RUFFINI AVONDO, Edoardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

RUFFINI AVONDO, Edoardo

Ferdinando Treggiari

– Nacque a Torino il 25 aprile 1901, unico figlio di Francesco Ruffini, giurista e uomo politico, e di Ada Avondo. Dopo la morte della madre (1910), il padre volle fargli assumere anche il cognome materno, per impedire che il nome della famiglia Avondo, rimasta senza discendenti diretti, scomparisse. Educato privatamente fino alla prima liceo, nel 1918 conseguì il diploma al liceo Tasso di Roma, dove si era trasferito dopo la nomina del padre a senatore del Regno (1914). Frequentò il primo anno di giurisprudenza a Roma, proseguendo poi gli studi a Torino, ove si laureò con lode il 23 aprile 1923 con una tesi in diritto costituzionale assegnatagli da Gaetano Mosca su Pensiero greco e diritto romano nella formazione del principio maggioritario canonico, riveduta e pubblicata due anni dopo con il titolo Il principio maggioritario nella storia del diritto canonico (in Archivio giuridico, XCIV (1925), pp. 15-67). Sempre nel 1923 sposò Maria Giorgina Bruno, dalla quale nel marzo dell’anno successivo nacque la figlia Ada. Nel 1925 si trasferì con la famiglia a Roma. Nella Rivista storica italiana (XLI (1924), pp. 113-166) aveva intanto pubblicato il saggio Il «Defensor Pacis» di Marsilio da Padova, legato anch’esso alla riflessione che andava svolgendo sul principio maggioritario: l’ambivalenza della formula marsiliana «universitas civium aut eius valentior pars» poneva in luce l’antagonismo tra numero e qualità quali paradigmi alternativi dei sistemi di deliberazione e di elezione delle collettività organizzate.

Nel triennio successivo videro la luce tutti i successivi scritti sul tema: Il principio maggioritario nelle elezioni dei re e imperatori romano-germanici (in Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, LX (1924-1925), pp. 392-414, 441-458, 459-492, 557-574); Conclave laico e conclave ecclesiastico, Torino 1926 (in realtà uno studio di poche pagine; cfr. Ruffini 2010, p. 384); Le origini del conclave papale (in Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, LXII (1927), pp. 409-431). Nel 1927, un anno dopo la pubblicazione de I diritti di libertà del padre Francesco, uscirono le sue due opere maggiori: I sistemi di deliberazione collettiva nel medioevo italiano (Torino 1927), nuova tessera del mosaico già formato dai saggi sulle elezioni ecclesiastiche e imperiali dell’età di mezzo; e l’aurea sintesi Il principio maggioritario. Profilo storico (Torino 1927).

Quest’ultimo libro fu ristampato nel 1976 (poi ancora nel 1987 e 2002) con una Postilla di aggiornamento dell’autore e una Postfazione di Severino Caprioli; i titoli precedenti, insieme alla versione rielaborata della tesi di laurea, furono raccolti l’anno successivo ne La ragione dei più (Bologna 1977), aperti da una introduzione dell’autore.

Per Ruffini il principio maggioritario non è un «istituto», ma una semplice «formula con effetti giuridici» (ibid., p. 7), il cui valore varia in relazione ai contesti in cui è applicata: piuttosto «fenomeno» che «principio» maggioritario (Il principio maggioritario, Milano 1976, pp. 94 ss.). Dinamico compromesso tra l’utopia dell’unanimità e l’ipotetico (e «assurdo») principio di minoranza, il principio maggioritario, pur privo di intrinseca bontà, ha però la prerogativa di rappresentare l’antitesi dell’intolleranza.

Nell’esperienza dei Comuni italiani del Medioevo, studiata ne I sistemi di deliberazione, la regola maggioritaria – divergendo dalle pratiche deliberative ed elettive del mondo ecclesiastico, tese a combinare, dopo secoli di adesione al principio unanimistico, la regola della valutazione quantitativa dei voti con la dottrina della sanioritas – si era fatta strada «con brutale semplicismo», fissando «in forma perfezionata e quasi definitiva» le procedure foggiate dall’antichità classica (I sistemi di deliberazione, ora in La ragione dei più, cit., pp. 256, 315). Il contributo «universale e imperituro» dell’esperienza comunale è passato alla modernità insieme agli argomenti e ai dilemmi che mettono a confronto la democrazia con la forza del numero e, più a monte, l’«eguaglianza dei diritti» con la differenza delle «capacità» (ibid., p. 297; Il principio maggioritario, cit., 1976, p. 11).

Pur offrendosi a un pubblico di lettori potenzialmente più vasto, Il principio maggioritario del 1927 ebbe una sola recensione e nessuna fortuna. Era uscito, come tutta l’opera di Ruffini, in pieno fascismo e di quella vicenda leggeva in controluce i passaggi cruciali: la legge Acerbo aveva artatamente assicurato nel 1924 una maggioranza alla coalizione fascista, propiziando la nascita di un «regime aristocratico di massa», che aveva reso letterale la metafora tocquevilliana della «tirannia della maggioranza». Quel libro era perciò destinato a rimanere come «un manifesto strappato dal muro, illeggibile» (Caprioli, 1976a, pp. 130, 134; 1976b, 2015, pp. 104 ss.).

Ruffini iniziò il suo insegnamento nel 1926 come incaricato di storia del diritto italiano nell’Università di Camerino. Lì nel 1927 (anno in cui nacque il suo secondo figlio, Luca) vinse la cattedra, precedendo Giuseppe Ermini, con cui avrebbe in seguito condiviso a lungo l’insegnamento a Perugia. Fino al 1931 a Camerino insegnò per incarico anche diritto ecclesiastico, diritto canonico e istituzioni di diritto romano. Ottenuta nel 1930 la stabilizzazione nel ruolo, venne eletto preside della facoltà camerte. In questi anni, oltre a recensioni per riviste italiane e a resoconti di studi italiani per la Social science abstract della Columbia University, pubblicò saggi su varie tematiche.

Gli «Stratagemata Satanae» di Giacomo Aconcio (in Rivista storica italiana, XLV (1928), pp. 113-140) verrà apprezzato come il primo «studio sulla vita dell’Aconcio fondato su materiale documentario invece che sulla tradizione» (O’Malley, 1955, p. 4).

Conducendo fino alla certezza (accolta poi da Delio Cantimori) l’attribuzione ad Aconcio di un’opera precorritrice degli Stratagemata (1565) – il Dialogo di Giacopo Riccamati Ossanese (1558), sottile apologia del luteranesimo –, Ruffini valorizzò, primo studioso italiano, la figura del giurista-teologo-ingegnere trentino propugnatore della tolleranza per ogni fede.

Con Il possesso nella teologia morale post-tridentina (in Rivista di storia del diritto italiano, II (1929), pp. 61-98) gettò luce sul decisivo contributo della canonistica all’estensione della categoria del possesso dall’ambito delle cose corporali al piano astratto dei diritti, grazie all’applicazione pratica della regola possessoria ai casi morali.

Il feudalesimo giapponese visto da un giurista europeo (ibid., III (1930), pp. 21-68) occupa un posto davvero singolare nel panorama degli studi di storia del diritto del periodo. La dettagliata descrizione della struttura del feudo nipponico gli faceva rilevare «le molte e precise analogie» con il feudo europeo, con particolare riguardo alla natura dei diritti di godimento della terra, in entrambe le esperienze distanti dalle figure classiche dei diritti reali della tradizione romana; ma anche individuare le sensibili differenze: il ridotto ruolo della servitù nell’esperienza feudale giapponese e la mancanza in essa di quella reciprocità di diritti e di doveri che è propria del feudo europeo.

Con Il can. 1409 del c.i.c. Contributo alla dottrina delle persone giuridiche (in Il diritto ecclesiastico, 1930, vol. 5, pp. 537-548) e Il Trattato «de iure universitatum» del torinese Nicolò Losa (1601) (in Rivista di storia del diritto italiano, IV (1931), 4, 1, pp. 5-28) Ruffini saggiava il tema storico della persona giuridica, verso il quale stava orientando i suoi studi.

Collaborò all’Enciclopedia Italiana, scrivendo le voci Camera Apostolica, Camerlengo, Capitolo (VIII, Roma 1930, pp. 527 ss., 534 ss., 862 ss.) e Maggioranza (XXI, Roma 1934, pp. 888 ss.).

Nel 1931 fu chiamato a insegnare nella facoltà di giurisprudenza di Perugia, prendendo servizio il 1° novembre 1931 e trovandosi subito dinanzi all’obbligo del giuramento di fedeltà («al Re, ai suoi Reali successori e al Regime fascista [...], di adempiere a tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla Patria ed al Regime Fascista») imposto ai professori universitari dall’art. 18 del r.d.l. del 28 agosto 1931, n. 1227. A parte l’«invincibile ripugnanza per il bel gesto» (lettera del 26 agosto 1931 alla cugina Nina Ruffini), non ebbe mai incertezze sul da farsi, cioè sul non giurare. Fece in tempo a tenere le prime due lezioni dei corsi di storia del diritto italiano e di diritto ecclesiastico e canonico, il 19 e il 20 novembre 1931. Il 29 novembre 1931, all’invito formale a prestare il giuramento, rispose con una lettera, in cui diceva di non poter «in coscienza, assumere l’obbligo di adempiere con la voluta efficacia a quell’ufficio di formazione spirituale dei giovani che la formula prescritta impone». Tuttavia il 24 dicembre 1931, cedendo alle preghiere del preside, essendogli nel frattempo giunto l’invito del ministero «di giustificare il proprio atto dinanzi al ministro stesso o di dare le dimissioni», scrisse al rettore chiedendogli di accettare le sue dimissioni da professore di ruolo per «motivi di famiglia». Fu il più giovane dei dodici professori universitari italiani (su 1225) a dire no.

Nel gennaio 1932 (nell’aprile sarebbe nato il terzo figlio, Francesco) si trasferì in Inghilterra, cercando di proseguire lì l’attività di docente, ma le sue speranze andarono deluse. Ritornato a Roma, si dedicò all’avvocatura: civile, nello studio di Federico Comandini; e rotale, dopo aver subito la temporanea radiazione dall’albo dell’ordine forense romano, nel 1933, per indegnità politica. Si iscrisse per questo all’Università Gregoriana di Roma, laureandosi nel 1935 in diritto canonico con una tesi su La personalità giuridica internazionale della Chiesa (Isola del Liri 1936; rist. 1984).

«Quella brutta tesi» (Ruffini, 2010, pp. 409, 421), centrata sull’argomento della «sovranità spirituale» della Chiesa, era un evidente episodio di nicodemismo. Faceva seguito a una gustosa escursione nel campo della «peccaminosità della menzogna» e della restrictio mentalis in diritto canonico (Il c. 26, X. de sponsalibus et matrimoniis (4,1), in Rivista di storia del diritto italiano, VI (1933), pp. 17-38, 239-264), aperto, nell’orientamento teologico lassista, a un largo numero di eccezioni; e gravido di implicazioni giuridiche, come nel celebre caso di nullità matrimoniale risolto nel 1212 da Innocenzo III.

Nel 1936 curò gli Scritti giuridici minori del padre. Del 1943 è una sua nota critica a un caso di annullamento di matrimonio concordatario (L’art. 34 del Concordato e la convenzione italo-sammarinese del 1939, in Il diritto ecclesiastico, 1943, vol. 54, pp. 30-36).

Trascorse gli anni della seconda guerra mondiale a Roma. Caduto il fascismo, fu reintegrato nel ruolo di professore ordinario di storia del diritto italiano nell’Università di Perugia, ma non riprese l’insegnamento. Accettando l’invito dell’amico di famiglia Nicolò Carandini, nuovo ambasciatore a Londra, nel gennaio 1945 iniziò l’attività di addetto culturale presso l’ambasciata d’Italia in Inghilterra. Grazie al suo contributo, l’Istituto italiano di cultura di Londra, chiuso a causa del conflitto che aveva opposto le due nazioni, riaprì i battenti ristabilendo le relazioni culturali reciproche. La morte improvvisa, volontaria, del figlio ventenne Luca, avvenuta a Oxford il 29 aprile 1947, determinò però la fine della sua esperienza inglese e il rapido rientro in Italia.

Luca Ruffini era nato a Bordighera il 16 luglio 1927. Nel 1945, conseguito il diploma al liceo Visconti di Roma, aveva raggiunto il padre in Inghilterra e il 29 ottobre di quell’anno si era iscritto all’Università di Oxford, entrando prima (a.a. 1945-1946) nel Balliol College, poi (a.a. 1946-1947) nell’Oriel College, per studiare lingua e letteratura inglese. Le sue Poesie, iniziate a comporre sin dalla prima adolescenza, furono pubblicate dalle Edizioni di Comunità nel 1948 e nel 1949, con prefazione di Giuseppe Ungaretti. Prima di lasciare l’Inghilterra (giugno 1947), il padre istituì nell’Università di Oxford una borsa di studio in sua memoria.

Dal 1° luglio 1947 Ruffini riprese il suo insegnamento nell’Università di Perugia, continuandolo fino al collocamento a riposo ‘a domanda’, ottenuto nel giugno 1971. Uno dei suoi rari interventi pubblici fu la conferenza del 1952 all’Università di Oklahoma dal titolo What is the best form of government for the happiness of man?, pubblicata quello stesso anno e solo dopo la sua morte anche in italiano (Qual è la migliore forma di governo per la felicità dell’uomo?, in Rivista di storia del diritto italiano, LVIII (1985), pp. 368-378): un’appassionata perorazione dell’educazione alla libertà come mezzo e fine della convivenza sociale. Il 5 aprile 1959 a Perugia gli fu consegnato dal rettore Giuseppe Ermini il diploma di prima classe per i benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, di cui era stato insignito nel giugno 1958.

Negli anni successivi si limitò alla ristampa degli scritti giovanili, mentre le uscite pubbliche divennero rarissime. Nel 1976, in occasione del suo pensionamento, partecipò a Perugia al seminario in suo onore su Problemi storici ed attuali del principio maggioritario, organizzato da Caprioli, suo successore nel 1971 alla cattedra perugina e tenacissimo custode della sua memoria (a lui si deve la creazione del premio Linceo Edoardo Ruffini, riservato a «giovani studiosi nelle scienze umane»). Dopo un nuovo dolore – la morte nel 1978 del figlio Francesco –, visse gli ultimi anni nella casa paterna di Borgofranco d’Ivrea, afflitto da sempre più gravi problemi alla vista, in compagnia della moglie, anch’ella gravemente malata. In quella casa, insieme a lei, il 10 febbraio 1983, si tolse la vita.

È sepolto nel cimitero di Montebuono a Borgofranco d’Ivrea.

Fonti e Bibl.: Colleretto Giacosa (Torino), Villa Giacosa, lascito Nina Ruffini; Perugia, Archivio storico dell’Università, fasc. pers., R. E.; Roma, Archivio centrale dello Stato, Min. int., Dir. gen. P.S., cat. A1, 1943, b. 70; Torino, Biblioteca Bobbio, sez. Patetta, Fondo R.

C.D. O’Malley, Jacopo Aconcio, Roma 1955, pp. 4 ss.; P. Grossi, «Unanimitas». Alle origini del concetto di persona giuridica nel diritto canonico, in Annali di storia del diritto, II (1958), pp. 298 ss.; F. Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova 1960, pp. 1-60; G. Branca, Una riunione in onore di E. R., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XXVI (1976), pp. 1322-1324; S. Caprioli, Cinquant’anni di ritardo, in E. Ruffini, Il principio maggioritario. Profilo storico, Milano 1976a, pp. 123-139; Id., Satura lanx 7. Breve escursione nei paraggi del Principio maggioritario di E. R. Dati e congetture (1976b), in Id., Satura lanx. Studi di storia del diritto italiano, Spoleto 2015, pp. 104-116; A. Pizzorusso, rec. de Il principio maggioritario..., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XXVI (1976), pp. 1272-1274; P. Grossi, Omaggio a E. R. (1978), in Id., Nobiltà del diritto: profili dei giuristi, Milano 2008, pp. 1-11; S. Caprioli, Satura lanx 22. La quantità è qualità. Problemi e applicazioni della regola maggioritaria nell’ottica di Gramsci (1980), in Id., Satura lanx, cit., pp. 249-273; Problemi storici e attuali del principio maggioritario. Una conversazione fra E. R., G. Amato..., in Annali della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Perugia, n.s., VI (1980), 2, pp. 213-265 (poi in Per E. R., 1985, pp. 73-142); A. Galante Garrone, I due Ruffini e la ragione dei più, in Nuova Antologia, CXVIII (1983), pp. 265-267; G.G. Migone, La resistenza sconsolata di E. R., in Il Manifesto, 16 febbraio 1983; A. Passerin D’Entreves, Ricordo di E. R., in Nuova Antologia, CXVIII (1983), pp. 267-270; D. Segoloni, E. R., in Rivista di storia del diritto italiano, LVIII (1985), pp. 333-368; M.E. Viora, Ricordo di E. R., ibid., pp. 327-331; Per E. R., a cura di S. Caprioli - L. Rossi, Perugia 1985; G. Crifò, ‘Vivere insieme’: E. R. e noi, in Lezioni per E. R., I, Perugia 1994, pp. 21-46; M. Ventura, «Maior et sanior pars». Attualità della riflessione di E. R. circa il principio maggioritario nel diritto canonico, in Lo studio del diritto ecclesiastico. Attualità e prospettive, a cura di V. Tozzi, Salerno 1996, pp. 259-277; P. Rescigno, La lezione di E. R. sul principio di maggioranza, in Id., Persona e comunità. Saggi di diritto privato, III, Padova 1999, pp. 80-90; H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Milano 2000, pp. 97-110; G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino 2001, pp. 5-7, 177-216; F. Galgano, La forza del numero e la legge della ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna 2007, in partic. pp. 41-48; G. De Angelis, Profilo di E. R., in Reti medievali Rivista, XI (2010), 1, pp. 1-10; E. Ruffini, Lettere da Borgofranco su principio maggioritario e dintorni, a cura di S. Caprioli - F. Treggiari, in Giuristi dell’Università di Perugia. Contributi per il VII centenario dell’Ateneo, a cura di F. Treggiari, Roma 2010, pp. 377-435; G. De Angelis, «Omnes simul aut quot plures habere potero». Rappresentazioni delle collettività e decisioni a maggioranza nei comuni italiani del XII secolo, in Reti medievali Rivista, XII (2011), 2, pp. 151-194 (in partic. pp. 151-158, 163-167, 177 s., 183); A. Mattone, R. A. E., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, pp. 1755 s.; G. De Angelis, E. R. storico del Medioevo, in Lezioni per E. R., II, Perugia 2014, pp. 11-25; F. Treggiari, Università e giuristi a Perugia (1925-1945), in Giuristi al bivio. Le Facoltà di Giurisprudenza tra regime fascista ed età repubblicana, a cura di M. Cavina, Bologna 2014, pp. 234-239.

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