EGITTO

Enciclopedia del Cinema (2003)

Egitto

Giuseppe Gariazzo

Cinematografia

Stato indipendente sin dal 1922, l'E., pur continuando a subire per alcuni decenni la dominazione politica e culturale inglese, divenne presto un punto di riferimento per i Paesi arabi. Assunse un ruolo di guida anche nella cinematografia, che era la più consistente di tutto il continente africano e, più estesamente, del Vicino e Medio Oriente. Già a partire dagli anni Dieci aveva prodotto un numero elevatissimo di film, che ebbero un grosso impatto sul pubblico dei Paesi del mondo arabo, attraverso un sistema di divismo, un vero e proprio star system che, nel bene e nel male, giunse a colonizzare l'industria audiovisiva araba. Il cinema egiziano è stato caratterizzato, fin dagli anni Trenta, da alcuni elementi divenuti, nel tempo e con le dovute riletture, segni di immediato riconoscimento del valore della sua arte. Ma questi tratti inconfondibili hanno anche costituito, per molti facili detrattori, locali e stranieri, i limiti della cinematografia egiziana che non ha mai rinnegato il suo stretto legame con le tradizioni popolari e con altre arti, quali il teatro e la musica. In ogni sua fase storica ed evolutiva, il cinema egiziano deve il suo successo e il forte impatto sul pubblico all'attenzione, volta sia a raggiungere la più elevata quantità di spettatori, e quindi a esistere come prodotto commerciale aderendo a generi e codici pressoché immutabili (la commedia, il musical, il melodramma, in particolare), sia ad accogliere una grande schiera di autori che, con sfumature diverse e originali, hanno scritto le pagine più significative di una filmografia dotata di oltre tremila titoli. Ecco dunque nascere quella che è stata giustamente definita la 'Hollywood sul Nilo' o 'Hollywood d'Oriente', ben sostenuta, a partire dal 1935, dagli Studi Misr (Miṣr è il nome arabo di Egitto). Istituzione che, soprattutto nel periodo d'oro, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, ha reso possibile il massimo sviluppo del cinema del Paese.

Gli esordi

Nei primi due decenni del Novecento si posero le basi per la costituzione del cinema d'Egitto. Una cinematografia fortemente connotata dalla contaminazione culturale, per l'intervento di cineasti di varia provenienza. Già nella sua prima fase, infatti, questa cinematografia si distinse per un profondo cosmopolitismo, naturale conseguenza di una realtà storica che vedeva presenti al Cairo e ad Alessandria comunità diverse, francesi, inglesi, greche, e così via. Gli operatori dei fratelli Lumière portarono le prime immagini esotiche dall'Occidente nel 1896, e filmarono poi, con il loro inconfondibile stile, immagini di quel territorio (Place des consuls à Alexandrie, 1897); a loro si deve l'apertura nel 1897 della prima sala cinematografica. L'E. accolse successivamente italiani, palestinesi, tedeschi, turchi ed ebrei russi; in particolare i fotografi Aziz Bandarli e Umberto Dorès che girarono La visite du khédivé Abbas Helmi II à l'Institut scientifique de la mosquée Sidi-Aboul-Abbas (1907). Dieci anni più tardi, Dorès, che assunse la direzione della SITCIA (Società Italiana di Cinema di Alessandria), una società facente capo al Banco di Roma, produsse ad Alessandria alcuni lavori, compreso il mediometraggio Šaraf al-badawī (1918, L'onore del beduino) del cineasta Osato, dove apparve per la prima volta come attore Muhammad Karim, divenuto poi uno dei principali registi del cinema egiziano dell'epoca. Il 1923 fu un anno di particolare rilevanza storica, poiché Victor Rosito girò Fī bilād Tout Ankh Amon (Nel paese di Tutankhamon), il primo lungometraggio interamente prodotto in E., e fece la sua comparsa Muhammad Bayyumi. Considerato il pioniere nazionale delle immagini in movimento, Bayyumi, che era stato direttore della fotografia del film di Rosito, fondò al Cairo il primo studio cinematografico, il Films Amon. In quell'anno iniziò a girare i primi cinegiornali, Journaux Amon, e uno di essi, Retour du leader Saad Zaghloul Pacha (noto anche come Accueil réservé par le peuple égyptien au leader Saad Zaghloul Pacha), girato il 18 settembre 1923, contribuì a tutti gli effetti alla nascita di un cinema egiziano nazionale. Sempre negli anni Venti si gettarono le basi per i futuri Studi cinematografici Misr (connotati come un'emanazione della Banca Misr, inaugurata nel 1920 dal magnate Ṭal῾at Ḥarb) e per la Società Misr per il teatro e il cinema (1925), alla quale si legò ancora il nome di Bayyumi, che la diresse nei primi due anni. Altri furono i cineasti che contribuirono a definire nei dettagli l'avvio del cinema egiziano: Alvise Orfanelli, Victor Stoloff, la famiglia Frenkel all'avanguardia nell'animazione; il turco Wedad Orfi che diresse Layla (1927, insieme a Stéphane Rosti), film dominato dalla determinazione dell'attrice, produttrice e regista Aziza Amir (esordì nel 1929 con Bint al-Nīl, La figlia del Nilo); il palestinese Ibrahim Lama che girò Qubla fī al-Ṣaḥarā᾽ (1927, Un bacio nel deserto,) e M. Karim che con Zaynab (1930), firmò il suo primo lungometraggio.

L'avvento del sonoro e del colore

Ormai pronto ad assumersi la responsabilità di indispensabile punto di riferimento culturale, sociale e industriale, il cinema egiziano seppe affrontare negli anni Trenta l'avvento del sonoro, quindi il passaggio dal bianco e nero al colore negli anni Cinquanta e successivamente, negli anni Novanta, anche la nuova tecnologia video e digitale. A contraddistinguere la prima fase di rinnovamento furono due film: Awlād al-ḏawāt (1932, Gli aristocratici) di M. Karim, solo in alcune parti parlato, e ῾Indamā tuḥibbu al-mar'a (1933, Quando la donna si innamora) di Ahmed Galal, con la star Mary Queeny (nome d'arte di Marie Boutros Younes), primo film muto sonorizzato in studio. Con la nascita degli Studi Misr, venne prodotto e girato nei loro teatri di posa il primo lungometraggio, l'ormai mitico e ‒ come molta parte delle copie del cinema egiziano ‒ di difficile reperibilità, Widād (1935). Il film, un melodramma storico i cui protagonisti sono un commerciante e una delle sue schiave, Widād, pur diretto dal regista tedesco Fritz Kramp, diventò una pietra miliare del cinema egiziano, in quanto vi appariva, per la prima volta sul grande schermo, la cantante egiziana Umm Kulṯūm, la più famosa e apprezzata dell'intero mondo arabo. La 'stella d'Oriente', come venne definita, si dedicò per oltre dieci anni al cinema, che abbandonò nel 1947. Tra gli altri lungometraggi di particolare rilievo, spiccano Salāma fī h̠ayr (1937, Salama sta bene) ‒ commedia basata sugli scambi d'identità e realizzata da Niazi Mostafa, il regista che ha diretto il maggior numero di film nella storia del cinema egiziano ‒ e al-῾Azīma (1939, La volontà) diretto da Kamal Selim, opera di forte tensione naturalista, ambientata in un quartiere popolare della capitale, che rappresentò il punto di partenza imprescindibile per la nascita e lo sviluppo di una delle caratteristiche fondanti della cinematografia egiziana: il realismo. Importante fu anche il contributo, a partire dal 1930, di Togo Mizrahi, cineasta di origini ebraiche, il cui talento si espresse nel cinema muto e in quello sonoro, nelle commedie e nei musical, e in particolare nelle farse che ebbero come protagonista il personaggio ebreo di Shalom: film girati nel nome di una convivenza pacifica e multietnica. Mizrahi, che diresse film fino al 1946, trascorse l'ultimo periodo della sua vita a Roma.

Negli anni Quaranta altri registi, ognuno all'interno del proprio genere, aprirono ulteriori e stratificati percorsi negli spazi della settima arte. Nomi portanti furono quelli di Henri Barakat, Salah Abu Seif, Kamal Telmessani, noto per il suo film d'esordio di gusto realistico al-Sūq al-sawdā᾽ (1945, Il mercato nero), e Ahmed Kamel Morsi, che girò il melodramma sociale al-Nā᾽ib al-῾ām (1946, Il procuratore generale). Barakat, oltre alle numerose commedie musicali interpretate da stelle della canzone femminili e maschili, firmò nel 1965 il suo capolavoro con al-Ḥarām (Il peccato), in cui descrisse con esplicito realismo la dura vita nelle campagne. Considerato un maestro e tra gli autori più noti a livello internazionale, Abu Seif seppe usare toni realistici, ma anche grotteschi, cimentandosi nella satira, nel melodramma, in film storico-religiosi e d'impegno sociale, in cui disegnò una vasta galleria di ritratti ispirandosi a personaggi del popolo, gente della vita di tutti i giorni con la quale il pubblico poteva identificarsi. Molti dei film di carattere realistico diretti da Abu Seif furono scritti da Naǧīb Maḥfūẓ oppure ispirati a suoi racconti. Nella sua nutrita filmografia spiccano: al-῾Umr wāḥid (1942, La vita è unica, circolato poi con il titolo Numero 6 per problemi di censura), Šabāb imra᾽ (1955, Gioventù di una donna), Anā ḥurrā (1958, Io sono libera), al-Saqqa māt (1977, Il portatore d'acqua è morto), tratto dall'omonimo racconto dello scrittore Yūsuf al-Siba῾ī, al-Sayyid Kaf (1994, Il signor K). Gli anni Cinquanta, che videro la nascita di un organismo statale di sostegno al cinema (1957), si aprirono nel segno della prima produzione interamente a colori, con Bābā ῾arīs (1950, Papà si sposa) di Hussein Fawzi, e con l'esordio, nello stesso anno, di Youssef Chahine che diresse la commedia d'ambientazione familiare Bābā Amīn (Papà Amin). Accanto a Chahine, autore di una filmografia esemplare per il lavoro sulla memoria del proprio Paese, altri furono i registi che seppero rinnovare la cinematografia egiziana. Un autore fondamentale si rivelò Kamal al-Cheikh il quale, attraverso il thriller, genere da lui privilegiato, osservò e descrisse i rapporti all'interno della società egiziana. Uno dei suoi capolavori, Ḥayāt aw mawt (1954, Vita o morte), segnò una tappa storica: fu il primo film egiziano completamente girato per le strade del Cairo. Tawfiq Salih iniziò in quegli stessi anni, distinguendosi per il suo impegno politico, talvolta pagato pesantemente scontando un duro intervento della censura; il lungometraggio che lo rese celebre, al-Mah̠du῾ūn (1972; Gli ingannati), tratto dal romanzo dello scrittore palestinese Ġassān Kanafānī Riǧāl fī al-šams (Uomini sotto il sole) e prodotto in Siria, narra, con uno sguardo che coniuga le forme dell'allucinazione visiva con quelle del realismo, il disperato cammino nel deserto di tre palestinesi, simbolo di un popolo privato della propria terra. Considerevole fu inoltre il lavoro svolto da Ezzedine Zulfiqar, con i suoi melodrammi fiammeggianti.

Rinnovamento nel segno della continuità

Anche nel cinema egiziano gli anni Sessanta videro gli autori impegnati in uno sforzo di rinnovamento dei linguaggi e dei rapporti con le generazioni precedenti. Nel 1968 un gruppo di cineasti firmò un manifesto per diffondere una nuova idea di cinema e l'anno successivo prese vita il Gruppo del nuovo cinema, che si poneva l'obiettivo di osservare la società da altri punti di vista. Si è così potuta formare una giovane generazione che ha iniziato a realizzare film a partire dall'inizio degli anni Ottanta, esprimendo una nuova visione del realismo, e che ha avuto in Daud Abd el-Sayed e Muhammad Khan i suoi massimi esponenti. Il realismo di Daud Abd el-Sayed sfocia nel grottesco e nelle situazioni esasperate che si sviluppano soprattutto in un contesto metropolitano. Tra i suoi film fondamentali: al-Ṣa῾ālik (1985, I banditi), al-Baḥṯ ῾an Sayyid Marzūq (1990, Alla ricerca di Sayyid Marzuq), Kīt Kāt (1991), Sāriq al-faraḥ (1994, La gioia rubata), The land of fear (1999). In rapporto con la città si colloca anche l'opera di Muhammad Khan, che ha esordito nel 1978 con Ḍarbat al-Šams (Colpo di sole). Il realismo di Atef al-Tayeb (deceduto nel 1995) tocca temi quali la corruzione (Sawāq al-ūtūbūs, 1983, Il conducente di autobus, interpretato dalla star Nour El-Cherif) e l'affitto delle case (al-Ḥubb fawqa hadab al-Ahrām, 1984, L'amore ai piedi delle Piramidi). Tra gli altri registi attivi già negli anni Sessanta, spicca il nome di Hussein Kamal, autore di opere che, con rigorosa libertà formale, affrontano questioni sociali scottanti, come la disfatta degli intellettuali dopo la guerra dei sei giorni contro Israele (1967) nel capolavoro Ṯarṯara fawqa al-Nīl (1971, Chiacchierata sul Nilo, tratto dall'omonimo romanzo di N. Mahfūz).

Un caso isolato nella storia del cinema egiziano è rappresentato da Chadi Abd el-Salam, autore ‒ nell'arco della sua breve vita ‒ di un unico lungometraggio, al-Mūmyā (1968, La mummia), ritenuto il film egiziano più importante di tutti i tempi. Sperimentatore affascinato dall'epoca dei faraoni, filo conduttore di quasi tutte le sue opere (corto e mediometraggi), Abd el-Salam ambientò nel deserto e in una sorta di atemporalità una storia legata alla memoria e al senso dell'identità, raccontando la lotta tra fazioni per contrabbandare o preservare dalla profanazione le tombe millenarie.Superata la crisi degli anni Settanta, il cinema egiziano ha ripreso vigore sia con gli autori del Nuovo cinema, sia con quelli della generazione successiva (che hanno iniziato a lavorare negli anni Novanta) rinnovando ancora una volta, seppure nel segno di una continuità con il passato, alcuni dei suoi generi tradizionali (realismo, commedia, melodramma). Per il modo di inventare nuovi orizzonti narrativi e visivi, carichi di desiderio e sensualità, utilizzando la pellicola e il video, meritano un posto di rilievo Yusri Nasrallah, Ussama Fawzi, Radwan al-Kashef, Atef Hatata e Ahmed Atef. I film di Y. Nasrallah, già assistente di Y. Chahine, esplorano la storia egiziana durante la presidenza di Nasser (Sariqa ṣayfiyya, 1988, Furti d'estate), la società borghese (Mercedes, 1992), le disillusioni di un attore tornato al Cairo da Parigi (al-Madīna, 1999, La città). Luogo privilegiato del cinema di U. Fawzi è Il Cairo con le sue strade e la sua confusione osservate con efficace umorismo, come in ῾Afārīt el-asfalt (1995, I diavoli dell'asfalto) e Ğannat al-šayāṭīn (1999, Il paradiso dei demoni). R. al-Kashef, deceduto nel 2002, ha lasciato pochi ma significativi titoli: Lih ya banafsiǧ (1992, noto anche come Violets are blue) ambientato in un quartiere popolare della capitale, ῾Araq al-balaḥ (1998, Il vino dei datteri), al-Sāḥir (2001, Il mago), ritratto di un mago affascinato dalla vita e preoccupato per la bellissima figlia. A. Hatata si è confrontato con la storia del suo Paese in Aḥlām saġīra (1992, Piccoli sogni). A. Atef ha esordito nel 2000 con l'ambizioso Omar 2000, in cui un trentenne in crisi vive avventure fantastiche, sentimentali e musicali, sognando un visto per gli Stati Uniti.

Bibliografia

Égypte 100 ans de cinéma, éd. M. Wassef, Paris 1995.

Y. Thoraval, Regards sur le cinéma égyptien, Paris 1996.

M.S. Bazzoli, G. Gariazzo, Onde del desiderio. Il cinema egiziano dalle origini agli anni Settanta, Torino 2001.

G. Gariazzo, Breve storia del cinema africano, Torino 2001, pp. 61-76.

G. Gariazzo, Egitto, Maghreb e Medio Oriente: il cinema dei paesi arabi, in Storia del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, 4° vol., Americhe, Africa, Asia, Oceania. Le cinematografie nazionali, Torino 2001, pp. 415-34.

V. Shafik, Egyptian cinema, in Companion Encyclopedia of Middle Eastern and North African film, ed. O. Leaman, London-New York 2001, pp. 23-129.

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