DE AMICIS, Edmondo

Enciclopedia Italiana (1931)

DE AMICIS, Edmondo

Umberto Bosco

Scrittore, nato a Oneglia il 31 ottobre 1846, morto a Bordighera l'11 marzo 1908. Ufficiale di fanteria nel 1865, combatté nel '66; l'anno seguente prestò servizio tra le truppe che assistettero i colerosi. Subito dopo fu chiamato a Firenze, dove, addetto al giornale L'Italia militare, ebbe modo di attendere a studî di lingua. Già noto per articoli e bozzetti pubblicati su l'Italia militare e altrove, divenne ben presto popolare, specie quando quei bozzetti furono pubblicati in volume (La vita militare, Milano 1868; l'ediz. Milano 1880 è completamente rifusa). Seguirono le Novelle (Firenze 1872) e i Ricordi del 1870-71 (ivi 1872). Ormai, incitato dal suo pubblico sempre più vasto e fedele, egli, lasciata la carriera militare, si era dato tutto alla letteratura. Comincia così la sua vita di scrittore, per così dire, professionista, che s'inaugura con una serie di libri di viaggio, tutti, sebbene in varia misura, editorialmente fortunati: Spagna (Firenze 1872), Olanda (ivi 1874), Ricordi di Londra (Milano 1874), Marocco (ivi 1876), Costantinopoli (2 voll., ivi 1878-79), Ricordi di Parigi (ivi 1879). Intanto già da qualche anno aveva fissato la sua residenza abituale a Torino, che non lasciò più, badando ad alimentare sempre con nuovi libri e articoli il favore del pubblico che non gli venne mai meno, neppure quando fu fatto segno ad attacchi violenti da uomini come il Carducci. La sua adesione al socialismo (1891) fu l'avvenimento più saliente di una vita semplice e ritirata senza eventi esteriori né profonde passioni, sebbene rattristata crudelmente negli ultimi tempi dal suicidio di un figlio; ma anche quell'adesione fu effetto dello sviluppo naturale del pensiero o meglio del sentimento del De A., più che d'intima crisi. In sostanza, il mondo spirituale e l'arte del De A., rimasero quali erano.

Già nel 1880 aveva pubblicato un volume di assai mediocri Poesie (Milano); ma l'opera maggiore di questo nuovo periodo è Gli amici (2 voll., Milano 1883): argute analisi psicologiche, nitidi ritratti, lineare semplicità di commozione e di morale. Son questi i pregi anche di Cuore (ivi, 1886), libro fortunatissimo; il De A. trova nell'infanzia, facile alla commozione e all'istintiva simpatia, e perciò facile ad essere educata al bene, il suo pubblico ideale. Il Cuore resta - sebbene, specie negli ultimi tempi, abbia suscitato molte e in gran parte ingiuste riserve d'ordine pedagogico e artistico - il capolavoro del De A. Il quale continuò a lavorare fecondamente; tralasciando molte cose minori, ricorderemo ancora di lui Sull'Oceano (Milano 1889), Il romanzo di un maestro (ivi 1890), Fra scuola e casa (ivi 1892), di cui fa parte il racconto La maestrina degli operai, pubblicata anche da sola (ivi 1895), e, superiore agli altri, La carrozza di tutti (ivi 1899), diario di un anno di osservazione su una linea di tranvai. Del problema della lingua si occupa, infine, con entusiasmo un po' ingenuo e criterî arretrati, L'idioma gentile (Milano 1905; 2ª ed. corretta, ivi 1907).

La scarsezza della fantasia, non riscattata dal potere di osservazione che egli ebbe acutissimo, fa che il De A., non riesca mai a scrivere un vero e proprio libro. Tutti i suoi volumi son costruiti su schemi esteriori, per lo più diarî, che reggono serie di macchiette di "bozzetti" come allora si diceva. Bozzetti, appunto: il grande quadro non venne mai, ché, insomma, mancò al De A. la forza della sintesi. I giambi del Carducci sono contemporanei ai bozzetti militari del De A., e questi era lo scrittore adatto a quell'Italia contro cui il Maremmano ruggiva non senza esagerazioni: quell'Italia onesta ma miope, amante della patria e del bene, purché patriottismo e altruismo non sconvolgessero troppo la banalità della vita, della politica, della consuetudinaria morale. Accanto alla politica, abbiamo anche la letteratura delle "mani nette". Il De A. fiorì contemporaneamente al Barrili, al Farina, al Giacosa, altro bersaglio carducciano: uomini dabbene, tutti, nella vita e nella letteratura; narratori garbati ma senza profondità; propugnatori delle idee medie e ovvie; osservatori coscienziosi della vita comune; ma insomma descrittori "a vuoto", di quelli che il Carducci diceva di odiare. Di questi scrittori il De A. è senza dubbio il maggiore; né bisogna rimproverargli di non averci dato ciò che egli stesso, sinceramente e onestamente, dichiarava di non saper dare; ma nell'ambito delle sue possibilità e dei suoi intenti, egli eccelle. Pochi sono stati amanti del bene, in tutte le sue forme, come lui; e in questo amore del bene, sempre schietto in lui uomo, anche quando suona artisticamente falso (ma non bisogna esagerare né la frequenza né l'importanza di questi momenti di languore lagrimoso), sta la caratteristica profondamente simpatica della sua personalità.

Bibl.: D'Ancona e Bacci, Manuale, VI, pp. 279-86; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, 3ª ed., I, Bari 1929, pp. 161-80; M. Mosso, I tempi del "Cuore", Milano [1925].

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