Elefante

Enciclopedia Dantesca (1970)

elefante

Vincenzo Valente

Parlando dei giganti custodi del nono cerchio, D. adduce a confronto balene ed e., come esempio estremo di creature enormi che la natura non tralascia di generare: E s'ella d'elefanti e di balene / non si pente, chi guarda sottilmente, / più giusta e più discreta la ne tene (If XXXI 52).

Di questi animali e delle loro immani dimensioni fantasticarono i trattatisti medievali, derivando da Plinio e da Isidoro di Siviglia, fonti quasi uniche degli autori di cose naturali. Isidoro scriveva: " Elephantum Graeci a magnitudine corporis vocatum putant, quod formam montis praeferat; Graece enim mons λόφος dicitur " (Etym. XII II 14); e s. Ambrogio (Hexaem. VI V 33): " velut quidam mobiles montes ". Non sembra probabile che D. possa averne veduti. Di un e. portato da Federico II a Cremona parlano, come di un fatto memorabile, Salimbene nella sua Cronica (ediz. Bernini, I 129) e B. Latini (Tresor V 54).

Al passo dantesco non è estraneo un ricordo classico: " nec de te, natura, queror: tot monstra ferentem / ... dederas serpentibus orbem " (Lucan. IX 855 856).