GIBBON, Edward

Enciclopedia Italiana (1933)

GIBBON, Edward


Storico inglese, nato a Putney-on-Thames (Surrey) l'8 maggio (27 aprile del vecchio stile) 1737, morto a Londra il 16 gennaio 1794. In parte per il suo temperamento inadatto a sottoporsi alla disciplina, in parte a causa della salute che gli rimase malferma fino a 16 anni, la sua educazione fu irregolare e incompleta. Entrato all'università di Oxford nel 1752 vi rimase per poco tempo, anche perché una momentanea conversione al cattolicesimo urtò contro le convinzioni protestanti del padre, che pensò di mandarlo a studiare a Losanna (1753). Quivi il G. rimase per cinque anni che furono assai importanti nella sua vita: imparò finalmente il latino, un poco di greco e s'impadronì perfettamente del francese. In quel tempo egli lesse, tra l'altro, il Montesquieu e il Pascal, le cui Lettres provinciales ebbero notevole influsso sulla sua formazione di scrittore. Infine, conobbe in quegli anni il Voltaire venuto ad abitare a Losanna. Tornato in Inghilterra nel 1758 continuò lo studio minuzioso di opere storiche, finché nel gennaio del 1763 partì per un viaggio d'istruzione sul continente. Dopo un nuovo soggiorno a Losanna, dove aveva legato durevoli amicizie, scese in Italia e a Roma, e qui sembra essergli nata la prima idea di quella History of the Decline and Fall of the Roman Empire, su cui poggia la sua fama. Nel 1765 tornò in Inghilterra, dove continuò a elaborare il progetto della sua opera maggiore, da cui non lo distrasse neanche l'elezione al parlamento (1774), tanto che due anni dopo poté pubblicare finalmente il primo volume della sua Storia. Del resto, la sua attività politica fu trascurabile, limitandosi ad anonime e docili votazioni. Nel 1779, in seguito a un manifesto pubblicato come prodromo di guerra dalla Francia, il G. ebbe dal ministero l'incarico di compilare la risposta. In compenso gli fu assegnato un seggio nel Board of Trade and Plantations che era quasi una sinecura ma comportava un onorario di 800 sterline l'anno. Il quale fu, peraltro, di breve durata: nelle elezioni generali del 1780 il G. perdette il seggio parlamentare e quindi il posto. Ma dall'esperimento aveva tratto insegnamenti utili per la sua opera di storico. L'anno seguente apparvero il secondo e terzo volume della sua Storia. Se il primo aveva suscitato discussioni e polemiche accese, soprattutto a causa dei capitoli XV e XVI in cui è esposto lo sviluppo del cristianesimo, i nuovi volumi ebbero minore eco ma non furono letti meno avidamente. Frattanto, spintovi anche da considerazioni economiche, il G. decise di tornare a Losanna, dove infatti si stabili nel 1783. Nelle migliori condizioni pratiche e spirituali continuò a lavorare, e quattro anni dopo poté fare un breve viaggio in Inghilterra per pubblicarvi gli ultimi tre volumi della Storia (aprile 1788).

Tornato ancora a Losanna lavorò ai suoi Memoirs (1789); ma la morte di qualche amico e la ripercussione degli avvenimenti di Francia gli resero il soggiorno meno gradito e proficuo. Nel novembre del 1793 tornò in Inghilterra, dove si sviluppò la malattia, già latente, che in due mesi lo condusse alla morte.

La sua Storia è divisa, dalle sue caratteristiche, in due parti: la prima, relativa al tardo impero romano (180-641 d. C.) è la narrazione compiuta e minuziosa d'un periodo di 460 anni; narrazione per la quale egli seppe utilizzare, in un primo tentativo scientifico, tutto il materiale allora accessibile. Aggiornata secondo i progressi degli studî storici (v. tra le ediz. quella curata dal Bury), l'opera è ancor oggi fondamentale per dottrina e ampiezza di sguardo. La cura e l'acutezza con cui il tentativo fu compiuto sono tanto più notevoli se si tiene conto che le conoscenze sull'antichità erano relativamente scarse e l'archeologia non si poteva dire ancora una scienza. La seconda parte dell'opera, che abbraccia un periodo di 800 anni, si può oggi, invece, considerare superata: essa non è, rispetto alla minuzia della prima parte, che una rapida e sommaria esposizione. Più che difetto di quantità, è però qui da vedere un fatto inerente alla stessa mentalità del G. e alle sue limitazioni intellettuali: a differenza dei suoi contemporanei Robertson e Hume, egli aveva assorbito dai Francesi soprattutto lo spirito anticristiano per il quale appunto la Storia nel 1783 fu messa all'Indice. G. vide nel cristianesimo solo l'elemento negativo rispetto all'ordine esistente e non anche la forza creatrice d'un ordine nuovo. Così nella storia dell'impero bizantino non seppe scorgere, da Eraclio in poi, che decadenza e povertà morale, misconoscendo la funzione positiva, politica e culturale di Bisanzio. Allo stesso modo quella Rivoluzione francese che lo riempì d'orrore egli non l'aveva neppur minimamente presentita nella lettura del Montesquieu e del Voltaire. Tutto ciò può esserci spiegato dalle parole stesse con cui definì la storia: "poco più che il racconto dei delitti, delle follie e delle sventure dell'umanità".

Non poco del grandissimo successo che l'opera ebbe va attribuito alla felice scelta del periodo storico, ricco di grandiosità e di suggestione, alla misurata ma penetrante ironia, alla vivacità brillante dello stile che dà al G. un posto notevole tra gli scrittori del suo paese.

Ediz.: The Decline and Fall of the Roman Empire, voll. 6 (Londra 1776-88); ed. a cura di J. B. Bury, voll. 7 (Londra 1896-1900); il Bury ha curato una nuova, eccellente ediz. in 7 voll. (Londra 1909-13) con importante introduzione e che è la migliore. Miscellaneous Works, a cura di lord J. Sheffield, 2ª ed., voll. 5 (Londra 1796 e poi 1814), contiene tutti gli altri scritti del G. In it. Storia della decadenza e caduta dell'impero romano (Milano 1820), e altra a cura di E. Pais, Torino 1926 segg.