Educazione

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Educazione

Aldo Lo Schiavo

(XIII, p. 490; App. IV, i, p. 642; App. V, ii, p. 38)

Del concetto di e., in relazione ai suoi momenti costitutivi, ai contenuti e alle forme che l'azione educativa può assumere, si discorre nella voce educazione dell'Enciclopedia Italiana; questa voce comprende anche un'ampia sezione dedicata alla Storia dell'educazione, relativa agli ideali educativi che hanno ispirato nelle diverse epoche questo aspetto fondamentale dell'esperienza umana e sociale. Tale sguardo retrospettivo è stato integrato, sotto il profilo teorico, dalla voce pedagogia (XXVI, p. 580; App. III, ii, p. 380; App. IV, ii, p. 753), nonché, sotto il profilo delle istituzioni scolastiche in cui per tanta parte si concretizza l'esperienza educativa, dalla voce scuola (XXXI, p. 249; App. III, ii, p. 685; IV, iii, p. 294; V, p. 695 e in questa Appendice). Per gli sviluppi delle concezioni educative negli ultimi decenni, con riguardo soprattutto al progressivo ampliamento delle funzioni demandate all'e., si veda la voce educazione nell'App. IV e, con riferimento alle Scienze dell'educazione, nell'App. V, mentre per la ricerca specifica sugli obiettivi educativi si rimanda alla voce tassonomia degli obiettivi educativi presente nell'App. V (v, p. 395). È altresì opportuno tenere presente quanto si dice nella voce istruzione (XIX, p. 688; App. V, ii, p. 800), dal momento che le strutture e i processi dell'istruzione formale, specificamente affidata alle istituzioni scolastiche, rappresentano un momento di particolare rilievo nel campo dell'educazione. *

L'educazione nella società contemporanea

di Aldo Lo Schiavo

Al di là degli sviluppi teorici delle concezioni che la riguardano e dei suoi collegamenti con la ricerca psicologica e sociologica contemporanea, l'e. si caratterizza, nello scorcio del 20° sec., non soltanto per l'attenzione riservata alle età che precedono e seguono quella soggetta all'e. istituzionale, "vale a dire all'età infantile e a quella adulta" (App. IV, i, p. 643), bensì e ancor più per l'interesse verso tematiche assai delicate e complesse poste dalle dinamiche in atto nelle società odierne, a cominciare dai processi di trasformazione, a volte drammatici, riguardanti i modi di vita, i bisogni individuali e l'etica collettiva. Si pensi, per un verso, alla crisi diffusa dell'istituto familiare o a quella dei tradizionali canali di mediazione sociale e di formazione dell'opinione pubblica, compresi gli stessi partiti politici, e, per altro verso, all'affermazione quasi planetaria di modelli considerati propri della società consumistica, a cui ha contribuito non poco l'influenza pervasiva esercitata dai media, in particolare dalla televisione. Problemi complessi sollevano, specie nelle aree sviluppate, fenomeni crescenti quali l'emarginazione dei gruppi sociali più deboli, l'immigrazione di massa da aree del sottosviluppo con la conseguente formazione di società multietniche, la diffusione della droga e della criminalità anche minorile, la rinascita di forme di razzismo, antisemitismo, intolleranza, la riproposizione di nazionalismi e localismi di varie specie. Implicazioni diverse, specie sul fronte della salute pubblica, presentano i fenomeni ancora irrisolti dell'inquinamento urbano e industriale, nonché le minacce recate all'equilibrio degli ecosistemi di vaste zone geografiche. Si comprende come, di fronte a fenomeni di tale portata, sia enormemente cresciuta la domanda di nuove e più impegnative responsabilità educative, si avverta cioè il bisogno di interventi preventivi, correttivi o compensativi in molteplici direzioni, non esclusa l'individuazione di valori più comprensivi o avanzati, in grado di orientare l'opinione pubblica e la coscienza collettiva. Il compito sembra tutt'altro che facile, tanto è vero che i governi e le istituzioni educative stentano molto spesso a trovare risposte adeguate o largamente condivise. Anzi, a volte le iniziative promosse finiscono per lasciare perplessi, quando addirittura non provocano contrasti e reazioni negli ambienti politici, religiosi o anche scientifici.

Televisione, informazione, educazione

Fra le tematiche al centro dell'attenzione risalta più che mai quella relativa agli effetti prodotti dagli attuali mezzi di comunicazione di massa - principalmente da quello televisivo - sulla sensibilità dei singoli, specie degli adolescenti, e sugli orientamenti di vasti strati sociali. Nessuno, naturalmente, mette in dubbio i servizi resi dalla televisione sul fronte ricreativo o dell'intrattenimento; ancor più riconosciuta è la sua funzione nel campo dell'informazione in generale, della conoscenza immediata di situazioni ed eventi che si verificano in ogni angolo del mondo. Ma è anche evidente che, sotto la spinta concorrenziale per incrementare l'audience, le trasmissioni di intrattenimento hanno finito spesso per connotarsi come spettacoli di pura evasione, mentre è diminuita la presenza di trasmissioni di carattere culturale (teatro, musica classica, cinema d'autore ecc.). D'altra parte, i servizi di informazione appaiono più o meno condizionati, talvolta persino manipolati o comunque orientati dalle aziende televisive nazionali e locali, pubbliche e private, le quali finiscono per detenere un potere enorme, di gran lunga superiore a quello degli organi di stampa, e per di più sostanzialmente privo di controlli. P.P. Pasolini, in alcune sue pagine del 1973 apparse sul Corriere della sera, fu tra i primi a denunciare la responsabilità della televisione "in quanto strumento del potere e potere essa stessa" e altresì come "il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare" (Pasolini 1975, p. 24). Ciò che allarma molti ambienti, non solo intellettuali, è il coinvolgimento emotivo, l'acriticità di molta informazione, la serie di messaggi d'altra natura che passano anche attraverso la pubblicità, i telefilm, perfino le trasmissioni per bambini.

La preoccupazione per gli effetti della televisione sui bambini e sugli adolescenti, diffusa anche in Europa, ha assunto rilievo politico particolare negli Stati Uniti, dove da anni si susseguono denunce di associazioni di genitori, insegnanti, psicologi, e dove sono apparse ricerche e studi circa i rapporti tra l'esposizione a programmi con scene di violenza, sesso e droga e la manifestazione da parte dei minori di comportamenti antisociali. In un saggio del 1993 (riportato in Popper, Condry 1994), J.C. Condry, uno dei più attenti studiosi della materia, ha definito la televisione una "ladra di tempo": i bambini che guardano molta televisione tendono a leggere poco, a giocare meno e a essere obesi. Oltre a essere ladra, essa è anche "bugiarda": per quel poco di informazione che riesce a comunicare, la televisione presenta "molto di falso e di distorto sia in materia di valori che di fatti reali". I bambini, in effetti, hanno molta difficoltà a discernere i fatti dalla finzione; essi avrebbero bisogno "di più esperienza e meno televisione". Una tesi solo in apparenza meno pessimista ha avanzato negli ultimi anni di vita K.R. Popper, quando ha affermato che la televisione, potenzialmente, "così come è una tremenda forza per il male potrebbe essere una tremenda forza per il bene. Potrebbe, ma è assai improbabile che questo accada. La ragione è che il compito di diventare una forza culturale per il bene è terribilmente difficile". L'obiezione di chi ribatte che bisogna offrire alla gente ciò che la gente desidera, quasi si trattasse di corrispondere a un'esigenza democratica, viene stigmatizzata invece da Popper come un'opinione del tutto in contrasto con l'idea di democrazia, il cui obiettivo deve essere di "far crescere l'educazione generale offrendo a tutti opportunità sempre migliori". Come rimedio Popper suggerisce, non senza qualche ingenuità, di prevedere una patente o licenza da accordare, dopo un corso di addestramento, a quanti si interessano di produzione televisiva, ma da ritirare nel caso in cui il titolare contravvenga a certi principi (Popper, Condry 1994).

Iniziative concrete, a difesa dei minori, in tema di violenza in televisione, non sono mancate o si vanno prendendo. Negli Stati Uniti sono state introdotte restrizioni con riguardo agli orari di trasmissione ed è stato istituito un monitoraggio permanente dei programmi affidato all'università della California, la quale deve produrre un rapporto annuale. Anche in Europa si è cominciato a porre il problema; alcune direttive comunitarie sollecitano gli stati membri ad adottare legislazioni di tutela dei minori in questo campo. In Italia, un codice di comportamento nei rapporti tra televisione e minori, adottato nel novembre 1997, prevede che nell'ampia fascia oraria che va dalle 7 alle 22,30 si devono evitare immagini di violenza e di sesso non necessarie alla comprensione delle notizie; ancor più 'protetta' deve risultare la fascia oraria dalle 16 alle 19, periodo di tempo normalmente più utilizzato dai bambini; appositi comitati interni alle aziende televisive hanno il compito di vagliare allo scopo film, telefilm e spettacoli vari. La reale efficacia di questi tentativi è ancora tutta da verificare.

Non meno centrale nel dibattito degli ultimi anni è il tema del rapporto fra televisione, formazione dell'opinione pubblica e democrazia. La competizione per l'audience sembrerebbe fatalmente indirizzata a privilegiare produzioni di basso profilo culturale e a promuovere programmi di modesta qualità; la stessa informazione, e non solo quella televisiva, sembra puntare spesso sul sensazionale. In un libro del 1993, Z.K. Brzezinsky ha espresso l'avviso che il mondo stia procedendo verso "lo scontro frontale tra il consumatore insaziabile e chi resta a guardare, privo di tutto"; e che, d'altra parte, nelle società liberal-democratiche, la nozione di libertà civica appaia spesso separata da quella di responsabilità civica. Lo stesso pontefice Giovanni Paolo ii, in un messaggio del 24 gennaio 1994 su "Televisione e famiglia", mentre osserva che la televisione può costituire un mezzo efficace per aiutare le famiglie nel loro compito di e. morale e sociale, segnala il rischio che un cattivo uso di quella possa di fatto danneggiare la vita familiare: "I genitori che si servono abitualmente e a lungo della televisione come di una specie di bambinaia elettronica abdicano al ruolo di primari educatori dei propri figli".

Sono in tanti a lamentare che il modello di e. televisiva si stia sostituendo a quelli proposti dai tradizionali canali della famiglia, della scuola, della Chiesa, dei partiti politici. Fra le altre, più incisiva appare l'analisi di G. Sartori (1997), secondo cui l'opinione telediretta, la politica video-plasmata, quasi sempre ridotta a fattori emotivi, finisce per indebolire la formazione del cittadino e quindi per minacciare le basi stesse della democrazia. Ciò sarebbe la conseguenza del fatto che il video-vedere, portando al primato del visibile sull'intelligibile, spostando la comunicazione dal contesto della parola a quello dell'immagine, "disattiva la nostra capacità di astrazione e, con essa, la nostra capacità di capire i problemi e di affrontarli razionalmente". "Il quadro d'insieme è dunque questo: che mentre la realtà si complica e le complessità aumentano vertiginosamente, le menti si semplicizzano e noi stiamo allevando un video-bambino che non cresce, un adulto che si configura per tutta la vita come un ritornante bambino". È giusto, a questo punto, richiamare la responsabilità della scuola e dell'istruzione. Ma, osserva efficacemente Sartori, se con la pedagogia attuale identifichiamo l'istruzione con il "perenne comunicare" e arriviamo a riempire le aule di televisori e word processor, la scuola non fa che rinforzare il video-bambino invece di contrastarlo. Persino l'istruzione generalizzata diventa un'operazione in perdita se si disperde la consapevolezza che il pensiero razionale, il sapere critico, è una conquista tutta in salita.

Le 'molte educazioni' e la scuola

Se legittimi e coerenti appaiono i richiami alle responsabilità primarie della scuola, in quanto sede di formazione culturale, di e. critica e scientifica - le sole qualità che mettono in grado di fronteggiare e selezionare proficuamente i messaggi dei media e di contenere gli effetti della videocrazia -, non altrettanto coerenti e di sicura efficacia possono essere considerate le chiamate in causa della scuola nel guidare i giovani a prevenire i pericoli dell'ambiente di vita e a evitare i rischi di quelle patologie sociali che sfuggono quasi del tutto al controllo e alle competenze delle istituzioni scolastiche. Frequenti, in effetti, sono gli appelli che dai più diversi ambienti vengono, alquanto superficialmente, rivolti alla scuola perché intervenga ora in un campo ora nell'altro a promuovere un'opera d'informazione, di prevenzione, di educazione. I sistemi scolastici sono stati via via sollecitati a interessarsi di e. alla salute, con l'obiettivo prioritario di persuadere i giovani a tenersi lontani dall'uso di droghe e di combattere per tal via il triste fenomeno della tossicodipendenza; di e. sessuale, diretta a preparare gli adolescenti sui temi delicati della sessualità; di e. stradale, volta a far apprendere le norme di comportamento per una guida corretta degli autoveicoli, in modo da evitare gli incidenti stradali; di e. alla legalità, allo scopo di promuovere una cultura della convivenza civile, rispettosa delle leggi, dei doveri e dei diritti di ciascuno, degli obblighi sociali; di e. ambientale, intesa a far maturare una coscienza più avanzata nei riguardi dell'ambiente fisico e di quello urbano e della necessità di preservare gli equilibri degli ecosistemi dai pericoli che li minacciano. Fra i più recenti campi d'intervento, segnalati anche da iniziative internazionali, figura quella che viene definita e. interculturale, attraverso la quale s'intende dare risposta ai bisogni di rispetto e di tutela delle diversità linguistiche, culturali e religiose di minoranze più o meno ampie presenti in contesti sociali e culturali diversamente caratterizzati. A queste e ad altre esigenze dettate da emergenze sociali si aggiungono spesso, o vengono riproposte, richieste espresse da settori culturali (quali sono i casi dell'e. teatrale, musicale, artistica, audio-visiva), medico-sportivi (e. alimentare, motoria, sportiva: quest'ultima intesa come qualcosa di più e di diverso della tradizionale e. fisica), politico-religiosi (e. alla pace, alla convivenza fra i popoli, alla solidarietà). Sono temi attuali in Europa, negli Stati Uniti e in altri paesi. Le soluzioni proposte variano, come è ovvio, secondo i differenti contesti politico-istituzionali e le diverse tradizioni culturali. D'altra parte, sono ormai frequenti le indicazioni e le direttive di carattere unitario espresse in sedi internazionali e comunitarie, specialmente con riguardo particolare ai temi di più vasta portata o di maggiore complessità.

Qui di seguito si fa riferimento alle iniziative riguardo alle principali tematiche educative sopra richiamate, con particolare attenzione a quelle assunte in Italia. La spinta a interessarsi di e. alla salute è stata determinata, nel nostro paese come altrove, dal grave problema della diffusione della droga fra i giovani e dalla necessità di trovare rimedio a tale fenomeno, reso ancora più allarmante dal diffondersi dell'AIDS, patologia almeno in parte collegata al problema della tossicodipendenza. Si comprende, pertanto, come interventi in tale direzione siano stati previsti dal t.u. delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti (artt. 104-106 del d.p.r. 9 ott. 1990 nr. 309), che affida al Ministero della Pubblica Istruzione, sul piano nazionale, e ai provveditori agli studi, in sede locale, la promozione e il coordinamento delle attività educative e di informazione sui danni derivanti dall'alcolismo, dal tabagismo, dall'uso di sostanze stupefacenti e psicotrope. Le stesse norme prescrivono che le iniziative di e. alla salute sono da inquadrare nell'ordinario svolgimento dell'attività didattica, attraverso l'approfondimento di tematiche proprie delle discipline comprese nel curriculum di studi. L'intervento educativo, in altri termini, non si configura come una specifica materia d'insegnamento, affidata a specialisti appositamente reclutati. Il Ministero della Pubblica Istruzione, d'altro canto, ha l'obbligo di approvare programmi annuali sulla base delle proposte formulate da un comitato tecnico-scientifico, incaricato di approfondire le tematiche della pedagogia preventiva, dell'utilizzazione di opportuni strumenti didattici, dell'incentivazione di attività culturali, ricreative e sportive che possano servire allo scopo. A partire dai primi anni Novanta sono stati istituiti nelle scuole secondarie Centri di Informazione e Consulenza (CIC) rivolti agli studenti, i quali possono proporre iniziative di approfondimento e di orientamento da svolgere in orario aggiuntivo rispetto a quello delle materie curricolari. Linee aggiornate di indirizzo alle scuole per gli interventi di e. alla salute e di prevenzione delle tossicodipendenze sono contenute nella Direttiva del ministro della Pubblica Istruzione del 23 sett. 1996 nr. 600. Fra le iniziative previste e in larga parte adottate dagli istituti di istruzione figurano i progetti 'Arcobaleno' con riguardo alla scuola materna, 'Ragazzi 2000' per la scuola dell'obbligo, 'Giovani 2000' per la secondaria superiore, nonché il 'Progetto genitori', oltre a specifiche tipologie di corsi di aggiornamento per docenti. Le iniziative in materia attuate dalle istituzioni scolastiche nel 1996-97 hanno coinvolto circa 3.300.000 alunni delle scuole di vario ordine e grado (42,5% del totale degli alunni).

Il tema dell'e. sessuale, dibattuto in Italia da alcuni decenni, non ha finora trovato una soluzione legislativa. Esso solleva diffidenza e persino resistenza in ambienti conservatori, turbati soprattutto dalla prospettiva dell'intervento delle istituzioni scolastiche in questo campo. Si osserva, in particolare, che ogni iniziativa in materia, anche quando considerata di tipo informativo, finisce in effetti per implicare valori e criteri di orientamento che pertengono esclusivamente alla sfera privata della famiglia. Tuttavia, fatti di cronaca relativi a episodi di violenza sui bambini e, più in generale, l'affiorare del fenomeno della pedofilia hanno seriamente impressionato l'opinione pubblica e hanno indotto il governo ad annunciare, nel novembre 1997, una serie di misure, fra cui figurano il sollecito al Parlamento ad approvare la legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori, l'impegno a utilizzare gli obiettori di coscienza in compiti di sorveglianza, la valorizzazione dei consultori per l'informazione sui problemi dell'infanzia e, infine, la preparazione di un disegno di legge che introduca l'e. sessuale nelle scuole, a partire dalle elementari. Considerata, peraltro, la prevedibile lentezza dell'iter parlamentare di un tale disegno di legge, il ministro della Pubblica Istruzione ha annunciato (primi di marzo 1998) una specifica direttiva per introdurre nelle scuole la "cultura della sessualità", che non sarà una disciplina d'insegnamento e che tuttavia sarà cosa diversa dell'e. sessuale rientrante nella sfera privata della famiglia. Peraltro, nell'ordinamento scolastico qualche indicazione in materia è prevista da tempo: un accenno agli "aspetti biologici della sessualità" è contenuto nei programmi della scuola media del 1979 con riguardo all'insegnamento delle scienze sperimentali; di un "naturale interesse per la conoscenza del corpo e della sua dimensione sessuale" parlano gli 'Orientamenti' educativi della scuola materna emanati nel 1991. Inoltre, iniziative concrete di e. sessuale sono state avviate in quelle scuole dove sono state realizzate intese fra docenti, genitori e studenti.

È stato invece definito per via legislativa il problema dell'e. stradale. L'art. 230 del d. legisl. 30 apr. 1992 nr. 285 (recepito dall'art. 330 del t.u. delle leggi sull'istruzione, d. legisl. 16 apr. 1994 nr. 297) rende obbligatorio per le scuole di ogni ordine e grado lo svolgimento di attività volte alla conoscenza dei principi della sicurezza stradale, delle norme generali di condotta dei veicoli e delle regole di comportamento degli utenti. I programmi relativi sono stati stabiliti con decreto interministeriale del 5 ag. 1994 e prevedono anche lo svolgimento di attività di carattere pratico-operativo, di norma affidate ai docenti di e. fisica. La programmazione degli organi collegiali della scuola può prevedere, per dette attività, la collaborazione dei corpi di polizia municipale, di esperti dell'Automobile Club d'Italia (ACI) e di altri enti e associazioni.

Con l'obiettivo di promuovere l'e. alla conoscenza e all'uso del patrimonio culturale, il Ministero per i Beni culturali e ambientali e il Ministero della Pubblica Istruzione hanno sottoscritto il 20 marzo 1998 un accordo quadro, il quale prevede l'istituzione di servizi educativi presso i musei e le soprintendenze, con il compito di collaborare con le istituzioni scolastiche per l'elaborazione congiunta di progetti annuali o pluriennali in ambito educativo. Per l'e. musicale, si veda musica: Educazione musicale, in questa Appendice.

Nel campo tradizionale dell'e. fisica si è verificato un maggiore interesse per le possibilità offerte dall'e. sportiva. In effetti, le attività motorie, presportive e sportive, comprese quelle di carattere agonistico, queste ultime un tempo considerate non positivamente in ambienti pedagogici, sono state ormai largamente riconosciute come parte integrante del progetto educativo curato dalle scuole. Impulso in tale direzione è stato dato dalla convenzione stipulata il 12 marzo 1997 fra il Ministero della Pubblica Istruzione e il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), con cui si è inteso assicurare adeguati supporti organizzativi, tecnici e finanziari alle attività formative in detto campo. Le istituzioni scolastiche, nel quadro dell'autonomia loro recentemente riconosciuta, possono giovarsi delle opportunità offerte da un progetto nazionale e da progetti locali per attivare servizi ludico-motori e sportivi a beneficio della totalità degli alunni, compresi quelli meno dotati e i portatori di handicap. Sono previste anche iniziative di aggiornamento degli insegnanti, finalizzate all'acquisizione di competenze teoriche e pratiche proprie delle discipline sportive. Per lo svolgimento delle attività sportive, gli istituti scolastici e le relative palestre potranno rimanere aperte il pomeriggio. Inoltre, potranno essere utilizzati gli impianti sportivi del CONI. Viene altresì favorita la partecipazione alle manifestazioni indette dalla Federazione Internazionale dello Sport Studentesco.

L'esigenza di un'e. interculturale, affiorata già nel corso degli anni Settanta, si è posta all'attenzione delle politiche nazionali e degli organismi internazionali segnatamente dalla fine degli anni Ottanta, in corrispondenza non più solo dell'accresciuta sensibilità riguardo al problema delle minoranze etno-linguistiche interne, ma anche del più nuovo e rilevante fenomeno dell'immigrazione proveniente da aree depresse nei paesi a economia avanzata. Nei riguardi di tali flussi migratori, oltre che di interventi immediati in tema di assistenza sociale, di opportunità di lavoro, di formazione professionale, si è pure avvertita l'esigenza della tutela del patrimonio linguistico, culturale, religioso proprio degli ambienti di provenienza degli immigrati, nel quadro del rispetto della diversità delle culture e della possibilità della loro convivenza. L'e. interculturale si prospetta, pertanto, come una dimensione costitutiva della società multiculturale e plurietnica verso cui ci stiamo incamminando e che non solo impone il superamento di forme di intolleranza e razzismo a tratti riaffioranti ma si prospetta anche come occasione di arricchimento per tutti, e comunque esige l'adesione a modelli di convivenza civile basati sulla cooperazione, lo scambio e la condivisione delle stesse diversità quale valore democratico.

Alcuni osservatori segnalano che questo orientamento è frutto di una lenta maturazione delle coscienze, che sarebbe iniziata con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. Nuovi passi avanti sarebbero stati fatti con la Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1966 e con la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989. Più recenti iniziative, assunte in convegni e seminari internazionali di studio, hanno tentato di definire un quadro unitario di interventi, comprensivo sia delle specifiche tematiche delle minoranze storiche entro gli stati nazionali, sia di quelle poste dal fenomeno delle recenti immigrazioni e dai caratteri di una società multietnica, sia più in generale dalla necessità di prevenire l'insorgere di nuove forme di intolleranza e razzismo. Una particolare esplicazione del concetto di e. interculturale è poi considerata quella che ha come scopo il consolidamento di una coscienza comune della cittadinanza europea ovvero che si propone di "sviluppare la dimensione europea dell'istruzione, segnatamente con l'apprendimento e la diffusione delle lingue degli stati membri" dell'Unione Europea (come si esprime l'art. G nr. 36 del Trattato dell'Unione sottoscritto a Maastricht il 7 ag. 1992, ratificato in Italia con l. 3 nov. 1992, nr. 454). In questo quadro rientra la decisione del Consiglio e del Parlamento europeo del marzo 1995, con cui è stato definito il programma di azione comunitaria SOCRATES per il periodo 1995-99. Con riguardo all'ordinamento italiano sono da tenere presenti gli artt. 115 e 116 del t.u. delle leggi sull'istruzione (d. legisl. 16 apr. 1994 nr. 297), relativi l'uno all'inserimento scolastico dei figli dei cittadini comunitari residenti in Italia, l'altro a specifici insegnamenti integrativi della lingua e cultura di origine per gli alunni extracomunitari. Criteri e orientamenti più specifici in tema di e. interculturale sono stati dati alle scuole con una serie di circolari ministeriali (8 sett. 1989 nr. 301, 26 luglio 1990 nr. 205, 7 marzo 1992 nr. 632, 2 marzo 1994 nr. 73, 16 febbr. 1995 nr. 56), nonché con alcune pronunce del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione (espresse nelle adunanze del 23 apr. 1992, del 24 marzo 1993, del 23 febbr. 1995). L'intervento normativo più organico e aggiornato è contenuto negli artt. 36 e 37 della l. 6 marzo 1998 nr. 40, concernente la nuova disciplina dell'immigrazione. In particolare viene statuito che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale sono soggetti all'obbligo scolastico; l'effettività del diritto allo studio è garantita anche mediante l'attivazione di appositi corsi per l'apprendimento della lingua italiana; analoghi corsi vengono istituiti per gli stranieri che intendono accedere all'istruzione universitaria; saranno definiti criteri per il riconoscimento dei titoli di studio e degli studi effettuati nei paesi di provenienza. Il citato art. 36 individua i caratteri dell'e. interculturale accolta dal nostro legislatore: "La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte all'accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua di origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni".

L'e. ambientale si è venuta caratterizzando nel corso degli anni Settanta-Ottanta soprattutto attraverso il superamento della nozione di e. ecologica, la cui impostazione strettamente naturalistica indirizzava quasi soltanto allo studio degli ambienti naturali nella loro struttura fisica e nei relativi processi di funzionamento. Gli stessi documenti internazionali sono venuti via via segnalando meglio la necessità di considerare, insieme agli agenti fisici, chimici e biologici, anche i fattori umani, sociali, economici e produttivi suscettibili di avere effetti sugli esseri viventi, nel quadro di sistemi dinamici definiti appunto dalle interrelazioni fra i diversi agenti e fattori. Scienze naturali, umane e sociali sono chiamate a concorrere in una prospettiva interdisciplinare all'individuazione di temi e obiettivi dell'e. ambientale, al fine di promuovere consapevolezza e atteggiamenti responsabili dei singoli e delle comunità verso l'ambiente e il futuro dell'uomo. "Difendere e migliorare l'ambiente per le generazioni presenti e future è divenuto per l'umanità un obiettivo prioritario", si legge già nella dichiarazione finale della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite del 1972. Lo stesso documento invita a definire un "programma educativo internazionale d'insegnamento interdisciplinare", indirizzato a tutti, giovani e adulti. Nel 1988 i ministri dell'e. della Comunità Europea hanno adottato una risoluzione nella quale indicano le iniziative da intraprendere per sensibilizzare il pubblico a un "uso prudente e razionale delle risorse naturali" e per promuovere la partecipazione attiva dei cittadini alla protezione di questo "patrimonio comune dell'umanità". La Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992, in un apposito capitolo dell'Agenda 21, ha considerato l'e. ambientale indispensabile per "suscitare una coscienza delle questioni ecologiche ed etiche così come dei valori e delle attitudini compatibili con uno sviluppo durevole".

In Italia l'e. ambientale può dirsi timidamente entrata nella scuola elementare con i programmi del 1985 e ancora prima nella scuola media con i programmi del 1979; questi ultimi prevedono quali obiettivi d'insegnamento delle scienze sperimentali l'individuazione delle "strette relazioni fra mondo fisico, mondo biologico e comunità umane", nonché la maturazione di un senso di responsabilità nei riguardi dell'ambiente naturale e della gestione delle sue risorse. La l. 8 luglio 1986 nr. 349, che ha istituito il Ministero dell'Ambiente, demanda a tale organo il compito di adottare iniziative idonee a sensibilizzare l'opinione pubblica ai problemi dell'ambiente, anche tramite la scuola, di concerto con il Ministero della Pubblica Istruzione. Un primo protocollo d'intesa fra i due ministeri è stato siglato nel 1987; un accordo quadro sull'e. ambientale è stato sottoscritto nel 1991; ancora, nell'aprile 1995 è stato pubblicato il programma d'interventi per il triennio 1994-96. Il nuovo accordo di programma, stipulato dai due ministeri il 6 febbr. 1996, prevede fra l'altro iniziative volte a diffondere nelle scuole di ogni ordine e grado le conoscenze relative al funzionamento e all'evoluzione degli ecosistemi, a favorire la partecipazione dei docenti a corsi di specializzazione in materia, a introdurre nell'ambito dei programmi lo studio dell'ambiente naturale e urbano, ad attivare nella scuola secondaria superiore percorsi formativi postdiploma, in relazione ai bisogni di professionalità di base e specifica emergenti nel settore.

Fra educazione e istruzione

L'ampio ventaglio delle proposte educative, nuove e meno nuove, contiene una sfida evidente alla scuola del Duemila e pone problemi complessi che rischiano di compromettere i suoi più consolidati criteri di riferimento, prima ancora che si riesca a definire un nuovo modello pedagogico. Tutti sono oggi in grado di constatare che sulle istituzioni scolastiche si scaricano spinte diverse, eterogenee per contenuti e finalità, impossibili da ridurre per ora entro un progetto educativo coerente, concretamente efficace. Accanto alle istanze poste dalle patologie sociali, dal disagio giovanile, dalle inadeguatezze della cultura diffusa, istanze ritenute pressanti, ineludibili e tuttavia automaticamente delegate alla scuola, continuano a incidere sull'istituzione scolastica le politiche nazionali e internazionali della democratizzazione dell'istruzione, intesa per lo più come realizzazione di condizioni volte a rendere gli studi accessibili a tutti, meno esigenti e selettivi, e viceversa tali da privilegiare, più che i contenuti di specifici saperi, la comunicazione, la partecipazione, i nuovi linguaggi diffusi. Inoltre, con queste ultime scelte continuano a incontrarsi e a scontrarsi le richieste del mondo del lavoro e dell'economia, neppure esse nuove e pur sempre riaggiornate, della promozione in sede di formazione scolastica di capacità operative, di professionalità di base e avanzata, di cultura industriale e progettuale fortemente legata all'innovazione tecnologica. Insomma, le pressioni sulla scuola sono molteplici e rispondono a logiche assai differenti.

Allo stato attuale, nei riguardi delle 'molte educazioni', il personale docente denuncia il proprio disorientamento, legato anzitutto al problema delle competenze necessarie. Per corrispondere alle diverse istanze occorrono competenze specialistiche che non fanno parte della formazione culturale dei docenti. Pensare di risolvere i problemi con l'organizzazione di corsi di aggiornamento, come si sta facendo da qualche tempo in vari campi, appare di fatto illusorio in quanto l'aggiornamento presuppone una formazione di base specifica in quei campi, che il più delle volte non esiste e non può essere improvvisata. L'altra soluzione ventilata, quella della presenza nelle scuole di specialisti di vario tipo (medici, psicologi, antropologi, ambientalisti, tecnologi ecc.) comporta seri impegni organizzativi e di raccordo con i docenti, non facili da realizzarsi e che comunque, se previsti, finiscono per incrementare il livello già alto di burocratizzazione delle attività scolastiche. Riguardo al come trattare quelle 'educazioni' nella scuola, le idee si fanno ancora più confuse e l'improvvisazione trova ampio spazio. Intanto, si ripropongono inevitabilmente vecchi interrogativi. Per le nuove 'educazioni trasversali', in qualche misura distinte dai saperi disciplinari più consolidati, la scuola deve attendere a compiti di informazione e conoscenza o deve assumere criteri di valore e farsi interprete di orientamenti di condotta morale? Nel primo caso, non sarebbe più conveniente ed efficace ricorrere ad agenzie specifiche, esistenti o da creare, tecnicamente attrezzate ad affrontare i problemi di una società in crisi? Nel secondo caso, non si corre il rischio di riproporre modelli educativi superati, di stampo retorico, moralistico o addirittura ideologico (religioso o politico, poco importa)? C'è persino chi pensa che si possa superare l'antitesi educazione/istruzione proponendo "una pratica di clinica della formazione"; in altri termini, si tratterebbe di vedere nella scuola "un teatro pedagogico come dispositivo e come campo di esperienza in cui possano essere giocate le forme comunicative, espressive ed esperienziali della vita diffusa" (Massa 1997, pp. 103 e 118).

I documenti internazionali e le stesse disposizioni normative in precedenza richiamate, escludono che debba trattarsi di specifici insegnamenti da aggiungere a quelli consueti e insistono invece sulla 'trasversalità' delle nuove istanze educative da promuovere all'interno dei curricula. Ci si rende conto che le 'materie' insegnate sono già molte e che, semmai, anche per queste occorre superare la frammentazione disciplinare esistente e individuare delle 'griglie' o 'mappe' dei contenuti essenziali della formazione di base: sarebbe necessario adottare "una serie succinta di tematiche portanti", e ciò richiederebbe "un forte alleggerimento dei contenuti disciplinari" (come si legge nel documento di esperti presentato dal ministro della Pubblica Istruzione L. Berlinguer, il 20 marzo 1998, all'Accademia nazionale dei Lincei). Ma si riconosce che è tutt'altro che facile determinare in concreto l'evocata 'trasversalità' o definire delle presunte 'mappe' dei saperi senza cadere nell'improvvisazione e provocare ulteriori guasti nella formazione delle giovani generazioni. D'altra parte, gli stessi ambienti, sia interni che internazionali, non senza contraddizioni, si fanno estimatori di un'organizzazione modulare dell'insegnamento (v. didattica: Didattica modulare, in questa Appendice), la quale va alla "ricerca di una possibile suddivisione dei grandi settori disciplinari" e della costruzione di "tessere personali delle competenze" (Libro bianco 1996, p. 59). Ciò ripropone sotto altra forma quella frammentazione dei contenuti dell'istruzione che si dice di voler superare e che comunque finirebbe per compromettere l'unità e la sistematicità di ogni seria formazione culturale. Le proposte finora elaborate possono peraltro concorrere ad allentare o a rompere del tutto quel nesso istruzione-saperi (v. istruzione, App. V), in cui da antica data si è pensato dovesse consistere il compito precipuo della scuola. Diventa inoltre difficile pensare che fondamentali valori possano scaturire da orientamenti politico-educativi che pensano a un modello di scuola come luogo di incontro-mediazione onnicomprensivo, una scuola tanto disposta ad accogliere le tendenze e le suggestioni del momento, quanto poco impegnata a costruire la padronanza degli strumenti del sapere.

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