CRAIG, Edward Gordon

Enciclopedia Italiana (1931)

CRAIG, Edward Gordon

Silvio D'Amico

Nacque in Inghilterra nel 1872. Sua madre, l'attrice Ellen Terry, discendeva da un'illustre famiglia di attori inglesi. A diciassett'anni egli entrò a far parte come attore della compagnia diretta da Henry Irving, recitando per otto anni al Lyceum Theatre di Londra, specie nel repertorio shakespeariano. Nel 1896 abbandonò la carriera dell'attore per dedicarsi completamente allo studio dell'apparato scenico e alla direzione di spettacoli moderni. Il primo lavoro messo in scena dal C. fu Con l'amore non si scherza di Musset a Uxbridge. Altre importanti interpretazioni sceniche da lui dirette furono quelle di Didone ed Enea (1900), La maschera dell'amore (1901), Dei e Galatea di Haendel (1902), Bethlem di Hosmann e Molto rumore per nulla di Shakespeare (1903). Venuto rapidamente in fama di ardito innovatore della scena, fu chiamato a dar saggi di questa sua arte in Francia, in Germania e in Russia. Nel 1904, per invito del Brahm, direttore del Lessing-theater di Berlino, mise in scena colà la Venezia salvata di Otway; nel 1905 disegnò scene e costumi per l'Elettra interpretata da Eleonora Duse; nel 1912, al Teatro d'arte di Mosca, mise in scena l'Amleto. Stabilitosi a Firenze - dove dal 1908 cominciò a dirigere una rivista, The Mask - nel 1913 inaugurò nell'Arena Goldoni una Scuola del teatro, la cui attività fu interrotta dallo scoppio della guerra mondiale.

Il Craig, che dimora tuttora in Italia, ha esposto largamente le sue teorie in più volumi, come The Art of the Theatre (tradotto anche in francese) e Toward a new Theatre; nella citata rivista The Mask, e in un'altra piccola rivista pubblicata al fianco di questa e specialmente dedicata alle marionette, The marionnette. Egli è generalmente riconosciuto il maggior teorico dell'arte scenica moderna, e vivace rivendicatore dei diritti del metteur-en-scène, che egli considera quale unico e vero creatore dell'opera di teatro: a esso, secondo il C., l'autore fornisce un'opera la quale, anche se letterariamente compiuta e perfetta nel libro, a teatro non è che uno schema, una materia ancora greggia. Da questa l'artista della scena, ossia il direttore, con la collaborazione di altre materie - attori, scene, luci (alle quali ultime il C. dà grande importanza), ecc. - crea un'opera nuova, l'opera teatrale: fine per cui egli non ha solo il diritto, ma il dovere, di non tener conto delle indicazioni e didascalie del testo. Per teatro il C. intende dunque un'arte a sé il cui scopo è di dare una forma all'idea del suo creatore, il direttore, mediante tre elementi: il movimento (gesto e danza), l'apparato scenico (scene, costumi, luci), la voce (parole dette o cantate, ben diverse da quelle scritte per esser comunicate col mezzo della lettura); arte di suggestione, che si rivolge insieme all'occhio e all'orecchio, al modo della musica e della danza. E si comprende come il C., considerando il direttore quale unico creatore del teatro, guardi con diffidenza alla possibile, se non insopprimibile, iniziativa e autonomia personale di quella sua materia vivente ch'è l'attore, e ne voglia la sostituzione con la cosiddetta supermarionetta, ossia un tipo d'attore stilizzato, ridotto a mero strumento del direttore.

Non mancano alle teorie del C. decisi avversari, che obiettano che esse risolvono il dramma, a teatro, in mero balletto e cnreografia. Ma è certo che, praticamente, le messinscene del C. sono state largamente ammirate, e le sue dottrine hanno avuto nell'ultimo trentennio grande influenza sui teatri d'Europa e d'America. Teorici e direttori le hanno variamente riprese e applicate, accettando e propugnando il loro principio essenziale, quello della più o meno radicale indipendenza del metteur-en-scène dall'autore; e partendo in guerra, sia pure per vie diversissime, contro la messinscena realistica che aveva trionfato alla fine dell'Ottocento, per sostituirla con messinscene variamente stilizzate.

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