EGIDIO di Assisi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 42 (1993)

EGIDIO di Assisi

Silvana Vecchio

Era originario di Assisi, ed era molto probabilmente illetterato, ma nulla sappiamo della sua famiglia e della sua vita fino al momento in cui, il 23 apr. 1209, decise di seguire s. Francesco. Colpito dalla notizia della conversione di Bernardo da Quintavalle e di Pietro Cattani, i quali pochi giorni prima, il 16 aprile, avevano distribuito tutti i loro beni ai poveri per condividere la vita che Francesco aveva iniziato già da due anni, E. si presentò a S. Maria della Porziuncola, dove, accolto nella piccola comunità, ne adottò il primitivo stile di vita.

I frati, a coppie, iniziarono il loro apostolato itinerante, ed E. accompagnò Francesco nella Marca d'Ancona, dove non teneva vere e proprie prediche, ma si limitava ad esortare con molta semplicità all'amore di Dio e alla penitenza; E. confermava le sue parole ed ammoniva gli ascoltatori a prestargli fede. Quando i frati ebbero raggiunto il numero di sette, Francesco li inviò, sempre a coppie, in varie direzioni; E. con Bernardo si recò a Santiago di Compostella. Il viaggio, compiuto probabilmente nell'autunno del 1209, fu assai duro, sia per i disagi materiali, sia per l'incomprensione e lo scherno di cui i pellegrini erano oggetto. Di ritorno ad Assisi fu certamente a Roma nella primavera del 1210 con Francesco e i compagni, ormai diventati dieci, per ottenere dal papa Innocenzo III la conferma della primitiva regola. Un altro soggiorno romano, probabilmente più lungo, è collocabile nell'autunno del 1211; alloggiato nel monastero dei Ss. Quattro coronati vicino al Laterano, E. si procurava da vivere svolgendo ogni genere di lavoro.

Di fatto tutte le biografie sottolineano come la prima parte della vita di E. sia scandita da una sorta di attivismo frenetico, in cui l'esigenza del lavoro manuale si associa alla continua peregrinazione verso luoghi di devozione o terre di missione. Le fonti più antiche non consentono di stabilire con precisione la cronologia e la successione dei suoi viaggi, ma ne indicano quanto meno le tappe: prima del 1212 E. si recò a S. Michele del Gargano e a S. Nicola di Bari; immediatamente prima o dopo di questi pellegrinaggi si colloca un viaggio in Terrasanta, con una breve sosta ad Acri, dove E. si guadagnò da vivere svolgendo lavori di piccolo artigianato o umili servizi. Il secondo viaggio in Oriente, che alcuni biografi collocano nel 1219, e altri fanno risalire al 1214, è invece contrassegnato da un marcato desiderio di martirio: E. ed i suoi compagni tentarono in ogni modo di convertire mediante la predicazione i saraceni e non si arrestarono neppure di fronte alle più aperte ostilità; il martirio fu evitato soltanto grazie alla precipitosa ritirata delle navi sulle quali i frati si trovavano.

Il 1215 segna una tappa fondamentale nella vita di E.: il frate, al quale Francesco aveva concesso la più ampia libertà di movimento, chiese invece di essere vincolato ad una più stretta obbedienza e venne inviato nel romitorio di Favarone presso Perugia. Tutte le biografie segnalano a questo punto un mutamento nella sua vita: la predicazione itinerante dei primi anni lasciò il posto ad una vita di penitenza e di preghiera in cui si verificò per la prima volta l'esperienza dell'estasi mistica; la contemplazione dei misteri celesti si alternava a frequenti ed estenuanti vessazioni diaboliche. Dopo questa esperienza le peregrinazioni dei frate cessarono quasi completamente: tra il giugno 1225 e il gennaio 1226 lo troviamo a Rieti, ospite del cardinale Niccolò, vescovo di Tuscolo, presso il quale manifestò l'antico attaccamento al lavoro manuale svolgendo i servizi più umili; nel febbraio successivo si rifugiò a Deruta su una collina deserta, dove passò la quaresima con un confratello nella preghiera e nella penitenza; il 3 ottobre si trovava alla Porziuncola, dove assistette alla morte di Francesco.

Questo evento sanci definitivamente la scelta eremitica di E. e segnò l'inizio di un progressivo intensificarsi delle estasi mistiche: preannunciata da una visione avuta a Cibottola, l'esperienza mistica si manifestò per più giorni nel romitorio di Cetona vicino Chiusi, dove E. si era rifugiato con un compagno, identificabile forse con quel frate Giovanni, suo socio e confessore, cui accennano alcune fonti. Nelle visioni che si susseguirono dall'antivigilia di Natale fino all'Epifania e che culminarono nella contemplazione diretta del Signore, E. sperimentò sensazioni ineffabili che stordirono i suoi sensi e la sua mente; la coscienza di non essere più padrone di se stesso, ma strumento inerte nelle mani di Dio, si accompagnava al desiderio di conservare in tutti i modi la particolarissima grazia ricevuta attraverso una vita di penitenza sempre più rigida.

Le tappe della sua biografia dopo il 1227 sono contraddistinte da una predilezione per i luoghi solitari e per la vita ascetica: a Spoleto E. subi nuovamente le molestie diaboliche; ad Agello nei pressi del lago Trasimeno intrattenne i compagni con una conferenza spirituale; tornato ad Assisi nel 1230, probabilmente in occasione della traslazione del corpo di s. Francesco nella basilica fatta costruire da frate Elia, manifestò con sagace ironia la propria disapprovazione per il lusso del convento; nella stessa occasione, presente anche s. Chiara, imparti una lezione di umiltà ad un maestro francescano inglese (per lo più identificato con Alessandro di Hales), interrompendo il suo sermone e prendendo la parola al suo posto.

Dal 1234 E. si stabili appena fuori Perugia, nel romitorio di Monteripido, dove visse fino alla morte. Verso il 1240 gli venne affidato come compagno frate Graziano, testimone degli episodi della sua vita riportati nella biografia di frate Leone; compagni a Monteripido furono pure frate Iacopo e frate Andrea di Borgogna, ai quali E. non si stancava di narrare l'episodio dell'apparizione divina di Cetona e di magnificare la santità di quei luoghi dove il Signore in persona era apparso. Nonostante il progressivo isolamento, che lo spingeva ormai a fuggire non solo la frequentazione dei laici, ma i suoi stessi confratelli, l'esperienza estatica di E. non poté più essere nascosta: nel 1234, a Perugia, papa Gregorio IX, raggiunto dalla fama della sua santità, lo fece chiamare nel suo palazzo ed assistette ad uno dei suoi rapimenti mistici; la scena si ripeté a Monteripido, dove il papa lo visitò in più occasioni; sempre a Perugia lo vide in estasi Iacopa dei Settesoli, la nobildonna romana legata da grande amicizia a s. Francesco. A Monteripido assistettero ai suoi rapimenti cinque ministri provinciali e, nel 1260, lo stesso ministro generale Bonaventura, recatosi da lui per raccogliere testirnonianze sulla vita di Francesco. A questi episodi alcune fonti aggiungono il racconto di altre visite assai più improbabili: l'incontro con Gerardo di Borgo San Donnino, con il quale l'illetterato E. avrebbe intavolato una lunga disputa per convincerlo dei suoi errori dottrinali, seguita immediatamente da un rapimento estatico, e la visita del re di Francia Luigi IX, durante la quale i due santi uomini si sarebbero abbracciati senza parlare, manifestandosi reciprocamente nel silenzio le intenzioni più riposte del cuore.

Gli ultimi anni della vita di E. furono tormentati da frequenti attacchi diabolici che si alternavano alle dolcezze della contemplazione. Estenuato da queste esperienze e duramente provato nel fisico, E., non più in grado di muoversi da solo, espresse il desiderio di essere sepolto alla Porziuncola. Ma i Perugini, vedendolo vicino alla morte e temendo di perdere una preziosa reliquia, mandarono una scorta armata a proteggere il moribondo. E., appreso il fatto, preannunciò che per lui non ci sarebbe stata alcuna canonizzazione né grandi miracoli.

Il 23 apr. 1262 E. si spense e venne deposto in un sarcofago antico adorno di sculture con la storia di Giona. Salimbene da Parma, passato da Perugia nel 1265, accenna nella Cronica (a cura di G. Scalia, Bari 1966, II, p. 810) all'urna di marmo contenente il corpo del frate e riporta le voci secondo le quali E. avrebbe chiesto al Signore la grazia di non fare miracoli dopo la morte. La notizia., riferita anche da Ubertino da Casale, trova conferma nelle prime redazioni della Vita, che parlano genericamente di alcuni miracoli, senza ulteriori specificazioni. Nella biografia di frate Leone la santità di E. è attestata, più che dai miracoli, dalle sette virtù che egli possedeva in misura straordinaria e che si sono via via accresciute nel corso della vita. Secondo Leone E. era fedele e cattolico, pieno di reverenza, devoto, pio e caritatevole, operoso, obbediente, riconoscente. Solo più tardi, intorno al 1390, Bartolomeo da Pisa aggiunse alla biografia una collezione di venti miracoli e ventidue ne elenca l'anonimo trattato De miraculis riportato in appendice alla Vita pubblicato negli Acta sanctorum (April., III, Parisiis-Romae 1866, pp. 244-249).

Di fatto nessun processo di canonizzazione fu intrapreso, e le tracce di un primitivo culto popolare sembrano svanire nel corso del secolo XIV. Il sarcofago di E., quasi dimenticato per molti anni, fu oggetto di una ricognizione da parte del Comune di Perugia nel 1439. Solo nel 1777 Pio VI riconobbe il culto del beato Egidio. Tra il 1872 ed il 1930 le reliquie subirono una serie di spostamenti tra Perugia e Monteripido, finché, nel 1936, furono definitivamente sistemate nell'oratorio di S. Bernardino alle porte di Perugia.

La biografia egidiana è resa particolarmente incerta da una complessa questione di fonti. Della Vita Aegidii, documento base per la ricostruzione della biografia, possediamo tre redazioni:

1) La Vita breve: potrebbe trattarsi della biografia composta da frate Leone, secondo la testimonianza di Salimbene, sulla base delle notizie fornite da frate Graziano, compagno di E. più volte ricordato nella Vita. L'attribuzione a Leone compare anche in alcuni manoscritti. Di questa redazione esiste un'edizione critica (R. B. Brooke, Scripta Leonis, Rufini et Angeli sociorum s. Francisci, Oxford 1970, pp. 307-349), nonché tre precedenti edizioni fatte sulla base di tre mss. differenti (L. Lemmens, Documenta antiqua franciscana, I, ad Claras Aquas 1901, pp. 37-63; H. Bulletti, De vita b. Aegidii Assisiensis, auctore fratre Leone, iuxta novum codicem, in Arch. franc. hist., VIII [1915], pp. 12-22; W. Seton, Blessed Giles ofAssisi, Manchester 1918, pp. 52-88); - e l'edizione di due brevi compendi (F. M. d'Araules, in Arch. franc. hist., I [1908], pp. 267-277; L. Lemmens, op. cit., pp. 66-72). In questa biografia è segnalato in termini nettissimi lo stacco tra la prima fase della vita di E., contrassegnata dalla predicazione itinerante e dal lavoro manuale, e la seconda fase, tutta improntata invece all'eremitismo ascetico e dominata dall'esperienza mistica.

2) Una redazione "intermedia", contenuta in un ms. quattrocentesco del convento di S. Francesco di Perugia, ora perduto, e riportata negli Acta sanctorum (Apr., III, Parisii s. Romae 1866, pp. 222-227). Il ms., oltre alla Vita Aegidii, ai Dicta e ai Miracula, conteneva anche il cosiddetto Anonimus Perusinus, una delle leggende francescane, imparentata con la Legenda trium sociorum. Con l'Anonimus Perusinus la Vita Aegidii concorda in alcuni passaggi. Questa redazione, considerata per lo più un'abbreviazione della Vita lunga, è ritenuta invece dal Di Fonzo (L'anonimo perugino …): opera autonoma, attribuibile, come l'intero contenuto del ms. perugino, a frate Giovanni, primo compagno di E., morto nel 1270.

3) La redazione "lunga" della Vita è riportata nella Chronica XXIV generalium Ordinis minorum (Analecta franc., III, ad Claras Aquas 1897, pp. 74-115). Il testo incorpora buona parte delle due redazioni precedenti, variando la successione degli avvenimenti, aggiungendo una serie di episodi edificanti ed introducendo nel tessuto biografico anche parte dei Dicta. Questa redazione è stata in parte inserita nel De conformitate vitae b. Francisci ad vitam Domini Iesu di Bartolomeo da Pisa (Anal. franc., IV, ad Claras Aquas 1906, pp. 205-213). Ne esistono anche due volgarizzamenti della seconda metà del XV secolo, uno di Giacomo Oddi di Perugia (La Franceschina, a cura di N. Cavanna, I, Firenze 1931, pp. 259-292) ed uno di Feo Belcari (Prose di Feo Belcari edite ed inedite raccolte epubblicate da O. Gigli, Roma 1843, II, pp. 161-294).

Ovviamente presente in tutta la letteratura francescana delle origini, la figura di E. tende tuttavia ad essere presentata in maniera ambivalente, sottolineando ora l'una ora l'altra delle fasi della sua vita. In alcune delle fonti francescane E. è ricordato come il terzo "cavaliere della tavola rotonda", compagno della predicazione e dei viaggi di Francesco, pellegrino con frate Bernardo e, sempre con Bernardo, testimone della morte del santo (cfr. Thomas de Celano, Vita prima s. Francisci, in Anal. francisc., X, ad Claras Aquas 1926-1941, pp. 21, 24; Legenda triumsociorum, a cura di Th. Desbonnets, in Arch. franc. hist., LXVII [1974], pp. 89, 113 s., 117-120; CompilatioAssisiensis, a cura di M. Bigaroni, Assisi 1975, pp. 34, 268-271; Le "Speculum Perfectionis" ou mémoiresdefrère Léon, a cura di P. Sabatier, Manchester 1928, pp. 96, 254, 305).

Con la Legenda diBonaventura tutta l'esperienza apostolica di E. viene trascurata a beneficio dell'immagine del puro contemplativo. Le frequenti estasi del frate, cui Bonaventura asserisce di avere personalmente assistito, trasformano quest'uomo illetterato e semplice in creatura quasi angelica, in grado di raggiungere i vertici della contemplazione (Legenda sancti Francisci, III, 4, in Opera, ad Claras Aquas 1882-1902, VIII, p. 510). L'immagine di E. puro contemplativo si impone anche nelle compilazioni posteriori, che attingono ormai a piene mani dagli episodi della VitaAegidii (cfr. Actus beati Francisci et sociorum eius, a cura di P. Sabatier, Paris 1902, pp. 3, 22, 106, 138-145, 216 s.; I Fioretti di s. Francesco, a cura di B. Bughetti, Firenze 1925, pp. 26 s., 45, 109 s., 128 s., 166 s.; Speculum vitae beati Francisci et sociorum eius, Venetiis 1504, ff. 25v, 107r-109r, 158r-166v, 172r), mentre nella letteratura spirituale la figura di E. appare investita della funzione di coscienza critica dell'Ordine e profeta della sua inarrestabile decadenza. Ubertino da Casale ne fa in qualche modo un simbolo: E. grida come un pazzo per la distruzione della regola, schernisce i frati desiderosi di scienza, disprezza il lusso dei nuovi conventi. l'attivismo e l'umiltà che hanno contraddistinto la prima fase della sua vita cedono il passo nella seconda fase alla pura contemplazione e alla santa follia, che suonano rimprovero vivente per un Ordine che ha abbandonato la semplicità originaria (Arbor vitae crucifixae Iesu, Venetiis 1485 [rist. anast., Torino 1961], pp. 433 s.). Angelo Clareno riconosce in E. il testimone del passato francescano ed il profeta delle future tribolazioni: E. saluta con gioia l'elezione di Giovanni da Parma a ministro generale, ma sa che è troppo tardi per ricondurre l'Ordine alla purezza delle origini; per i "veri" francescani non resta che la fuga dal mondo e la ricerca della salvezza individuale (Chronicon seu Historia septem tribulationum Ordinis minorum, a cura di A. Ghinato, Roma 1959, pp. 97, 1165.).

L'intricata situazione testuale che contraddistingue le biografie egidiane coinvolge anche quelli che la tradizione ha tramandato come Dicta beati Aegidii. I Dicta, risultato delle annotazioni prese dai compagni del frate nel corso della sua vita eremitica, sono stati in qualche caso incorporati nella Vita, ma hanno circolato anche in collezioni separate fin dalla fine del XIII secolo e poi in diverse edizioni dei secc. XV-XVII (cfr. Vian, p. 190). Sono stati pubblicati da G. Menge nella Bibliotheca franciscana ascetica Medii Aevi, III, ad Claras Aquas 1905. Gli studi più recenti concordano col Menge nel distinguere quattro raccolte, che fanno capo a due diverse tradizioni manoscritte: a) Provide verba: moltobreve e senza prologo, in alcuni codici viene attribuita a frate Leone; è edita in appendice alla Vita Aegidii nelle edizioni Lemmens e Seton. b) Gratiae Dei et virtutes è la collezione principale, certamente posteriore alla precedente; senza prologo, si presenta come una nuova edizione meglio ordinata e suddivisa in capitoli. Comprende a sua volta due famiglie di codici, diverse per la distribuzione degli argomenti: la prima trae origine dalla compilazione avignonese Facsecundum exemplar, laseconda è riconoscibile nel De conformitate di Bartolomeo da Pisa (pp. 214-233) e negli Aureaverba pubblicati dagli Acta sanctorum, cit. (pp. 228-238). L'edizione Menge riporta alle pp. 3-77 i capitoli comuni alle due collezioni. e nell'AppendiceI i capitoli presenti soltanto nell'una o nell'altra. c) Quia sermo Domini est vivus: collezione di detti in disordine preceduta da un prologo, contenuta nel ms. più antico che risale al XIII secolo (Firenze, Bibl. Laurenziana, Laur. XIX.10); tutti i detti sono compresi nella collezione b; il prologo è edito negli Acta sanctorum, cit., pp. 228-229 e nell'edizione Menge, pp. 1-2. d) Ut possis assequi; contenuta in due mss. di Assisi (Bibl. com., 403 e 676), comprende un brevissimo prologo, tutti i testi di a, più una serie di detti rintracciabili nella collezione b o nella Chronica XXIV Gen.; è edita nella Appendice II dell'edizione Menge, pp. 109-120. Per i volgarizzamenti in diverse lingue cfr. Menge, pp. XV s.

I Dicta b. Aegidii, che da qualche studioso sono stati avvicinati ai Detti dei padri del deserto, affrontano una serie di temi di carattere morale o religioso: vizi e virtù, fede, carità, umiltà, timor di Dio, pazienza, disprezzo del mondo, castità, combattimento spirituale, penitenza, preghiera, contemplazione, vita attiva, cautela spirituale, scienza utile e inutile, parole buone e cattive, stato religioso, obbedienza, ricordo della morte, perseveranza nell'orazione, fuga dal mondo. Particolarmente importante il capitolo dedicato alla contemplazione, di cui E. distingue sette gradi: fuoco, unzione, estasi, contemplazione, gusto, quiete, gloria; questa scansione, che riflette la dottrina di Riccardo di S. Vittore è ricordata anche da Bonaventura (Opera, VII, p. 231; IX, p. 269), e viene riconosciuta come fonte diretta del trattatello De septem gradibus contemplationis di Tommaso Gallo. Ad E. è attribuita anche una parafrasi del Pater noster; l'attribuzione (Roma, S. Isidoro, ms. 1/73, f. 10v) appare infondata.

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