediz. successive di La vita militare), resoconto della campagna in Sicilia, cui il D. partecipò, per la lotta al colera, in cui il giovane scrittore sa rendere il senso di estraneità e di diffidenza della popolazione civile nei confronti dello Stato unitario e dell'esercito che lo rappresenta.

Trasferitosi a Firenze, il D. entrò subito in dimestichezza con l'ambiente intellettuale e politico fiorentino di impronta moderata, ispirato alla Destra storica, e che faceva capo a Ubaldino ed Emilia Peruzzi, organizzatori e animatori di uno dei più famosi salotti letterari dell'epoca, frequentato da R. Bonghi, S. Spaventa, G. Casati, F. Martini, e il gruppo dirigente della Nuova Antologia. Questo ambiente e in particolare la figura di Emilia Peruzzi sarà rievocato molti anni più tardi dal D. in Un salotto fiorentino del secolo scorso (Firenze 1902).Il D. si inseri perfettamente in questa compagine letteraria e mondana, legandosi soprattutto a Emilia Peruzzi con la quale iniziò un rapporto intenso e significativo che durò, come è testimoniato dal ricco carteggio (tuttora in gran parte inedito, custodito alla Biblioteca nazionale di Firenze), fino alla morte di lei nel 1902.

Nel 1870 uscì il volume Impressioni diRoma (Firenze); dopo avere seguito come corrispondente dell'Italia militare l'esercito italiano nella spedizione romana (tema del libro Ricordi del 1870-71, Firenze 1872), nel 1871 si dimise dall'esercito, per dedicarsi interamente alla letteratura e al giornalismo. Accettò quindi l'incarico della Nazione di Firenze di pubblicare, come inviato, resoconti di un viaggio in Spagna che realizzò nel corso del 1871 (gli articoli raccolti in volume uscirono con il titolo Spagna, Firenze 1872). Successivamente fu inviato dell'Illustrazione italiana (periodico appena fondato da Treves) a Londra (Ricordi di Londra. Seguitida una visitaaiquartieri poveri di Londra di L. Simonin, ibid. 1874), all'Esposizione universale di Parigi insieme a G. Giacosa (Ricordi di Parigi, ibid. 1879), dove ebbe modo di conoscere, tra gli altri V. Hugo, E. Zola, J. Verne; e ancora in Marocco (Marocco, ibid. 1876). Pubblicò ancora i resoconti dei viaggi in Olanda (Firenze 1874) e a Costantinopoli (Milano 1877-1878).

Si tratta di racconti e descrizioni, conditi di aneddoti, bozzetti, riferimenti storici, artistici e sociali, spesso superficiali, di seconda mano (fu rilevato facilmente il debito manifesto nei confronti di Gauthier per la Spagna, ad esempio, su cui Croce ironizzerà) e pesantemente digressivi. Il D. si improvvisa critico d'arte, sociologo o storico, pronto sempre a cogliere e a restituire gli aspetti dei paesi visitati che possano colpire l'immaginazione e l'idea di cultura del suo lettore. L'impronta caratteristica è data infatti dall'occhio con cui il D. osserva e riferisce, in perfetta sintonia con la curiosità e lo stupore superficiali e riduttivi, tipici di un turista borghese di media cultura dell'età umbertina. Il D. si dimostra fin dall'inizio perfettamente aderente alle capacità che si richiedono a un giornalista dei periodici ad alta tiratura dell'epoca; e prima di tutto la capacità di..scrivere ponendosi sullo stesso livello del lettore, per gusto, cultura, esibizione sentimentale e intellettuale, aggiundendovi di suo il tono brillante e disinvolto, lo stile scorrevole e garbato. Se così rasenta l'ovvio e il plagio letterario, poco importa, poiché i suoi libri di viaggio assolvono sostanzialmente a una doppia funzione: di informazione giornalistica con quel tanto di gusto per l'esotico, per il lontano, per il diverso, mantenuto tuttavia in un orizzonte di ovvietà praticabile per il lettore medio (i paesi descritti sono tutti europei o mediterranei); e, insieme, di illustrazione accattivante di quel moralismo didascalico che è la molla più intima della scrittura deamicisiana.

In questi anni il D. ha già acquistato ampia e solida fama come giornalista e scrittore; collabora a molti periodici, tra cui, oltre Nuova Antologia e Illustrazione italiana, Rivista minima, Capitan Fracassa, Cronaca bizantina; ha pubblicato un volume di Novelle (Firenze 1872) in cui si ritrovano delineati gli elementi tipici dei suo modo di scrivere e di raccontare; e una raccolta di scritti vari, Pagine sparse (ibid. 1874). Ma l'avvenimento più importante di questo periodo è l'inizio e il successivo rapido consolidamento di un rapporto privilegiato con l'editore E. Treves di Milano che, in virtù di un contratto ferreo, pubblicherà la quasi totalità delle sue opere, ristampandole in molte edizioni, spesso arricchite dai disegni di noti illustratori come E. Ximenes, A. Ferraguti, C. Biseo, E. Nardi, G. Amato, D. Paolocci.

Il carteggio intercorso tra lo scrittore e l'editore (solo parzialmente edito e consultabile nel fondo De Amicis costituito presso la Biblioteca civica di Imperia nel 1970) copre circa un trentennio e presenta notevole interesse come documento del sorgere nel settore editoriale di una logica di produzione e di organizzazione culturale-commerciale, sensibilmente diversa dall'assetto artigianale ed elitario precedente, che vede ormai l'editore-imprenditore in una veste di promozione e sollecitazione del mercato, tale da farne un protagonista, accanto allo scrittore, delle mode e delle correnti culturali e letterarie.

Una puntuale testimonianza di questo nuovo fenomeno si ha nello scambio di lettere a proposito di Cuore. Il progetto del libro è annunciato dal D. a Treves già in una lettera del 2 febbr. 1878, nella quale espone le linee generali dell'opera; l'editore non si stancherà da allora di sollecitarlo periodicamente e insistentemente fino alla pubblicazione del volume. Ma non si limita ad attendere; nel frattempo. organizza una vera e propria campagna pubblicitaria sul semplice annuncio del libro e del suo titolo, in questo peraltro assecondato e affiancato dallo stesso D. che, per esempio, in una lettera a Treves del 30 luglio 1878 gli riferisce di avere esposto "il concetto del libro Cuore" allaregina Margherita di Savoia nel corso di un incontro.

Continuando a rimandare la realizzazione del progettoto Cuore, il D. pubblica intanto Gli effetti psicologici del vino (conferenza tenuta la sera del 5 apr. 1880) in Il vino. Undici conferenze, Torino-Roma 1880 (pp. 443-501) (poi ristampato in opuscolo, 1881); seguito da un libro di Poesie (Milano 1881), giudicate generalmente mediocri, e da Ritratti letterari (ibid. 1881), che raccoglie schizzi di scrittori ed artisti francesi, in parte già pubblicati su riviste, come A. Daudet, E. Zola, E. Augier, A. Dumas, Coquelin, P. Déroulède, con molti dei quali manteneva rapporti epistolari. Due anni pill tardi è stampato il volume Gli amici (Milano), una sorta di trattato in forma discorsiva, spezzato da aneddoti, bozzetti, digressioni, tutto finalizzato ad analizzare e dipingere il valore sentimentale e morale dell'amicizia nella vita quotidiana.

Il libro era stato concepito in un primo tempo dal D. come primo volume di una serie dal titolo Cuore, che avrebbe dovuto comprendere vari tipi di ritratti psicologici e di costume, secondo un progetto che però non si realizzò mai. D'altra parte quest'opera si colloca precisamente sulla linea del progettato Cuore (A. Baldini lo definisce "prontuario delle effusioni passioni consolazioni delusioni del cuore"); sicché non aveva avuto torto Treves a insistere perché uscisse con il titolo già tanto pubblicizzato, incontrando tuttavia la decisa opposizione del D. che continuava a rimandare la stesura del "romanzo", scritto poi di getto tra il febbraio e il maggio del 1886.

Nel frattempo, pur essendo strettamente vincolato, per contratto, a Treves per tutte le pubblicazioni in volume, e soprattutto per Cuore, il D. concluse un accordo, finanziariamente fruttuoso, con A. Sommaruga, editore della Cronaca bizantina e nuovo astro del mercato editoriale, per la pubblicazione di una raccolta di prose giornalistiche, Alle porte d'Italia (Roma 1884), già comparse sulla Cronaca bizantina, appunto, per conto della quale il D. aveva visitato le valli piemontesi che vi si trovano descritte. In seguito a quella che Treves giudicò una grave scorrettezza e un personale tradimento di fiducia, i rapporti tra i due si raffreddarono fino a che il D. poté finalmente annunciargli la consegna del manoscritto di Cuore. Libro per i ragazzi, che fu pubblicato nell'ottobre 1886.

Minuziosamente preparato dal D. ("Vivo tra i miei ragazzi delle scuole elementari, - li vedo, li sento e li adoro, non mi par più d'esser nato per altro che per quello che faccio. Ah! la vedranno i fabbricanti dei libri scolastici come si parla ai ragazzi poveri e come si spreme il pianto dai cuori di dieci anni, sacro Dio!", lettera a Treves, 16 febbr. 1886), con la perfetta consapevolezza delle richieste del pubblico che aveva affinato già da diversi anni, il libro è costruito ad arte per piacere ai ragazzi e soprattutto ai loro genitori.

La materia del libro è disposta su tre livelli: il diario dei giorni di scuola di Enrico, alunno di terza elementare, con la descrizione dei Compagni di classe, del maestro, dell'ambiente scolastico, dei rapporti tra i ragazzi e dei loro differenti stati sociali; le lettere dei genitori e della sorella di Enrico di pesante intonazione pedagogico-morale; i racconti mensili dettati dal maestro e inseriti nella narrazione. I tre livelli sono diseguali e in qualche modo disomogenei, tanto che i racconti mensili (Il Piccolo Patriotta Padovano, La piccola vedetta lombarda, Il piccolo scrivano fiorentino, Il tamburino sardol L'infermiere di Tata, Sangue romagnolo, Valor civile, Dagli Appennini alle Ande, Naufragio) si sono potuti spesso isolare dal resto del libro, in utilizzazioni sia editoriali sia cinematografiche. I racconti infatti si collocano sulla linea delle novelle e dei bozzetti e benché qui siano improntati al tono generale del libro di insistente sentimentalismo e moralismo pàtetico e tetorico, rispondono tuttavia alle medesime norme di narratività agile e ricca di intreccio e situazioni che sostengono le migliori prose narrative del De Amicis. Più pesantemente inficiata di didascalismo, fino al limite a volte del grottesco, la parte di diario dedicata alla vita scolastica e familiare di Enrico; un'analisi pur sommaria dei personaggi che vi compaiono dimostra facilmente la loro mancanza di spessore psicologico e, a volte, anche di coerenza nella costruzione narrativa, nonché la sovrapposizione costante del moralismo e del sentimentalismo deamicisiano alla descrizione e alla narrazione. Ma è tuttavia proprio qui la forza del libro, nella esemplarità delle figure che non richiede nessun tipo di caratterizzazione psicologica e individuale, ma piuttosto una definizione di funzione nel corpo del racconto complessivo, che, come già nei bozzetti e nelle novelle, è strutturato, per lo più, su una coppia di opposti, in modo che possano agevolmente essere colti i motivi portanti delle vicende. Nel caso di Cuore, la figura di Franti, in parallelo e in alternativa a tutte le altre, ricopre interamente da sola il ruolo di polo negativo, raccogliendo su di sé iutto il male che in piccole dosi è distribuito nei comportamenti degli altri ragazzi. La figura esemplarmente opposta è naturalmente quella di Garrone che svolge esattamente lo stesso ruolo, rovesciato, tutto al positivo. Attorno a questa struttura diadica, tipica della narrativa cosiddetta "popolare" (d'appendice, rosa, poliziesca, ecc.), il D. organizza la materia secondo schemi e modi narrativi che, per essere prevedibili e ripetitivi, non sono però meno efficaci.

I difetti o le caratteristiche narrative e stilistiche del libro sono state abbondantemente sottolineate e illustrate criticamente nel corso degli anni; la scarsa caratterizzazione psicologica dei tipi descritti, la mancanza di fantasia nella costruzione degli episodi narrati, il monocorde e ossessivo tema della morte che percorre il libro contro ogni verosimiglianza, e che ha fatto parlare di sadismo dello scrittore nei confronti dei suoi personaggi; il rilievo, infine, della fragilità ed esilità del patrimonio intellettuale e ideologico deamicisiano, incapace di sostenere un quadro come questo di insegnamenti e precetti morali; sono tutti elementi messi in rilievo come intrinseci dati negativi di un'opera che è sembrata male collocarsi nel panorama della letteratura per l'infanzia e della letteratura tout court. Nonostante tutto questo, e altro ancora, Cuore fu accolto con immediato e crescente successo di pubblico e, in buona misura, di critici due mesi dopo l'uscita del libro, si era già arrivati alla quarantunesima edizione e diciotto richieste di traduzione; nel 1910 fu raggiunto il 5000 migliaio, nel 1923 un milione di copie.

La sua straordinaria diffusione va allora ascritta, oltre che alla accuratissima preparazione propagandistica di cui si è detto, a motivi propriamente intrinseci all'opera. Certo è, prima di tutto, che l'amalgama di buoni sentimenti, di concetti morali, di convinzioni patriottiche e solidaristiche, di educazione alla civiltà dei costumi, erano illustrati su terreni concreti e accessibili alla pratica quotidiana dei lettori (come la scuola la famiglia, la città, il lavoro) e trovavano perciò immediata e facile eco nella coscienza del pubblico. La sottolineatura, poi, di questi temi nella forma melodrammatica e ipersentimentale che nel secondo Ottocento aveva trovato molti luoghi, anche popolari, di manifestazione e di espressione, sul terreno letterario ed extraletterario (basterebbe pensare al teatro drammatico e musicale), faceva di Cuore non un prodotto, ma il prodotto esemplarmente sintetico e rappresentativo di un clima e di una cultura diffusa, come può esserlo la cultura che, nelle sue forme riduttive, pedagogicamente concentrate e semplificate, costituì fin da allora la sostanza dei programmi di insegnamento scolastico ed educativo.

L'abilità del D. si manifesta anche nell'aver saputo coniare un prodotto letterario dignitoso e accurato, che sapeva mettere a frutto il meglio della recente tradizione giornalistica, alla quale lui stesso aveva dato un'impronta originale, innestata sul filone letterario più nobile del manzonismo, linguistico, stilistico e culturale. Elemento non trascurabile, il carattere laico dei libro che gli attirò le critiche degli ambienti ecclesiastici e clericali, ma certamente contribuì al suo pieno inserimento nei programmi civili e culturali del nuovo Stato italiano. Al di là tuttavia dei motivi storici e contingenti e strettamente nazionali, ci sono ragioni più generali che hanno promosso la diffusione di Cuore in tutto il mondo e nelle società a ordinamento politico più diverso. Il riferimento, insistito e strutturante, ad alcuni nuclei etici come la solidarietà, l'altruismo, l'amor di patria e soprattutto la morale dei sacrificio, rappresenta la forza, ancora oggi non anacronistica benché sempre più radicalmente contestata, del libro; poiché questo permette una sua utilizzazione pedagogica in ogni tipo di cultura che fondi l'organizzazione civile e sociale più sul consentimento conformistico degli individui alla forma-Stato, ossia sull'essere indotti fin da piccoli a conformarsi ad un modello di società implicitamente dato per immutabile nei suoi fondamenti, piuttosto che sullo sviluppo della responsabilità individuale, della capacità dei singolo di scegliere ogni volta il comportamento etico sulla base di un corpo di convinzioni e di nuclei ideologico-intellettuali continuamente ripensati e sottoposti a verifica.

A ragione il D. aveva sottolineato la novità della forma scelta (non romanzo, non trattato, non libro filosofico) in rapporto alla materia trattata; perché i temi affrontati qui erano in qualche modo originali nel panorama letterario italiano, per il loro legame con l'attualità e la vita sociale, benché proiettati in una dimensione assoluta e sostanzialmente aproblematica. Anche probabilmente per la sua esperienza di giornalista, il D. optò per una forma che, in qualche modo, produceva una frattura nella struttura romanzesca, non solo per il frazionamento della narrazione, che già caratterizzava i bozzetti, ma anche per la diversa distribuzione delle funzioni narrative all'interno del libro; sicché questo tipo di produzione letteraria definisce quella vasta area del secondo Ottocento che si colloca tra il giornalismo e la letteratura, provocando modificazioni, sul medio e sul lungo periodo, dell'uno come dell'altra.

La ripresa dei temi di Cuore segna la produzione deamicisiana immediatamente successiva. Sulla stessa linea si colloca infatti, per l'attenzione posta ai problemi della scuola e dell'istruzione come strumento di promozione sociale e civile, il Romanzo d'un maestro (Milano 1890), che il D. aveva cominciato a scrivere prima di Cuore, insieme al quale lo consegnò a Treves per la pubblicazione. Fu l'editore a scegliere di rimandare la stampa, calcolando i tempi in modo tale che il nuovo libro, seppure non poté eguagliare l'exploit di Cuore, si inserì utilmente sulla scia del suo successo.

Anche questa, più che un vero e proprio romanzo, è una raccolta di bozzetti tenuti insieme dalla figura del maestro protagonista, che incarna le virtù di abnegazione, altruismo, forza morale e bontà d'animo che il D. riteneva essenziali non solo all'esercizio della professione del maestro, concepita come "missione" sociale e spirituale, ma anche a colmare le gravi lacune strutturali e civili in cui la scuola italiana si muoveva. In questo senso il romanzo appare un'utile testimonianza, indiretta ma significativa, dello stato pesantemente critico in cui versava, all'indomani dell'Unità, tutto il settore dell'istruzione pubblica: analfabetismo, insufficienze di ogni tipo dell'apparato scolastico, fuga dall'obbligo scolastico, pessime condizioni economiche dei maestri. La scelta deamicisiana del tema equivaleva dunque a una consapevole denuncia sociale, sia pure nelle forme che gli erano consuete.

Seguirono, sugli stessi temi: Fra scuolae casa (Milano 1892), raccolta di novelle e bozzetti, tra cui Amore e ginnastica (ristampato con nota introduttiva di I. Calvino nel 1971, Torino) e La maestrinadegli operai (pubblicato autonomamente a Milano nel 1895); Ricordi d'infanzia edi scuola (Milano 1906) che contiene, tra l'altro, la novella Il "Re delle bambole", ristampata con una nota di C. A. Modrignani (Palermo 1980). Nel corso di una Conferenza sulla questione sociale tenuta per conto dell'Associazione universitaria torinese agli studenti l'11 febbr. 1892 (Firenze 1892), il D. dichiarò pubblicamente la sua adesione al socialismo al quale si era accostato già da due anni. Quindi nella lista socialista fu eletto consigliere comunale a Firenze (1892) e deputato al Parlamento (1898), mandato che tuttavia non accettò. A partire da questi anni, comunque, partecipò assiduamente all'attività propagandistica dei socialisti, collqborando a molti giornali e periodici tra cui: Socialismopopolare (Venezia 1892-1893), L'Aurora (Modena 1902), L'Avanti! (Milano), Critica sociale (Milano), La Democrazia sociale (Padova 1892- 1893), IlDomani (Roma 1906), Era nuova (Genova 1894-1908), L'Etna (Catania 1892), Germinal (Torino 1898-1903), IlGrido del Popolo (Torino 1892-1908), Lotta di classe (Milano 1892-1908), IlMilite dell'umanità (Roma 1892-1893), IlPensiero italiano (Milano 1891-1898), Per l'idea. Periodico quindicinaledi letteratura sociale (Milano 1901), Perl'idea. Supplemento mensile letterario alGrido del popolo (Torino 1896- 1897), Rassegna popolare del socialismo (Firenze 1899-1900); IlRiscatto (Messina 1887-1908), La Squilla (Torino 1888-1892). Tenne inoltre molte conferenze di propaganda spesso stampate in opuscoli e diffusi dai militanti socialisti. Tra gli opuscoli: Ad un giovane operaio (Firenze s. d.); Aigrandi ed ai piccoli (Roma 1910), Ai nemici del socialismo (Novara 1896), A unasignora: lettera aperta (Firenze 1902), Bozzetti sociali (Siena 1908), Consigli emoniti (Firenze 1900), Elettori! Votate perl'avv. Giuseppe Campa (Torino 1895), Igiovani e il socialismo (Roma s. d.), Ildenaro degli altri (Firenze 1899), IlPrimomaggio. Discorso tenuto all'Associazione generale degli operai (Torino 1896), Il socialismo in famiglia: la causa dei disperati (Milano 1897), La questione sociale (ibid. 1917), Madre credente e figliuolo socialista (Genova 1902), Nel campo nemico: letteraa un giovane operaio socialista (Firenze 1896), Osservazioni sulla questione sociale (Torino 1892), Pensieri e sentimenti di unsocialista (Pavia 1896), Per la bellezza diun ideale (Jesi 1907), Per l'idea. Bozzetti (Novara 1897), Primo maggio: conferenza (Firenze 1907), Socialismo e patria (Catania 1900), L'imbecillità progressiva della borghesia cosiddetta colta (Roma 1893).

Alcuni di questi scritti furono raccolti nel volume Lotte civili. Raccolta di bozzetti, scritti e conferenze socialistiche (Firenze 1899; nella prefazione alla seconda edizione del 1900, C. Monticelli scriveva: "E. D., con le Lotte civili, ha scritto l'antitesi dei suoi Bozzetti militari. È,per lui, nelle Lotte civili, un modo diverso di vedere, di osservare, di conceffire le cose"). Altri scritti furono raccolti in Speranze e glorie. Discorsi (Catania 1900).

Su questa linea di rinnovato impegno sociale aveva già pubblicato nel 1889 Sull'Oceano (Milano), una sorta di diario della traversata dell'Atlantico da lui compiuta nel 1889 sulla nave "Galileo" con 1.600 emigranti diretti verso l'America meridionale. La denuncia del fenomeno massiccio dell'emigrazione, la commossa partecipazione alle scelte drammatiche cui erano costretti decine di migliaia di italiani, privi di ogni tutela e protezione, venivano trasmesse nel libro con i consueti strumenti didascalici e letterari del D.: i bozzetti, le descrizioni, gli schizzi di personaggi, gli aneddoti, inti.nti in un diffuso tono di Pietà e di commiserazione paternalistica che, è la cifra dei libro. Contemporaneamente all'adesione al Partito socialista cominciò a lavorare a un nuovo romanzo, Primo maggio, che tuttavia rimase incompiuto e che l'autore non volle mai pubblicare.

In una lettera a Treves (6 ott. 1894) scriveva: "non credo che il ritardo della pubblicazione faccia dubitare della fermezza delle mie convinzioni: a questo riguardo ha assai più importanza uno qualunque dei discorsi od articoli che vado facendo sul socialismo che non un lavoro d'indole artistica, in cui il pensiero dell'autore non è espresso che in forma indiretta ed è per giunta spesso contraddetto e combattuto, anche con buone ragioni e con violenza, dai suoi stessi personaggi"; e aggiungeva, a proposito del roman zo: "Non mi piace più, non ci ho più fede, e l'idea di un insuccesso, dopo una così grande aspettazione, mi sgomenta... Sento che se ho un insuccesso, son morto". Il inanoscritto è dunque rimasto inedito fino al 1980 quando è stato pubblicato a Milano a cura di G. Bertone e P. Boero.

L'adesione del D. al socialismo avvenne in consonanza con la diffusione delle nuove idee in una relativamente ampia e significativa schiera di intellettuali, come A. Graf, C. Lombroso, G. Giacosa, Z. Zini, che caratterizzano un'ala importante del socialismo torinese di fine secolo. Le ragioni del D. non furono semplicemente umanitarie e sentimentali, come spesso si è sostenuto; proprio considerando il suo attivo impegno di intellettuale militante e l'articolazione delle posizioni ideologiche e politiche che propagandava, si vede infatti chiaramente che quelle ragioni poggiavano sulla medesima concezione sociale, culturale e politica di progressismo ordinato e riformismo graduale, di conciliazione tra le classi e di ottimismo sociale che sostenevano i programmi ideologici e politici dell'anima riformista del socialismo italiano. Come è bene testimoniato dalla grande quantità di conferenze, discorsi, articoli e interventi che riempirono il decennio dell'attività di fine secolo del D., si tratta per lui di una seria e meditata adesione a un programma e a una organizzazione politica, oltre che soprattutto a una prospettiva ideale (in un'intervista a Ojetti, nel 1895, aveva detto: "Il socialismo è una meta che forse, così come la pensiamo, non sarà raggiunta mai"); e benché questa adesione non avesse né una base né un carattere dottrinale o filosofico definiti e precisi, come del resto in molta parte del socialismo riformista dell'epoca, tuttavia alcuni motivi fondamentali gli erano chiari e costituiscono il filo dei suoi numerosissimi interventi Propagandistici. La convergenza della maturazione personale del D. con le idee socialiste fu comunque favorita dalla tensione propria dello scrittore al pedagogismo, all'apostolato, alla concezione dello stesso mestiere di scrittore e giornalista come missione individuale e sociale. Nella stessa intervista a Ojetti dichiarava: "L'arte se vuole essere arte non deve predicare, ma deve avere uno scopo. Ecco le due parole che danno nettamente la differenza: scopo, non tesi nel romanzo".

Le due componenti della sua formazione e professione intellettuale e della nuova convinzione politica si fondono dunque nella produzione letteraria degli ultimi anni, seppure spesso in forma implicita e indiretta. Gli scritti dell'ultimo periodo non sono per lo più che la continuazione e la ripresa dei motivi letterari e tematici su cui aveva lavorato nei decenni precedenti. Sono ancora bozzetti, novelle, pezzi brillanti, che nonostante il grande successo di vendite che continuano a riscuotere, si dimostrano già stranamente anacronistici negli anni in cui la scena letteraria è ormai dominata dal D'Annunzio e in cui, quindi, lo stesso gusto del pubblico si va modificando.

Sono di questi anni: Ai ragazzi (Milano 1896); La lettera anonima (ibid. 1896), conferenza tenuta utilizzando i dati di una piccola inchiesta da lui realizzata fra alcuni scrittori e artisti (A. Boito, O. Guerrini, T. Salvini) per raccogliere le lettere anonime da costoro ricevute; In America (Roma 1897). in cui riprende i motivi di Sull'Oceano; Gli Azzurri e i Rossi (Torino 1897), in cui rievoca la sua infanzia di giocatore di pallone, percorre la evoluzione storica del gioco, tratta della "psicologia sferistica", della "estetica dei gioco", e così via; Le tre capitali Torino-Firenze-Roma (Catania 1898); La carrozza di tutti (Milano 1899), "una specie di romanzo in tranvai; le avventure d'un anno passato sulla carrozza di tutti" (lettera a Treves, 3 genn. 1897); Memorie (ibid. 1899), che contiene, tra l'altro, i commossi ricordi della madre, morta ultraottantenne nell'anno 1898 e del figlio primogenito Furio, morto suicida alla fine dello stesso anno (In memoria di mia madre; In tua memoria, figlio mio!, raccolte sotto il titolo comune Memorie sacre); Nel giardino della follia (Livorno 1902), che contiene due novelle poi ristampate in Nel Regno del Cervino. Nuovi bozzetti e racconti (Milano 1905); Capo d'anno. Pagine parlate (ibid. 1902), raccolta di conferenze su vari argomenti; Gli anni della fame di un pittore celebre (Firenze 1906): si tratta di Giacomo Grosso; Pagine allegre (Milano 1906) raccolta di scritti di vario genere già pubblicati su riviste, come il successivo Nel regno dell'amore (ibid. 1907); Ricordi d'un viaggio in Sicilia (Catania 1908).

Il libro più significativo pubblicato dal D. in questi anni è L'idioma gentile (Milano 1905), in cui sono esposte le sue idee sulla lingua, che ricalcano l'opzione manzoniana per l'uso del fiorentino, in una fase però in cui ormai la questione della lingua aveva assunto contorni ed esigenze sia scientifiche sia pratiche sensibilmente distanti dalla polemica che diversi decenni prima aveva visto opporsi Manzoni e G. Ascoli.

Attraverso un lungo e accurato esame dei principali studi sulla lingua dei secondo Ottocento (di F. D'Ovidio, G. Ascoli, F. Romani, A. D'Ancona, O. Bacci), il D. in sostanza richiamava e riprendeva le posizioni sulla lingua che aveva già espresso un trentennio prima in Pagine sparse, quando incitava i giovani alla "lettura del vocabolario" che egli stesso considerava un prezioso mezzo di penetrazione nel regno delle parole e quindi delle cose. Questa pratica continua e assidua del vocabolario come strumento di conoscenza e di diletto dà ragione delle caratteristiche del linguaggio e delle scelte stilistiche deamicisiane, molto più e meglio probabilmente del suo manzonismo dichiarato.

Il D. morì a Bordighera l'11 marzo 1908 colpito da una lesione cerebrale. Postumi vennero pubblicati da Treves tre volumi di scritti raccolti sotto il titolo Ultime pagine e precisamente: Nuovi ritratti letterari ed artistici (Milano 1908) che comprende la ristampa di Un salotto fiorentino del secolo scorso e articoli già pubblicati su giornali e riviste, come il ritratto di D'Annunzio; Nuovi racconti e bozzetti (ibid. 1908); Cinematografo cerebrale. Bozzetti umoristici e letterari (ibid. 1909).

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